La Tradizione Esoterica — G. de Purucker

Capitolo 10

Le Reti del Destino

Parte 1

La Filosofia Esoterica rifiuta, come filosoficamente insostenibile, il concetto prevalente nel mondo occidentale che la probabilità o il caso sia la causa delle circostanze o dell'ambiente, o degli impulsi diretti che gli esseri hanno e seguono mentre vivono nel proprio contesto. Un universo che contiene probabilità o cieco caso deve essere, in qualche grado, un universo privo di leggi e basato su nessuna ragione né mente. Quello che gli uomini chiamano popolarmente caso è semplicemente ciò che la conoscenza o la ricerca ancora non hanno sufficientemente portato alla luce come una maglia nella catena della causalità universale.

La natura, o il cosmo universale, è un organismo costruito da innumerevoli esseri, entità minori e cose che individualmente sono ciascuno come un organismo. Così, la natura può essere vista come una rete cosmica incomprensibilmente estesa, in cui ogni cosa è interconnessa, perché forma una parte componente dell'insieme cosmico. L'uomo, come organismo minore individuale, è interconnesso attraverso l'eternità con i circostanti fili cosmici della grande rete della vita. Ogni pensiero che ha, ogni emozione che sperimenta, ed ogni azione derivante dagli impulsi che nascono da questi pensieri ed emozioni, vanno quindi a formare una rete molto intricata del destino che l'uomo tesse incessantemente intorno a sé e che, in verità, da un certo punto di vista, è egli stesso.

Ma questo non è fatalismo, che definisce l'uomo un semplice burattino o la vittima involontaria di un destino imperscrutabile che lo sbatte qua e là, che lui voglia o no. Al contrario, l'insegnamento della Tradizione Esoterica è che l'uomo è un agente volontario attraverso il suo corso senza inizio né fine di destino. Esercita costantemente la sua minima parte di libero arbitrio, arbitrio che è libero in proporzione al grado che egli ha raggiunto in un crescente ricongiungimento autocosciente con la sua monade, il Sé dei suoi molti sé umani che si manifestano come reincarnazioni nelle sfere attraverso le quali egli passa.

La tessitura di queste reti del destino, poiché l'uomo vi è coinvolto per mezzo della sua libera volontà, è chiamata con il termine sanscrito karma. Forse quest'insegnamento globale non è mai stato espresso così vividamente come nella Dottrina Segreta di H. P. Blavatsky:

Quelli che credono nel Karma devono credere nel destino che ogni uomo tesse intorno a sé dalla nascita alla morte, filo per filo, come un ragno tesse la sua tela; e questo destino è guidato o dalla voce celeste del prototipo invisibile che si trova al di fuori di noi, o dal nostro più intimo uomo astrale, l'uomo interiore, che troppo spesso è il genio cattivo dell'entità incarnata che si chiama uomo. Entrambi questi influssi agiscono sull'uomo esteriore, ma uno di essi prevale sull'altro; e fin dall'inizio di questa lotta invisibile la severa ed implacabile legge di compensazione interviene e comincia il suo corso, seguendo fedelmente tutte le vicende della battaglia. Quando l'ultimo filo è tessuto, e l'uomo sembra essere apparentemente avviluppato nella rete delle sue stesse azioni, si trova completamente sotto il dominio di questo destino creato da lui stesso. Questo allora o lo inchioda come una conchiglia inerte alla roccia immobile, o lo porta via come una piuma nel turbine sollevato dalle sue proprie azioni; e questo è il Karma.
. . . Più è stretta è l'unione tra il riflesso mortale, cioè l'Uomo, e il suo prototipo celeste, meno sono dannose le condizioni esteriori e le susseguenti reincarnazioni — alle quali non possono sfuggire né i Buddha né i Cristi. Questa non è superstizione, e meno ancora fatalismo. Il fatalismo implica l'azione cieca di qualche potere ancora più cieco, ma l'uomo, durante la sua permanenza sulla terra, ha libertà di azione. Non può sfuggire al suo Destino dominante, ma ha la scelta fra due sentieri che lo conducono in quella direzione, . . . perché ci sono condizioni esterne ed interne che influenzano la determinazione della nostra volontà sulle nostre azioni, ed è in nostro potere seguire le une o le altre. — I, 639

È abbastanza evidente che la volontà dell'uomo è libera esattamente in proporzione a quanto sia unito al prototipo divino in lui, che è il suo più intimo Sé monadico. Ma poiché ogni individuo è formato in un essere unitario dalla congruità di parecchie entità monadiche che compongono la sua costituzione, e che lo rendono, con la loro continua interazione, un essere completo, è evidente che l'essere umano ordinario o l'uomo fisico-astrale sia spesso, come veicolo, la vittima inconsapevole o quasi cosciente delle cause karmiche messe in moto in altre vite, e delle quali l'attuale uomo fisico non è in alcun modo cosciente, che non ha in alcun modo voluto, e delle quali è quindi la "vittima."

Così c'è una cosiddetta "sofferenza immeritata" nel destino dell'uomo, perché i pensieri e le azioni degli altri sono incessantemente all'opera aiutando a costruire la stessa rete del destino in cui l'uomo stesso è avviluppato. Noi diamo e prendiamo reciprocamente l'uno dall'altro, e così le nostre reti individuali del destino sono strettamente intrecciate. Tuttavia, se fossimo capaci di far risalire alle loro fondamentali sorgenti causali le ragioni per cui questa o quella disgrazia o sofferenza incombe su di noi, vedremmo chiaramente che anche tutte queste cosiddette immeritate sofferenze hanno origine nei nostri pensieri, emozioni, o azioni — da tempo dimenticati e accantonati dalla nostra coscienza, ma che si attivano effettivamente quando li abbiamo ricordati. Come scrive ancora H. P. Blavatsky:

Le vie del Karma non sarebbero imperscrutabili se gli uomini lavorassero uniti e in armonia, e non nella disunione e nella lotta. Perché la nostra ignoranza di queste vie —  che una parte dell'umanità chiama le vie della Provvidenza, oscure ed intricate, mentre un'altra ci vede in esse l'azione di un cieco Fatalismo, e una terza un semplice caso, senza Dèi né Diavoli a guidarlo — sparirebbe certamente, se le attribuissimo tutte quante alla causa giusta. Sapendo con precisione, o almeno essendo convinti senza alcun dubbio che i nostri vicini non tramano il nostro male, più di quanto noi non pensiamo di nuocere a loro, due terzi del male che è nel mondo svanirebbero nell'aria. Se nessuno facesse del male a suo fratello, Karma-Nemesi non avrebbe alcun motivo di agire, né alcuna arma da adoperare. È la continua presenza in mezzo a noi di elementi di lotta e di opposizione, e la divisione delle razze, delle nazioni, delle tribù, delle società e degli individui in epigoni di Caino e Abele, in lupi ed agnelli, la causa principale che provoca le "vie della Provvidenza". Noi giornalmente scaviamo nel nostro destino tanti meandri con le nostre mani, mentre pensiamo di seguire la grande strada maestra della rispettabilità e del dovere, e poi ci lamentiamo perché quei meandri sono così intricati ed oscuri. Ci smarriamo davanti al mistero della nostra stessa struttura e agli enigmi della vita che non vogliamo risolvere, e poi accusiamo la grande Sfinge di divorarci. Ma nelle nostre vite non c'è veramente un solo caso, un solo giorno infausto o una sola disgrazia che non possa essere addebitata alle nostre azioni in questa o in un'altra vita. . . .
Karma-Nemesi non è altro che l'effetto dinamico spirituale delle cause prodotte dalle nostre stesse azioni, e delle forze messe in attività da queste azioni medesime.
Un Occultista o un filosofo non parlerà della bontà o della crudeltà della Provvidenza; ma, identificandola con Karma-Nemesi, insegnerà ugualmente che essa protegge i buoni e veglia su di essi sia in questa vita che in quelle future e che punisce il cattivo — a volte fino alla sua settima rinascita — fintanto che non sia stato estinto l'effetto che egli ha prodotto, perturbando anche il più piccolo atomo del Mondo Infinito dell'Armonia. Poiché il solo decreto del Karma — un decreto eterno ed immutabile — è l'Armonia assoluta sia nel mondo della Materia che in quello dello Spirito. Perciò non è il Karma che ricompensa o che punisce, ma siamo noi che ci ricompensiamo o ci puniamo da noi stessi, agendo con la Natura, attraverso la Natura e insieme alla Natura, obbedendo alle leggi da cui dipende quell'armonia, o infrangendole. — I, 643-4

La giustizia più rigorosa ed imparziale governa i mondi, perché è il risultato dell'armonia cosmica che permea dappertutto, ed è infranta solo dall'esercizio della libera volontà degli esseri che follemente ed inutilmente tentano di far vacillare questo equilibrio cosmico. Il vero cuore della natura universale è la compassione o quello che potremmo chiamare amore infinito, che significa armonia infinita.

Non aver compreso il principio fondamentale di quest'armonia cosmica è stata la roccia che i due principali corpi del pensiero umano filosofico hanno spaccato riguardo al carattere e alla natura della libera volontà nell'uomo. Una scuola, i fatalisti, l'hanno negata, perché i suoi membri appartengono alla classe che invoca un autocrate potente che assegna all'uomo la sua sorte di vita, dalla quale non ha scampo; o l'altra classe, i materialisti assoluti, che non accettano la libera volontà nell'uomo, ma lo vedono solo come un burattino o un relitto completamente soggetto al rigido determinismo della loro scuola — il risultato del cieco cambiamento o caso.

L'altra scuola è quella degli autonomisti o liberi volitivi, per coniare un termine nuovo, che sembrano pensare che l'uomo sia un agente della volontà del tutto indipendente, diverso dall'universo in cui vive per quanto riguarda la volontà, e quindi possiede un'illimitata azione volontaria.

La Filosofia Esoterica rifiuta entrambi questi concetti poiché nessuno dei due è fondato sulla realtà, e sceglie la via di mezzo: che la volontà dell'uomo è in parte libera e in parte condizionata dalle conseguenze karmiche; ma che l'uomo può raggiungere una misura sempre maggiore di libertà nella sua volontà, in proporzione a come sviluppa una maggiore misura della forza divina che è alla radice spirituale del suo essere, e mediante la quale egli è vincolato alla coscienza cosmica, la volontà cosmica.

In verità, questo è abbastanza chiaro se consideriamo le vaste distanze che separano i diversi regni della natura. Così, questo enorme numero di raggi monadici raggruppati nella semplice unità delle rocce, e che sono quindi confinati e limitati nella mente e nell'azione, tuttavia aspirano a cose più elevate e cercano di risalire dal regno minerale fino all'intelligenza e alla volontà superiori del regno vegetale. A sua volta, il regno vegetale lentamente s'inerpica da questi angusti campi della mente e della volontà verso la libertà ancora più grande offerta dal regno animale; i componenti del regno animale, possedendo gli albori della mente e l'inizio della libera scelta, a loro volta tentano di abbandonare i loro campi relativamente limitati per elevarsi nel regno umano, dove l'azione volontaria dell'autocoscienza è accompagnata dall'esercizio di un'intelligenza relativamente libera.

Solo uno studio superficiale del karma potrebbe indurre qualcuno a credere che il suo insegnamento possa sempre portare ad ignorare egoisticamente e crudelmente le continue rivendicazioni dei nostri compagni umani. Interconnessi come siamo tutti insieme nelle reti intricate e complicate del destino, l'uomo con l'uomo e con tutte le altre cose nell'universo, diventa un ovvio postulato filosofico e religioso che l'aiuto reciproco e l'addossarsi i pesi degli altri, e l'astenersi dal compiere del male in qualsiasi modo o maniera, è la prima legge del nostro destino. È proprio su questa rete dei destini che s'intrecciano che poggia la nostra concezione etica, che non è una semplice convenzione umana, ma è fondata sulle leggi primordiali dell'universo stesso.

Volenti o nolenti, non possiamo evitare di influenzare gli altri, e se noi, con l'esercizio della nostra scelta personale o di libera volontà, influenzeremo gli altri a loro danno, la maestosa ed infallibile legge della giustizia e della compassione cosmica agirà istantaneamente, e percepiremmo la conseguenza punitiva su noi stessi in questa o in qualche altra vita successiva. Questo è il karma.

Così, nella vita di ogni essere umano individuale, "non c'è un avvenimento nelle nostre vite, né un giorno storto o sfortunato," che non provenga dai nostri pensieri, sentimenti ed azioni in questa o in una precedente vita. Non vi è caso o accidentalità nell'universo, e se ci accadesse qualcosa con la quale noi stessi non siamo connessi in qualche maniera vicina o lontana, allora sarebbe una grossa ingiustizia, una crudeltà del caso, e un terreno per il dolore. Noi creiamo le nostre vite, grandi o mediocri, con quello che pensiamo, sentiamo, vogliamo e, quindi, facciamo. È soltanto l'uomo fisico con la sua anima umana che soffre "l'immeritata" retribuzione karmica per ciò che l'ego reincarnante fece in altre vite; ma per questa sofferenza "immeritata" la natura fornisce una grande ricompensa negli speciali interludi devacianici tra una vita e l'altra.

Quando un uomo rifiuta di porgere una mano per aiutare, egli è quasi un demone in forma umana, e la retribuzione della natura lo inseguirà attraverso le ere e prima o poi lo raggiungerà, e allora egli dirà: "Perché mi è accaduto questo? Non ho fatto niente per meritare questa sofferenza."

Infine, riguardo alla natura del carattere del karma, H. P. Blavatsky scrive:

noi lo consideriamo come la Legge Ultima dell'Universo, la sorgente, l'origine e la fonte dalla quale derivano tutte le altre leggi che esistono nella Natura intera. Il Karma è la legge infallibile che regola l'effetto alla causa sui piani fisici, mentali e spirituali dell'essere. Come non vi è causa, dalla più grande alla più futile, da un perturbamento cosmico fino al movimento della vostra mano, che non produca il dovuto effetto, e dato che l'effetto è simile alla causa che lo produce, Karma è quella legge invisibile e sconosciuta che adatta con sapienza, intelligenza ed equità, ogni effetto alla sua causa, e che quest'ultima arriva fino a colui che la produsse. Karma è in sé stesso inconoscibile, ma la sua azione è percettibile.
. . . Poiché se anche non sappiamo che cosa sia il Karma in sé e nella sua essenza, sappiamo come opera, per cui possiamo definire e descrivere la sua azione con esattezza. Noi ne ignoriamo solo la Causa ultima al pari della filosofia moderna che universalmente ammette che la Causa ultima di ogni cosa è "inconoscibile." — La Chiave della Teosofia, cap. XI

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La stessa vita è la grande rete intessuta da esseri viventi, "creatori" di quei particolari fili che ciascuno, nella sua sfera, porta come suo contributo a tutto l'insieme. Sono esattamente queste moltitudini di esseri viventi di tutte le varie tipologie a ricoprire un ruolo così grande nella rete del destino che ogni uomo tesse intorno a sé. Queste moltitudini di esseri sono non solo quelli che esistono sulla nostra piccola terra, ma comprendono anche la serie quasi innumerevole di gerarchie visibili ed invisibili che tessono la vasta rete cosmica. In verità, l'universo è pieno di esseri spirituali o dèi, gli angeli e gli arcangeli degli ebrei e dei cristiani; i ṛishi e i deva degli hindu; i buddha e i bodhisattva celesti dei buddhisti; o i theoi e dii rispettivamente degli antichi greci e romani. Non importa affatto quale termine venga dato, finché ci atteniamo al concetto fondamentale che queste forze causali intelligenti e quasi intelligenti formano le radici e la struttura gerarchica sia dell'universo noumenale che di quello fenomenico, e così forniscono a quell'universo la totalità delle forze e delle energie causali che lo riempiono e che si mobilitano dentro di esso.

Noi umani siamo la progenie di queste forze interne energizzanti, di questi dèi noumenali, che esistono in tutti i vari gradi di sviluppo evolutivo e nei gradi o stati gerarchici. Quindi, nelle nostre parti superiori siamo questi dèi — ma "dèi caduti," caduti nei mondi materiali, e attraverso i quali stiamo lentamente elaborando la via di ritorno verso la nostra divina sorgente cosmica.

Tutte queste molteplici gerarchie fanno sempre il loro lavoro sotto l'influenza di quella misteriosa consuetudine della natura, o potere, che chiamiamo karma. Questo termine sanscrito che significa "azione" o "lavoro," incarna l'insegnamento della "dottrina delle conseguenze," vale a dire la "legge" universale "di causa ed effetto."

Ancora, la Tradizione Esoterica ripudia qualsiasi idea che nell'universo illimitato vi sia il "caso," l' "accidentalità" — qualsiasi cosa questi termini possano veramente significare. Certamente nessuno può definire soddisfacentemente il caso o l'accidentalità come un attributo o qualità fondamentale esistente nella stessa natura. Se è attentamente esaminata, l'idea è vista come una semplice fantasia e, com'è stato detto: "Noi usiamo la parola 'caso' per descrivere la nostra ignoranza delle cose che non comprendiamo ancora causalmente." Le cose accadono, e le loro origini sono sconosciute o non comprese. Nondimeno, quando le forze e le energie che scaturiscono in questo universo fisico appaiono, vediamo in esse consistenza e coerenza dappertutto; vediamo che appaiono in sequenze logiche e connesse, in apparenza sempre le stesse se le circostanze e le condizioni sono le stesse, e quindi diciamo che è "una legge della natura."

Ma dov'è il legislatore? Una legge presuppone un legislatore. In questo termine notiamo l'influenza della vecchia teologia occidentale. La Teosofia usa la frase "le operazioni della natura." Quando parliamo di "leggi della natura" intendiamo forse certe operazioni delle forze naturali che proseguono sempre gli stessi corsi, e che queste forze sono state messe in moto da qualche grande individuo supremo chiamato Dio?" Assolutamente no, perchè se fosse così, allora questo grande individuo supremo sarebbe de facto responsabile di ogni cosa che avviene nell'universo creato da un tale essere, e che lavora secondo le leggi imposte e messe in moto da questo supremo legislatore. Ciò ridurrebbe gli uomini a degli automi naturali; e attribuire loro il possesso di una libera volontà che non avrebbero né per origine né per natura, è una mera petitio principii — una petizione di principio.

L'uomo è uno degli innumerevoli eserciti di esseri coscientemente incarnati che riempiono l'universo. Da nessuna parte troviamo qualcosa di diverso da queste gerarchie di esseri, queste coscienze attive durante il manvantara cosmico, e ciascun individuo di questi eserciti tesse la propria rete del destino, e le sue energie scaturiscono dal proprio essere interiore e sono dirette da intelligenze che fluiscono dal suo centro spirituale e mentale. È la combinazione e l'incessante interazione ed interconnessione di queste intelligenze e di queste volontà e le loro conseguenti attività continuamente operative nell'universo che rappresentano le disuguaglianze che vediamo intorno a noi: sia per le imperfezioni che vediamo e alle quali siamo più o meno sensibili, sia per la bellezza e lo splendore, l'ordine e la legge di cui siamo ugualmente coscienti.

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È stato detto che l'origine del male nel mondo e il suo perdurare formano un mistero irrisolvibile. Ma che cos'è il male? Che cos'è il bene? Sono cose di per sé, o sono soltanto condizioni o stati attraverso cui passano le entità? Il male non è un'entità, non è un potere o un'energia che scaturisce dal cuore di qualche essere. Né il bene né il male esistono come condizioni separate l'una dall'altra. Non potrebbero esistere cose "malvagie" nell'universo se non ci fossero cose "buone" che appaiono in contrasto con le prime. Il bene non è spirito. Il male non è né il polo dello spirito, o quella che è chiamata materia, perché equivarrebbe a dire che la materia è essenzialmente il male, il ché non è vero.

Dovremmo comprendere che il male, per quanto nefando possa essere umanamente, è tuttavia il risultato relativo al cattivo uso della libera volontà dell'uomo — una cosa divina. Inoltre, la Filosofia Esoterica non insegna che gli esseri umani diventano buoni solo perché hanno deliberatamente scelto il male come una linea d'azione tramite la quale imparano. Coinvolgendoci nel male per nostra scelta è il modo sicuro per arrivare alla degenerazione spirituale, intellettuale ed etica. Queste parole sono un ammonimento molto enfatico per coloro che travisano e distorcono il semplice ma luminoso insegnamento filosofico che riempie la vita umana con una speranza e una radiosa promessa, perché mostra come l'uomo possa sollevarsi dal fango delle cose peggiori aspirando a cose migliori.

Nell'universo non esiste alcun supposto "diavolo" che suggerisce il male ed è l'arbitro delle sue vie tortuose. Ugualmente, nell'universo non c'è alcun dio antitetico che si suppone sia il creatore e il suggeritore del bene, e l'arbitro del suo operato. Ancora, la materia, di per sé, non è il male, come hanno sostenuto in passato alcune scuole; lo spirito, di per sé, non è il bene. Né possiede la sua condizione o stato in assoluto e per l'eternità. Un'entità spirituale evolve altrettanto come qualsiasi entità materiale.

È tanto facile dire che "Dio è amore," ma non percepiamo subito che l'amore infinito deve includere anche quello che chiamiamo male? Può l'amore infinito escludere dalla sua compassionevole infinitudine anche la creatura che maggiormente sbaglia, una creatura che è originariamente scaturita dal suo cuore? L'amore infinito è compassione infinita, e include anche colui che sbaglia ed è irresponsabile. L'universo è riempito da tutti i tipi di creature, in tutte le fasi dell'evoluzione, e il cuore della divinità le abbraccia tutte, poiché è loro genitore e la loro fonte, ed è la meta finale verso cui tutte le cose evolvono attraverso innumerevoli ere nel loro pellegrinaggio di ritorno allo Stesso.

Cos'è la divinità? È "un grande uomo lassù," che crea creature buone e creature malvagie? Se affermiamo che Dio è responsabile di qualsiasi parte malvagia e sbagliata dell'infinità, per quanto piccola possa essere questa parte, se diciamo che Dio ha creato una tale entità, significa rendere quel Dio individualmente ed eternamente responsabile di qualsiasi cosa la sfortunata ed irresponsabile creatura possa fare per sempre in futuro? Allora, ex hypotesi, l'eterna ed infinita saggezza ha previsto l'infinità del futuro ed "ha creato" la creatura per qualsivoglia sentiero sia destinata a percorrere, ed in tal caso non è lo stesso supposto "Dio" il vero malfattore?

Il Padre della Chiesa Lattanzio, scrivendo "La Collera di Dio" cita Epicuro, che pone il problema del male in questo modo significativo:

Se Dio vuole rimuovere il male da questo mondo e non può, o può e non vuole, o non può né vuole oppure, per concludere, egli può e vuole. Se egli vuole e non può, allora è impotenza, che è il contrario della natura di Dio; se può e non vuole, è malvagità, e ciò non è meno contrario alla sua natura; se non vuole né può, è sia malvagità che impotenza; se egli può e vuole (le sole condizioni appropriate a Dio) da dove viene il male che esiste nel mondo? — capitolo xiii

Citiamo anche la dottrina della disapprovazione della Confessione di Fede di Westminster (cap. III, 3-4):

Per decreto di Dio, per la manifestazione della sua gloria, alcuni uomini ed angeli sono predestinati alla vita eterna, ed altri predestinati alla morte eterna. Questi angeli ed uomini, così predestinati, sono progettati particolarmente ed immutabilmente; e il loro numero è così certo e definitivo, che non può né aumentare né diminuire.

La Teosofia non accetta un simile dio, perché un tale dio è veramente una creazione propria dell'uomo, creato dalla sua mente debole ed errante, quando proietta le sue immaginazioni sul retroterra dell'infinito. Invece, il cuore dell'universo è la sorgente di tutta la vita, intelligenza, ordine, e di qualsiasi cosa alla quale l'uomo aspira nell'intimo del cuore e della mente superiore.

Ogni entità persegue dappertutto il suo sentiero del destino, tessendo la propria rete, ma non solo intorno a se stesso, perché è egli stesso quella rete del destino, in quanto è una rete del carattere, quindi composta da una commistione di forze e sostanze che appartengono alla sua costituzione settenaria (o decupla).

Qualsiasi cosa tocchi la nostra vita ha origine in noi stessi: siamo i nostri stessi genitori e i nostri stessi figli; ciò che ora seminiamo raccoglieremo, e raccogliamo quello che abbiamo seminato in questa o in un'altra vita, e nient'altro. Nessun dio esterno crea sofferenza, infelicità e distruzione per colpirci, non più di quanto faccia un dio esterno intorno a noi dandoci una gioia immeritata e conclusioni fortunate delle azioni che abbiamo intrapreso; in entrambi i casi, non saremmo responsabili di nessuno di questi due stati. Costruiamo noi stessi e, nell'agire così, cooperiamo con altre gerarchie a costruire quella parte speciale dell'universo in cui esistiamo.

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Ogni forza nell'universo freme attraverso il nostro essere, ed ogni sostanza nell'universo ha fatto la sua parte appropriata nel costruirci e quindi ci ha dato qualcosa di se stessa. Ed è per questo che tutte le antiche scuole mistiche hanno definito l'uomo come un microcosmo o un "piccolo mondo" che contiene in sé porzioni di tutte le cose che il genitore universale contiene ed è. Quindi, poiché facciamo tutti parte di una sola coscienza cosmica che tutto include, e del suo veicolo, l'universo circostante, noi siamo qui tutti insieme. Ecco perché anche il dispendio di una certa quantità della propria energia nativa da parte di qualsiasi entità agirà immediatamente sulla natura circostante che, a sua volta, reagisce automaticamente ad essa. Questa reazione, comunque, può essere immediata oppure ritardata addirittura per eoni; ma in tutti gli avvenimenti prima o poi si verificherà una reazione, perché è inevitabilmente determinata dai fattori coinvolti nell'equazione stessa.

L'insegnamento che siamo tutti parte di un essere più grande non deve essere frainteso nel significato di fatalismo. Il fatalismo è l'idea che l'uomo e tutte le altre entità, non importa dove, sono dei granelli guidati ciecamente da un meccanismo privo di anima, controllato da qualche forza predominante, cieca, priva di anima, che implica un vagare senza meta, che non proviene da nessuna parte, e senza qualche obiettivo fissato. Questo è il fatalismo della vecchia scuola materialistica — che ora per fortuna è un credo effettivamente abbandonato. L'altro punto di vista fatalistico è che gli uomini e tutte le altre cose nell'universo sono i burattini di un'imperscrutabile forza cosmica, che probabilmente possiede intelligenza e volontà, ed esercita questi attributi producendo la fantasia cosmica della Creazione, e in cui niente, se non se stessa, ha qualche vero potere di scelta personale. C'è ben poco da scegliere tra queste due scuole, tranne che si attribuiscono ciascuna un nome diverso da quello dell'altra.

Il teosofo non può accettare né il "determinismo" del vecchio materialismo né "l'indeterminazione" delle moderne scuole scientifiche, e nemmeno le molteplici varietà di fatalismo che hanno prevalso in periodi diversi tra filosofi e religiosi. Nessuna di queste scuole viene incontro ai bisogni dell'intelletto umano, né alle intuizioni del suo spirito, e nemmeno alle aspirazioni della propria anima; né qualcuna di esse risponde agli istinti del suo senso morale. Nemmeno la "probabilità" o "kismet" è soddisfacente; sebbene in entrambi questi punti di vista ci siano certi adombramenti della realtà cosmica — quell'operato impersonale della natura che non sbaglia mai — il Karma.

Ogni azione compiuta da qualsiasi essere dovunque, ed ogni pensiero o emozione percepita, è l'effetto vincolato a qualche causa precedente; in ogni caso nasce nella catena di causalità nell'essere di qualche entità vivente. Inoltre, universi, sistemi solari, nebulose, comete, pianeti, spiriti cosmici, uomini, elementali, atomi di vita, e materia, non sono semplicemente i risultati di un precedente e individuale aggregato di ciascuno. Ciascuno, di per sé, dà costantemente origine a nuove cause karmiche, che partono da sé o in interconnessione con tutti gli altri.

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Che cosa origina queste cause operative che costruiscono le reti del destino? Non vi fu mai un "principio" di quest'origine. Ogni causa, nella catena di causalità che si estende da eternità a eternità, non è che l'effetto di una causa che l'ha preceduta, e così via ad infinitum; proprio come, guardando avanti in quello che l'uomo chiama futuro, ogni causa produce il suo effetto, che diventa immediatamente una "nuova" causa seguita a sua volta da un effetto, ad infinitum.

Ciò non significa che il karma, e la sua azione nel tempo, sia semplicemente meccanico e senza anima. Tutto il karma, di qualsiasi tipo, classe e grado, è guidato e controllato, e quindi fondamentalmente diretto dalla coscienza cosmica e poi dalle moltitudini di gerarchie interconnesse che compongono lo spazio, ciascuna cosciente nel proprio grado e modalità. Il Karma, quindi, è essenzialmente non solo una "funzione" della coscienza, ma è la stessa coscienza in azione. La mente umana con il suo sviluppo imperfetto e, di conseguenza, con un campo di visione necessariamente limitato, non può seguire i movimenti della coscienza cosmica a causa dell'immensa vastità del suo moto vitale, per cui la mente umana può al massimo concepire la coscienza cosmica esistente nello spazio cosmico come un mare senza rive, apparentemente immutabile ed ancora incomprensibile.

È come l'abitante di una particella infinitesimale del corpo umano, che si immagina l'intervallo di tempo tra due battiti cardiaci umani che a lui apparirebbe quasi un'eternità; il sette volte decuplo numero dei battiti cardiaci in un singolo minuto sarebbe per lui di una lentezza inconcepibile, coprendo un periodo di tempo che gli sembrerebbe senza fine.

Comunque, la verità è che la coscienza cosmica durante il manvantara cosmico è un moto incessante e, in verità, anche durante tutto il pralaya cosmico; ma proprio perché lo spazio cosmico è diviso in gerarchie particolari che formano i mondi e i piani, e che a loro volta sono divisibili in entità ancora più piccole, noi possiamo percepire che appena queste ampiezze di movimento o grandezze nello spazio diventano più piccole, è finalmente raggiunto lo stadio in cui l'intelligenza umana può iniziare a vedere questi gruppi cosmicamente più piccoli e i loro movimenti. Le varie galassie che formano le famiglie nello spazio, poi una singola galassia, poi gli ammassi stellari, poi un sistema solare, poi un pianeta, così possiamo discendere la scala nel nostro pensiero e percepire il piccolo che è contenuto all'interno dei campi di grandezza continuamente in sviluppo, e il piccolo che contiene i campi continuamente decrescenti di altre magnitudini che raggiungono l'infinitesimale.

In tutto ciò il Karma è incessantemente in attività, e andrebbe notato che ciascun punto più minuto nello spazio cosmico o nella coscienza cosmica può essere considerato come un centro monadico che partecipa al lavoro cosmico del karma. Ogni entità, grande o piccola, collabora sulla propria scala nei campi dell'azione karmica, ed è quindi un agente di questo misterioso, e per noi incomprensibile, operato dell'essenza propria della natura, che chiamiamo la "legge" del karma — guidata attraverso l'infinito dalla Mente ineffabile.

Per chiarire, torniamo ancora all'uomo, un essere composito. Le sue parti supreme sono pura divinità, pura coscienza, e quindi pura mente, volontà e forza. Avendo queste qualità aggregate in un'unità ed essendo perciò un individuo composto sia di forza che di sostanza, che non solo interagisce ma agisce esteriormente e riceve gli effetti dal mondo esterno, egli è dunque un "attore" — uno che dà origine alle azioni, perché il suo nucleo è la mente-volontà-energia divina centrale che, cosmicamente parlando, è per sua natura perpetuamente attiva e al lavoro. Questa mente-volontà-forza divina cerca sempre di manifestare i suoi poteri trascendenti attraverso i veli della materia che nell'uomo, proprio come in tutti gli altri esseri, la copre.

Inoltre, questo sé cosmico fondamentale e supremo nel cuore delle cose a volte è definito come "al di sopra del karma," sebbene, in verità, sia la sorgente di tutto il karma possibile, e quindi ha naturalmente il proprio karma che possiamo qualificare come divino. Di conseguenza, non è mai influenzato da un tale karma inferiore perché quest'entità divina può essere chiamata essa stessa la fondamentale coscienza-mente-sostanza operativa dell'universo. È l'armonia causale di quell'universo e di tutti gli esseri e cose racchiusi in esso, e quindi è la vera radice e la sorgente di tutte le operazioni della natura: la radice del karma stesso. Dire appropriatamente cosa sia il karma sarebbe estremamente difficile, perché il karma è ed implica il più profondo mistero cosmico — la natura e l'attività operativa dell'essere essenziale della stessa coscienza-mente-sostanza-forza cosmica.

Agendo ininterrottamente attraverso tutte le differenziazioni manifestate, esso include in sé tutte le sue espressioni imperfette. Ovviamente, solo ciò che era implicato in precedenza evolve successivamente — l'evoluzione o dispiegamento segue l'involuzione o il ritirarsi — e ciò che per sua natura è la perfezione assoluta o l'unità divina dell'universo è la radice causale di ognuna delle cosiddette operazioni della natura — le "leggi della natura." Così vediamo perché questa parte divina della costituzione composita dell'uomo non sia causalmente influenzata dalle attività naturali inferiori che non sono mai i suoi efflussi, tranne nella misura in cui sono destinate nei futuri eoni a ritornare in essa.

Quando la coscienza suprema di un uomo può esprimere così i suoi poteri trascendenti, allora abbiamo la libera volontà. In proporzione a come un uomo evolve verso questi poteri interiori e trascendenti, così egli possiede in un grado sempre più esteso la facoltà della libera scelta, libera azione e libera volontà. La libera volontà è un aspetto o energia di quel filo ininterrotto della coscienza-mente-sostanza-forza che ci unisce all'Infinito illimitato. Nessun uomo ha una libera volontà che non derivi dall'universo, poiché questo significherebbe che egli è fuori dall'universo. L'uomo ha vari gradi di libera volontà, che dipendono dal suo sviluppo individuale, perché il suo nucleo più intimo è letteralmente infinito, o ciò che i saggi Vedici chiamavano — quello. La sua libera volontà, allora, è l'elemento o il principio che lo vincola al fondamentale cosmico, perché il suo più intimo è identico al cuore di Parabrahman.

La libera volontà, quindi, si sviluppa sia in potere che in libertà, in proporzione a come l'uomo avanza verso l'alto sull'arco luminoso dal lato della coscienza universale; e ugualmente decresce quando l'uomo recede dal lato della coscienza verso una sempre maggiore discesa o "caduta" nella materia assoluta, che in ultima analisi può essere descritta come monadi cristallizzate o passive, per così dire, in perfetto automatismo con le sue operazioni all'interno della natura.

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Lo studioso delle antiche letterature, in particolare dell'Oriente e dei loro commentari più o meno recenti, si è indubbiamente imbattuto nella constatazione che, quando un uomo ha raggiunto lo stato di padronanza, allora egli è "al di sopra del karma," al di sopra della reazione karmica, ed ha quindi oltrepassato la sua influenza. Queste affermazioni vanno prese con grande riserva. È perfettamente plausibile che l'uomo possa veramente raggiungere uno stato così elevato nell'evoluzione spirituale da diventare in tal modo un collaboratore diretto e autocosciente, naturalmente nella propria sfera, delle leggi cosmiche; e così si può affermare che è "al di sopra del karma," per quanto il termine karma qui si applica alla sua evoluzione, carattere ed attività come uomo — per quanto elevato possa essere lo stadio che ha raggiunto.

Ma è anche vero che il karma universale dell'essere cosmico è il sottofondo finale dell'attività del karma dell'individuo, perché qualsiasi individuo è inseparabile dall'essere cosmico — dall'universo. Il dio superiore nel più alto dei cieli è altrettanto soggetto al karma universale quanto lo è la più umile formica che s'arrampica su una collina di sabbia per poi ricadere giù.

Un uomo o qualsiasi entità, per quanto elevato possa essere lo stato ottenuto di sviluppo evolutivo, oltrepassa l'influenza dell'azione karmica della gerarchia alla quale appartiene, quando si è completamente unito alla parte suprema di questa gerarchia. Per il tempo che dura, l'uomo glorificato ha raggiunto la quasi divinità, perché si è alleato con le parti divino-spirituali della propria gerarchia; e quando tutti i movimenti della sua natura sono quindi completamente in armonia e in accordo con quella gerarchia, egli è oltre lo stato in cui, come soggetto della gerarchia, è sottoposto all'influenza o "dominio" del campo globale dell'azione karmica in quella gerarchia. Ecco perché quel karma gerarchico non ha più influenza su di lui, perché in quella gerarchia egli è diventato maestro della sua vita, perché è un agente dei suoi più intimi impulsi e mandati. La sua mente e la sua coscienza sono scivolate nel Mare Risplendente.

Nondimeno, poiché le gerarchie nel Tutto illimitato sono innumerevoli, la particolare gerarchia nella quale egli ora si ritrova un maestro di vita non è che uno degli eserciti di altre gerarchie, alcune delle quali di gran lunga inferiori, ed altre superiori. Al confronto con il Tutto illimitato, la propria gerarchia, per quanto grande, si riduce alle dimensioni di un semplice punto matematico, un atomo gerarchico aggregato nei campi della vita universale. Man mano che l'evoluzione di un'entità progredisce, arriva il momento in cui egli lascia la sua gerarchia per sfere maggiori nella vita cosmica, dove si ritrova sul gradino più basso di una nuova magnitudine cosmica sulla scala della vita, e a quel punto cade immediatamente sotto il "governo" del karma ancora più grande di questa sublime sfera gerarchica.

Si può giustamente dire che la volontà dell'uomo, in qualsiasi momento, è parzialmente impedita e parzialmente libera — la "libertà" che rapidamente si sviluppa quando l'individuo evolvente diventa sempre di più uno con la divinità nel suo cuore, che è il suo sé superiore ed è anche la sorgente della mente che guida la sua volontà all'azione.

Così è nello spirito di un essere, nel suo sole interiore spirituale, che dimora la sorgente della libera volontà, che si esprime sempre esternamente attraverso i veli eterei della sua costituzione settenaria. Più è evoluta l'entità, più grande è la libertà della sua volontà, e di conseguenza della scelta delle sue azioni. La libera volontà è uno dei poteri costituzionali e quindi inerenti che ha l'uomo. È una qualità degli dèi, un attributo davvero divino nella sua origine. Sebbene tutte le forze del cosmo interferiscano continuamente sull'uomo su ogni fronte, in maniera completa durante la vita terrena come nei periodi prenatali e post-mortem, tuttavia egli ha la sua porzione di libera volontà sviluppata, con cui può foggiare il proprio destino a suo piacimento.

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Parte 2

È un'idea meravigliosa se riflettiamo che, pur essendo parti individuali inseparabili e fattori componenti nel possente insieme, tuttavia nessuno di tali individui è un automa o il burattino senza volontà di un fato imperscrutabile; ma che ogni individuo, a causa della sua partecipazione nell'essere dell'essenza cosmica, ha per sempre la sua porzione di quell'essenza cosmica, ed è quindi un essere dalla libera volontà, nella misura in cui, per gli sforzi autoindotti, ha reso libera quella volontà. Così, in verità, intesse la propria rete del destino che è egli stesso.

Così vediamo che il karma ha l'eternità e l'essenza dell'universo stesso, ed ogni individuo, girando attraverso le molte sfere dell'universo, non solo crea egli stesso il proprio karma individuale tessendo la sua individuale rete del destino, ma aiuta anche, come suo agente, a tessere la rete karmica nella quale lo stesso universo è innestato.

Studiando questi soggetti siamo tutti troppo inclini a cadere sotto l'influenza psicologica della mahāmāyā cosmica, o il mondo illusorio, che noi stessi aiutiamo a formare, ed è per questo pregiudizio psicologico che siamo soggetti ad avere un punto di vista limitato delle cose invece di librarci negli spazi liberi del nostro essere spirituale e riconoscere direttamente la verità — la realtà cosmica. Per essere più chiari, prendiamo come esempio la nostra dipendenza dal concetto di tempo, che dividiamo in passato, presente, e futuro; mentre, se potessimo riconoscere i veri fatti, vedremmo subito che queste divisioni del tempo sono soltanto presentimenti cosmici della mahāmāyā cosmica, e che non vi è né passato né presente né futuro, come realtà esistenti, ma unicamente un eterno presente.

Non è il karma stesso un aspetto di questo mondo illusorio — così vero per noi che ci viviamo perché partecipiamo alle sue caratteristiche, e tuttavia così irreale dal punto di vista della Realtà? O non diremo più appropriatamente che il karma è della stessa sostanza ed essenza della Realtà, e che è quindi la vera causa della stessa illusione cosmica? Sembrerebbe ovvio che il karma, se è la causa cosmica di questo mondo illusorio e quindi di tutte le māyā minori che ci avvolgono come individui evolventi, è precedente a questo mondo illusorio o mahāmāyā cosmica, che ha prodotto e tuttavia ne è coinvolto.

È altresì sbagliato supporre che il passato possa essere separato dal presente o dal futuro; è la nostra illusione del tempo che genera questa confusione. Per noi, che in un certo senso siamo creature di māyā, è davvero reale, e quindi è del tutto idoneo prendere conoscenza del passato come pure del futuro, in quanto poggiano sul presente. Ma è sbagliato considerare uno qualsiasi di questi tre come indipendente o separato dall'altro, poiché i tre in realtà sono fondamentalmente uno.

Il karma non è né il fato né un'azione fortuita ma, essendo radicato nell'Inconoscibile, è esso stesso la vera essenza della mente cosmica, e quindi ne è una sua funzione. Potremmo chiamarlo destino cosmico; potremmo chiamarlo Necessità, premesso che non diamo alla parola Necessità alcun attributo di cieca fatalità. Gli antichi greci comprendevano abbastanza chiaramente questo concetto di Necessità o destino inflessibile — sotto il nome di Adrasteia o Nemesi. Il significato essenziale era questo: se un uomo semina grano oppure orzo, di sicuro non raccoglierà avena o mais o qualche altro cereale; raccoglierà solo quello che ha seminato.

Esiodo, il grande poeta e filosofo greco, cantò che i cosiddetti Fati erano tre: Passato, Presente, e Futuro; e come gli altri greci, egli diede a questi tre aspetti del destino karmico i seguenti nomi che raffigurava come divinità: Lachesi, che presiedeva al passato, il ché significava tutto ciò che un qualsiasi individuo ha pensato o sentito o è stato e tutto quello che ha fatto. Il termine Lachesi viene da una radice greca che significa "ciò che è accaduto."

La seconda divinità rappresentava il destino o la necessità del presente ed era chiamata Clotho, che viene da una parola greca che significa "filare" — il destino che un essere umano in qualsiasi periodo presente fila per se stesso; in altre parole, egli tesse la rete del suo destino futuro.

La terza divinità era Atropo, un composto greco che significa "ciò che non si può evitare o allontanare" — il destino futuro, che deriva dall'attuale tessitura, la cui rete, ancora una volta, è tessuta secondo le linee del pensiero e dell'azione del passato.

Il passato è ciò che ha reso l'uomo quello che è ora; e a seconda di quel passato, attualmente egli oggi tesse la rete di se stesso, e questa rete che oggi fila sfocerà in quello che non può essere stornato o ritardato in futuro, e che diventa quindi Necessità, destino, quello che l'uomo raccoglierà come il frutto dei propri pensieri, sentimenti ed azioni — il raccolto futuro della sua anima e del suo corpo. Questa catena di causalità ed effetti è il sentiero che abbiamo percorso in passato; e il sentiero che percorreremo in futuro dipenderà del tutto da ciò che ora stiamo facendo per noi stessi. Cos'è il futuro di per sé? È qualcosa che ci anticipa? No, è ciò che chiamiamo il "passato," perché, strettamente parlando, non esiste che un eterno presente — un altro modo di definire il funzionamento dell'essenza della coscienza cosmica.

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Noi modifichiamo continuamente il karma di tutti quelli con cui siamo in contatto, perché nessun essere umano può, in assoluto, vivere solo per se stesso. Siamo responsabili l'uno dell'altro. Ogni volta che per strada un altro ci passa accanto, ciascuno influenza, sia pure in minima parte, la mente dell'altro. Uno dei due può potrebbe far cambiare all'altro la direzione che aveva preso prima, un vero cambiamento che potrebbe addirittura coinvolgere uno di loro in un incidente automobilistico; o, al contrario, il loro incontro lungo la strada potrebbe far si che uno dei due cambi la propria direzione e forse salvarsi da un incidente.

Ogni cosa ha un nesso nella catena della causalità, e nel metterla in atto ogni individuo ha il suo ruolo da giocare, e quindi influenza potentemente o debolmente ogni altro individuo o unità. Alcuni lo fanno quasi automaticamente, ed altri con una volontà più o meno diretta autocoscientemente; comunque possa essere fatto, è sempre con la coscienza e con la volontà sottostanti a tutto questo. È quest'azione ed interazione reciproca degli individui durante il grande ciclo manvantarico, che produce le complesse situazioni e condizioni in cui ciascuna entità evolvente si ritrova in ogni momento nel tempo e nello spazio.

Se le azioni, producendo degli effetti sugli altri, hanno origine o sono motivate da un pensiero e una volontà impersonali, per il bene degli altri o per il bene comune, eticamente parlando queste azioni e i loro conseguenti effetti producono un "buon karma." Le conseguenze reattive su chi ha dato origine a queste azioni sono spesso benefiche, e al peggio producono un tipo leggero di quello che potremmo descrivere come un "karma relativamente cattivo" — poiché la "cattiveria" o la "spiacevolezza" nasce dal fatto che nessun essere umano è del tutto saggio o del tutto buono, e quindi è ovvio che il suo giudizio che precede qualsiasi azione del genere può essere falsato perché limitato, e tentennante a causa della debolezza della volontà.

Tuttavia nessun essere umano dovrebbe mai esitare ad agire, agire vigorosamente per il beneficio altrui, dove e quando c'è bisogno di questo aiuto, e specialmente se c'è una richiesta d'aiuto. Agire così è un dovere sacrosanto, al meglio delle proprie capacità, giudizio, e comprensione. È solo un codardo morale ed intellettuale colui che si asterrà dal porgere aiuto quando vede che ce n'è bisogno o che si ritirerà nell'indifferenza del suo cuore di pietra. Questo rifiuto ad agire produce immediatamente una catena di conseguenze karmiche che prima o poi lo raggiungeranno e ricadranno su di lui in proporzione diretta alle situazioni causali che le hanno fatto nascere.

Esattamente sulle stesse linee il karma agisce o reagisce su coloro che interferiscono sugli altri per un profitto personale o su coloro che, per fini egoistici, tentano di imporre la propria volontà sugli altri. In entrambi i casi è la motivazione ciò che distingue la produzione del karma "buono" o del karma "cattivo."

Come è un dovere morale e naturale di un essere umano, in ogni serie di circostanze, aiutare impersonalmente ed altruisticamente gli altri per il loro bene, così è anche suo dovere astenersi dall'agire egoisticamente e per profitto personale. Il primo caso deriva da motivazioni che nella loro essenza sono divine; il secondo caso deriva da motivazioni che nella loro essenza potremmo definire diaboliche. Quando influenziamo gli altri a loro svantaggio sorgono quei casi frequenti di "sofferenza immeritata" — la sofferenza immeritata di coloro che in questo modo sono "vittime "karmiche" delle azioni egoistiche degli altri. Nondimeno, il karma e le sue modalità d'azione — sia in natura che nei complicati rapporti in cui gli individui sono invischiati — è sempre riconducibile a delle cause originarie. Il karma è causato e subito dall'attore originario, non altrimenti.

Decidere coscientemente di interferire con il karma di un altro equivarrebbe a praticare quella che popolarmente è chiamata "magia nera," ed è così, anche se la motivazione fosse originariamente buona. Ogni uomo dovrebbe veramente fare tutto quello che è in suo potere per evitare che un altro uomo faccia coscientemente del male, e cercare anche di renderlo migliore: non imponendogli la propria volontà ma con i suggerimenti e l'esempio. Dolore e sofferenza sono quindi angeli in incognito — i dolori della crescita delle acquisizioni future. Però, se la mente dell'altro non reagisce in base ai propri impulsi e alla propria conoscenza interiore, di cui riconosce il valore morale, in altre parole, se l'altro non reagisce per scelta, ma è obbligato a reagire a causa della volontà di un altro imposta su di lui — ed è ciò che fa l'ipnosi — questo è veramente diabolico.

Se un uomo ama moltissimo un altro, può salvarlo dal futuro dolore addossandosi il karma del suo amico? La questione è puramente accademica, perché quando l'ultima parola è detta, il karma dell'amico è l'amico stesso, e quindi la risposta generale è compresa in una negazione evidente. Tuttavia, vi è una possibilità, in verità non di prendere su se stesso il karma dell'amico, ma addossandosi, per mezzo di una volontà potente e di un'intelligenza elevata dirette a quello scopo, una determinata porzione, grande o piccola che sia, delle conseguenze che nel normale corso della natura, con effetti pesanti e forse schiaccianti, ricadrebbero sul suo amico. Il segreto in questa situazione sta nell'unire intimamente la propria vita alla vita di colui il cui pesante karma ha così sperato di aiutare a contenere o ad esaurire; ma per chi tenta questa nobile azione vi è una conseguente ed inevitabile "creazione di nuovo karma," che colui il quale si assume questo fardello crea per se stesso.

Quindi è possibile essere coinvolto nel karma di un altro, e questo è in ogni caso carico di sofferenza o pericolo per chi cerca di effettuarlo. Infatti, è sempre fatto alla cieca da esseri umani per motivazioni egoistiche o ignobili; ma vi sono casi, e sono relativamente numerosi, in cui uno lo fa con gli occhi più o meno aperti sulle dannose conseguenze che potrebbero insorgere. Se tale azione è intrapresa solo per il beneficio di colui che si desidera aiutare, la motivazione è impersonale e sublime, e quindi i risultanti effetti karmici non saranno in nessun caso colorati da sfumature di una causa originante egoistica. Quando quest'azione nobile ed altruistica è intrapresa a beneficio di tutto ciò che vive, è buddhica, è cristica. Comunque, è una procedura pericolosa per gli individui che non hanno né la saggezza né il discernimento di un buddha o di un cristo; ma in tutti questi casi la motivazione è sacra, e quindi necessariamente aiuterà a nobilitare, a rafforzare il carattere e a purificare la natura intellettuale e morale di chi agisce in questo modo.

Una delle dottrine più nobili della Filosofia Esoterica tratta dell'esistenza e della natura del lavoro dei buddha di compassione. Ci insegna del loro autosacrificio assoluto per il beneficio del mondo, e di come essi rinunciano deliberatamente, forse per ere, al proprio avanzamento evolutivo per ritornare nel mondo degli uomini allo scopo di aiutarli compassionevolmente. Non solo essi ci mostrano con suggerimenti ed esempi il sentiero che porta agli dèi, ma vivono e lavorano effettivamente tra gli uomini. Come i dhyāni-chohan di compassione nelle loro sfere, per la loro infinita sollecitudine scendono in basso nella nostra sfera, e passano periodi di vita, forse, in questa sfera di relativa tenebra spirituale.

Quest'azione da parte di simili grandi esseri è, in ogni caso volontaria, e quindi una propria scelta; ma in un certo senso la loro rinuncia al progresso individuale può essere considerata karmica. Tuttavia, ciò non coinvolge la degradazione della loro elevata statura spirituale, né la perdita della compensazione karmica che ad un certo momento, in futuro, sarà infallibilmente la loro ricompensa. Pur essendo la loro azione volontaria, è intrapresa per il beneficio di tutto ciò che è vivente, ed essendo nel carattere della natura del divino, le conseguenze che ne scaturiranno saranno di tipo corrispondente. Anche se molto travisata, la Chiesa cristiana trasse la sua dottrina dell'espiazione vicaria da questa fonte. La Filosofia Esoterica, comunque, non ammette che vi sia una verità sostanziale nel dogma cristiano, perché, com'è stata intesa per secoli nella Chiesa cristiana, contrasta direttamente e viola il principio fondamentale implicito nella legge karmica — ad esempio, che nessun essere umano possa evitare né completamente né parzialmente le conseguenze delle sua azioni, i frutti karmici che a loro volta sono generati dai suoi pensieri e sentimenti.

Come molte, e forse tutte, le dottrine fondamentali del Cristianesimo, nacque da un insegnamento fortemente travisato della religione-saggezza dell'antichità; ma queste cattive interpretazioni sono di gran lunga più dannose, perché distorte, di quanto lo siano le speculazioni filosofiche o religiose ovviamente non vere.

Qualsiasi uomo può sempre cercare modi e mezzi per aiutare coloro che ama, come pure coloro che non hanno ancora suscitato il suo amore ma che possono trovarsi ugualmente nella necessità di un aiuto compassionevole. Egli può agire così senza violare la loro volontà individuale. Noi non abbiamo alcun diritto, spiritualmente, intellettualmente, psichicamente, o fisicamente, di tentare di controllare la libera volontà o la libera azione di un altro. Immaginiamo per un momento che sia possibile assumerci il fardello di un altro, forse influenzando la direzione che la sua volontà ha preso — in un tentativo del genere, che è veramente impossibile da raggiungere, interferiamo deliberatamente con la scelta personale o la libera volontà di quell'altro, e così, invece di rendergli un buon servizio, noi gli stiamo facendo realmente un cattivo servizio. Stiamo indebolendo del tutto il suo carattere, invece di agire impersonalmente e indirettamente, il ché può aiutare e rafforzare il suo carattere, preparandolo più facilmente a sopportare il suo fardello karmico dome dovrebbe.

La compassione è la legge fondamentale della natura. Come dice H. P. Blavatsky ne La Voce del Silenzio:

Aiuta la Natura, e lavora con lei; e la Natura ti considererà uno dei suoi creatori e ti renderà obbedienza. — p. 14 ed. or.; p. 15. I. Cintamani online

L'uomo che se ne sta a guardare oziosamente un altro che è in difficoltà, ascoltando con l'indifferenza di un cuore di pietra il grido di dolore e sofferenza senza muovere un dito per alleviare quel dolore, si comporta direttamente in opposizione alla legge fondamentale della natura, e in questo modo attira su se stesso un pesante fardello di responsabilità karmica, la cui natura, nel ristabilire l'armonia, lo raggiungerà infallibilmente fino all'ultima sua colpa.

È una completa distorsione della dottrina del karma pensare che, poiché qualche essere umano sta subendo un disastro, o si trova in una situazione d'angoscia, debba essere lasciato senza aiuto e senza conforto con la scusa erronea e crudele che egli "sta semplicemente risolvendo le sue conseguenze karmiche." Questa è un'idea mostruosa, e va direttamente contro a tutti gli insegnamenti dei grandi veggenti e saggi. Ne La Voce del Silenzio, una delle opere più belle e devozionali di tutti tempi, troviamo queste significative parole:

Non compiere un atto di pietà è compiere un peccato mortale. — p. 31 ed. or.; p. 25 online

L'inerzia deliberata e volontaria, quando umanamente si richiede l'intervento di un atto di misericordia, è così direttamente contraria alle operazioni strutturali e fondamentali proprie della natura, che egli in tal modo fa di se stesso un punto di scontro con le forze della natura, e nell'agire così, instaura in sé un flusso di conseguenze karmiche che reagiranno contro di lui potentemente e positivamente, come se egli, di sua volontà e di sua scelta deliberata, avesse compiuto un forte atto malvagio.

Il Buddha, il Cristo, e altri grandi individui, hanno lasciato dietro di loro, in parole inequivocabili, la dottrina della nostra responsabilità etica verso tutti gli altri. L'azione altruistica nel servizio compassionevole ci insegna come trovare subito le risorse del nostro cuore e della nostra mente, come sviluppare il più rapidamente possibile le parti più raffinate delle nostre facoltà spirituali ed intellettuali. La benevolenza che segue l'azione benefica nel servizio verso gli altri può veramente essere descritta come la strada regale del discepolato:

Tenda la tua Anima l'orecchio ad ogni grido di dolore, come il loto apre il suo cuore per bere il sole mattutino.
Il sole ardente non asciughi una sola lacrima di dolore, prima che tu stesso non l'abbia tersa dall'occhio del sofferente.
Ma ogni rovente lacrima umana cada sul tuo cuore, e vi resti; né tergerla mai, finché non sia rimosso il dolore che la produsse. — pp. 12-13 ed. or.; p. 14 online

È abbastanza facile attraversare la vita coinvolti nei nostri affari puramente egoistici, ma le conseguenze di un tale corso di vita vanno a finire in bocca alle ceneri della morte. Un simile corso di vita avvizzisce il carattere e lo immiserisce, perché la sfera d'azione diventa sempre più ristretta e localizzata. Un uomo non può vivere solo per se stesso; quando cerca di comportarsi così, comincia ad entrare in conflitto non solo con le leggi della natura ma con le leggi umane fatte dai suoi simili. Accendete l'immaginazione di un tale uomo, e in poco tempo comincerà a capire che la cooperazione genuinamente spirituale, intellettuale e sociale per il benessere comune, è il vero lavoro dell'uomo. Un uomo è grande nella misura in cui gli succede di agire in questo modo, ed è debole e ignobile quando si separa dai suoi simili. È la mancanza d'immaginazione spirituale che rende egoisti gli uomini e li induce, nella loro cecità ed ignoranza, a seguire il sentiero della mano sinistra, il sentiero del percorso individuale, quasi sempre a scapito del bene altrui.

Sono i grandi uomini che intraprendono grandi percorsi perché la loro visione è lungimirante, e sono i piccoli uomini, a motivo della loro ignoranza e della loro visione ristretta, che provano ad appartarsi in un angoletto di egoismo dove vivere per se stessi in un isolamento ignobile. Vi è un singolo sole, vi è un singolo atomo, che possa vivere solo per se stesso? Quando un qualsiasi elemento individuale tenta di seguire il suo sentiero egoistico, tutti gli altri elementi nell'universo si alleano contro di lui, e a poco a poco quest'elemento è costretto dall'immensa pressione cosmica a ritornare nell'ordine e nell'armonia dell'universo. Un uomo che lavora con la natura, lavora per l'armonia, per la compassione e la fratellanza, ha in sé tutto il flusso evolutivo della natura; e l'uomo che si nutre d'odio, che lavora per il suo profitto personale, che pone la sua misera volontà contro il fiume evolvente di vite, detiene l'incalcolabile peso della natura che preme contro di lui.

Non c'è niente di così invalidante intellettualmente e di così cieco spiritualmente come soffermarsi sui propri poteri limitati, dove non c'è né felicità né pace né saggezza. Quando gli uomini seguono questo sentiero, significa conflitto, dolore e sofferenza. Tuttavia è principalmente attraverso il dolore e la sofferenza, e l'esaurimento del conflitto e della lotta, che gli uomini imparano a seguire le vie luminose della saggezza e della pace. Dolore e sofferenza sono quindi angeli in incognito — i dolori della crescita delle acquisizioni future. Possono stimolare il nostro intelletto, risvegliare il nostro sonno, e spesso i nostri cuori aridi, ed insegnarci quindi l'empatia con gli altri.

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Qualsiasi cosa un individuo faccia, non solo ne è responsabile ma influenza fortemente anche altri individui; spesso in queste vie profonde e misteriose è estremamente difficile da scoprire la causa karmica originale che porta questi individui così colpiti in una sfera di contatto con l'attore originario. Di solito, queste cause che danno origine all'intersecarsi di qualsiasi filo delle differenti reti di due individui giacciono nella storia karmica del remoto passato di entrambi, sia nell'ultima vita o, cosa più verosimile, in un'altra vita precedente nel lontanissimo passato. Così noi arrechiamo gioia agli altri con i nostri pensieri e sentimenti e le loro conseguenze che scaturiscono come azioni. In modo esattamente identico, arrechiamo loro sofferenza e dolore, per i quali essi sono solo indirettamente e inattivamente responsabili, e così portano su di loro "sofferenze immeritate," per le quali la legge karmica ci riterrà strettamente responsabili, ma in proporzione alla misura della nostra colpa.

In verità, esiste una cosa come la "sofferenza immeritata," ma questa frase non deve in nessun modo essere intesa come "sofferenza ingiusta," o, d'altro lato, che questa "sofferenza immeritata" non abbia alcuna causa karmica nell'attore e nella sua vittima.

La verità della questione è che quella che noi, con la nostra intelligenza imperfettamente sviluppata e la mancanza di visione, chiamiamo "sofferenza immeritata" non è che un aspetto minore della legge più fondamentale del karma: giustizia cosmica inflessibile guidata dalla saggezza cosmica e attiva per tutta l'eternità. Sarebbe sbagliato supporre che l'attuale karma di un uomo possa essere indipendente dal suo passato — equivale a dire il suo karma passato; e profondamente connessa a questa è l'altra idea che il futuro, sebbene per noi sia apparentemente basato sul passato e sul presente, sia, nella visione cosmica, identico all'eterno presente.

H. P. Blavatsky ha scritto sull'argomento della "sofferenza immeritata" ne La Chiave della Teosofia (cap. 10-11)

La nostra filosofia insegna che la punizione karmica raggiunge l'Ego soltanto nella prossima incarnazione. Dopo la morte riceve solo la ricompensa per le sofferenze immeritate sopportate durante la sua ultima incarnazione. . . . Alcuni teosofi hanno tatto delle obiezioni a questa frase, ma le parole sono quelle del Maestro ed il significato della parola "immeritato", è quello dato sopra. . . . il pensiero essenziale era che gli uomini spesso soffrono per gli effetti di azioni compiute da altri, effetti che non appartengono strettamente al loro Karma, e per i quali certamente meritano un compenso. . . . Tutta la punizione dopo la morte, persino per il materialista, consiste nell'assenza di qualsiasi ricompensa e nella completa mancanza di coscienza della propria felicità e del proprio riposo. Il Karma è figlio dell'Ego terreno, il frutto delle azioni di quell'albero che è la personalità oggettiva visibile a tutti, e il frutto di tutti i pensieri e perfino dei moventi dell'"Io" spirituale; ma il Karma è anche la tenera madre che risana le ferite da lei inflitte durante la vita precedente, prima di ricominciare a torturare l'Ego infliggendogliene delle nuove. Si può dire che non vi è sofferenza fisica o mentale che non sia il frutto diretto e la conseguenza di qualche peccato commesso dall'uomo nella vita precedente; d'altra parte, poiché egli non ne conserva il minimo ricordo nella vita attuale, ed ha la sensazione di non aver meritata la punizione, e quindi pensa di soffrire per nessuna colpa, ciò è sufficiente da solo per dar diritto all'anima umana alla consolazione, al riposo e alla beatitudine più completi nell'esistenza post-mortem.
. . . Al momento solenne della morte, anche se improvvisa, dinanzi ad ogni uomo si svolge il contenuto di tutta la sua vita sin nei minimi particolari. . . . Basta quell'istante per mostrargli tutta la catena delle cause che hanno operato durante la sua vita. Egli ora vede e comprende se stesso come è in realtà, senza adulazione od inganno; legge la propria vita e la osserva come uno spettatore che guardi giù nell'arena da cui si stia distaccando; sente e riconosce la giustizia di tutte le sofferenze subite. — pp. 161-2
. . . La reincarnazione riunirà intorno a lui tutti quegli Ego che, direttamente o indirettamente, hanno sofferto per mano sua, o attraverso l'incosciente strumento della passata personalità. Essi saranno spinti dalla Nemesi sulla via dell'uomo nuovo, che cela il vecchio. — p. 141
 D. Ma dunque, tutti i mali che sembra si riversino indiscriminatamente sulle masse, non costituiscono un Karma effettivamente meritato e individuale?
R. No, essi non possono essere definiti così esattamente nei loro effetti da provare che ogni ambiente individuale e le particolari condizioni di vita in cui ogni persona viene a trovarsi, rappresentano nulla più che il karma retributivo generato dall'individuo in una vita precedente. Non dobbiamo perdere di vista il fatto che ogni atomo è sottoposto alla legge generale che governa l'intero corpo di cui fa parte; così scorgiamo un più vasto campo d'azione della legge del Karma. Non vedete voi che l'aggregato dei Karma individuali diventa quello della Nazione alla quale questi individui appartengono, e inoltre che la somma totale del Karma Nazionale forma quello del mondo? . . . ed è su questa vasta linea dell'interdipendenza dell'Umanità che la legge del Karma trova la sua legittima ed equa applicazione. — p. 202

Tornando ora alle Lettere dei Mahatma, troviamo questa breve allusione allo stesso argomento:

"l'adepto diventa tale, non è creato, è vero alla lettera. Poiché ognuno di noi è il creatore e il produttore delle cause che ci portano a questo o a quel risultato, dobbiamo raccogliere ciò che abbiamo seminato. I nostri chela sono aiutati solo quando sono innocenti delle cause che li hanno messi in difficoltà, quando queste cause sono generate da influenze estranee ed esterne. La vita e la lotta per l'adeptato sarebbe troppo facile, se tutti gli spazzini dietro di noi ripulissero gli effetti che abbiamo generato attraverso la nostra imprudenza e presunzione. — p. 310

L'insegnante evidenzia che anche i chela, pur se sono tali a motivo di precedenti cause karmiche, sono aiutati quando sono "innocenti" delle cause originarie che li hanno messi in difficoltà. Questo avviene perché i chela entrano, si fa per dire, in un nuovo mondo, in una nuova sfera di forze, che sono tutte pericolose e alcune di esse terribili, mentre questi chela sono, in un senso, come piccoli bambini incapaci di affrontare e respingere vittoriosamente le "influenze estranee ed esterne" che si abbattono su di loro. Precisamente così è il bambino che nasce in un nuovo mondo quasi senza aiuto, che ha bisogno di guida ed assistenza; tuttavia, se il bambino mette le mani nel fuoco, il dito si ustiona e l'innocenza del bambino non gli è di alcuna protezione. Per prevenire questi incidenti, i genitori lo sorvegliano.

Il paragone è esatto per quanto riguarda i chela. Nati in un nuovo mondo, le cui forze e le influenze sono "estranee" ed "esterne," essi sono quasi privi di aiuto, incapaci di proteggersi adeguatamente, per cui sono premurosamente sorvegliati e guidati finché, crescendo, prendano confidenza con il nuovo mondo. Ma se il chela ignora gli ammonimenti del maestro e "mette il dito nel fuoco" deliberatamente, o sperimenta di sua volontà le terribili forze e gli abitanti del nuovo mondo, deve raccoglierne le conseguenze.

Vi è una "sofferenza immeritata" nel senso della sofferenza dell'imperfetto uomo personale nella serie di circostanze della vita, di cui quella particolare "persona, l'uomo nuovo" della vita attuale non è consciamente consapevole di aver causato, e quindi soffre dolorosamente per gli eventi karmici che apparentemente non ha causato, e che tuttavia gli capitano.

Quanto detto riguarda il caso dell'operato minore o "il circuito" della legge karmica. Tornando ora alle affermazioni generali della legge che è onninclusiva e quindi comprende anche il circuito minore chiamato "sofferenza immeritata," non potrebbe essere meglio descritto di quanto abbia detto H. P. Blavatsky ne La Dottrina Segreta:

. . . Karma-Nemesi, o la legge di Retribuzione. Questa Legge — sia conscia che inconscia — non ha predestinato nulla e nessuno. Esiste dall'Eternità e nell'Eternità, essendo, anzi, essa stessa l'Eternità; e come tale, non si può dire che agisca, poiché non può esserci atto coesistente con l'Eternità, essendo essa stessa azione. Non è l'onda quella che annega un uomo, ma l'azione personale dell'infelice che va deliberatamente a sottoporsi all'azione impersonale delle leggi che governano il moto dell'oceano. Il Karma non crea nulla, e nulla progetta. È l'uomo che progetta e crea le cause mentre la Legge Karmica produce gli effetti; e questo prodotto non è un atto, ma è l'armonia universale che tende sempre a riassumere la sua posizione originale, come un ramo che, piegato con troppa forza, si raddrizza con impeto corrispondente. Se accade che il ramo sloghi il braccio che aveva cercato di piegarlo dalla sua posizione naturale, diremo che è stato il ramo a rompere il braccio, o piuttosto che la causa del male è stato il nostro atto insensato? . . . Karma è una legge Assoluta ed Eterna nel Mondo della manifestazione; . . . perché Karma è tutt'uno con l'Inconoscibile, del quale è un aspetto, nei suoi effetti nel mondo dei fenomeni. — II, 304-6 ed. or.; pp. 343-344 online

La difficoltà sta nell'idea inconscia che i maestri e H. P. Blavatsky fossero colpevoli, consciamente o altrimenti, delle "contraddizioni." Non è così; non ci sono contraddizioni, ma qui abbiamo degli autentici paradossi. Qualsiasi cosa accada a un individuo è karmica, ma poiché questo individuo è costantemente in evoluzione, cambiando così il suo carattere, quindi il proprio destino, se la retribuzione karmica non è immediata — come raramente lo è — i suoi effetti, lievi o pesanti, ricadranno sull' "uomo successivo" o il "nuovo uomo," che in verità, essendo un'incarnazione più evoluta o un incorporamento delle forze dell'anima di natura più elevata, si può dire giustamente che è sottoposto a una "sofferenza immeritata"; ma la retribuzione karmica è proprio la stessa.

Il karma spesso si esaurisce attraverso le sue opere misteriose ed imperscrutabili, effettuando, tramite l'ego reincarnante, una purificazione di quest'ultimo, che lo sfortunato "nuovo uomo" — un raggio-bambino dell'ego reincarnante — deve comunque patire come una pena "immeritata." La sua ricompensa è la lunga, anche se illusoria, beatitudine del devachan.

Niente può toccarci, a meno che noi stessi, in qualche maniera, in qualche tempo, in qualche luogo, abbiamo agito in modo tale da risvegliare le forze dormenti o attive della natura, che a quel punto prima o poi reagiscono su di noi esattamente in proporzione alla causa originaria in noi stessi. Il karma, quindi, risalendo alla sua origine, è la conseguenza dell'azione della nostra libera volontà. L'entità dalla libera volontà pensa, sente, o agisce, deliberatamente, mettendo quindi in moto un inevitabile strascico di effetti che, poiché siamo essenzialmente uno con l'universo, un giorno si abbatteranno su di noi come una conseguenza karmica Questi effetti non potrebbero mai toccarci, a meno che noi, come entità che hanno la libera volontà, non avessimo messo in moto queste forze.

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Il karma non è un qualcosa fuori da noi, nel senso che è separato dalla nostra intima essenza. La legge cosmica del karma, per quanto riguarda l'individuo, è sempre inattiva, tranne che non venga risvegliata all'azione dai pensieri e dai sentimenti, e dai conseguenti atti dell'individuo stesso. Ogni uomo intesse la fabbrica del proprio essere attraverso tutta l'eternità. Quindi, è egli stesso la sua rete del destino.

Prima che si reincarni, guidato dalla monade divino-spirituale che è in lui, a causa della sua inerente facoltà della relativamente libera volontà o potere di scelta, l'ego reincarnante ha la capacità di selezionare le congruenti cause karmiche che nella vita che sta per iniziare può elaborare al meglio come effetti karmici. Questo è lo stesso potere selettivo all'inizio di una nuova nascita sulla terra che ogni uomo normale usa durante tutta la sua incarnazione, quando sceglie giorno per giorno, anno per anno, il corso d'azione che gli sembra più conveniente; e vi sono forse un miliardo di scelte diverse che potremmo aver fatto in ogni momento di questa selezione. Abbiamo un numero infinito di esperienze karmiche dietro di noi; e in ogni nuova vita, quando appariamo sulla scena per recitare il nostro nuovo ruolo, lo facciamo in stretto accordo con la parte karmica che abbiamo selezionato o scelto dal libro appena selezionato della nostra visione e della nostra memoria. Quelle cause karmiche che allora non abbiamo selezionate, dovremo sceglierle o incarnarle in una susseguente selezione, quando in qualche nuova vita del futuro cominceremo un nuovo percorso sulla terra. Ma per quel che riguarda qualsiasi vita terrena, ci sono invariabilmente determinate condizioni che coinvolgono una certa selezione e un conseguente sentiero d'azione che sta davanti a noi e che ci porta a certe civiltà, a certe famiglie — e l'ego superiore che sorveglia e attende supervisiona questo campo generale della nostra scelta. L'unica differenza tra l'uomo che fa la sua scelta e il sé superiore è che il sé superiore ha una visione indicativa del futuro a, che al confronto con il discernimento dell'uomo incarnato è incomparabilmente più potente e sicura.

I pensieri che creiamo, le emozioni alle quali permettiamo di influenzarci, e le conseguenti azioni che compiamo, tutti portano i loro frutti in questa vita o in qualche vita successiva, quando sussiste la loro possibilità di manifestarsi; allora emergono, una marea impetuosa di energie — quelle forze latenti che abbiamo costruito in noi e che, nel loro aggregato, chiamiamo il nostro carattere. Quando l'ambiente è pronto, allora il nostro carattere si manifesta in corrispondenza con il nostro benessere o la nostra sventura. È così che noi ripariamo infine le nostre cattive azioni nei riguardi degli altri, e in verità verso noi stessi; e il risultato di tutto ciò nel grande ritmo del tempo e del destino sfocia in un'evoluzione rafforzante e sviluppante della sostanza del nostro carattere verso un destino più grande e sempre in espansione.

Ne La Dottrina Segreta H. P. Blavatsky dice:

Ma nelle nostre vite non c'è veramente un solo caso, un solo giorno infausto o una sola disgrazia che non possa essere addebitata alle nostre azioni in questa o in un'altra vita. Se si violano le leggi dell'Armonia o, come si esprime uno scrittore teosofico, le "leggi della vita", bisogna prepararci a cadere nel caos che noi stessi abbiamo provocato. — I, 643-44; p. 483 online

Nondimeno, a causa della natura estremamente intricata delle reti del destino in cui siamo tutti coinvolti, che ci spinge ad agire e a reagire sugli altri, spesso soffriamo in silenzio come se fosse un'ingiustizia, poiché non abbiamo alcuna memoria cognitiva delle cause che hanno originato la nostra sofferenza. Tuttavia, poiché i nostri caratteri sono migliorati per l'arrivo dentro di noi di nuovi flussi di energia spirituale, per quanto flebili possano essere, abbiamo la forte percezione che la sofferenza e il dolore cui siamo sottoposti siano "immeritati" — e così sono per il "nuovo uomo" che successivamente siamo diventati nell'ultima incarnazione. Non è stato questo "nuovo uomo" a commettere le azioni, a vivere la vita egoistica e forse ignobile del "vecchio uomo," e di conseguenza, per il "nuovo uomo" dell'attuale vita, con il suo carattere cambiato, nuovi impulsi spirituali più nobili e una visione intellettuale ampliata, la sofferenza che sopraggiunge su di lui non è legata al karma del "nuovo uomo" — sebbene sia una rigorosa giustizia karmica derivante dalle azioni causali del "vecchio uomo" che era, ma che ora non è più perché egli è diventato il "nuovo uomo."

Consideriamo il seguente esempio: un giovane uomo commette un crimine quando ha vent'anni. Lo nasconde con successo. Quando cresce e si fa maturo, il suo ego reincarnante, infondendo costantemente nel suo cervello un ampio influsso della propria saggezza ed intelligenza monadica, gradualmente cambia di molto la sua vita per il meglio, per cui poniamo che a sessant'anni egli è già diventato noto nella sua comunità non solo come un brav'uomo, ma anche come un cittadino onorevole, un affezionato e fedele padre ed amico, e in generale un esempio di retta maturità. Questo perché la sua "anima" si è più largamente incarnata.

Ma a sessant'anni, per cause karmiche, viene scoperto il suo crimine. Egli vede crollare intorno a sé tutto quello che riteneva caro. È in gioco la sua reputazione. I suoi amici e la sua famiglia ne sono profondamente influenzati, ed egli stesso soffre le torture dell'inferno. Qui viene in mente il caso di Jean Valjean in Les Misérables di Victor Hugo. Domanda: quest'uomo di sessant'anni è responsabile del crimine del ragazzo traviato di vent'anni? La legge umana dice: si. La Tradizione Esoterica dice: non completamente, perché ora il "nuovo uomo" subisce una "sofferenza immeritata" per il peccato dello sfortunato e sconsiderato "vecchio uomo" di vent'anni. Qui il punto è che l'uomo sessantenne non è lo stesso uomo ventenne, sebbene dalla nascita alla morte l'ego reincarnante sia lo stesso, e così subisce la retribuzione, karmicamente parlando, attraverso le sofferenze causate dall'uomo di vent'anni.

Trasferiamo questo esempio all'ego reincarnante nel suo passaggio attraverso parecchie nascite. In una delle sue precedenti vite, alcuni crimini furono commessi dall' "uomo" di quella vita: le sue cause karmiche perdurano e, diciamo che dalla quarta reincarnazione in poi, il "nuovo uomo" di questa quarta rinascita si ritrova a soffrire inspiegabilmente a causa delle azioni degli altri, e in tutto questo non può vedervi alcuna giustizia. Le sue sofferenze in questa quarta vita sono veramente "immeritate" da questo "nuovo uomo"; ma l'ego reincarnante è la sede delle cause originali del "vecchio uomo," e così, sebbene "l'uomo nuovo" soffra un'immeritata difficoltà e dolore, vediamo che le cause, su larga scala, furono impiantate parecchie vite prima.

Prendiamo il mahātma, che è il frutto karmico del "vecchio uomo" di remote vite passate. Dovrebbe questo "nuovo uomo" subire ora qualsiasi sofferenza nella sua attuale vita, dovuta alle conseguenze karmiche delle azioni sbagliate del "vecchio uomo" in un lontano passato? Possiamo dire che il mahātma ha "meritato" questa parte di retribuzione karmica poiché ora, nell'infinita giustizia della natura, egli la sta risolvendo? Certamente no, tuttavia è veramente karmica, nonostante il mahatma attuale non abbia commesso le intemperanze e le malvagità di quel remoto genitore karmico, il "vecchio uomo" che era.

L'esempio è eccessivo per quanto concerne il fatto che il mahātma subisce, come una "sofferenza immeritata," quelle reazioni inferiori del destino karmico che sono così comuni all'uomo ordinario; ma non è esagerato né da sottovalutare se prendiamo in considerazione l'immeritato ed immenso carico di responsabilità karmica che l'intera Gerarchia di Compassione, guidata dai buddha di compassione, si è addossata a beneficio del mondo.

Naturalmente, siamo costretti anche qui ad attribuire questa sublime scelta all'allenamento spirituale ed intellettuale di questi grandi esseri, che si dipana per molte vite passate, ed è dovuta all'accumulato "merito" karmico di molte scelte minori fatte in quelle vite passate per unirsi al lato luminoso della natura. Così questo vincolo che unisce una grande anima alla responsabilità karmica, forse per molte vite di ripetute incarnazioni a beneficio dell'umanità, nella sua origine è karmica. Tuttavia è "immeritata" nel senso che la perdita di tutto il progresso individuale del mahātma a beneficio dell'umanità non è dovuta a qualche colpa o a qualche mancanza del suo carattere, ma soltanto agli istinti sublimi di una compassione infinita. Qui vediamo chiaramente la differenza fra i pratyeka-buddha e i buddha di compassione.

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Vi sono diversi tipi di karma. Ad esempio, c'è il nostro karma individuale e il nostro karma familiare; c'è il nostro karma nazionale e il karma dell'intero globo; c'è anche il karma che influenza il nostro pianeta come un membro della famiglia del sistema solare. Anche il sistema solare è parte componente del nostro universo-casa, chiamato la galassia, e così via ad infinitum — tutta una mirabile opera d'azione e reazione.

Qui troviamo la chiave di ciò che significa "karma parzialmente immeritato." Il karma individuale di un uomo lo spinge ad incarnarsi in una particolare nazione, in un particolare periodo, ed è perciò soggetto a tutte le intricate condizioni ed avvenimenti accidentali della nazione di cui fa parte, e dalle quali è travolto in un corso di destino ed azione più ampio di quanto forse sarebbe stato il suo karma o destino se il suo karma individuale fosse stato diverso, portandolo a qualche altra sfera nazionale. Così egli è scagliato dalla corrente delle circostanze — anche se, in ultima analisi, è dovuto alle cause karmiche che ha seminato in passato — insieme al karma della nazione di cui egli ora è parte. Un'alluvione o una carestia travolge questa famiglia o il paese in cui vive. Un maremoto si abbatte su quella terra e fa affogare ventimila esseri umani. O ancora, un terremoto scuote una città e decine di migliaia muoiono in questo disastro. In ogni caso, l'uomo che si trova in questi ambienti si trova lì come la conseguenza di una precedente azione karmica in questa o in un'altra vita.

L'universo, proprio perché è letteralmente un aggregato di innumerevoli reti del destino, è composto da vaste gerarchie interagenti ed interconnesse, sia grandi che piccole, ciascuna un individuo di per sé, ma tutte karmicamente coinvolte e contenute dalla superanima dell'universo — e, in ultima analisi, tutte karmicamente sottomesse ed obbedienti allo svabhāva fondamentale o caratteristica "legge" cosmica o rete di "leggi." di questa superanima. Di conseguenza, ciascuno di noi nella sua più intima essenza è identico alla superanima dell'universo, cioè all'essenza fondamentale dell'universo. La sua origine è la nostra, il suo destino è il nostro, e le sue "leggi" sono le nostre. Così, siamo collaboratori coscienti o incoscienti dell'universo, con ciascuno di noi che usufruisce della sua misura di libera volontà, e tuttavia è soggetto al grande ritmo della sua armonia e dei suoi impulsi cosmici che sorgono dal grande tono fondamentale e dall'essenza del nostro essere comune.

Quindi l'esteriore o l'aspetto karmico della natura è l'attività suprema ed imperativa della superanima, poiché lavora attraverso tutte le cose dall'interno, e su di noi dall'esterno, a causa della nostra unione e dal contatto eterno ed intimo con tutti gli altri esseri. Così si comprenderà che quel "karma immeritato" è quello che soffriamo dall'impatto su di noi delle forze e degli esseri del mondo in cui viviamo; e, su scala più vasta, dall'impatto delle forze e degli esseri dell'universo circostante.

Attenendoci allo schema gerarchico, noi viviamo nell'essere di vita, fondamentale ed etereo, come pure fisico, intellettuale e spirituale, di entità molto più grandi di noi; e, in una certa misura, a causa di questo fatto, dobbiamo pedissequamente seguirle nei loro pensieri ed atti ampiamente estesi, esattamente come gli atomi di vita che compongono il nostro corpo devono seguire i comandi della nostra volontà personale, e quindi devono andare con noi quando noi andiamo da un'altra parte del mondo. Gli atomi di vita nel nostro corpo non hanno nessuna scelta in materia, ma questo non è saggio fatalismo. Mentre ciò porta spesso nella vita una grande quantità di "sofferenza immeritata," l'ego individuale in devachan riceverà infallibilmente la dovuta ricompensa karmica per le tribolazioni che ha sperimentato nella vita appena finita.

Inoltre, poiché l'uomo è un'entità composita, il fardello di forze e sostanze che lo compongono e formano la sua costituzione, spesso lavorano in maniera temporaneamente disarmonica, che produce quella che in molti casi è definita la sofferenza immeritata. Ad esempio: c'è nell'uomo un'entità spirituale, chiamiamola il buddha interiore o il cristo immanente. Nell'uomo c'è anche un'entità umana, chiamiamola pure anima umana. Ora, quest'entità cristica che agisce attraverso l'entità umana a volte porterà l'entità umana in situazioni di dolore e sofferenza (in modo che così l'entità umana possa imparare) che tuttavia l'entità umana, in parte coscientemente e in parte incoscientemente, contribuiva a realizzare con la sua devozione altruistica e il desiderio impersonale di crescere, ma che non aveva scelto autocoscientemente. Le conseguenze sono in molti casi immeritate per l'entità semplicemente umana; tuttavia, non sarebbero accadute a quest'entità umana nemmeno con l'intervento del cristo immanente o il buddha interiore attraverso di essa, a meno che l'entità umana si fosse posta, come un bambino che brancola nella notte, nel ruolo del mediatore o trasmettitore degli impulsi spirituali che nascono dall'azione della sempre vigile ed infallibile legge karmica. Su entrambi i lati della questione, è karma. Alcune persone, vedendo solo un lato dell'equazione, diranno "immeritata" perché l'entità umana soffre a causa dell'operato del dio attraverso di essa. Altre persone, vedendo solo l'altro lato, diranno: no, è pienamente "meritato" perché è la stessa entità umana ad aver agito. La soluzione di questo sottile problema è di combinare i due lati — e scoprire che sono entrambi risvolti della stessa medaglia.

Ora, capovolgendo l'esempio, che è il cardine dello schema teologico cristiano, così spaventosamente travisato, partendo almeno dal tempo della morte dell'avatāra Gesù: l'uomo, a motivo della sua debolezza e la libera scelta del male e del bene imperfetto, fa soffrire continuamente il cristo immanente o il buddha interiore, e subisce quindi una sofferenza e un dolore "immeritati." Tuttavia, il buddha interiore o il cristo immanente, nella sua indicibile bellezza e desiderio di un bene sempre maggiore per l'uomo, agisce deliberatamente così, come una zattera di salvezza per il miglioramento dell'imperfetto strumento umano che egli sorveglia e attraverso il quale lavora.

Questi due meravigliosi e misteriosi processi si estendono dentro di noi per tutto il tempo; e qui vediamo ancora una ragione per cui il nostro karma è così intricato, e perché il filosofo di una scuola, afferrando solo un lampo di luce dove vi sono un gran numero di raggi, dice che è fatalismo; e il filosofo di un'altra scuola, vedendo soltanto una sfaccettatura della luce, dice che è libera volontà assoluta, e una legge cosmica quasi inattiva. Sbagliano entrambi, e tuttavia hanno ragione entrambi, almeno fino ad un certo grado. L'uomo è qualcosa in più che la sua semplice ed imperfetta volontà ed intelligenza umana, perché è un essere composito. Attraverso di lui, come nel cuore del proprio essere, agisce il potere illimitato e maestoso dell'ātman Brāhmico, che coinvolge relativamente la volontà e la saggezza assoluta, entrambe di carattere cosmico.

I termini "immeritato" e "meritato," quindi, non devono essere presi alla lettera. I maestri ed H. P. Blavatsky insegnarono la dottrina del karma dal punto di vista buddhista, perché forse è quella meglio elaborata. L'insegnamento buddhista è che ogni essere umano, in qualsiasi istante della sua esistenza, non è che il frutto karmico di tutti i precedenti istanti. Inoltre, che ogni istante, ogni nuova vita terrena, produce un "nuovo uomo" con un "nuovo" incremento della sua intelligenza, della volontà e del discernimento, della coscienza come pure della consapevolezza, in modo che ogni nuova vita terrena è un "nuovo uomo" diverso dal "vecchio uomo" dell'ultima vita precedente, e che tuttavia è quel prodotto karmico dell'ultima vita terrena e delle precedenti vite sulla terra. Ecco perché un uomo, in qualsiasi momento durante la lunga serie di incarnazioni, è rigorosamente il karma di tutte le precedenti incarnazioni; e di conseguenza l'uomo, in qualsiasi momento del suo lungo pellegrinaggio, è il proprio karma.

Con le parole del Signore Buddha, com'è esposto nell'antica scrittura buddhista chiamata il Dhammapada:

Tutto quello che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato: è fondato sui nostri pensieri, è creato dai nostri pensieri. Se l'uomo parla o agisce con cattivi pensieri, il dolore lo seguirà, come la ruota segue lo zoccolo del bue che trascina il carro.
Tutto quello che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato: è fondato sui nostri pensieri, è creato dai nostri pensieri. Se un uomo parla o agisce con pensieri puri, la felicità lo seguirà come un'ombra che non lo abbandonerà mai. — 1:1-2

Quando una valanga seppellisce un uomo, l'ignorante grida subito: che morte cattiva e immeritata! Abbastanza vero dal punto di vista di quel corpo, perché non fu il corpo a determinarla. Ma l'ego reincarnante, come una catena di inevitabile causa ed effetto che ha percorso tutte le vite precedenti, portò quel corpo a trovarsi in quel posto nel medesimo tempo; e l'ego, nella sua sfera, è quasi onnipotente per quanto riguarda la sfera fisica della manifestazione e così, karmicamente, provocò la morte del proprio corpo.

Questo esempio, comunque, non deve essere frainteso nel senso che l'ego reincarnante goda nel distruggere un corpo attraverso il quale agisce, perché un tale malinteso non solo sarebbe ridicolo ma, cosa che di gran lunga peggiore, sarebbe immorale. La monade spirituale che agisce attraverso l'ego reincarnante obbedisce alla legge cosmica, ed è un agente delle sue misteriose ed intricate opere, ed agisce rigorosamente secondo quello che in definitiva è il meglio per qualsiasi cosa nella sfera della propria attività operativa. In maniera simile qualsiasi uomo può ritenere necessario, di sua libera scelta, l'amputazione di un arto.

Il karma non è fatalismo, perché in ogni istante qualsiasi cosa accade ad un uomo è il rigoroso risultato karmico della scelta personale dell'ego reincarnante in questa o in qualche altra vita. L'attrazione karmica ci attira verso il nostro ambiente. Possiamo veramente chiamare le nostre sofferenze "immeritate" perché in questa nostra incarnazione non fu la stessa attuale monade astrale a causarle; fu l'ego reincarnante che iniziò originariamente le cause che lo portarono ad incarnarsi in questo nuovo ambiente di nascita sulla terra; e quindi, qualsiasi cosa soffriamo nella nostra presente vita, in ultima analisi è karmica, perché siamo noi stessi. Se non fosse il nostro karma non potremmo sperimentare dolore o piacere.

Quando avremo evoluto dall'interno di noi stessi le nostre facoltà e poteri interiormente spirituali in modo che diventino operativi nelle nostre vite e diventino la nostra volontà autocosciente, allora avremo raggiunto la parte più nobile del destino davanti a noi — almeno per questo manvantara, poiché allora saremo diventati uno con l'universo in cui ci muoviamo, viviamo, ed abbiamo il nostro essere. Ma ci dobbiamo fermare qui? No, perché ci sono sempre ulteriori nuovi campi del destino, velati dalla magica luce del futuro, che nascondono maggiormente splendori più elevati di quanto posiamo concepire. Le reti del destino, nel loro vasto aggregato, sono l'universo stesso, e quindi sono in origine le stesse, e identiche ed essenzialmente in unione con il destino. Donano all'universo che si espande attraverso l'evoluzione l'indescrivibile bellezza della vita cosmica sempre in espansione.


Capitolo 11

Cieli ed Inferni

Parte 1

Ogni nazione sulla terra, da quella più altamente civilizzata alla più selvaggia, sia nel presente che nel passato, ha avuto una raccolta di dottrine o credi riguardanti il destino post-mortem dell' "anima" umana. Questi credi assumono due forme generali: la compensazione o ricompensa post-mortem per una vita onesta e morale e, all'incontrario, la punizione o la ritorsione per una vita malvagia. Si supponeva quasi universalmente che queste due condizioni dell' "anima" dopo la morte passassero in qualche corrispondente località chiamata "cielo" per una classe di umani disincarnati, e "inferno" per l'altra classe. Nei diversi sistemi religiosi e filosofici le idee variano ampiamente sia riguardo ai tipi di compensazione o di punizione retributiva, sia riguardo alla durata attribuita a questi due tipi di esistenza post-mortem, come pure alle località di questi cosiddetti cieli ed inferni. Nondimeno, vi sono alcune sorprendenti similarità tra queste due differenti idee.

Le varie idee o insegnamenti riguardanti i cosiddetti cieli ed inferni sono state fatalmente degenerate, e sono diventate, quasi senza eccezione, delle cattive interpretazioni, di gran lunga reinventate, della dottrina originale che fu deliberata dal fondatore di ciascun sistema nel tentativo di spiegare alle masse gli infallibili risultati del male da un lato, e di una buona vita morale dall'altro. Man mano che il tempo passava, tutti questi ulteriori sviluppi degli insegnamenti originari finirono per essere accettati letteralmente invece che simbolicamente, e in molti casi questi travisamenti letterali hanno portato un'indicibile sofferenza e miseria ai cuori umani.

Furono gli originali significati radicali dietro le cattive interpretazioni che stimolarono il mondo in passato. Tutti quello che dobbiamo fare, quindi, è la ricerca di queste verità originali; poiché non solo guidano gli uomini nei sentieri della rettitudine, ma sopprimono la superstizione, sradicano la paura dal cuore degli uomini, e al loro posto seminano conoscenza e speranza.

Probabilmente soltanto le diverse forme della religione occidentale insegnano un inferno eterno in cui gli uomini che hanno vissuto malvagiamente la loro unica vita sulla terra sono destinati a trascorrere l'eternità in un tormento senza fine; anche durante l'Alto Medioevo e una parte dei primi tempi "moderni," prima che l'idea diventasse impopolare, anche il Cristianesimo occidentale aveva idee piuttosto vaghe: che l'inferno fosse solo un termine generalizzante e che esistessero vari inferni più o meno appropriati ai differenti gradi delle anime umane impregnate di diverse sfumature di fare il male. Anche se in ritardo come al tempo di Dante che scrisse nel tredicesimo e quattordicesimo secolo, queste idee erano più o meno comunemente accettate, com'è dimostrato nel suo capolavoro, La Divina Commedia.

Le seguenti citazioni sono tipiche di quello che per una dozzina di secoli o più è stato il concetto ortodosso della natura dei tormenti di coloro le cui abitudini malvagie durante la vita terrena li hanno portati a una dannazione eterna.

La prima è del Pastore Battista inglese completamente ortodosso, il famoso Spurgeon:

Quando tu muori la tua anima sarà la sola ad essere tormentata — perché per essa ci sarà l'inferno — ma nel giorno del giudizio il tuo corpo si riunirà alla tua anima e tu avrai un doppio inferno; la tua anima che trasuda lacrime di sangue, e il tuo corpo soffuso d'agonia: il tuo corpo starà nel fuoco, esattamente come lo abbiamo sulla terra, il tuo corpo non sarà mai consumato, come l'amianto; tutte le tue vene saranno un percorso per raggiungere i piedi bollenti di dolore; ogni nervo sarà una corda su cui il diavolo suonerà il suo diabolico accordo dell'indescrivibile Lamento dell'inferno. — Sermons of the Rev. C. H. Spurgeon, pp. 275-6 (sintetizzato)

Un'altra citazione è presa da un libro per bambini della Chiesa Cattolica Romana, The Sight of Hell, scritto dal Rev. John Furniss:

La Quarta Prigione Sotterranea è il Bricco in ebollizione. . . . Ma ascolta! Vi è un suono proprio simile a quello di un bricco in ebollizione. . . . Il sangue sta bollendo nelle vene ustionate di quel ragazzo. Il cervello bolle e gorgoglia nella sua testa. Il midollo sta ribollendo nelle sue ossa! Nella Quinta Prigione Sotterranea . . . il ragazzo è in questo rosso forno rovente. Ascolta come urla per venirne fuori. Guarda come si gira e si torce nel fuoco. Batte la testa contro la volta del forno. Batte i suoi piccoli piedi sul pavimento del forno.

Durante gli stessi periodi dell'era cristiana vi erano anche le idee diffusamente prevalenti che il "cielo" fosse solo un termine generalizzante che indicava diverse sfere di felicità, su cui le anime umane, che avevano vissuto vite di rettitudine sulla terra, trovavano il loro ambiente post-mortem in una serie di gradi ordinati. Tuttavia la religione occidentale, nel periodo successivo al medioevo, e anche il Maomettismo nelle sue forme più ortodosse, sembrano essere i soli grandi sistemi religiosi che insegnano l'esistenza di un solo paradiso in generale, e che coloro i quali vivono una vita più o meno onesta, passeranno, dopo la morte, l'eternità senza fine in qualche tipo di indescrivibile beatitudine — apparente dimentichi di quelli che stanno soffrendo le pene del tormento eterno nell'inferno.

Se accettiamo le opinioni dei primi Padri della Chiesa, come Tertulliano in De Spectaculis (30), la "beatitudine" dei "santi" è effettivamente accresciuta alla vista degli indicibili tormenti dei dannati!" Questo mostruoso insegnamento è una menzogna, perché è una totale superstizione. Cos'è una superstizione? Una superstizione è un qualcosa un "aggiunto" a una verità originale, e che quindi la distorce.

Ad esempio, prendiamo un libro. Possiamo rispettare l'insegnamento in quel libro e la nobile mente che lo ha formulato; ma dal momento in cui il nostro rispetto degenera in qualche forma di paura o di cieca credulità nell'immaginare che, se ci accade di strapazzare quel libro, qualche forza segreta emanerà da esso o da qualcos'altro, e ci colpirà a morte, ci infliggerà malattie o ci sottometterà ai pericoli del tormento eterno — da questo momento soffriamo vittime di una superstizione, e di conseguenza l'originario rispetto per i nobili pensieri svanisce. Non è superstizione credere in qualche verità, non importa quanto strana possa sembrarci all'inizio — e molte verità sono veramente strane. Gli annali della storia europea religiosa, filosofica e scientifica, sono pieni di esempi in cui un fatto naturale, o una verità, è stato dapprima chiamato "superstizione" e successivamente tranquillamente accettato come un fatto naturale.

Tutte le grandi religioni, particolarmente quelle di origine arcaica — Brahmanesimo, Buddhismo, gli insegnamenti del grande Saggio Cinese Lao-tse; i migliori insegnamenti filosofici della civiltà greca e romana, la religione originale delle popolazioni druidiche, e anche molte delle venerabili dottrine dei popoli cosiddetti barbari e selvaggi — che non sono affatto razze giovani, ma sono i veri discendenti di antenati una volta potenti che vissero ai tempi delle grandi civiltà, le cui tracce sono tutte svanite dalla terra — tutti hanno, o hanno avuto, i sublimi insegnamenti basati sulla scoperta e la comprensione di alcuni più reconditi misteri della natura. È solo il buonsenso che deve farci capire questi misteri prima di poter criticare ciò che non comprendiamo.

Il Brahmanesimo, nelle sue dottrine concernenti le peripezie post-mortem dell' "anima" umana, ha numerosi insegnamenti che si avvicinano strettamente alla Filosofia Esoterica. Lo stesso si può dire del Buddhismo, che attualmente è forse il meno degenerato rispetto alle idee originarie del grande fondatore. Lo stesso possiamo dire del Taoismo, del Confucianesimo, e di tutti gli arcaici sistemi religiosi e filosofici del passato, dovunque si possano trovare i loro resti.

È anche vero che qualcuno degli insegnamenti di queste antiche religioni o filosofie che precedettero di molte ere le rispettive epoche del Maomettismo e del Cristianesimo, sono ora più o meno degenerati. Inoltre, sono stati grossolanamente travisati e male interpretatl dagli eruditi occidentali. Tuttavia queste religioni e filosofie arcaiche sono in generale degne di fiducia, ciascuna con la propria sorgente originale.

Ma il Cristianesimo con le sue dottrine ha invece completamente errato dal pensiero originale del suo grande fondatore, per la ragione che uomini scadenti divennero i suoi propagandisti dopo il periodo di Gesù. Mentre molti di essi erano senza alcun dubbio assolutamente sinceri, altri erano intellettualmente finti nel senso che tentavano di impartire come verità universali della natura quelle che erano più o meno idee vaghe delle proprie menti — accenni e bagliori travisati e male interpretati che essi avevano ricevuto dalla grande sorgente. In breve fu così che gli insegnamenti originari dell'avātara Gesù furono perduti o furono degenerati.

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La filosofia teosofica ha uno svariato e vasto schema di sfere di beatitudine e di purificazione; ma i suoi insegnamenti mostrano chiaramente che queste diverse sfere non sono in alcun senso semplicemente le dimore dei morti o delle loro "anime," ma piuttosto parti integrali e quindi componenti, della struttura della stessa natura universale, struttura che è dappertutto ed è permeata ed ispirata da un'intelligenza gerarchica di magnitudo cosmica, che tutto domina. La maggior parte della natura universale sono quindi le innumerevoli gerarchie che compongono e, in verità sono, tutti i vasti reami dell'invisibile, compresi tutti i campi della struttura cosmica, da quello superdivino fino alla nostra sfera fisica che ne è solo il guscio o il rivestimento esterno. Quindi, di gran lunga la parte più importante del cosmo sono questi vasti mondi o sfere, che per noi sono invisibili ed intangibili, e comprendono nelle loro differenti gerarchie e nei loro abitanti queste sfere abitate e le conseguenze karmiche che la Filosofia Esoterica definisce come cieli e di inferni.

Né i cieli né gli inferni, se intesi come regni integranti della natura, sono località formate da qualche creatore cosmico ma sono parte effettiva della vita e della sostanza della Divinità invisibile ed incomprensibile, la cui vita e la cui onnipervadente intelligenza, volontà e sostanza, non solo riempiono l'universo ma, di fatto, sono lo stesso universo. Il cristiano Paolo, egli stesso un iniziato almeno nei gradi minori degli antichi Misteri, aveva in mente quest'ultimo concetto quando affermò: "in Esso viviamo, e ci muoviamo, e abbiamo il nostro essere," citando il poeta greco Arato (terzo secolo a. C.).

È un punto di vista immensamente ribaltato! Invece di essere le infelici creature di un imperscrutabile "Creatore" che ci "creò" con questa porzione d'intelligenza e volontà che abbiamo, per entrare in un insensato paradiso di beatitudine oppure per soffrire tormenti eterni in un inferno di dannati — entrambi incubi dell'immaginazione monacale — percepiamo davanti a noi una visione di sfere e mondi letteralmente innumerevoli, che compongono l'infinita vita cosmica e sono della sostanza di quella stessa vita, e quindi sono le case o le dimore dell'esperienza attraverso la quale le monadi peregrine si evolvono ed involvono incessantemente.

I cieli, perciò, sono quei regni spirituali d'esperienza, in cui le monadi devono soggiornare per un certo periodo durante le loro peregrinazioni di lunghe ere, e in cui dimorano per periodi proporzionati al merito karmico raggiunto. Gli inferni sono quelle sfere o regni di purificazione dove qualsiasi monade deve fermarsi per qualche periodo della sua peregrinazione di lunghe ere, dove le anime si mondano del peso della materia, in modo che, una volta purificate, possano risalire ancora lungo l'arco ascendente dell'esperienza cosmica — "Nella casa di mio Padre vi sono molte dimore."

Si vedrà pertanto che il vero significato di questi mondi interiori molto estesi, che da un lato la devozione exoterica e il fanatismo religioso hanno erroneamente trasformato in sfere di felicità per i morti, e dall'altro, in sfere di purificazione e tormento, non sono né l'uno né l'altro, ma sono le parti strutturali e componenti dell'universo stesso.

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Mentre la teosofia moderna ha opportunamente raggruppato i mondi della felicità spirituale post-mortem sotto il solo termine Tibetano devachan, tuttavia il devachan non è, strettamente parlando, una località o un "luogo" ma è uno stato, una condizione o, più precisamente, gli stati o condizioni che si estendono dalla condizione devacianica inferiore o quasi materiale attraverso tutti gradi intermedi, fino ai regni elevati dello spirito relativamente puro dove sono gli stati devacianici superiori o più eterei. Ugualmente, in direzione opposta, vi sono condizioni o gradi che sono esattamente appropriati alle "anime" in cui l'attrazione della materia è stata predominante durante la vita terrena, e quindi formano per esse dimore idonee, e necessariamente è su queste sfere più materiali e meno eteree che tali anime gravitano. Le loro parti più basse formano aggregativamente quello che è chiamato avīci.

Né il devachan in tutte le sue serie di gradi, né i regni intermedi del kāmaloka, né l'avīci che sta più al di sotto, è un luogo o una località, ma ciascuno è una sequenza di stati o condizioni in cui le entità sono attirate per via delle cause originate nella vita terrena appena terminata. Naturalmente, è perfettamente vero che non può esserci nessuna condizione di un'entità separata da una località o luogo; ma né il devachan né il kāmaloka, e nemmeno l'avīci, in qualsiasi delle loro rispettive gamme, sono un luogo a sé stante: sono tutti stati sperimentati, di solito dopo la morte, dalle anime umane disincarnate. Questi stati corrispondono al "paradiso," "purgatorio" ed "inferno." L'unico inferno che il teosofo riconosce è la varietà delle condizioni o stati della coscienza che li sperimenta, che sono raggruppati sotto il termine avīci. Poiché l'avīci è una serie o una gamma di stati di coscienza delle entità che li sperimentano, vi sono degli avīci anche per gli esseri umani durante la vita terrena, prima della morte. Ciò si riferisce in modo generalizzante all'avīci nella sua forma peggiore e più intensa, che appartiene alla materia quasi assoluta, e agli esseri davvero sfortunati che vi dimorano.

Naturalmente, questi stati o condizioni, non devono essere pensati come una serie stagnante o separata; ma ciascuno si mescola con quello successivo più vicino. Così gli stati devacianici spaziano dal più elevato o quasi spirituale, attraverso molti stati o condizioni intermedie, giù fino a quello più basso o quasi etereo del devachan, dove quello stato diventa impercettibilmente il più alto del kāmaloka. Gli stati del kāmaloka passano dal più etereo, attraverso gli stati intermedi, fino a quelli più grossolani o più materiali della serie del kāmaloka, dove si mescolano impercettibilmente alle condizioni più elevate o meno materiali dell'avīci, che a loro volta vanno verso il basso nella materialità costantemente crescente, fino a raggiungere la condizione più bassa dell'avīci, che non è lontana dal regno della materia assoluta, la sostanza più grossolana che la nostra gerarchia cosmica contiene in generale.

Ma questo non è tutto: superiore al devachan in una direzione, e inferiore all'avīci nell'altra direzione, vi sono altri mondi o piani nell'eterno continuum cosmico: una terra di confine o frontiera prima che il contesto strutturale, nel caso della 'mano destra,' passi nella gerarchia cosmica sopra di essa, e nel caso della 'mano sinistra,' nella gerarchia cosmica sottostante alla nostra. Al di sopra del devachan, superiore alle sue condizioni o stati supremi, e con nessuna frontiera ad ampio raggio o linea divisoria, comincia la serie sempre crescente delle condizioni o stati spirituali dell'essere, che sono raggruppati sotto il termine generalizzante di nirvāṇa. Nell'altra direzione, sotto l'avīci più basso, e senza alcuna estesa linea divisoria, vi sono certi campi di materia assoluta che sono il terribile e pauroso destino di quelle che tecnicamente chiamiamo "anime morte." Qui, queste sfortunate entità "perdute" sono dissolte nei loro componenti atomi di vita, sono "frantumate nel laboratorio della natura." Quest'ultimo campo, il più basso dell'essere della nostra gerarchia cosmica è la "Ottava Sfera," o il "Pianeta della Morte."

Nelle Lettere dei Mahatma, il Maestro K. H. si riferisce al'argomento con queste parole solenni ed ammonitrici:

Malvagio, irrimediabilmente malvagio deve essere quell'Ego che non ha raccolto neppure un piccolo contributo dal quinto Principio e deve essere annientato per scomparire nell'Ottava Sfera. Come ho detto, un piccolo contributo dell'Ego Personale basta a salvarlo da questa orribile Sorte. Ciò non avviene dopo il completamento del grande ciclo: o un lungo Nirvana di Beatitudine (per quanto possa essere incosciente, secondo le vostre idee immature) e dopo — la vita come Dhyan Chohan per un intero Manvantara, oppure l' "Avitchi Nirvana" ed un Manvantara di sofferenza e d'Orrore come un ——, non dovete udire la parola ed io — non devo pronunciarla né scriverla. Ma "essi" non hanno nulla a che fare con i mortali che passano attraverso le sette sfere. Il Karma collettivo di uno Spirito Planetario futuro è bello come è terribile il Karma collettivo di un ——. E' più che sufficiente. Ho già detto molto.   — p. 171 ed. or.; p. 132 online

Nell'espressione "avīci-nirvāṇa" giace uno dei terribili misteri della natura. Poiché sia avīci che nirvāṇa sono stati o condizioni di coscienza di un essere che li sperimenta o che è in essi, così il nirvāṇa, con tutte le sue implicazioni mistiche del termine, in certi casi è appropriato al termine avīci — per fortuna estremamente raro — in quanto sta a significare il polo superiore o spirituale della coscienza. Qui ci riferiamo a certi tipi di esseri molto rari, la cui coscienza è sia spirituale che malvagia, e di conseguenza trovano il loro unico ambiente idoneo in una condizione o stato che è contemporaneamente avīci e un nirvāṇa in avīci: una condizione o stato che dura per un intero manvantara. Tuttavia nemmeno questo è un inferno nel senso cristiano del termine, ma è realmente un qualcosa di ancora più terribile e spaventoso.

Nessun cielo exoterico mai immaginato dal sogno più fantasioso di un monaco eremita può eguagliare l'ineffabile beatitudine che pervade le anime spirituali disincarnate; al contrario, nessuna immaginazione monacale è mai andata oltre un concetto di tomenti più o meno appropriati alla sensazione fisica, se sperimentati in un corpo etereo o in un corpo "come l'amianto." Quindi, nessuno di tali inferni exoterici si avvicina in qualche modo agli stati di coscienza sperimentati da quelle entità estremamente rare che cadono nell'Ottava Sfera. Queste entità non sono tormentate da grotteschi diavoli con o senza zoccoli, ma prolungano attraverso le ere un'agonia della coscienza che è la precisa ed infinitamente graduata retribuzione karmica di cause che queste stesse entità proiettarono sulla bilancia della retribuzione karmica quando erano nelle sfere della causalità

È nei mondi o piani gerarchici che si trovano questi stati della coscienza delle monadi peregrine, sia dopo la morte che prima della nascita sulla terra. Il nostro globo terra infatti è tecnicamente un "inferno" perché è una sfera materiale relativamente densa, e gli stati della coscienza degli esseri che l'abitano sono relativamente molto coinvolti nelle reti di māyā — illusione. Per questo motivo H.P. Blavatsky ne La Voce del Silenzio parla degli "Uomini di Myalba" — essendo Myalba un termine tibetano usato per uno degli inferni nella filosofia del Buddhismo del Nord, e Myalba è la nostra terra.

In verità, per gli esseri umani durante il periodo della loro esistenza manvantarica sui diversi globi della catena planetaria, della quale il nostro globo terra è il quarto e più materiale, sono questi globi della nostra catena terrestre che forniscono le "località" in cui la nostra gerarchia umana trova i suoi "cieli" e i suoi "inferni" — la sua beatitudine devacianica e la sua retribuzione punitiva nel kāmaloka inferiore e nell'avīci. Le condizioni di vita e d'esistenza dei globi superiori della nostra catena terrestre sono estremamente belle e felici se confrontate alle condizioni altamente illusorie e spesso terribili in cui la coscienza umana è coinvolta qui sulla terra. Dobbiamo notare che questo si applica all' "anima umana." Quello che è il destino post-mortem dell'anima spirituale di un uomo appartiene ad un'altra storia, che tratteremo in qualche parte di questo lavoro.

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La teosofia moderna, adottando i termini tecnici dell'antico Brahmanesimo perché sono convenienti ed espressivi, raggruppa questi mondi o regni gerarchici sotto il termine di loka e tala, che nel corso di lunghe ere hanno subito malintesi e cattive interpretazioni nelle idee teologiche exoteriche di cieli ed inferni.

I loka, strettamente parlando, sono gli stati spirituali e meno illusori in qualsiasi mondo o sfera o globo del genere, mentre i tala sono quegli stati particolari appropriati alle sostanze e alla materia a carattere più grossolano e più materiale. Tuttavia i loka e i tala sono inseparabili; ogni loka ha il suo doppio tala corrispondente: il loka più elevato non ha né polo o alter ego, il più spirituale o etereo dei tala, e così discendono nella serie fino a raggiungere la più bassa o meno spirituale di ciascuna coppia. Questi sette loka e tala che s'interconnettono sono quindi le condizioni o stati gerarchici di ciascuno dei mondi, sfere, piani, o dimore a cui abbiamo alluso precedentemente.

Ora, poiché la struttura della natura si ripete dappertutto, ogni gerarchia subordinata o, in realtà, ogni mondo, ripete fedelmente nel suo contesto strutturale ciò che le gerarchie e i mondi più elevati sono e contengono; per cui, ognuna di tali gerarchie subordinate, o mondo, è costruita dalla propria serie di loka e tala, ed effettivamente lo è.

I loka e i tala sono variamente elencati nei Purāna, sebbene andrebbe affermato che non sono i tala e i loro vari attributi e qualità a variare, ma i nomi che sono loro dati:

I nomi più comunemente attribuiti loro sono:

       Loka      Tala
1. Satyaloka .. . . . . . . . . 1. Atala
2. Taparloka . . . . . . . . . 2. Vitala
3. Janarloka . . . . . . . . . 3. Sutala
4. Maharloka. . . . . . . . . 4. Talātala
5. Svarloka. . . . . . . . . . 5. Mahātala
6. Bhuvarloka. . . . . . . . . 6. Rasātala
7. Bhūrloka. . . . . . . . . . 7. Pātāla

Si racconta su Nārada, uno dei grandi saggi, una pittoresca storia che incarna una profonda verità. Una volta egli visitò "queste regioni," e al suo ritorno sulla terra ne fece un "entusiastico racconto," affermando che, sotto certi aspetti, erano molto più ricolme delle delizie del cielo di Indra, e che abbondavano di lussi e di piaceri sensuali. Ciò mostra chiaramente che questi tala e i loro corrispondenti loka sono semplicemente le sfere materiali o quasi eteree che riempiono lo Spazio cosmico, mentre i loka e i tala più elevati sono puramente spirituali. I primi, materiali, appartengono ai mondi rūpa o "con forma," gli altri, spirituali, sono le sfere arūpa o "senza forma."

Tutti questi loka e tala gerarchici, inestricabilmente intrecciati dall' "eternità" manvantarica, non sono "creati" in alcun senso né sono il prodotto del caso né sono limitati nella forma manvantarica o spazio — se non nella misura in cui sono radunati insieme in universi differenti o corpi cosmici gerarchici aggregati. Non sono separati l'uno dall'altro, ma attraverso tutto il manvantara cosmico sono intrecciati e contenuti nell'infinitudine circondante. Questa infinitudine non è "vuoto" né è priva di vita ed intelligenza, ma ciascuno di tali universi aggregati è uno degli innumerevoli eserciti dell'universo che include il tutto universale ed illimitato.

I passaggi come quello di sopra, dove si allude all'Infinitudine onnicomprensiva, o al divino che tutto abbraccia e tutto permea, non significano che il divino è solo l'aggregato di universi manifestati e che non li trascende.

La Filosofia Esoterica è di carattere distintamente panteistico secondo la propria interpretazione di questa parola, che significa non solo che il divino, cosmicamente parlando, permea sempre attraverso il tutto nella durata, ma trascende anche tutti gli aggregati manifestati degli universi e, di conseguenza, è quindi superiore a tutti loro, essendo l'ineffabile sorgente e l'origine di tutti gli esseri ed entità e cose di qualunque sorta, e la meta finale a cui tutto ritornerà.

L'idea, sia pure in maniera microcosmica, è bene espressa da Krishna nel famoso trattato hindu la Bhagavad-Gītā, dove questa manifestazione del Logos Cosmico parla della divinità, di cui egli è un esemplare avatārico, in questi termini: "Io stabilisco tutto questo universo illimitato con parti di me stesso, e tuttavia resto separato e al di sopra di tutto." (10: 42)

Il significato panteistico, quindi, non è che ogni tronco o pietra è "Dio," che è una distorsione ridicola del significato originario, ma che nello spazio illimitato e nella durata senza fine niente è essenzialmente diverso dal Divino eterno, e che questo Divino eterno contiene, e ne è la sorgente essenziale, tutto ciò che è minuto, come pure ciò che è il più grande, e tuttavia li trascende tutti.

Inoltre, è insegnato che queste numerose gerarchie di loka e tala, o degli equivalenti mondi, piani, ecc., vengono in esistenza per un processo di evoluzione emanativa, il più elevato che manifesta l'elevato, e l'elevato che manifesta l'inferiore, e l'inferiore che a sua volta manifesta il più basso, finché una tipica gerarchia universale è evoluta emanativamente nell'essere per il manvantara cosmico in cui allora e in quel modo si esprime.

Questo processo è una parte fondamentale dell'insegnamento delle grandi religioni e filosofie della penisola Indiana, della Cina, Babilonia, Persia, Egitto, e di almeno molte delle grandi scuole filosofiche dell'antica Grecia e Roma, come gli Stoici, le scuole Platoniche e Neoplatoniche — poiché tutti questi diversi sistemi sono "figli" della religione-saggezza dell'antichità, una volta universalmente diffusa.

Quindi, se compresi appropriatamente, i vari cieli ed inferni degli antichi sistemi religiosi sono veramente forme popolari per affermare che l'universo è composto da sfere o mondi o globi di spirito, e di materia più o meno densa. Poiché le antiche religioni e filosofie, anche nei loro periodi degenerati, conservavano ancora le persistenti memorie del loro originale insegnamento esoterico, il riconoscimento del fatto che vi siano stati o condizioni di beatitudine e di retribuzione punitiva, come il devachan e l'avīci, questi stati o condizioni sono stati confusi per ere con il fatto più fondamentale della struttura gerarchica dei mondi spirituali e materiali, ecc. Nello studiare questo soggetto, quindi, dobbiamo chiaramente distinguere tra gli stati o condizioni degli esseri peregrinanti attraverso questi mondi, ecc., e gli stessi mondi, piani, e sfere.

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Durante gli ultimi quindici o sedici secoli, di volta in volta sono nate delle strane idee, che per un periodo prevalsero nei paesi occidentali, riguardanti la natura dell'unico cielo comunemente accettato, che si pensava durasse attraverso tutta l'eternità del tempo. Ad esempio, le idee di un secolo fa o due, erano nel senso che prima che l'universo fosse creato dal fiat divino del possente Iddio, non esisteva nulla di nessun tipo tranne il Dio infinito. Egli non era materia, Egli era uno spirito. Nessuno sapeva con precisione che spirito fosse, ma l'insegnamento stabiliva che "Dio era uno spirito," e si riteneva comunemente che il Cielo fosse la dimora di Dio e dei suoi ministri o angeli inerti. In verità, anche questi angeli erano stati creati da Dio.

Allora, in un tempo indefinito, presumibilmente dopo che Dio aveva prodotto la terra e tutto ciò che essa contiene — fu creato l'Inferno, che divenne la dimora del'angelo caduto, in seguito chiamato Satana, e anche degli angeli che si ribellarono insieme al loro capo e lo seguirono nella sua caduta dal Cielo, entrando in questo contenitore che esiste in qualche punto dello spazio — presumibilmente un ricettacolo "spirituale" o una cavità della natura — chiamato Inferno. Lì il diavolo, e sopra i suoi angeli; e questo era anche il destino di tutte le anime umane malvagie che non erano state salvate da questo fato, nel modo in cui ce l'ha insegnato la teologia popolare.

I teologi di quel periodo avevano idee definite su tutti questi soggetti. Era stato tutto elaborato in parte dagli ebrei e dai Testamenti cristiani, e in parte da ciò che i teologi vissuti precedentemente avevano concepito ed insegnato per il loro profitto personale. Essi sapevano anche con precisione, almeno alcuni di loro, quando l'universo, che per loro erano il Cielo, l'Inferno e la terra, come pure le sfere cristalline che circondavano la terra ed erano costellate dai luminari celesti collocati lì per il diletto e l'edificazione da parte del Dio Possente — si, questi vecchi teologi sapevano addirittura quando tutto questo fu creato: l'anno, il mese, il giorno, e l'ora!

Il semplice fatto che oggi la maggior parte di noi non crede più a queste superstizioni è, in stesso, una buona cosa; d'altro lato, il fatto che noi siamo andati troppo lontani nella direzione opposta implicando un rifiuto quasi universale della giustizia retributiva di ogni sorta è fondamentalmente un errore, perché è contro ciò che esiste nella natura stessa. Lo sguardo che vede e comprende dappertutto osserva gli effetti corrispondenti che seguono alle cause che sono state messe in moto; e la retribuzione non è altro che questo, nella vita attuale o in una successiva vita sulla terra; le loro conseguenze sono percepite anche nella condizione devacianica e, nel peggiore dei casi, in avīci.

Le religioni più antiche non parlano di un solo cielo. I cieli di solito sono elencati come nove, a volte sette, ecc. La stessa osservazione si applica agli inferni di questi antichi sistemi. Inoltre, si pensava che quelli che dimoravano in questi cieli ed inferni vi trascorressero un periodo la cui lunghezza si supponeva che dipendesse dall'energia originaria dei pensieri e delle azioni causali di coloro che si trovavano in una condizione o nell'altra.

Peraltro, questi cieli ed inferni, oltre ad essere luoghi permanenti, non erano in nessun caso considerati come sedi o località in cui le anime disincarnate si trovavano a causa di un decreto divino, in cui essi stessi non avevano nessun ruolo se non quello di essere vittime disperate e prive di scelta. Nessuna divinità esterna diceva all'ego disincarnato: "Anima, tu hai vissuto una vita magnanima di azioni oneste e spirituali durante il tuo soggiorno sulla terra. Vieni da questa parte, nel cielo, e riposa qui in pace e in una beatitudine eterna." O, equivalentemente: "Anima, durante il tuo soggiorno sulla terra hai vissuto una vita di degradazione volontaria e di peccati perversi. Vai laggiù nell'inferno, e resta lì nei tormenti eterni." Questi supposti ordini di una divinità extracosmica sono semplicemente sogni di menti non iniziate.

Nelle religioni arcaiche si riteneva che le "anime" disincarnate avessero ottenuto i cieli o gli inferni a causa del merito o demerito di cui esse stesse erano responsabili quando vivevano la loro esistenza terrena. Così, per gli antichi popoli i cieli non erano luoghi di beatitudine eterna, né gli inferni erano luoghi di un tormento eterno. In ogni caso, gli esseri entravano in questi luoghi per un periodo, come una fase necessaria nel meraviglioso viaggio post-mortem dell'anima. La nostra vita sulla terra, come insegnavano quei saggi filosofi antichi, non è che una fase temporanea o ciclica. Dal loro punto di vista era come fermarsi in una locanda per un giorno e una notte, come i poeti hanno così spesso cantato. Veniamo su questa terra dai mondi invisibili; viviamo qui per un periodo, e poi passiamo ad altre fasi nelle sfere invisibili, seguendo i corsi delle nostre peregrinazioni — tutta una parte della meravigliosa avventura della vita.

Ugualmente, i cieli e gli inferni, essendo considerati solo temporaneamente, erano quindi destinati a passare e a svanire quando l'universo in cui sono erano vissuti aveva completato il suo percorso di manifestazione evolutiva, e tutte le cose rientravano nella sostanza del Divino, da cui erano state emanativamente evolute all'inizio delle cose stesse.

Così, nel più vasto processo del mondo le cause prime discendono negli elementi, e gli elementi nei corpi, poi i corpi si sciolgono ancora negli elementi, e gli elementi nelle cause prime. — Giovanni Scoto Eriugena, La Divisione della Natura, 696 B

Quindi, anche negli scritti di un teologo-filosofo cristiano Naoplatonico del Medioevo si può trovare una chiara eco degli insegnamenti arcaici dell'evoluzione seriale o la manifestazione dell'universo, e il suo ritorno finale alla propria divina sorgente primordiale. Tuttavia, bisogna ricordare che l'opera di Eriugena fu formalmente condannata dalla Chiesa ufficiale e messa all'Indice nel tredicesimo secolo, sebbene avesse dominato tutto il pensiero cristiano del Medioevo per più di due secoli.

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Parte 2

Alcune delle idee relative ai cieli e agli inferni delle diverse popolazioni della terra sono alquanto pittoresche. I Guaycurù, gli indiani del Sudamerica settentrionale, collocavano il loro cielo sulla luna; ed era sulla luna che i loro grandi eroi e saggi andavano per un periodo dopo la morte fisica, per poi ritornare sulla terra. Gli indiani Saliva, anch'essi del Sudamerica settentrionale, pensavano che il cielo fosse un luogo dove non c'erano affatto zanzare!

Altri popoli coltivarono le loro strane idee. Qualcuno aveva collocato l'inferno nel sole, una località piuttosto favorita nell'immaginazione di alcuni scrittori inglesi di non tanto tempo fa — indubbiamente dovuto a quelle che allora erano le nuove idee astronomiche che consideravano il sole una sfera in combustione ignea. Accadde anche che il cielo, nell'idea di alcuni popoli, fosse localizzato nel sole; in generale, esso era comunque collocato in qualche parte sconosciuta dell' empireo blu.

Inoltre, tutti gli inferni della leggenda e della storia non sono luoghi di sofferenza o tormento; alcuni sono descritti come luoghi di piacere o di relativa bellezza, come la nostra terra lo è per noi. Questo era l'insegnamento comune nei periodi medievali europei; ed era pure il tema letterario di Dante che nella Divina Commedia divide il suo Inferno in nove livelli di terribili pene sempre in aumento — e questi cerchi infernali egli li localizza verso il centro della terra. Al di sopra del suo Inferno, descrive sette cornici del suo Purgatorio che, con la Salita dal Purgatorio e il Paradiso Terrestre che segue le cosiddette regioni più elevate del Purgatorio, fanno nove cornici o sfere intermedie o, se preferite, inferni superiori. Poi, ancora più eteree e più remotamente distaccate dalle sue regioni infernali, vengono le nove sfere o mondi del "cielo," che sono ricoperte dall'Empireo, dove dimorano Dio e i suoi angeli ministri con la numerosa compagnia del Benedetto. Questo sistema gerarchico che comprende gli inferni, le regioni del Purgatorio, e le regioni del Cielo, è basato sugli antichi ma travisati insegnamenti greci derivanti dalla scuola Neoplatonica nelle speculazioni teologiche cristiane, principalmente attraverso gli scritti dello pseudo Dionigi l'Areopagita.

Secondo l'Iliade di Omero, che rappresentava in senso mistico la Bibbia dei greci, e alla quale essi si riferivano per il vero significato dei loro insegnamenti mitologici — come i cristiani usavano riferirsi al Nuovo e all'Antico Testamento per il reale significato delle dottrine teologiche cristiane — troviamo quattro fasi basilari della gerarchia cosmica: l'Olimpo o cielo; la Terra; l'Ade o il mondo dell'oltretomba, che spesso si supponeva fosse al centro della Terra; e l'oscuro Tartaro, il più basso di tutti, dove i Titani che si erano ribellati contro Zeus, padre degli dèi e degli uomini, furono scagliati ed imprigionati, tenuti in catene fino al loro affrancamento e libertà in un tempo futuro.

È evidente che il Tartaro, in questa mitologia, rappresenta i mondi elementali, dove le forze titaniche della natura manifestata erano imprigionate nei rigidi ceppi di quella che popolarmente è chiamata "legge." Una volta liberate, queste terribili forze seminavano la devastazione sulla terra; e così, in verità, i greci intendevano il significato segreto di questa parte della mitologia. Quindi, essi ritenevano che i Titani imprigionati producessero con i loro movimenti nel Tartaro i terremoti, i maremoti ed altri fenomeni, quando le terribili forze della natura sembravano momentaneamente liberate.

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È ai mondi celestiali o a quelli infernali che si riferiscono tanti passaggi nelle antiche letterature, quando parlano di sentieri verso gli dèi o verso i "demoni." Così nel Mahābhārata:

Due sentieri sono conosciuti: uno porta agli dèi, e l'altro porta ai padri: — XII, śloka 525
Si dice che il sole sia il cancello dei sentieri che portano ai padri. — XIII, śloka 1082

Nella religione dell'antico Indostan, per "padri" si intendono quelli che i cristiani chiamano "spiriti dipartiti," mentre "dèi" si riferisce allo stesso significato dato dagli antichi greci e romani quando parlavano delle divinità, molte delle quali erano "uomini resi perfetti" — cioè esseri divini che da lungo tempo avevano attraversato lo stadio umano e che ora avevano ottenuto la divinità, diventando uno con il proprio dio interiore. I mondi superiori dei mondi celestiali sono quindi le regioni degli dèi; mentre i mondi inferiori o materiali sono il dominio dei "demoni" — in altre parole, delle entità il cui karma o destino li ha condotti in sfere e piani più grossolanamente materiali della nostra terra.

Gli antichi Misteri, come quelli dei greci, contenevano insegnamenti identici a quelli sono stati sottolineati sopra. Il vero e proprio tentativo degli antichi riti e cerimonie iniziatiche della Grecia arcaica era di portare la coscienza umana a riconoscere la sua inseparabile unità con la natura universale, e l'essenziale sovranità dell'uomo con gli dèi.

"Il proposito e l'obiettivo di tutta l'iniziazione," disse Sallustio, il filosofo Neoplatonico, "è di portare l'uomo alla realizzazione cosciente della sua inseparabile unità con l'ordine dell'Universo e con gli dèi (Sugli Dèi e il Mondo, cap. IV). Proclo, un altro filosofo Neoplatonico di un periodo successivo, dice praticamente la stessa cosa nel suo Commentario sul Timeo. In sostanza, scrive:

Chi non sa che i Misteri e tutte le iniziazioni hanno come unico scopo di far recedere l'anima dalla vita materiale e mortale, per unirci agli dèi, e dissipare l'oscurità nell'anima diffondendo la luce divina?

Questi antichi insegnamenti greci e metodi iniziatici erano sostanzialmente identici alle dottrine impartite e ai sistemi praticati in Estremo Oriente, perché originariamente derivavano tutti dalla religione-saggezza della remota antichità. Naturalmente la fraseologia si diversificava in differenti paesi ma i pensieri radicali erano universalmente gli stessi. Il sentiero che porta agli "dèi" o ai "padri," di cui parlano gli hindu, è solo un modo di esprimere le attività delle anime umane che evolvono, da un lato proiettandole sul sentiero che porta agli dèi e, dall'altro, nel sentiero che porta ai regni inferiori. Questi sentieri sono gli stessi delle circolazioni dell'universo, che saranno trattate in altre parti del presente libro.

Viene in mente un bel passaggio del Neoplatonico Plotino, che i suoi contemporanei chiamarono Theiothatos, che significa "il più divino." La sostanza delle sue idee è che vi sono vaste regioni molto diversificate aperte all'anima che si diparte. La legge della divinità è inevitabile, e nessuno può in alcun modo sfuggire al dolore e all'angoscia derivanti dall'aver compiuto cattive azioni. L'anima macchiata è abbandonata al suo destino, per così dire, senza che ne sia cosciente, guidata sempre dagli impulsi inerenti alle azioni malsane del passato, e così continuerà, finché l'anima, esausta e tormentata, trova il suo luogo adatto e perviene al suo destino che non cercò mai consapevolmente, ma che riceve attraverso l'irruenza della propria volontà. La natura prepara così la lunghezza e l'intensità della pena, e regola anche la fine delle punizioni e dona all'anima la capacità di risorgere dai luoghi di sofferenza che può raggiungere; e questo avviene attraverso l'armonia divina che permea il piano universale. Le anime che sono attratte verso il corpo vi sono attirate per punizione, mentre le anime più nobili che sono più limpide e che non hanno quasi alcuna attrazione verso il corpo sono quindi fuori dalle attrazioni delle sfere materiali; e lì dove c'è l'essenza divina, il divino del divino e la verità stessa, lì una simile anima liberata si ritrova. (Enneadi, "Sull'Anima," IV, iii, 24).

Il pensiero Neoplatonico, che per certi versi è il fior fiore degli insegnamenti di Platone, sta ritornando nelle menti dei mistici moderni come pure dei metafisici. Gli uomini riflessivi oggi non esitano a riconoscere il loro debito spirituale ed intellettuale a questo pensiero, ed in particolare a Plotino, uno degli ultimi rappresentanti durante il periodo dell'Impero Romano. Il filosofo e clericale inglese Dean Inge, scrive di Plotino quanto segue:

Nessun'altra guida si avvicina mai a Plotino per il potere, l'intuito, e la profonda comprensione spirituale. Mi sono immerso nei suoi scritti e ho tentato non solo di capirli come uno potrebbe comprendere qualsiasi altro sistema, ma di prenderli come guida per un vivere e un pensare giusti.. . . egli insiste che solo i beni spirituali sono reali; demonetizza completamente la valuta del mondo più degli stessi Vangeli. . . . Ho vissuto con lui quasi per trent'anni e non l'ho ricercato invano nella prosperità o nell'avversità. — citato in The Essence of Plotinus, di MacKenna, 1934, p. xvi

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L'idea fondamentale sottostante al soggetto dei "cieli" e degli "inferni" è che l'universo, riempito da entità in tutti i gradi evolutivi della sua struttura gerarchica, esiste su molti piani cosmici: in altre parole, contiene un vasto numero di mondi e sfere, ciascuno pieno di vite, che gli scienziati di oggi chiamano energia o forze.

Non vi sono frontiere assolute o linee divisorie tra mondo e mondo o sfera e sfera; in realtà, non ci sono "assoluti" di qualche tipo nella natura universale, per cui, complessivamente, non abbiamo nessun luogo di partenza, nessun inizio e nessuna fine delle divisioni interconnesse del cosmo. Esistono inizi e conclusioni del corso, ma si riferiscono alle divisioni cosmiche, e quindi sono relativi alle entità evolventi che concepiscono questi punti o fasi di congiuntura come "inizi" e "termini." Così ci è naturalmente impossibile separarci da qualsiasi entità del Tutto, che sia un globo, una sfera, una gerarchia, o qualsiasi altra cosa.

Leibniz, che contemporaneamente ad Isacco Newton perfezionò la filosofia e la meccanica del calcolo differenziale, afferma abbastanza fedelmente lo stesso concetto di una natura organica come organismo vivente, che si manifesta in gerarchie interconnesse formando così un continuum infinito dell'Essere:

Tutte le divisioni [o classi] naturali del Mondo mostrano una sola concatenazione degli esseri, in cui tutte le varie classi [ordini] di creature viventi, come tanti legami, sono così perfettamente intrecciate, che è impossibile stabilire, sia con l'immaginazione che con l'osservazione, l'inizio e la fine di chiunque. . . .
Ogni cosa in Natura avanza per fasi [gradi] e questa legge di progresso, che si applica a ciascun individuo, fa parte della mia teoria di una successione ininterrotta.

Essendo quindi l'universo un organismo composito, formato ad un polo dallo spirito cosmico, e all'altro polo dallo spirito concretizzato o cristallizzato che noi chiamiamo materia, e da tutti i loro gradi intermedi — il più elevato dei piani o mondi o gerarchie fornisce la sostanza dell'arcaico pensiero originario sottostante agli insegnamenti riguardanti i cieli, che solitamente sono enumerati come sette, nove, dieci, o anche dodici. Equivalentemente, gli inferni erano queste sfere o mondi di materia grossolana, anch'essi pieni di vite, e quindi, parimenti ai mondi dello spirito, erano i teatri o gli scenari dell'azione e dell'interazione delle forze e sostanze che li compongono. Questi mondi interni ed invisibili sono le sfere attraverso le quali l'entità umana, e anche le entità su altri pianeti — esseri autocoscienti equivalenti agli uomini — passano dopo la morte, prendendo la direzione "superiore" o "inferiore" in quanto seguono il corso degli effetti causali messi in moto durante l'ultima vita o incarnazione. Quando il corpo fisico muore, immediatamente la parte più elevata dell'uomo svanisce da questo piano fisico, perché lo strumento o corpo che la sosteneva qui e la rendeva capace di funzionare su questo piano materiale, è estirpato dalla costituzione umana e alla fine si dissolve nei suoi componenti elementi chimici. È come se uno rompesse uno strumento telegrafico: i messaggi non possono più pervenire dall'altra estremità, perché il ricevitore è distrutto.

Alla morte, il corpo fisico è abbandonato come un vecchio indumento consumato — e qui il riferimento non è valido nei casi di morte accidentale o suicidio, perché, sebbene nel tempo prevalga la regola generale, la rottura del filo d'oro della vitalità apporta una serie intermedia di condizioni che necessitano esse stesse di un trattamento. Anche il corpo vitale-astrale, che è un po' più etereo del corpo fisico, alla morte si separa. Si decompone o si dissolve e quindi svanisce al momento debito, durando poco più di quanto faccia il cadavere fisico. Ma la parte più raffinata dell'uomo che fu abbandona il veicolo fisico nell'istante in cui il "filo d'oro della vita" si spezza. È libera, e adesso rientra per gradi nella monade spirituale dell'essere umano che era sulla terra; e in seno alla monade tutta questa nobilissima parte dell'uomo essenziale si ferma nei piani superiori del cosmo interno ed invisibile, nella pace e nell'indicibile beatitudine della condizione devacianica, finché verrà nuovamente il momento in cui la natura la richiamerà per una nuova apparizione sulla terra attraverso la reincarnazione.

Ma cosa succede a quella parte intermedia, l'anima umana, la parte che manifesta semplicemente l'amore e l'odio, le attrazioni e le repulsioni umane, e gli ordinari fenomeni psichici, mentali ed emotivi, dell'essere umano? Quando la morte sopraggiunge dopo il ritiro della parte più raffinata dell'uomo, la natura intermedia umana cade subito nel sonno e dorme un sonno senza sogni di durata più breve o più lunga. Quindi, poiché la parte superiore di questa natura intermedia dell'anima umana è la radiosità riflessa su di essa dallo spirito monadico — che ora è ritornata a se stessa e che è la parte più nobile dell'uomo che fu — questa radiosità è, di conseguenza, attratta sempre più fortemente, col passare del tempo, verso la propria sorgente, lo spirito cosmico che la emanò, e alla fine si ricongiunge con lui. Questa radiosità dello spirito è l'ego reincarnante, e seguendo nel suo post-mortem il ricongiungimento con il proprio spirito, entra nel suo periodo devacianico. Ma poiché questa parte superiore della natura intermedia è una radiosità dello spirito e non lo spirito stesso, e poiché la radiosità ha in sé elementi di semplice umanità, invece di essere puramente divina com'è il suo genitore — lo spirito monadico — ha bisogno di purificarsi, di mondarsi di questi attributi inferiori o semplicemente umani prima di poter entrare nella beatitudine devacianica assoluta e pura, dove nessun elemento soltanto umano che contiene l'imperfezione, può ovviamente entrare.

Com'è che si purifica o si monda? Essa ascende attraverso le sfere delle parti interne ed invisibili della natura. Se l'ultima vita sulla terra è stata nobile e buona, le sfere verso le quali è attratto l'ego disincarnato sono quelle altamente eteree, in cui, nella condizione devacianica, egli sperimenta una relativa felicità, pace e beatitudine. Ma prima di poter entrare in questa condizione devacianica, egli deve necessariamente attraversare i vari stadi del kāmaloka, dove in ciascuna delle fasi ascendenti, man mano che s'innalza verso la condizione devacianica, getta via o purifica quei particolari attributi umani ed imperfetti che sono appropriati e corrispondono a questi rispettivi gradi seriali del kāmaloka durante "l'ascesa." Infine, s'immerge nello stato di coscienza che è il più basso della serie dei gradi devacianici, e trova il suo punto di sosta o stadio di più lunga durata devacianica nella particolare condizione devacianica alla quale è karmicamente assegnato.

In ognuna di quelle sfere o mondi questa parte migliore dell'anima umana rimane per un periodo, e poi abbandona quello stadio per uno stadio ancora più elevato perchè la forza d'attrazione più o meno potente è la causa della lunghezza di tempo trascorsa in ciascun grado invisibile dei diversi mondi. Infine, ottiene il ricongiungimento — sebbene del tutto inconsciamente — con la sua essenza monadica, e lì dimora per secoli finché le sue innate tendenze naturali la stimolano verso una discesa attraverso le stesse sfere per una nuova incarnazione sulla terra.

Ma se, al contrario, la sua vita sulla terra è stata così piena di egoismo, da vivere una vita grossolana e densamente materiale, che accade allora? La sua attrazione inizia immediatamente a spingerla verso sfere sempre più basse, una dopo l'altra, dove passa un periodo più o meno esteso, che dipende dalla forza delle attrazioni che l'hanno portata lì, finché le energie originariamente messe in moto si esauriscono. Poi, qualunque cosa resti dopo questo processo di purificazione, diventa idonea, come l'oro purificato nel fuoco, a riprendere il suo viaggio verso il ricongiungimento con il proprio sole, il suo Sé spirituale.

Ora, queste particolari sfere o mondi verso cui l'ego reincarnante è attratto non sono decisamente cieli o inferni di per sé, come questi termini sono stati comunemente male interpretati, ma sono parti integranti della struttura gerarchica dell'universo che, per il loro carattere spirituale ed etereo da un lato, e il loro carattere materiale dall'altro, forniscono il luogo e l'ambiente verso cui l'ego disincarnato è attratto a causa della sua tendenza verso uno o l'altro tipo di esistenza.

La nostra terra, tecnicamente parlando, anticamente fu sempre considerata come uno degli inferni, perché è un globo di materia più o meno densa e grezza. Ma il nostro pianeta terra non è in alcun modo l'habitat più materiale degli esseri umani coscienti che si trovano nel sistema solare, perché vi sono molti pianeti dei mondi planetari nel nostro sistema solare, alcuni dei quali a noi invisibili, che sono molto più densi e grossolani della nostra terra. Non è né il peggio né il migliore di tutti i mondi possibili ma è un bell'esempio di un mondo di carattere intermedio, perché nella sua evoluzione sia il bene che il male sono abbastanza equamente mescolati nei "Crateri del Destino."

In riferimento al quadro strutturale dell'universo, potrebbe essere interessante mostrare una serie di corrispondenze tra i loka e i tala inseparabilmente intrecciati e il campo gerarchico dei tattva.

Tattva è un composto sanscrito che può essere tradotto come "quiddità," che corrisponde esattamente al quidditas del tardo Latino scolastico o medievale, per cui l'effettivo significato del termine tattva è la base energica e sostanziale di tutti i suoi derivati nel corso dell'espansione evolutiva della natura, e quindi corrisponde con una precisione relativamente accurata ai termini "principio" o "elemento." I tattva sono dunque i principi o elementi universali dai quali è costruito l'universo.

Così i tattva e i corrispondenti loka e tala sono essenzialmente identità virtuali, poiché le tre diverse serie sono le realtà sostanziali ed elementali del cosmo, viste sotto diversi aspetti; anche i loka e i tala sono le rispettive manifestazioni dei loro tattva corrispondenti, quando i tattva sono considerati in uno sviluppo evoluto o gerarchico. I tattva danno origine agli altri.

Vi sono sette tattva cosmici che si riproducono ripetutamente in tutti i ranghi delle gerarchie cosmiche poiché si dispiegano o evolvono durante il processo della costruzione del mondo, e queste gerarchie, considerate come mondi o sfere o piani strutturalmente organizzati sono, di fatto, i loka e i tala inseparabilmente congiunti ed interconnessi. Quindi, poiché vi sono sette tattva cosmici o elementi-principio cosmici, vi sono ugualmente i sette loka e tala gerarchici corrispondenti e per sempre interagenti ed interconnessi, ciascuna coppia di loka e tala corrispondente al tattva cosmico da cui scaturirono originariamente e che è il principio o elemento cosmico dominante in esso. Le tre serie sono ora elencate in corrispondenza reciproca e nell'ordine della loro espansione o evoluzione cosmica:

1. Ādi-tattva che procede dal Primo Logos
2. Anupapādaka-tattva che procede dal Secondo Logos
3. Ākāśa-tattva che procede dal Terzo Logos
4. Vāyu-tattva
5. Taijasa-tattva
6. Āpas-tattva
7. Pṛithivī-tattva
 
1. Satyaloka .. . . . . . . . . 1. Atala
2. Taparloka . . . . . . . . . 2. Vitala
3. Janarloka . . . . . . . . . 3. Sutala
4. Maharloka. . . . . . . . . 4. Talātala
5. Svarloka. . . . . . . . . . 5. Mahātala
6. Bhuvarloka. . . . . . . . . 6. Rasātala
7. Bhūrloka. . . . . . . . . . 7. Pātāla

Un punto importante è che, cominciando dal primo o ādi-tattva, il secondo o anupapādaka emana o scaturisce da esso pur mantenendo una certa porzione del primo tattva nella propria sostanza ed aggregato di forze; dal secondo tattva emana il terzo in un ordine seriale che contiene non solo il proprio svabhāva o forze e sostanze caratteristiche, ma contiene anche una porzione del suo genitore, il secondo tattva cosmico e il tattva del suo nonno cosmico, e questo fino all'ultimo, il settimo. Una volta che questo percorso di emanazione gerarchica è completato, l'universo vive per ere nella pienezza delle sue attività incredibilmente grandiose. Quando si avvicina il periodo del pralaya cosmico, l'intero processo che ha avuto luogo nell'evolvere l'universo ora entra nella procedura inversa di ripiegarsi o involversi, cominciando dal settimo, il più basso, che è il primo ad essere "irradiato" nel successivo tattva che così raccoglie dentro di sé il più basso. Allora il processo si ripete con il tattva cosmico superiore immediatamente successivo, in cui entrano i "semi" o i "germi" dormenti del tattva cosmico già involuto, e così l'intero processo involutivo continua finché tutti i tattva inferiori sono attratti nel supremo tattva cosmico originante. Allora il manvantara dell'universo è terminato, e sopraggiunge il riposo del lungo periodo cosmico fino al momento in cui arriva il successivo manvantara cosmico, quando ogni cosa è nuovamente emanata su una serie di piani alquanto superiori.

Quanto prima era anche l'insegnamento degli Stoici, come pure della Bibbia Giudeo-Cristiana dove si fa riferimento al dramma cosmico della dissoluzione dell'universo. Ad esempio:

E tutti gli eserciti del cielo saranno dissolti, e i cieli si arrotoleranno come una pergamena. — Isaia 34:4
E il cielo si ritirò come una pergamena quando si riavvolge. — Apocalisse 6: 14

C'è un altro insegnamento dell'antica saggezza che è difficile da comprendere: è quello del nirvāṇa. Il nirvāṇa non è un cielo, non è una sfera cosmica o mondo o piano, è totalmente e assolutamente una condizione o stato sperimentato dalla coscienza. È lo stato della coscienza dell'anima spirituale quando è svanito tutto il senso della personalità limitante, o anche dell'imperfetta individualità egoica, per cui non rimane altro che la coscienza illimitata del sé spirituale essenziale, che è l'essenza indivisibile ed ineffabile dell'essere umano — l'Individualità divino-spirituale; è la pura coscienza monadica. È l'unione del dio interiore con l'anima spirituale in evoluzione, per cui la sua coscienza diventa allora cosmica, gerarchicamente parlando, nelle estensioni senza limiti di quella particolare gerarchia cosmica.

Per quanto riguarda il problema dell'identità o della non-identità dello spirito individuale, quand'è considerato una monade con lo spirito cosmico, la Tradizione Esoterica insegna l'identità di tutte le "anime" con la superanima, o di tutte le monadi con la Monade Cosmica, ma quest'identità non significa una perdita dell'individualità di qualsiasi "anima" subordinata o monade. Le belle parole con cui Sir Edwin Arnold nel suo Luce dell'Asia incarna l'antico insegnamento buddhista rendono correttamente l'idea: "La goccia di rugiada scivola nel Mare risplendente." La mente occidentale potrebbe percepire che la goccia che scivola nel mare soffra una perdita della sua individualità, perché siamo abituati a pensare in termini meccanici e di sostanza materiale. Effettivamente, il fondersi della goccia o monade nel mare risplendente significa che essa si immerge nell'immensità cosmica per riacquisire la sua più intima dimensione cosmica della coscienza virtualmente illimitata, conservando nel frattempo, sotto forma di un seme per il futuro, la propria individualità monadica. Quando riemerge nella manifestazione, lo farà come una rinascita dell'individualità cosmica che era prima, più l'esperienza dei risvegli della coscienza chiamati esperienza, che aveva incamerato durante le sue precedenti peregrinazioni.

Plotino, nel suo saggio "Sui Problemi dell'Anima," si riferisce a questo ricongiungimento dell'individuale con il Divino Cosmico. Sintetizzando:

Delle questioni inerenti alla terra non si verrà a capo di nulla, per il motivo che quella memoria, che significa un passaggio del pensiero di cosa in cosa, rimane sospesa, e di conseguenza non può esserci una memoria limitata nel Mondo Spirituale. In verità, non rimarrà nemmeno un ricordo dell'individuo come individuo, cioè nessun pensiero in cui il sé individuale è il contemplatore, perché questo implica un limite. . . . . Quando lo spirito è nel Mondo Spirituale, entra necessariamente nella completa unità per il tempo che è con la Mente della Divinità, e questo avviene per la sua unità con esso, poiché quest'unione determina l'abolizione di tutti gli intervalli della coscienza che gli uomini chiamano funzioni ed elaborazioni della memoria. Lo spirito individuale è in completa unità armoniosa con il Divino, e in questa unione diventa temporaneamente uno con il Divino — ma non è del tutto annientato, perché i due sono essenzialmente uno; e tuttavia, poiché sono due, essi rimagono due. — Enneadi, IV, iv, 1-2

Plotino, con tutta la sua notevole capacità spirituale ed intellettuale e la comprensione del soggetto, riecheggiava l'antica saggezza, e quindi parlava agli uomini del suo tempo in un linguaggio filosofico che essi potevano comprendere. Il punto è questo: quando l'essere umano individuale ottiene "la completa unità in armonia con il Divino," questo non significa che egli trascende completamente dalla sfera della propria costituzione ed entra in una coscienza esterna in nessun modo diversa dalla sua coscienza superiore, tranne forse nel senso di un'intensità più ampia e profonda. Il vero significato è che la sua "parte superiore" è identica in essenza con il Divino, e lo è stata dall'eternità, e lo sarà sempre; il significato importante di questo pensiero è che la parte superiore dell'uomo è già nello stato nirvāṇico. È il dhyāni-buddha in lui.

Ciò evidenzia chiaramente l'inseparabile unità della coscienza superiore dell'uomo con la coscienza dell'universo, il Divino. D'altro canto, le parti inferiori della costituzione composita dell'uomo "affondano" nella materialità — la ragione per cui l'uomo può avere contatto con i mondi materiali e quindi imparare da essi. Nelle sue parti inferiori, egli è parte integrante di questi mondi materiali, come nelle sue parti superiori, che sono raggruppate sotto il termine generalizzante del "dio interiore," la divina monade spirituale. Le sue parti più materiali sono raggruppate sotto il termine generalizzante di "personalità," una parola derivante dal Latino persona, che significa una maschera attraverso la quale l'attore — il vero uomo — lavora e si esprime. Le porzioni intermedie della costituzione dell'uomo compongono "l'umano superiore" o la monade umana. Così la personalità indica la maschera umana con la quale ci esprimiamo e che è una rete di pensieri e sentimenti intrecciata dai nostri desideri, dalle nostre propensioni e dai nostri pensieri banali. Questa personalità costruisce così intorno a sé una rete del destino. Quindi, quando la personalità è completamente superata, in altre parole: quando la coscienza fondamentale dell'essere umano si eleva al di sopra di questa concretata rete d'illusione e trascende la parte intermedia della costituzione umana, raggiunge lo stato della pura coscienza monadica spirituale, il nirvāṇa. In esso tutta la personalità è svanita nella pura individualità spirituale, in cui la coscienza diventa relativamente universale attraverso la gerarchia cosmica nella quale la monade si muove, vive, ed ha il suo essere. Questo stato o condizione implica quindi una conoscenza pura, genuina, saggezza e beatitudine, e quindi una pace indicibile — stati di coscienza dei quali l'uomo ordinario non ha alcuna concezione, e che egli considera come tipi diversi di coscienza, invece di considerarli sfaccettature della sua coscienza spirituale che è il "gioiello" della nota invocazione tibetana: "Om mani padme hūm" — "In verità, il gioiello nel loto!" — qui loto si riferisce alla costituzione umana in cui vive il gioiello spirituale.

Nel nirvāṇa l'essenza monadica dell'essere umano diventa virtualmente unita alla superanima universale del nostro cosmo. Come dice Plotino:

L'anima dell'uomo non è completamente immersa nel regno della materia, perché qualcosa di essa è incessantemente ed eternamente nel Mondo Spirituale, sebbene quella porzione della nostra anima che è immersa nei regni dei sensi qui sia parzialmente frenata, e si ritrova quindi ad essere intossicata, diventando cieca a ciò che la sua parte elevata mantiene in contemplazione del Divino.  — Enneadi, "La Discesa dell'Anima nei Corpi," IV, viii, 8

Così la coscienza divina dell'uomo è sempre a carattere nirvāṇico; e in questa meravigliosa realtà giace la chiave del mistero esoterico che vi è coinvolto per raggiungere la buddhità dei bodhisattva e tuttavia la continuazione del Buddha nella vita umana come uomo completo e perfetto.

La differenza tra la beatitudine e la saggezza e la pace che ha il nirvāṇī, e la pace e il relativo riposo che ha il devacianī è questa: il nirvāṇī è completamente ed assolutamente Autocosciente, mentre il devacianī, al confronto con la realtà spirituale del nirvāṇī, è in una condizione di "sogno" felice. Il termine "sogno" è alquanto impreciso, né si addice effettivamente all'idea che la condizione del devacianī sia più o meno priva dell'autorealizzazione cosciente della propria felicità, ma semplicemente che, per quanto "spirituale" sia la condizione devacianica, al confronto con quella nirvāṇica è abbastanza illusoria.

Il nirvāṇa è uno stato che può essere ottenuto dagli esseri umani che hanno un potere spirituale raro ed eccezionale ed un'evoluzione, pur essendo nella carne. Gautama Buddha ne è un esempio, come lo sono tutti i buddha umani o mānushya. Śankarāchārya, un grande saggio avatārico dell'India, era un altro esempio di uno che aveva raggiunto il nirvāṇa mentre viveva sulla terra; e gli uomini di capacità spirituale anche minore di questi due possono sperimentare il nirvāṇa in un grado relativamente minore. Ovviamente, un simile stato di suprema grandiosità spirituale è quindi di gran lunga superiore, sia per intensità della coscienza evoluta, sia nella qualità della spiritualità illuminata, allo stato spirituale superiore che è sperimentato da qualche essere anche nel più alto dei cieli.

In direzione opposta al nirvāṇa, c'è l'avīci, che per la sua inerente "malvagità spirituale" è stato a ragione chiamato nirvāṇa-avīci. Tuttavia, avīci è sia uno stato che un mondo o una sfera, cosa che non è il nirvāṇa, perché il nirvāṇa è solo uno stato o condizione; sebbene sia ugualmente vero che poiché il nirvāṇa è lo stato della coscienza di certi esseri, e poiché questi esseri devono avere la loro posizione nello spazio astratto, o località, ne deriva che questi nirvāṇī sono o esistono nei regni spirituali.

Se un essere umano ha attraversato coscientemente una lunga serie di vite molto malvagie, con un "assorbimento" continuamente crescente delle cose materiali da parte dell'anima, questo comporta che la sua coscienza diventa grossolana e materializzata; e il risultato finale delle tremende attrazioni o impulsi materiali così insiti nella fabbrica della sua coscienza è che un simile essere è attratto e sprofonda nell'avīci. È del tutto possibile per un essere umano dal carattere così descritto sperimentare un tale stato di avīci anche mentre vive nel corpo sulla terra.

Quando la coscienza della personalità materiale in un uomo diventa così accentuata, quando quasi tutto il senso o l'intuizione del divino è stato allontanato sia dal cuore che dalla mente, e di conseguenza a ciò l'uomo diventa un espressione incarnata del puro egoismo; quando non rimane nemmeno una scintilla del fuoco divino che coscientemente vibra nella fabbrica intellettuale del suo essere — allora, pur vivendo sulla terra, lo sfortunato uomo è nello stato di avīci.

Inoltre, se gli impulsi verso il basso dell'essere umano già in uno stato di avīci della coscienza continuano a crescere più forti che mai, e il debole legame con il suo sole monadico si spezza, allora, a tempo debito, egli oltrepassa anche le frontiere dell'avīci ed entra nella fatale corrente karmica che lo trascina rapidamente a una finale ed irreversibile disintegrazione della sua composizione psichica. In tal caso, l'infelice entità si dissolve ed è "perduta."

Le particelle della sua natura psichica così disintegrata sono trascinate in basso alla velocità della luce e si congiungono con gli atomi-elementi in quella particolare sorgente madre della natura elementale nella quale il suo svabhāva lo ha attirato. Questo è il caso che la Filosofia Esoterica definisce come "un'anima perduta." Questi esempi di "anime perdute" sono casi fortunatamente rari come sono rari i casi del raggiungimento nirvāṇico sul polo divino-spirituale della coscienza nirvāṇica. In quest'ultimo caso, l'uomo diventa un dio incarnato sulla terra, un nirvāṇī; e nel primo caso l'essere passa anche dallo stato di avīci a quello della materia elementale, dove ciò che rimane della sua costituzione psichica si dissolve nei suoi componenti atomi di vita, che sono frantumati più e più volte nei laboratori alchemici elementali della natura.

Lo stesso avīci, infatti, è sulle frontiere inferiori della "materia assoluta" — materia elementale. Forse è il più vicino all'idea medievale di un inferno fornito dalla natura. Ma per quanto riguarda tutto questo, non è una punizione giudiziale riservata dalla natura a qualche anima sfortunata da una divinità suprema, perché l'entità che prende questo "sentiero della mano sinistra," spesso chiamato il "sentiero lunare," lo fa inizialmente di sua totale spontanea volontà, agendo in base agli impulsi della sua volontà relativamente libera. Realizza il suo pauroso fato come la giusta ed inevitabile conseguenza di cause karmiche, provocate e messe in moto da pensieri malvagi, da desideri egoistici, e da passioni ed appetiti scatenati e sfrenati a carattere materialmente malvagio.

Tuttavia, anche un simile essere sfortunato ha ancora una possibilità di sfuggire al suo terribile fato, veramente molte possibilità, prima di raggiungere la dissoluzione finale. Si dice, in tutta verità, che anche un solo pensiero puro che s'imprime nell'anima, se fatto in tempo, salverà l'essere dalla discesa verso l'annichilimento; in effetti, l'esistenza di un tale pensiero implicherebbe che il legame con il proprio dio interiore non è ancora stato definitivamente spezzato.

Inoltre, mentre l'entità che discende il sentiero che porta ad avīci, e forse oltre, non sperimenta alcuna pena nel senso ordinario, né terribili tormenti inflitti da forze esterne come si suppone avvengano nell'inferno della religione occidentale, nonostante sia costantemente presente il senso di una progressiva diminuzione della coscienza spirituale ed intellettuale, combinata a un'ardente intensità di impulsi malefici concentrati, privi di ogni aspirazione, amore, e speranza. Si dice che questi ultimi circondino la coscienza in disfacimento di questo essere sfortunato con una sofferenza che difficilmente si può descrivere. È una delle esperienze più terrificanti che l'immaginazione umana possa concepire, perché vi è la realizzazione più o meno cosciente, per quanto "in disfacimento" possa essere, dell'abbandono della luce spirituale e della vita, e una crescente consapevolezza dell'imminente dissoluzione di tutta la vita autocosciente. Si può supporre che le grottesche pene dei presunti inferni della terra non possano in alcun modo eguagliare la tortura psichica, mentale ed emozionale, che la consapevolezza di questa realtà deve portare alla coscienza infiacchita e in dissolvimento. Né qualsiasi tormento teatrale di un inferno medievale può eguagliare la tortura del cuore e della mente che una simile entità deve subire nel realizzare che la sua condizione è stata causata dalla sua perversa volontà e dalle sue conseguenti azioni. Quindi, se una tale entità regredisce sempre più, allora ritorna alla sorgente madre della natura materiale dalla quale i suoi atomi di vita furono originariamente attinti, proprio come una goccia di pioggia si dilegua in una fiamma.

In tal caso, la monade, che molto prima che questo evento abbia luogo, ha già spezzato il suo vincolo d'unione con la sfortunata entità in via di estinzione, comincia ad evolvere da se stessa una nuova emanazione psico-spirituale, un nuovo ego umano futuro, che appare così come una "scintilla divina," cominciando il suo lungo viaggio evolutivo attraverso il tempo e lo spazio dalla sua monade genitrice, e destinata nel tempo a ritornare ancora, nelle sue peregrinazioni all'indietro, alla monade genitrice. É vero che questo nuovo raggio emanativo contiene tutto il meglio che c'era nell'entità che è ora "perduta," ma il veicolo intermediario per manifestare questa esperienza spirituale immagazzinata è "perduto," e quindi non può essere più "accumulata" nessuna esperienza finché un altro ego umano sia stato evoluto per formare il nuovo legame tra il raggio monadico e i mondi della materialità. Così può essere perduto il tempo di un intero manvantara.

Comunque, la stessa monade, liberata del suo veicolo ribelle, è relativamente non soggetta ad influenze, tranne che nel senso di uno spaventoso spreco di tempo che in alcuni casi può significare più o meno un intero manvantara. Dal momento in cui la monade avrà di nuovo evoluto da se stessa un veicolo umano attraverso il quale lavorare nei mondi materiali, l'esercito delle entità evolventi alle quali in precedenza era stata unita, è ora di gran lunga in anticipo nel viaggio evolutivo lungo eoni. Tutto è karmico, anche per quanto concerne la stessa monade.

In verità, ci sono inferni e cieli innumerevoli, ma sono semplici condizioni o stati di temporanea compensazione spirituale da un lato, e di temporanea purificazione dall'altro; e in confronto con l'eternità non sono che ciuffi di nuvole fuggitive ed evanescenti sul fianco della montagna. Vengono, durano solo un momento se paragonati all'eternità, e passano. Molto più maestosa di uno qualsiasi di questi cieli, di una qualsiasi di tali sfere o loka di beatitudine e felicità, si erge la grandiosa visione della crescita infinità delle facoltà e dei poteri, e dell'opportunità senza limiti di lavorare per il mondo.


Capitolo 12

La Reincarnazione com'é stata Insegnata
attraverso le Ere

Parte 1

La dottrina generale della reincarnazione o rinascita è una delle più diffuse sulla terra, ed è anche una delle più antiche credenze che siano mai state distribuite in formulazioni sistematiche. È stata insegnata nelle sue varie esposizioni filosofiche o religiose in ogni era e fra tutte le razze umane. Questa dottrina, che comprende l'intero scopo della storia prenatale e post-mortem dell'anima, o meglio, dell'ego reincarnante, contiene una varietà di diversi aspetti mistici, alcuni dei quali sono stati particolarmente messi in evidenza in epoche diverse. A volte, poiché il retroterra della Filosofia Esoterica si era più o meno perso di vista, uno o l'altro di questi aspetti assunse un'importanza così grande, da escludere virtualmente le altre forme o aspetti — un fatto che portò ad oscurare l'onnicomprensivo insegnamento radice. Questa perdita storica della dottrina fondamentale, con la sua spiccata accentuazione di un solo aspetto della dottrina fondamentale, è responsabile della differenza nella forma di espositiva e delle lacune sostanziali che l'insegnamento concernente le peripezie post-mortem dell'ego umano ha assunto nelle varie letterature arcaiche del mondo.

Nel leggere le varie letterature religiose e filosofiche sul soggetto della reincarnazione, rinascita, ecc., troviamo un numero di termini usati come se fossero sinonimi, come:

Preesistenza

Reincorporazione

Rinascita

Palingenesi

Trasmigrazione

Metempsicosi

Reincarnazione

Metensomatosi (quest'ultimo è come se fosse un'appendice agli altri sei).

Ora, mentre queste sette o otto diverse parole si possono usare in senso ampio per indicare praticamente la stessa cosa, tuttavia nessuna di esse, se usata con precisione, ha lo stesso significato di una qualsiasi altra parola della serie. In verità, ciascuna di queste parole è una chiave per aprire uno dei portali del settuplice insegnamento misterico che tratta in generale le avventure che accadono all'ego disincarnato dopo che ha abbandonato il suo corpo fisico, dopo che ha lasciato il kāmaloka ed ha iniziato la sua peregrinazione attraverso le sfere. Quindi ci sembra utile fare una breve analisi di queste differenti parole.

Preesistenza significa che l'anima umana non è venuta in incarnazione o esistenza con la sua attuale nascita nella vita terrestre; in altre parole, l'ego umano esisteva prima di rinascere sulla terra.

Henry More, il Neoplatonico del diciassettesimo secolo, aveva i suoi punti di vista personali su una preesistenza dell'anima. Ad esempio, quanto segue si trova nel suo libro: Philosophical Poems (Psychozoia):

Vorrei cantare la preesistenza
Delle anime umane e rivivere ancora
Con il ricordo e una pronta memoria
Tutto quello che è trascorso fin da quando noi tutti avemmo inizio.
Ma ogni mio ingegno è troppo superficiale per analizzare
Un punto così profondo, e la mente troppo ottusa per inerpicarsi
Su una materia tanto oscura. Ma tu, che sei più di un uomo!
Spiegami tu, sacra anima del caro Plotino,
Dimmi che cosa sono i mortali! Dimmi quanto vecchi noi siamo!

E a questo punto Henry More fa rispondere a Plotino, il grande insegnante Neoplatonico:

Una scintilla, un raggio della Divinità,
Offuscata dalle nebbie terrene, e ricoperta d'argilla
Una goccia preziosa caduta dall'eternità
Versata sul terreno, o meglio, scivolata via
Perché quando noi cademmo
Quando per la prima volta cominciammo a sperimentare
Nel segreto dei nostri sé qualcosa ci aveva distaccati
Dalla nostra grande dimora
Da quel distacco sperammo una libertà nuova
E dopo quella fuga fummo consapevoli
Della nostra intelligenza capace ed appagata.

Reincorporazione a sua volta significa che l'entità vivente, cioè l'ego che si reincorpora, prende per sé un nuovo corpo qualche tempo dopo la morte, anche se questo "nuovo corpo" non significa in alcun modo che l'ego che si reincorpora lo assume su questa terra senza escludere che possa incarnarsi su altri piani invisibili. In altre parole, l'ego che si reincarna può assumere dei corpi in luoghi diversi dalla terra. Ciò insegna qualcosa in più della semplice preesistenza dell'anima, perché qui l'idea aggiuntiva è che l'anima prende per sé un nuovo corpo. Ma questo particolare aspetto della dottrina generale della migrazione o peregrinazione delle entità viventi non ci dice quale tipo di corpo l'ego reincarnante assume di nuovo, né se quel corpo è preso qui sulla terra o altrove: cioè, se il nuovo corpo deve essere un corpo fisico visibile o un corpo invisibile nei regni invisibili della natura. Afferma solo che il centro di vita, l'ego o monade reincarnante, si reincorpora; e quest'idea è l'essenza del significato specifico di questa parola.

Rinascita è un termine che ha un significato più generalizzato. Il suo significato indica semplicemente un ritornare nuovamente a nascere, quindi questo termine esclude spiegazioni particolari o dettagli riguardo al tipo di incarnazione. La somiglianza tra l'idea implicita in questo termine e quella che appartiene al termine reincarnazione è stretta, ma le due idee sono del tutto distinte.

Palingenesi è un composto greco che significa "rinascere nell'essere" o "divenire ancora." L'idea, come si trova nelle letterature filosofiche degli antichi che vissero intorno al Mare Mediterraneo può essere illustrata con l'esempio della quercia che produce il suo seme, la ghianda; la ghianda, a sua volta, produce una nuova quercia che contiene la stessa vita che era stata rilasciata dalla quercia madre. Il significato specifico della parola palingenesi significa dunque la trasmissione continua di un'identica vita nelle ricorrenti fasi cicliche, producendo ad ogni trasformazione una nuova manifestazione, un nuovo risultato, essendo comunque questi numerosi risultati una palingenesi o un "nuovo divenire" dello stesso flusso di vita.

Trasmigrazione è un termine che è stato grossolanamente travisato, com'è successo anche per la parola metempsicosi. Oggi si suppone che entrambe queste parole, a causa della comune cattiva interpretazione delle antiche letterature, intendano che l'anima umana, in un certo periodo dopo la morte, migra nel regno animale (soprattutto se il suo karma durante la vita fisica è stato pesante o malvagio) e in seguito rinasce sulla terra in un corpo animale. Il vero significato di quest'affermazione nelle antiche letterature si riferisce, comunque, al destino degli atomi di vita, e non ha in nessun modo un riferimento al destino dell'anima umana come entità. Il travisamento di questa dottrina è stato parzialmente determinato dal fatto che gli scrittori orientali, latini e greci, la consideravano un insegnamento esoterico, e quindi non fu mai divulgata pienamente nella letteratura exoterica.

L'anima umana non può migrare ed incarnarsi in un corpo animale più di quanto l'apparato fisico di una bestia possa incarnarsi verso l'alto nella carne umana. Perché? Perché il veicolo dell'animale non offre all'anima umana alcuna apertura per la manifestazione dei poteri e delle facoltà distintamente umane. Né, all'inverso, l'anima di un animale può entrare in un corpo umano, perché l'invalicabile divario di natura fisica ed intellettuale che separa i regni umano ed animale previene qualsiasi passaggio o trasmigrazione dall'uno all'altro. D'altro lato, l'uomo normale non ha alcuna attrazione per il settore animale; e, dall'altro, è impossibile che la mente e l'anima animale, imperfettamente sviluppate, possano trovare un'appropriata dimora in quella che per loro è una sfera divina, nella quale non possono quindi entrare. È contro la legge della natura, ed è lo stesso motivo per cui i fichi non crescono dai cardi né si può cogliere l'uva da un albero di ciliegio. Un'anima umana, o meglio, l'ego umano reincorporante, cerca l'incarnazione in un corpo umano perché non ha alcuna attrazione per qualcos'altro. Il seme umano produce corpi umani; le anime umane riproducono anime umane.

La trasmigrazione, ad ogni modo, ha un significato specifico quando il termine si applica all'anima umana: l'entità vivente migra o passa da una condizione ad un'altra condizione o stato o piano, sia nei regni invisibili della natura che in quelli visibili, che lo stato o condizione sia elevato o inferiore. Quindi il significato specifico implica nient'altro che un cambiamento o migrazione dell'entità vivente da uno stato o condizione o piano ad un altro. Contiene, di fatto, i significati combinati di evoluzione e karma; in altre parole, l'evoluzione karmica sta a indicare il sentiero seguito dalla monade nel migrare da sfera in sfera, dallo spirito alla materia e poi di nuovo allo spirito, entrando, nel corso del suo pellegrinaggio, in un corpo dopo l'altro.

Nell'applicare queste parole agli atomi di vita, per il cui significato particolare bisogna far riferimento alle osservazioni degli antichi sui regni inferiori della natura, il significato è, in breve, che gli atomi di vita che aggregativamente compongono i principi inferiori dell'uomo, seguendo il cambiamento successivo a quella che l'uomo chiama morte, migrano o trasmigrano o passano in altri corpi dai quali questi atomi di vita sono psico-magneticamente attratti, e queste attrazioni sono elevate o inferiori — e di solito sono inferiori, perché il loro sviluppo evolutivo è, come regola, lontano dall'essere avanzato. Tuttavia, questi atomi di vita compongono i veicoli o corpi dell'uomo interiore — ed esteriore — e di conseguenza vi sono varie classi di questi atomi di vita, da quella fisica fino a quella astrale, quella puramente vitale, quella emotiva, quella mentale e quella fisica. Questo, in generale, è il significato della trasmigrazione.

Metempsicosi è un composto greco che può essere tradotto come "prendere un'anima dopo l'altra," o "cambiare un'anima dopo l'altra." Significa che l'essenza monadica o il centro di coscienza della vita, o monade, non solo è preesistente alla nascita fisica, né semplicemente che l'entità-anima si reincorpora, ma anche che la monade, durante il corso del suo pellegrinaggio eonico attraverso le sfere e i mondi, si riveste di varie anime-ego che crea in sé per la propria manifestazione, e che scaturiscono da essa; che ciascuna ha la propria vita o anima caratteristica e individuale che, quando il suo periodo di vita è finito, si raccoglie nel seno della monade per il suo periodo di riposo, al cui termine riemerge per un nuovo pellegrinaggio ciclico. Sono le peripezie che affronta quest'entità nel suo assumere "anima" dopo "anima," che si raggruppano insieme sotto il termine metempsicosi.

Risulta evidente che tutti questi termini hanno un rapporto stretto ed intimo l'uno con l'altro. Ad esempio, è anche ovvio che ogni anima nella sua metempsicosi trasmigri; ugualmente, ogni entità trasmigrante ha anche le sue metempsicosi o cambiamenti dell'anima, ecc. Ma questa mescolanza di significati non va confusa con il significato specifico che è implicito in ognuna di queste diverse parole. Il significato essenziale di metempsicosi può essere brevemente descritto dicendo che una monade, durante il corso delle sue pellegrinazioni evolutive attraverso le sfere o mondi, emana periodicamente da sé un nuovo "rivestimento dell'anima," e questa produzione e questo uso di "anime," man mano che le ere passano, sono chiamati metempsicosi.

Nella Qabbālāh ebraica, vi è un antico aforisma mistico che dice: "una pietra diventa una pianta, una pianta diventa un animale, un animale diventa un uomo, e un uomo diventa un dio." Ciò non si riferisce ai corpi di ciascun stadio: come sarebbe possibile che un corpo fisico umano diventi un dio? L'idea basilare sottostante a questo aforisma è che l'entità evolvente nel rivestimento fisico impara e cresce e passa da una dimora all'altra della vita, ogni volta entrando in un tempio più nobile e imparando, in ogni nuova dimora che trova, lezioni più nuove e nobili di quelle apprese nelle sue precedenti vite. Inoltre, anche gli stessi corpi crescono ed evolvono, nei limiti del possibile, pari passu con l'ego o anima evolvente. In altre parole, mentre l'ego interiore o anima avanza ed evolve lungo i suoi percorsi spirituali, intellettuali e psichici, così fanno pure i vari corpi nei quali l'ego trova i suoi numerosi luoghi da abitare, e nei quali percepisce l'impulso o lo stimolo dell'inerente fuoco evolutivo al quale risponde; ed essi stessi si manifestano, evolvono, in una perfezione maggiore.

Il poeta mistico persiano, un Sūfī, Jalālu'ddīn Rūmī, scrisse:

Sono morto come minerale e come pianta sono risorto.
Sono morto come pianta e riapparso come animale.
Sono morto come animale e diventato uomo.
Perché temere allora di divenire meno morendo?
Ancora una volta morirò come uomo.
Per risorgere sulle ali degli angeli.
Da angelo cercherò ancora di avanzare:
        .     .     .     .     .     .
Ancora una volta innalzerò il mio sentiero al di sopra degli angeli;
Diventerò quello che non riesco nemmeno ad immaginare.
    —  Masnavi

Il prossimo termine, reincarnazione, vuol dire "reincarnamento," il cui significato è che l'anima umana prende possesso di un corpo umano di carne sulla terra, dopo il suo periodo post-mortem in devachan, riprendendo nel nuovo corpo i legami con la vita fisica e con il destino individuale terreno, che furono interrotti alla fine dell'ultima incarnazione nella vita terrena dell'ego reincarnante. Si diversifica dalla rinascita in questo: la reincarnazione significa rinascita nei corpi umani di carne sulla terra mentre il termine rinascita contiene l'implicazione di possibili reincorporazioni sulla terra di esseri che hanno evolutivamente completato il loro pellegrinaggio terreno, ma che tuttavia a volte ritornano su questa terra per aiutare i loro fratelli meno evoluti.

L'ultima parola, metensomatosi, è anch'essa un composto greco che può tradursi come "cambiare corpo dopo corpo" — non necessariamente usando sempre corpi umani di carne, e qui ricorda strettamente la rinascita, bensì corpi di materiale fisico appropriato ma diverso, secondo la fase evolutiva che la razza umana ha raggiunto in qualsiasi momento. Il significato implicito in questo termine è difficile da spiegare, forse potrebbe essere reso più chiaro da quanto segue: in verità, nelle remote ere passate la razza umana aveva dei corpi, ma non corpi di carne; e nelle lontane ere future la razza umana avrà ugualmente dei corpi, ma non necessariamente di carne, perché i corpi umani di quel futuro consisteranno di etere o materia luminosa, che potremmo chiamare luce concretizzata.

La particolarità che il termine metensomatosi contiene è quello di "corpo." La Filosofia Esoterica insegna che l'assunzione di corpi da parte delle entità ha luogo quando e dove l'esperienza è così ottenuta in qualche piano o mondo, visibile o invisibile — essendo questi corpi solo occasionalmente corpi di carne. Quindi la metensomatosi si può applicare all'assunzione di corpi di qualsiasi genere, sia di luce o etere, di sostanza spirituale o di materia fisica.

Ciascuna di queste parole ha a che fare con un aspetto o fase del corso generale del destino dell'entità umana, sia esterna che interna, come pure con le entità che non sono umane; e dovrebbe essere evidente che si applicano in misura maggiore alle avventure interne ed invisibili delle entità migranti ed evolventi, piuttosto che alla loro vita terrena fisica. Inoltre, ognuno di questi otto termini è applicabile, ciascuno con un suo significato appropriato, alle diverse parti degli eventi della storia — prenatale come pure post-mortem — dell'anima umana. Così, l'anima umana non solo "pre-esiste" ma "si reincorpora", e così facendo "rinasce" su questa terra, e per mezzo della "palingenesi" psico-astrale realizzata mediante la sua particolare modalità di "trasmigrazione"; l'intero processo è largamente contrassegnato dalla "metempsicosi" attraverso la quale l'anima passa, effettuando la "reincarnazione," tornando cioè sulla terra nei corpi umani di carne, esaudendo quindi il suo bisogno di "corporizzare" le sue facoltà e attributi in questa sfera.

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Una o l'altra di queste forme di ritornare ancora nella vita sulla terra è stata insegnata nelle varie ere e razze del passato arcaico, ma buona parte della dottrina completa è sempre stata ritenuta esoterica. Questa dottrina è insegnata ancora oggi, ma in forma incompleta, fra i tre quarti della popolazione mondiale. Anche in un così breve lasso di tempo come duemila anni fa, tutto il mondo ci credeva, in una forma o nell'altra. I Brahmani e i Buddhisti dell'India e le popolazioni asiatiche, come i Taoisti cinesi, furono sempre reincarnazionisti. Tra l'altro, il Taoismo è una delle fedi più nobili e mistiche che siano mai nate nella mente asiatica, ma una sua appropriata comprensione è rara, perché molti studiosi prendono alla lettera tutto quello che studiano in materia di credi religiosi e filosofici. Tutte le antiche fedi sono state soggette a degenerazione nel trascorrere del tempo, e il Taoismo non fa eccezione.

Tra gli antichi greci e romani la dottrina generale della reincorporazione era accettata a livelli di precisione filosofica. Ma esistevano alcune scuole di pensiero propense al materialismo, come i Cinici e gli Scettici, che erano orgogliosi di non credere in niente se non nella realtà fisica di qualsiasi cosa. Tali menti sono esistite in tutte le epoche, e fu in quei tempi di aridità spirituale che Platone scrisse ed insegnò a uomini di tipo scettico e dubbioso che non avevano molta difficoltà a conquistare aderenti e fondare le proprie scuole. Ma proprio come oggi, questi antichi scettici non portavano nessuna prova della loro miscredenza nelle forze e nei mondi superiori alla sfera fisico-materiale. È un semplice dato di fatto: come poteva essere provata la dottrina del materialismo o di una non-entità spirituale? La materia non può provare la sua non-entità, perché è indubbio che esiste né, d'altro canto, può provare o smentire l'esistenza o la non-esistenza di qualcos'altro di cui non sa assolutamente nulla. Quindi l'argomento porta ad un circolo vizioso. Sicuramente non possiamo aspettarci di prendere gli scritti di parte che sono stati composti in uno spirito di entusiastica faziosità se non per quelli che sono: arringhe speciali delle diverse sette di negazionisti; e, cosa abbastanza curiosa, ci sono sempre stati dei negazionisti di altro tipo, i quali negano che la materia stessa esista!

Cominciando da Orfeo, la cui influenza fu immensa nel mondo greco — un'influenza percepita, anche se in buona parte non riconosciuta, nei vari tipi di pensiero mistico che hanno prevalso in Europa — le menti più aperte e più intuitive erano reincarnazioniste. I Pitagorici e i Platonici, con le loro rispettive sfumature d'interpretazione, sostenevano tutti la dottrina. Tra i romani, che la seguivano a proprio vantaggio, ci sono noti molti grandi nomi: Ennio, il primo poeta e filosofo calabrese, delle cui opere, ahimè, non rimane niente, tranne poche citazioni sparse dai suoi amici poeti; in seguito, Virgilio, specialmente nell'Eneide (VI. 724); e ancora più tardi, Giamblico, Plotino, e in verità tutta la linea luminosa dei filosofi Neoplatonici — erano tutti reincarnazionisti.

Gli antichi persiani, i caldei e i babilonesi, gli antichi teutoni, i druidi dell'Europa occidentale e le popolazioni celtiche in generale, erano tutti reincarnazionisti — sostenendo la dottrina generale in una forma o nell'altra, con diversi individui che interpretavano le varie fasi, secondo il proprio intuito e la loro capacità filosofica.

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Alcuni studiosi sono soliti asserire che gli antichi egiziani non credevano nella reincarnazione. Quest'idea sembra basarsi sul fatto che gli egittologi si siano così grandemente dedicati a decifrare le vestigia monumentali e i manoscritti trovati nelle tombe, da non vedere il bosco in base agli alberi individuali. In altre parole, i dettagli delle splendide ricerche dell'egittologia, cominciate con Young e Champollion, in questo modo hanno impedito agli egittologi una prospettiva più ampia, che essi ancora non ritengono assolutamente necessaria dal punto di vista sia filosofico che religioso, da presumere che la sua esistenza sia una credenza popolare fra i sacerdoti e le masse, e di considerare le vestigia archeologiche come il solo scopo del loro studio.

In questo, gli egittologi hanno completamente torto. Gli studiosi europei, prima di Young e Champollion, hanno sempre ritenuto che gli antichi egiziani avessero veramente una fede di qualche tipo nella dottrina generale della reincorporazione — forse sotto una delle sue forme di reincarnazione metempsicosica; e gli antichi manoscritti europei, sia delle dinastie più vecchie che del successivo periodo greco-alessandrino, se letti con uno sguardo alle idee universalmente accettate che prevalevano nei paesi intorno al Mediterraneo, convalidano pienamente questa credenza. La precedente opinione tra gli europei che gli antichi egiziani fossero reincarnazionisti si basava largamente sulle affermazioni di Erodoto, che passò abbastanza tempo in Egitto. Secondo le sue stesse affermazioni, egli aveva conversato sia con i sacerdoti che con la gente riguardo alle loro opinioni religiose e filosofiche; sebbene sia vero, è naturale, che essendo egli un greco, interpretava ciò che sentiva, almeno in una certa misura, secondo i suoi pregiudizi greci e una sua visione religiosa e filosofica.

Gli scrittori dell'Encyclopaedia Britannica dicono di Erodoto:

In tutti i luoghi più interessanti in cui soggiornò per dei periodi, egli esaminò, indagò, effettuò misurazioni, accumulò materiali. Avendo in mente lo schema del suo grande lavoro, si prese molto tempo per elaborare tutte le sue parti, e si premurò di ottenere, con l'osservazione personale, una piena conoscenza dei vari paesi.

Altri scrittori, come ad esempio nel Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, dicono solo la verità su Erodoto quando fanno la seguente affermazione:

Egli vide con i suoi occhi tutte le meraviglie dell'Egitto, e la precisione delle sue osservazioni e descrizioni suscita ancora stupore nei viaggiatori in quel paese.

Se ricordiamo che a Erodoto era stato concesso di entrare liberamente nei templi, e che conversò su soggetti esoterici e reconditi con i sapienti sacerdoti, abbiamo ragione di credere che, quando ci dice che gli egiziani accettavano quella che chiameremmo una forma di reincarnazione metempsicosica, egli era consapevole di quello di cui stava parlando, meglio di quanto facciano gli studiosi di ventiquattro secoli dopo, la cui unica argomentazione contro le affermazioni di Erodoto è che essi ancora non hanno trovato le prove di ciò che Erodoto diceva esistesse.

Il seguente brano è di Erodoto, tradotto dall'originale greco:

Furono gli egiziani ad esporre per primi la seguente dottrina, ad esempio che l'anima [Erodoto qui usa il termine psiche] è immortale e che quando il corpo fisico va in decomposizione, l'anima entra in un altro essere vivente[1] che in quel momento è pronto e adatto a lei. Dopo aver passato attraverso tutte le forme di vita terrestri, acquee ed astrali, l'anima si riveste nuovamente del corpo di un uomo che allora sta diventando idoneo per lei. Questo vagabondaggio o trasmigrazione lo trascorre all'incirca in tremila anni. Vi è un numero di Elleni che seguono anch'essi questa stessa dottrina, alcuni quella dei periodi antichi ed altri quella dei periodi posteriori, esponendola a modo loro. Anche se conosco i loro nomi, qui non li voglio citare. — Euterpe, Libro XI, 123

Erodoto si comportava da uomo saggio perché, come iniziato dei Misteri, sapeva perfettamente che non poteva nominare chi fossero i filosofi greci, e quali fossero le loro particolari forme d'insegnamento, senza dare la chiave degli aspetti esoterici che non aveva alcun diritto a divulgare. Che fosse un iniziato lo sappiamo dalle sue stesse parole, e da parecchi punti dove parla della necessità di tenere a freno la lingua.

Infatti, il credo che Erodoto attribuisce agli egiziani non è l'insegnamento della reincarnazione di per sé, né è il vero insegnamento della metempsicosi come era impartito nei Misteri, sebbene gli egiziani conoscessero indubbiamente entrambi questi veri insegnamenti come li conoscevano anche altre nazioni. Sarebbe irragionevole supporre che non ne fossero al corrente, perché la conoscenza di una o due fasi della dottrina in generale implica che almeno i loro filosofi conoscessero le altre fasi. La dottrina peculiare alla quale qui allude Erodoto, e che era popolare tra gli egiziani, è il destino ciclico delle parti psico-vitali dell'anima umana. Non è che un altro modo di dire che questo particolare credo egiziano si riferisce soltanto alla trasmigrazione degli atomi di vita che formano la parte psico-vitale della natura intermedia dell'uomo, che si radunano o si ricongiungono in una reincarnazione successiva dell'entità-anima evolvente o ego che si reincorpora.

Questa particolare dottrina egiziana, che faceva parte dell'insegnamento dei Misteri in altri paesi, anche se meno intensamente evidenziata, è alla base dell'usanza che gli egiziani avevano, in comune con qualche altro popolo del mondo antico e moderno, di mummificare i loro defunti. L'intero scopo della mummificazione, come la praticavano gli egiziani, era un patetico tentativo di trattenere la trasmigrazione degli atomi di vita della natura umana intermedia e della triade inferiore attraverso le sfere più basse della vita, preservando il più a lungo possibile il corpo fisico dalla decomposizione. Come questo credo potesse aver preso una posizione così stabile nell'immaginazione e nelle emotività religiose del popolo egiziano è di per sé un interessante studio psicologico. Indubbiamente i sacerdoti sapevano che l'uso della mummificazione non era che una prevenzione imperfetta — o una prevenzione per niente efficace — di questa trasmigrazione; ma l'uso divenne così stabilmente diffuso, sia nel rituale che nella funzione, e nell'abitudine popolare, da diventare uno dei segni caratterizzanti della civiltà egiziana.

La pratica della mummificazione nella sua origine derivava dagli ultimi Atlantiani, sia che la ritroviamo in Egitto o in Perù o in altre parti del globo, e dimostra l'attaccamento alla vita materiale anche dopo la morte. I complessi fattori emotivi e mentali coinvolti in questo attaccamento erano una tipica caratteristica della perdita della spiritualità e della pesante atmosfera psicologica di Atlantide durante la sua decadenza.

Gli antichi egiziani che per primi colonizzarono gli inizi della formazione geologica del delta del Nilo, erano emigrati dai resti del continente Atlantiano di cui parla Platone, che era stato chiamato Poseidone; mentre gli egiziani posteriori erano formati da una serie di ondate colonizzanti che provenivano da quella che oggi è l'India meridionale, e forse anche da Ceylon. La stessa Ceylon, chiamata Laṅkā nelle arcaiche scritture sanscrite, molte epoche fa era il promontorio più settentrionale della grande isola, contemporanea, nel suo periodo di massimo splendore, alla fioritura della civiltà Atlantiana; e sebbene questa grande isola, al tempo delle ultime ondate colonizzatrici, fosse stata largamente sommersa sotto l'oceano, tale fatto mostra anche che questi ultimi immigrati dall'Est nel delta dell'Egitto erano loro stessi gli ultimi Atlantiani del ceppo orientale, ma che allora erano diventati parti integranti della sorgente razza "Āriana" o quella che nella teosofia moderna è chiamata la quinta razza radice. Così abbiamo visto che gli egiziani erano Atlantiani sia per origine che per tipo di civiltà; anche se la loro colonizzazione dell'Egitto, sia dall'occidente che dall'oriente, avvenne al tempo in cui Atlantide era già diventata un sistema di continenti ed isole dalla storia leggendaria, e i loro abitanti erano già virtualmente "ārianizzati."

Il grande poema epico hindu, il Rāmāyaṇa, è il ricordo leggendario di un'era in cui Laṅkā o Ceylon faceva ancora parte della grande isola Atlantiana nel Pacifico, abitata dagli ultimi Atlantiani che gli Āriani del nord chiamavano Rākshasa, comunemente tradotti come "demoni" — un appellativo che descrive la malvagità degli Atlantiani piuttosto che dare l'esatta traduzione del termine. Come testimonia eloquentemente l'ultima razza Āriana nei suoi annali storici e leggendari, gli Atlantiani, anche in quegli ultimi tempi, erano conosciuti come una razza di maghi e di stregoni, e la conoscenza del destino post-mortem dell'uomo era familiare, in tutte le sue fasi, ai sacerdoti iniziati di quella popolazione dimenticata, come lo era ai primi e ai posteriori sacerdoti egiziani. Proprio come gli Atlantiani erano definiti una razza di stregoni, malvagi e cattivi, o una razza di maghi di dubbia reputazione, così avvenne che l'Egitto, con i suoi abitanti, fra tutti i popoli che abitavano il confine del Mare Mediterraneo, avesse la reputazione di essere una "terra dagli insetti ronzanti" (Isaia, xviii, 1), e il suo popolo una razza di maghi — sia buoni che cattivi.

Un altro scrittore nell'Encyclopaedia Britannica, sotto il titolo "Metampsicosi," mostra la solita ignoranza moderna del vero significato dell'insegnamento; confonde la metempsicosi con la trasmigrazione, e quest'ultima con la reincarnazione:

La Metempsicosi, o Trasmigrazione dell'Anima, la dottrina secondo la quale alla morte l'anima passa in un'altra creatura vivente, uomo, animale, o anche pianta . . .
Prima che una completa ricerca degli annali egiziani ci facesse analizzare i fatti, si supponeva che gli egiziani credessero nella metempsicosi, e Erodoto (xi, 123) dà loro pieno credito. Ora noi sappiamo che egli aveva torto.

Noi non conosciamo niente del genere. Tutto quello che sappiamo è che gli studiosi moderni non hanno trovato riferimenti a questa dottrina sulle iscrizioni dei monumenti o nei disegni dei papiri.

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Anche gli ebrei — un popolo che forse non sospetteremmo mai che insegnasse una dottrina della reincarnazione — la divulgarono attraverso il supporto delle dottrine che i Farisei dell'antica Giudea sostenevano. È anche insegnata nella Qabbālāh ebraica, l'insegnamento più mistico e segreto degli ebrei — interpolato e modificato come più tardi lo è stata certamente la Qabbālāh, probabilmente ad opera dei cristiani. Credevano anche nella preesistenza e nella reincorporazione dei mondi, come pure delle anime umane, esattamente com'era almeno per qualcuno dei più eminenti tra i primi Padri cristiani, ad esempio Clemente Alessandrino ed Origene. Essi insegnarono anche, come Platone, che la coscienza e la conoscenza dell'uomo in qualsiasi vita altro non sono che reminiscenze della coscienza e della conoscenza di vite precedenti.

Il Nuovo Testamento è completamente ingiusto nelle varie accuse e critiche contro gli antichi Farisei ebrei, più spesso con accenni che altro; per cui, il lettore del Nuovo Testamento si fa un'idea distorta su chi fossero i Farisei. C'erano, come in tutte le classi della società, uomini grandi ed onesti; non tutti erano ipocriti né erano oziosi settari che vivevano confidando su una popolazione che seguiva più o meno ciecamente la loro autorità; sebbene fosse vero che, essendo i rappresentanti principali e più numerosi di tutte le tre sette, come Giuseppe le descrive, è ovvio che la loro influenza in Palestina, o almeno tra il popolo di Gerusalemme, fosse grande e profonda.

Giuseppe, uno dei maggiori storici ebrei, era egli stesso un fariseo convinto nelle proprie convinzioni religiose. Nato a Gerusalemme nel 37 d. C., era di origine principalmente ebraica da parte materna, e da suo padre Mattia aveva ereditato l'uffizio e la funzione sacerdotale di Gerusalemme. Fu coinvolto nelle lotte tra gli ebrei e il potere dei romani, e come uno dei generali degli ebrei prestò servizio contro gli eserciti romani invasori. Vespasiano gli risparmiò la vita e Giuseppe conquistò il favore di questo grande imperatore. Scrisse vari libri, tra i quali La Guerra Giudaica e Antichità Giudaiche, che sono due delle più importanti fonti dalle quali gli storici moderni hanno ricavato varie informazioni del periodo in cui visse Giuseppe. Che questi libri contengano delle interpolazioni è sicuro.

Giuseppe ci dice che i Farisei credevano alla reincarnazione; infatti, egli ha parecchi lunghi passaggi che hanno a che fare con i credi della metempsicosi e della reincarnazione degli ebrei del suo tempo. Ci riferisce che allora, nel primo secolo dell'era cristiana, gli ebrei avevano tre sette, che elenca come segue: prima, i Farisei, i più numerosi e potenti, che erano quelli più accreditati nell'opinione pubblica; seconda, gli Esseni, una confraternita mistica con un limitato numero di aderenti, che seguivano un percorso monastico di vita; e terza, i Sadducei, anch'essi di numero limitato, non tanto una setta quanto un'associazione di liberi pensatori, che si opposero con forza all'insegnamento dei Farisei, e che apparentemente si proclamavano come i veri depositari dell'antico pensiero ebraico a carattere Mosaico.

Nelle Antichità Giudaiche, Giuseppe scrive:

Per quanto riguarda i Farisei, vivono semplicemente, disprezzano le comodità e seguono la guida della ragione per ciò che essa suggerisce loro come bene, e pensano che debbano seriamente sforzarsi a rispettarne i dettami. Inoltre, si adeguano a questi dettami così come sono da anni; né sono tanto baldanzosi da contraddire qualsiasi cosa questi dettami abbiano prescritto. E quando dicono che tutte le cose accadono per il fato, con questo non intendono sottrarre all'uomo la libertà di agire come egli pensa; la loro idea è che Dio ha voluto mescolare i decreti del fato e la volontà dell'uomo, in modo che l'uomo possa agire virtuosamente o viziosamente. Credono anche che le anime abbiano un potere immortale in sé, e che sulla terra vi saranno ricompense o punizioni, a seconda di come l'uomo ha vissuto in questa vita: virtuosamente o viziosamente; e le anime che hanno vissuto viziosamente devono essere detenute in una prigione senza fine, mentre le anime che hanno vissuto virtuosamente hanno il potere di vivere di nuovo. Sulla base di queste dottrine essi hanno molta influenza sul popolo, il quale, riguardo alle regole sul culto divino, preghiere o sacrifici, segue la loro direttiva. Le città sostengono questa grande testimonianza in considerazione della pratica costante della virtù, sia nelle azioni delle proprie vite, sia nel loro linguaggio.
Invece la dottrina dei Sadducei è che le anime muoiono con il corpo; né hanno la pretesa di tenere in considerazione solo quello che la legge ordina loro; perciò, pensano che sia un vantaggio discutere con gli insegnanti della filosofia che essi seguono, e i loro insegnamenti li ricevono solo quei pochi che sono del rango più elevato. Ma difficilmente sono capaci di fare qualcosa tanto per dire, perché quando diventano magistrati, e a volte controvoglia e per forza sono obbligati e diventare tali, si abituano alle nozioni dei Farisei, perché altrimenti la gente non si farebbe condizionare da loro. — Libro XVIII, cap. i, 3-4

Qui c'è un riferimento a una parte delle anime umane che sono tenute prigioniere a causa della loro vita viziosa in una "prigione senza fine," che si potrebbe meglio tradurre come una purificazione punitiva di lunghi eoni; è la stessa idea che si trova in tutti gli altri paesi dell'antichità e che tratta delle anime viziose; invece il riferimento alla classe delle anime che vivono virtuosamente è che esse hanno il "potere di vivere di nuovo," che è la dottrina della reincorporazione. Giuseppe lo afferma più chiaramente ne La Guerra Giudaica:

In confronto con le altre due sette menzionate, i Farisei sono ritenuti i più sapienti nell'esatta interpretazione delle loro leggi, e sono la prima setta. Attribuiscono tutte le cose al fato e a Dio, e tuttavia affermano che compiere il giusto o il contrario sta principalmente nel potere degli uomini, sebbene il fato cooperi in ogni azione. Pensano che tutte le anime siano immortali, ma anche che solo le anime degli uomini buoni ritornano in altri corpi, mentre le anime degli uomini malvagi sono dannate con la punizione eterna. Ma i Sadducei, la seconda setta, eliminano completamente il fato e suppongono che non è Dio la causa del nostro agire empiamente o no, e sottolineano che ciò che è bene o male giace nella scelta personale degli uomini, e che l'uno o l'altro appartengono a tutti, e che essi possono agire a loro piacimento. Rifiutano pure il credo dell'immortalità dell'anima e delle punizioni e delle ricompense nell'Ade. Inoltre, i Farisei sono reciprocamente amichevoli e coltivano l'armonia a vantaggio di tutti, mentre il comportamento dei Sadducei tra di loro è piuttosto rude, e il rapporto reciproco con quelli della propria setta è un comportamento solitario, come se fossero estranei tra loro. — Libro II, cap. viii, 14

Ed infine, nell'arringa di Giuseppe ai soldati ammutinati sotto il suo comando durante la lotta contro le truppe romane capitanate da Vespasiano, quando pensavano al suicidio personale e a quello di Giuseppe piuttosto che arrendersi agli eserciti romani, egli disse:

Abbiamo forse paura di ciò che non concederemo mai ai romani? È la morte? Se è così, allora dovremo infliggere di sicuro a noi stessi ciò di cui abbiamo paura, se solo sospettassimo che sarebbero i nostri nemici a farlo? Ma qualcuno dirà che noi abbiamo paura della schiavitù. Attualmente siamo quindi completamente liberi? Si potrebbe anche dire che è un atto virile toglierci la vita. No, certamente, perché non è proprio un atto virile. . . . In verità, il suicidio è sconosciuto alla natura comune degli animali, ed è un'empietà verso Dio, il nostro Creatore. Nessun animale muore per un suo espediente o di sua mano. Il desidero di vivere è una forte legge della natura per tutti. . . . E non pensate che Dio sia davvero in collera quando un uomo disprezza ciò che gli è stato concesso? Perché è da lui che abbiamo ricevuto il nostro essere, e dovremmo lasciare al suo volere togliere quell'essere da noi. I corpi di tutti gli uomini sono effettivamente mortali e creati di materia corruttibile; ma l'anima è per sempre immortale, ed è una parte del Dio che abita nei nostri corpi. Inoltre, se qualcuno distrugge o usa male il deposito che ha ricevuto da semplice uomo, è considerato una persona malvagia e perfida; e se qualcuno getta via dal proprio corpo il deposito di Dio, possiamo immaginare che colui che è offeso in questo modo non lo sappia? . . . Non sapete che quelli che si dipartono da questa vita secondo la legge della natura, e pagano il debito che è stato ricevuto da Dio quando colui che lo ha prestato desidera riaverlo indietro, gode dell'eterna fama; che le loro case e la posterità sono al sicuro, e che le loro anime sono pure ed obbedienti, ed ottengono in cielo il luogo più santo, da cui, nella rivoluzione delle ere, sono mandati di nuovo in semplici corpi, mentre le anime di coloro le cui mani hanno agito insensatamente contro se stessi sono accolte nel luogo più oscuro dell'Ade, e Dio, che è il loro padre, punisce nella loro discendenza coloro che hanno offeso sia l'anima che il corpo. — Libro III, cap. viii, par. 5

Non c'è un argomento su una dottrina che l'oratore trascini a fatica nel suo discorso definendola un qualcosa di estraneo e nuovo; in altre parole, una novità religiosa e filosofica, ma in ogni caso il riferimento ad assumere nuovi corpi è fatto come se per i suoi lettori fosse un luogo comune, e quindi è una parte della psicologia in cui essi vivevano. È ovvio che se le dottrine fossero state poco ortodosse o insolite, non sarebbero state affatto introdotte, perché avrebbero indebolito il suo ragionamento.

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Filone Giudeo, il grande filosofo ebreo Platonico, i cui scritti esercitarono una poderosa influenza non solo sul pensiero ebraico, ma anche sugli inizi della teologia cristiana, parla con veemenza a favore della metempsicosi, quella particolare forma di reincarnazione che aveva stretti legami con le idee parallele sostenute da Platone, il suo predecessore greco e, di fatto, il suo modello filosofico.

Filone, che visse durante il primo secolo dell'era cristiana, era Alessandrino di nascita, e fu largamente influenzato dallo spirito sincretista della filosofia e della metafisica di Alessandria. L'intero scopo dei suoi scritti era di mostrare il terreno comune del pensiero mistico e filosofico che, secondo lui, esisteva tra le dottrine Platoniche e i libri sacri degli ebrei. Gli studiosi moderni hanno detto che egli sosteneva l'idea che Platone avesse derivato la maggior parte delle sue idee dal legislatore ebraico Mosè, anche se possiamo arguire con eguale motivo di probabilità che Filone credesse intimamente che era esistita una comune religione-saggezza arcaica che Mosè e Platone esposero ed insegnarono, ciascuno a modo suo; e che nel suo desiderio di portare le sacre scritture ebraiche alla favorevole attenzione dei greci, Filone si dedicò a provare queste somiglianze che trovava sia negli scritti di Mosè che in quelli di Platone.

La tesi di Filone è che il Logos o spirito divino, agendo attraverso l'umanità, ha infuso idee comuni nelle menti umane, a prescindere dalla razza o dal periodo di tempo; e sembra sostenere anche la posizione che grandi uomini come Platone, e coloro che promulgarono "la saggezza dei greci" ereditassero quella verità naturale che possedevano ispirandosi alle scritture ebraiche. Quest'idea è assurda, e probabilmente era un atteggiamento adottato da Filone per rendere la sua opera letteraria più accetta agli uomini della sua razza e religione.

Riuscì con successo a provare che con ogni probabilità gli ebrei derivassero la loro saggezza dalla stessa sorgente arcaica dalla quale le altre nazioni circostanti al popolo ebraico trassero ugualmente ispirazione, come i filosofi greci di periodi diversi, gli egiziani, le popolazioni dell'Eufrate e del Tigri, per non menzionare la filosofia dei grandi popoli dell'Estremo Oriente. È quasi certo che l'influenza esercitata dal pensiero hindu era stata operativa per ere sulle popolazioni ad occidente, e aveva lentamente permeato per periodi ugualmente lunghi le speculazioni della Mesopotamia, della Siria, degli egiziani e dei greci. Questa influenza indiana divenne chiaramente percettibile durante il periodo in cui visse Filone, e probabilmente aveva agito in silenzio nei secoli precedenti. Alessandria era un vero alambicco metafisico di idee religiose e filosofiche, e nessun studioso competente di oggi dubita che l'influenza dell'Oriente, sia a carattere Brahmanico che Buddhista, abbia dato un'impronta al pensiero Alessandrino.

Filone, nell'esporre la sua particolare forma dell'insegnamento della reincarnazione metempsicosica, parla dei vari tipi di "anime" che riempiono l'universo, e dei corpi celesti che sono entità animate, del tutto in comune con l'insegnamento generale dell'antichità, una dottrina che fu anche accettata da molti, se non dalla maggior parte, dei primi cristiani, come risulta evidente dagli scritti di Clemente Alessandrino e di Origene.

Nel suo trattato, De Somniis, Filone cita il passaggio del Genesi (28: 12) in cui è menzionata la scala cosmica della vita che si estende dalla terra al cielo, e degli angeli di Dio che salgono e scendono lungo di essa, e commenta l'argomento come segue:

Nella scala in questa cosa che è chiamata il mondo, è figurativamente compresa l'aria, il cui fondamento è la terra, e la testa è il cielo; il vasto spazio interno, esteso in ogni direzione, raggiunge il globo della luna, che è descritto come il più lontano nell'ordine in cielo, ma l'aria è la più vicina a noi che contempliamo oggetti sublimi, giù fino alla terra, che è il più basso di questi corpi. L'aria è la dimora delle anime incorporee, perché al Creatore dell'universo sembrò una buona cosa riempire tutte le parti del mondo di creature viventi. Per questo motivo egli preparò gli animali terrestri per la terra, gli animali acquatici per il mare ed i fiumi, e le stelle per il cielo, perché ognuno di questi corpi non è semplicemente un animale vivente ma è anche appropriatamente descritto come la mente più pura ed universale che si estende per tutto l'universo, cosicché vi sono creature viventi in quell'altra sezione dell'universo, l'aria.
. . . Poiché non solo non è deserta di tutte le cose, ma, per di più, è piuttosto come una città popolosa, piena di abitanti imperituri ed immortali, anime che eguagliano numericamente le stelle.
Ora, di queste anime alcune discendono sulla terra per essere imprigionate in corpi mortali, cioè quelle che sono connesse più intimamente alla terra, e che sono amanti del corpo. Ma alcune salgono verso l'alto, essendo nuovamente differenziate secondo le definizioni e i tempi designati dalla natura. Di queste, quelle che sono influenzate dal desiderio di una vita mortale e che hanno familiarizzato con essa, ritornano ancora alla vita mortale. Ma altre, condannando il corpo come una grande ed irrisoria follia, l'hanno definito come una prigione e una tomba, e si sono elevate in alto sulle luminose ali verso l'etere, e hanno dedicato tutte le loro vite a sublimi speculazioni. . . .
Quindi, in maniera davvero ammirevole, Mosè rappresenta l'aria sotto il simbolo figurativo di una scala, solidamente piantata nella terra e che raggiunge il cielo. — Le Opere di Filone Giudeo, Vol. II, Libro I, xxii

Vi sono numerosi altri passaggi nei voluminosi scritti di Filone Giudeo, che si riferiscono direttamente alla dottrina generale della reincorporazione, nei quali abbiamo la stessa atmosfera di familiarità con la dottrina della reincorporazione, che non riveste una particolare delucidazione, ma che è menzionata come un insegnamento familiare ai suoi lettori, e che non richiede quindi alcun commento supplementare.

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Parte 2

Una delle tragedie della storia spirituale e psicologica è che la dottrina generale della reincarnazione praticamente svanì dalla coscienza dell'uomo europeo dopo la sparizione degli ultimi deboli bagliori dell'antica saggezza, nel sesto secolo d. C., quando la sola scuola dei Misteri sopravvissuta nei paesi mediterranei fu chiusa per decreto imperiale dell'imperatore Giustiniano — molto verosimilmente dovuto alla petizione dei pochi sopravvissuti rimasti del flusso del pensiero Neoplatonico. Ciò avvenne quando i sette filosofi greci la cui scuola fu chiusa ad Atene fuggirono per mettersi al sicuro e praticare liberamente le loro dottrine filosofiche alla corte del Re Persiano Khosru Nushirwan I. In seguito ebbero il permesso, con un patto che Khosru impose all'Imperatore Giustiniano, di ritornare e vivere in pace nell'Impero Romano, senza essere soggetti alle leggi allora prevalenti dell'Impero Romano, particolarmente dirette contro i "pagani."

Potremmo davvero fermarci a riflettere su come sarebbe stata diversa la storia religiosa nei paesi europei se la dottrina della reincarnazione fosse diventata parte del sistema teologico del Cristianesimo. Durante il periodo medievale c'erano, ed è vero, rari individui che credevano più o meno segretamente in questa dottrina. Vengono in mente alcune confraternite di mistici cristiani che in seguito divennero le vittime di un'intollerante e spesso sanguinosa persecuzione, come gli Albigesi, i Catari, e i Bogomili. Con la rinascita della libertà del pensiero e della ricerca umana, la dottrina, sotto una o un'altra forma, nel tempo diventò familiare agli studiosi, in gran parte a causa di una più accurata conoscenza delle letterature filosofiche e religiose della Grecia e di Roma, determinata dalla caduta di Costantinopoli, e dalla sua conquista da parte dei turchi nel 1453, con la conseguente diffusione in Europa delle numerose opere letterarie delle biblioteche bizantine. Nei circoli letterari ed intellettuali oggi la reincarnazione è tacitamente accettata; molti uomini eminenti mostrano tracce inconfondibili di essere stati influenzati dalla preponderanza che la dottrina ha avuto sulle loro menti — coscientemente o inconsapevolmente, che abbiano confessato apertamente il fatto oppure no.

Sebbene la religione cristiana oggi non la insegni, così come non l'ha insegnata nei secoli passati, è vero che ai nostri tempi alcuni teologi cristiani ci credono e in alcuni casi stanno iniziando ad insegnarla nuovamente in forma modificata. Probabilmente questa dottrina originariamente fu persa di vista e scomparve dai libri che divennero le fondamenta della teologia cristiana inclusi quelli che personificavano l'insegnamento degli ultimi Padri della Chiesa, per il fatto che la dottrina della reincorporazione, nei primi periodi dell'era cristiana, era entrata in conflitto con le idee religiose che già si stavano rapidamente diffondendo, come ad esempio che l'anima umana era creata da Dio onnipotente in qualche indefinito momento o prima della nascita fisica.

Tra i primi cristiani, comunque, era effettivamente insegnata una forma di reincarnazione metempsicosica, come pure una dottrina più o meno chiaramente esposta della preesistenza dell'anima dall'eternità. Il più grande esponente cristiano di questa prima scuola teologica fu Origene di Alessandria. La maggior parte dei riferimenti alla prima dottrina cristiana della metempsicosi negli scritti di Origene si trova nella sua opera De Principiis. È un peccato per gli studiosi delle prime credenze cristiane, molte delle quali non sono più accettate, che non possediamo un testo completo della sua opera originale in Greco, e che la nostra conoscenza di quello che il grande Padre della Chiesa scrisse deriva principalmente da una traduzione in Latino di De Principiis, fatta in periodi successivi da Tirannio Rufino, di Aquileia, nato intorno al 345 d. C., e morto nel 410, e che era quindi contemporaneo dell' "ortodosso" Padre Girolamo.

Rufino si prese grandi libertà con il testo originale in Greco di Origene, e i moderni studiosi cristiani lo riconoscono, al punto che è impossibile discolparlo di aver mutilato il testo di Origene, e forse di aver incluso un'interpolazione nella sua traduzione in Latino, attribuendo ad Origene certe idee che probabilmente erano dello stesso Rufino. Questa disonestà letteraria di Rufino, comunque, non fu la sola che egli usò nei riguardi dell'opera di Origene, perché lo stesso Rufino, nel suo Prologo ai De Principiis, ci dice che egli agiva semplicemente come altri avevano fatto prima di lui:

E quindi, per non trovarvi così gravosamente esigente, ho comunque ceduto, contrariamente anche alla mia convinzione, a seguire, per quanto possibile, la regola osservata dai miei predecessori, e specialmente da quell'uomo distinto che ho menzionato sopra, il quale, dopo aver tradotto in Latino più di settanta trattati di Origene, dal titolo Omelie, e anche un considerevole numero dei suoi scritti sugli apostoli, in cui si trovano molte valide "pietre d'inciampo" nell'originale in Greco, nella traduzione, le ha quindi smussate e corrette, in modo che un lettore latino non possa incontrare niente che sia discordante con la nostra fede. Noi seguiamo quindi il suo esempio, al meglio della nostra abilità, se non con eguale potere d'eloquenza ma almeno con lo stesso rigore della regola, prendendoci cura di non riprodurre quelle espressioni che si trovano nelle opere di Origene che sono inconsistenti e in opposizione l'una con l'altra. — p. xii

Perché Rufino e quegli altri di cui parla si sarebbero esposti come giudici del Cristianesimo di Origene, il lettore può facilmente capirlo da solo. Quindi rimane il dubbio che, se avessimo il testo completo ed originale in Greco del De Principiis di Origene, e tenendo a mente che anche quello che è rimasto degli insegnamenti di Origene divenne la causa di un diffuso turbamento nella chiesa cristiana, e ricordando la condanna finale di Origene nel Sinodo nazionale sotto Menna, probabilmente constateremmo che egli era di gran lunga più esplicito nei suoi insegnamenti del particolare tipo di reincarnazione metempsicosica alla quale era favorevole, rispetto ai testi mutilati e interpolati che ci sono pervenuti. Ma anche questi sono ampiamente sufficienti a mostrarci fino a che punto questo teologo greco di Alessandria approvasse ed insegnasse pubblicamente qualche forma di reincarnazione metempsicosica.

Così, nei tempi precedenti il sesto secolo dell'era cristiana le idee di Origene penetrarono nella fabbrica del pensiero teologico cristiano, per cui c'è poco da meravigliarsi che il crescente materialismo religioso dei tempi si allarmasse per la differenza tra la dottrina che l'insegnamento di Origene allora esponeva e i dogmi stabiliti della fede cristiana. Sebbene questa doppia condanna delle dottrine di Origene alla fine uccidesse lo spirito dei suoi insegnamenti, questo accadde soltanto dopo un gran numero di dispute polemiche e la boccata d'aria di divergenze migliori dell'opinione teologica. Infatti, una certa quantità del pensiero di Origene sopravvisse nella chiesa cristiana fino alle epoche posteriori, com'è evidenziato dalle opinioni dei paesi europei più tardi, nel quattordicesimo secolo.

Potremmo aggiungere che a quel tempo, quando le dottrine di Origene furono formalmente condannate a Costantinopoli, gli insegnamenti dello pseudo Dionigi l'Areopagita stavano rapidamente incontrando il favore degli ortodossi. Questi insegnamenti erano di tipo mistico, e di indubbia origine pagana, perché si basavano largamente sulla teologia Neoplatonica e Neopitagorica, ma meno direttamente delle dottrine di Origene.

Ma quali erano quelle prime sette cristiane che insegnavano, in un modo o nell'altro, la reincarnazione? Innanzitutto erano i Manichei, sebbene sia discutibile se gli insegnamenti manicheisti possano chiamarsi proprio cristiani. Mentre alcuni teologi e storici cristiani di oggi li chiamano una setta perché avevano adottato qualche nozione dei cristiani — forse per motivi di prudenza personale o forse per proteggere a buon fine le loro vere credenze — fondamentalmente i Manichei non erano cristiani, anche se le loro dottrine a quel tempo erano diffuse e popolari nella storia dei primi cristiani.

Ancora, c'erano le numerose sette gnostiche, alcune delle quali, in verità, differivano ampiamente, e spesso molto positivamente, dalla teologia e dalla vita cristiana. Inoltre, c'erano alcune sette, come i Preesistenti (che credevano nell'esistenza dell'anima umana prima della nascita, e in una forma di reincarnazione) che erano distintamente cristiani, accettando la teologia cristiana nella maggior parte dei suoi punti. Questa setta, nei primi secoli dell'era cristiana, ebbe anche un'influenza non trascurabile sul pensiero del tempo.

Sarebbe interessante citare alcuni esempi del modo in cui Origene trattava la reincarnazione metempsicosica e la preesistenza. Il primo esempio è in un frammento del testo originale che abbiamo in Greco:

così la natura una di ogni anima è nelle mani di Dio e, per così dire, essendoci solo un grumo di esseri ragionevoli, certe cause di più antica data portarono qualche essere creato [prodotto] nei vasi d'onore ed altri nei vasi di disonore.[2] — De Principiis, Libro III, cap. i, 21

La frase nell'estratto di sopra, "certe cause di più antica data," è un chiaro riferimento alla vita, o vite, preesistente delle entità-anime che successivamente, seguendo le inerenti cause karmiche, divennero, alcuni: "vasi d'onore," ed altri: "vasi di disonore."

Ancora un altro passaggio, sempre dal testo originale in Greco:

come, d'altra parte, è possibile che colui che per cause più antiche della presente vita sia qui un vaso di disonore, possa diventare dopo la riformazione . . . ecc.

Ancora più chiaramente, Origene in un ulteriore capitolo dice:

quelli che affermano che ogni cosa nel mondo è sotto il governo della divina provvidenza (com'è anche nella nostra fede) mi sembra che possano non dare nessun'altra risposta ma dimostrare solo che nessun'ombra di ingiustizia poggia su questo governo divino, se non sostenendo che c'erano determinate cause dell'esistenza precedente, in conseguenza delle quali le anime, prima di rinascere nel corpo, hanno accumulato una certa quantità di colpa nella loro natura sensitiva, o nel loro agire, per cui sono state giudicate dalla Divina Provvidenza meritevoli di essere collocate in questa posizione. — Ibid. Libro III, cap. iii, 5

Le ultime due citazioni di Origene sono prese dalla traduzione in Latino di Rufino, e solo gli immortali sanno quanto Rufino sia stato colpevole di aver mutilato o ammorbidito il testo!

Citando ancora la traduzione di Rufino:

anche le creature razionali hanno avuto questo inizio. E se hanno avuto una simile origine come pure una fine per le quali hanno speranza, esistevano indubbiamente proprio dall'inizio in quelle [ere] che non hanno visto, e che sono eterne. E se è così, allora vi è stata una discesa da una condizione suprema ad una inferiore, non solo da parte di quelle anime che hanno meritato di cambiare con la varietà delle loro azioni, ma anche da quelle che, per servire il mondo intero, furono portate giù da quelle sfere elevate ed invisibili fino a quelle inferiori e visibili. . . .
— Libro III, cap. 4

In connessione alla dottrina di Origene sulla preesistenza delle gerarchie di diverse anime, è interessante notare che egli insegnò anche la preesistenza e quindi la reincorporazione dei mondi — ancora un'altra vestigia dell'arcaica religione-saggezza. Troviamo Origene che in questo punto dice:

Ma noi possiamo dare una risposta logica secondo il modello della religione, quando diciamo che non fu allora che Dio cominciò per la prima volta a lavorare, allorché fece questo mondo visibile; ma, come dopo la sua distruzione vi sarà un altro mondo, così crediamo pure che altri mondi esistevano prima che l'attuale venisse in esistenza. Ed entrambe queste posizioni saranno confermate dall'autorità delle Sacre Scritture. — Ibid. Libro III, cap. 5, 3

Qui c'è ovviamente un'affermazione definita dell'insegnamento della reincarnazione, come è intesa anche oggi, ed è inutile arguire che l'insegnamento di Origene abbraccia una nuda preesistenza nei regni spirituali senza qualche incarnazione ripetitiva sulla terra in corpi umani. Le sue ultime parole sono direttamente in linea con la dottrina della reincarnazione.

Origene, come la maggior parte della migliore classe dei filosofi dei tempi antichi non insegna il travisamento popolare della reincarnazione metempsicosica che oggi è chiamata trasmigrazione delle anime degli esseri umani nei corpi degli animali. La sua idea su questo soggetto è chiaramente esposta:

Noi pensiamo che non vadano in alcun modo accettate quelle opinioni che alcuni sono abituati inutilmente ad avanzare ed affermare, cioè che le anime discendono a un tal punto di abiezione da dimenticare la loro natura razionale e la loro dignità, e s'immergono nella condizione di animali irrazionali, sia grossi che piccoli;. . . . Tutte queste asserzioni non solo non le accettiamo ma, essendo contrarie alla nostra fede, le rifiutiamo e le rigettiamo. (Ibid. Libro I, cap. viii, 4)

Celso, un filosofo pagano, ha scritto con veemenza ed abilità contro la nuova fede cristiana, basando le sue obiezioni sulla constatazione che non vi è contenuta una filosofia adeguata, e anche sul fatto, come in verità affermò allora, che la nuova fede aveva ben poco di meritevole che fosse nuovo, e che tutto il suo meglio era stato anticipato nelle varie fedi pagane. Scrivendo contro Celso, Origene ancora una volta discute fortemente contro la cattiva interpretazione della teoria della trasmigrazione:

un'idea che va ben oltre la mitica dottrina della trasmigrazione, secondo la quale l'anima cade giù dalle altezze del cielo ed entra nel corpo di bestie brute, sia domestiche che selvagge.  — Contro Celso, Libro I, c. xx

Qui è palesemente chiaro che Origene, in comune a tutti i teosofi attraverso le ere, respinge l'insegnamento sbagliato che la fantasia popolare in tutti i paesi ha derivato dalla vera dottrina della reincorporazione, che quelle anime umane razionali non possono mai entrare nei corpi degli animali. Questo errato concetto dei veri fatti della reincarnazione nacque dalla confusione delle dottrine che si riferiscono alla trasmigrazione degli atomi di vita umani con le peripezie della monade umana che migra nelle sue peregrinazioni attraverso le sfere.

In parte, l'errore si basava anche sul travisamento di un insegnamento secondario della Filosofia Esoterica concernente il misero destino che non infrequentemente si abbatte sul kāmārūpa degli uomini che sulla terra propendevano eccessivamente verso la grettezza e la materialità. Questi fantasmi kāmārūpa legati alla terra e pesantemente materiali, da cui la monade umana si è allontanata, a volte sono attirati, da un'attrazione psico-magnetica e una grossolana sete per l'esistenza materiale nei corpi di quegli animali o anche piante con cui hanno affinità.

Origene ripete ancora la sua condanna della trasmigrazione com'era erroneamente intesa, con le seguenti parole:

Anzi, dovremmo curare coloro che sono caduti nella follia di credere alla trasmigrazione delle anime attraverso gli insegnamenti dei medici, i quali ritengono che la natura razionale a volte discenda in tutti i tipi di animali irrazionali, e a volte in quello stato d'esistenza che è incapace di usare l'immaginazione . . . ecc. — Ibid. Libro III, cap. lxxv

E ancora:

Il nostro insegnamento sul soggetto della resurrezione non deriva, come Celso immagina, da qualcosa che abbiamo udito sulla dottrina della metempsicosi, ma sappiamo che l'anima, che è immateriale ed invisibile nella propria natura, non esiste in qualche luogo materiale, né ha un corpo adatto alla natura di quel luogo. Perciò, contemporaneamente emette un corpo che esisteva necessariamente prima, ma che non è più adeguato al mutamento del suo stato, e lo cambia per un secondo; e un'altra volta ne assume un altro da aggiungere al primo, che è necessario come un rivestimento migliore, idoneo alle più pure regioni eteree del cielo. — Ibid. Libro VII, cap. xxxii

Qui Origene echeggia nella sua fraseologia vagamente cristiana altri insegnamenti dell'arcaica religione-saggezza: la peregrinazione dell'entità monadica attraverso le sfere, un insegnamento che sarà trattato in seguito.

Ancora nella stessa opera, egli parla molto cautamente durante lo svolgimento di un argomento su cosa vi sia di giusto o di sbagliato nel mangiare carne animale:

Noi non crediamo che le anime passino da un corpo all'altro e che possano discendere così in basso per entrare in corpi selvatici. Se a volte ci asteniamo dal mangiare carne animale, è evidente, quindi . . . ecc. — Ibid. Libro VIII, cap. xxx

Quest'ultimo estratto superficialmente può sembrare contrario alle precedenti citazioni, e quindi in opposizione alla reincarnazione; ma in questo estratto egli vuole dire esattamente ciò che l'antica saggezza intendeva, così come la insegnavano i filosofi iniziati: che la reincarnazione non è il trasferimento dell'entità razionale o ego reincarnante direttamente da un corpo fisico all'altro, senza stadi intermedi di affrancamento o purificazione, e senza alcun principio intermedio tra il corpo fisico e l'ego reincarnante.

Infine, la seguente dottrina di Origene la troviamo nella Lettera di Girolamo ad Avito:

Né vi è alcun dubbio che, dopo determinati intervalli di tempo, la materia esisterà ancora, e i corpi saranno formati e sarà stabilita una diversità nel mondo, sulla base delle varie volontà delle creature razionali che, dopo [aver goduto] la propria esistenza in basso alla fine di tutte le cose, sono gradualmente cadute in una condizione inferiore. — Lettera 124:11

In questo estratto si comprende una chiara affermazione del riformarsi dei mondi e del loro ripopolamento con gli esseri, strettamente in accordo con l'insegnamento di Origene.

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Un altro dei primi padri della Chiesa, che visse nel secondo e terzo secolo, fu il rinomato greco Clemente di Alessandria, che spesso è nominato con la forma latina del suo nome: Clemente Alessandrino. Sia lui che Origene sono stati altamente rispettati e consultati frequentemente dai teologi in tutte le epoche, fin dai loro tempi, e questo a scapito della condanna ufficiale a Costantinopoli delle cosiddette eresie di Origene nel sesto secolo. Nell'Esortazione ai pagani, Clemente dice:

l'uomo, che è un'entità composta di corpo ed anima, un universo in miniatura. — cap. i

Qui troviamo un santo regolarmente canonizzato della Chiesa Cristiana che espone un insegnamento tipicamente teosofico — "L'Uomo è un microcosmo del Macrocosmo" — in altre parole, l'individuo contiene in se stesso non solo qualsiasi cosa contenuta nell'Insieme universale, essendo quindi un "universo in miniatura," ma per questo fatto è parte integrante del continuum cosmico.

Clemente continua:

Se dunque i Frigi sono mostrati come la popolazione più antica per via delle capre del mito[3] o, d'altro canto, gli Arcadi sono definiti tali dai poeti, che li descrivono più antichi della luna; oppure gli egiziani che sono ritenuti i più antichi da quelli che sognano che questa terra fu la prima a dare la nascita agli dèi e agli uomini, tuttavia nessuno di questi popoli esisteva prima del mondo. Ma prima della creazione del mondo eravamo noi, che fummo destinati ad essere in Lui, a pre-esistere già nell'occhio di Dio — noi, le creature razionali del Verbo [Logos] di Dio, in considerazione del quale avemmo esistenza fin dall'inizio; perché "in principio era il Verbo" [Logos]. Bene, in quanto il Verbo era fin dall'inizio, Egli era ed è nella sorgente divina di tutte le cose; . . .   — traduzione del Rev. Wm. Wilson)

I Preesistenti durarono, come setta, almeno fino al terzo e quarto secolo, e non c'è ragione per credere che non durassero anche di più; ma è certo che la loro influenza diminuì rapidamente negli anni e con la maggiore diffusione tra le nazioni mediterranee delle dottrine teologiche puramente exoteriche degli esponenti cristiani — fino alla grande perdita della spiritualità nella teologia cristiana ortodossa. Indubbiamente c'erano altre associazioni primitive dei cristiani che sostenevano simili credi. Queste sette esistevano, con tutta probabilità, molto prima che fossero elaborati o scritti i libri del Nuovo Testamento cristiano. Certamente vi sono dei passaggi nel Nuovo Testamento che, letti così come sono, sono poco più che dei semplici "detti oscuri"; sono inspiegabili da qualsiasi teoria cristiana ortodossa, e appaiono come sciocchezze insensate, a meno che l'idea nella mente degli scrittori si basasse su qualche primordiale forma cristiana di reincarnazione metempsicosica, che era più o meno largamente accettata, e quindi poteva essere immessa negli scritti del Nuovo Testamento con la certezza che sarebbe stata compresa.

Il colloquio di Nicodemo con Gesù è un caso interessante ed alquanto conclusivo della questione, e mostra la credenza generale del tempo, sia che noi accettiamo l'effettiva esistenza di Nicodemo oppure no. Il punto è che questa credenza in qualche forma di reincarnazione metempsicosica era talmente diffusa in Palestina, che gli scrittori davano per scontato che tutti ne avrebbero capito le allusioni, e quindi le domande nacquero spontanee dalla bocca di Nicodemo, nel Vangelo Secondo Giovanni:

C'era un Fariseo di nome Nicodemo, un governatore degli ebrei. Lo stesso venne da Gesù di notte e gli disse:
Rabbi, noi sappiamo che tu sei un insegnante inviato da Dio, perché nessun uomo può compiere i miracoli che tu fai, se Dio non è in lui.
Gesù gli rispose e disse:
In verità, in verità ti dico: Se un uomo non rinasce, non può vedere il regno di Dio.
Nicodemo gli replicò:
Come può un uomo rinascere quando egli è vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre, e rinascere?
Gesù rispose:
In verità, in verità ti dico: Se un uomo non rinasce con l'acqua e lo Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Ciò che nasce dalla carne è carne; e ciò che nasce dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti di quanto ti ho detto: tu devi rinascere. — 3: 1-7

In questo passaggio estremamente interessante, che in realtà si riferisce almeno a tre aspetti diversi dell'insegnamento della saggezza, Nicodemo è chiamato un Fariseo; e, come è evidenziato dalle citazioni fatte da Giuseppe, i Farisei all'inizio dell'era cristiana insegnavano qualche forma della dottrina generale della reincorporazione. Di conseguenza, Nicodemo deve aver chiesto qualche informazione di tipo particolare; oppure, cosa che sembra più verosimile, se questa conversazione ha mai avuto luogo, lo scambio di idee deve essere stato riportato imprecisamente o travisato dallo scrittore di questo vangelo.

La moderna cultura critica ha mostrato abbastanza chiaramente che nessuno dei vangeli fu scritto al tempo in cui viveva Gesù, e quindi questo vangelo non proviene dalla mano dell'apostolo Giovanni, come infatti è sottolineato dalla sua comune attribuzione "secondo" Giovanni.

Vi è un altro notevole passaggio nello stesso vangelo:
E quando Gesù passò per strada, vide un uomo che era cieco fin dalla nascita.
E i suoi discepoli gli chiesero:
Maestro, chi ha peccato, quest'uomo o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco? — 9:1-2

Risulta evidente che anche i discepoli di Gesù avessero in mente qualche chiara dottrina della reincarnazione metempsicosica, e della retribuzione compensativa per il "peccato" in una vita precedente. Se prendiamo l'affermazione in questo vangelo come il rendiconto fedele di un'effettiva conversazione, siamo indotti a supporre che gli stessi discepoli di Gesù fossero Farisei, o fossero influenzati dall'insegnamento di quella setta ebraica — che è la stessa cosa. Si può notare che la risposta di Gesù non nega qualche precedente vita terrena dell'uomo cieco, ma semplicemente mira al fatto che né questo cieco né i suoi genitori peccarono, e le parole che lo scrittore del vangelo mette in bocca a Gesù, nel proseguimento della sua risposta, sono del tutto in accordo con le successive idee teologiche cristiane. Il punto importante è l'indicazione qui data dell'accettazione in Palestina di una o un'altra forma della dottrina della reincorporazione.

Giudicando dall'evidenza che ci è pervenuta in forma più o meno mutilata, è una certezza virtuale che da un periodo anche antecedente al secondo secolo la particolare forma della dottrina della reincorporazione adottata tra i primi cristiani era decisamente esoterica. Non è una supposizione basata solo sull'intrinseca evidenza che si ritrova nella prima letteratura patristica dei cristiani, ma è effettivamente espressa da almeno uno dei Padri ortodossi della chiesa ai primordi, il latino Padre Girolamo. Egli fa una specifica dichiarazione nella sua Lettera a Demetria, che questa dottrina, per quanto riguardava le prime sette cristiane dell'Egitto e delle parti orientali dell'Asia Citeriore, era segreta e non trasmessa a tutti quanti.

Le stesse parole di Girolamo sono così interessanti, che non c'è bisogno di nessuna giustificazione a ripeterle qui:

Questa empia e turpe dottrina si diffuse nei primi tempi in Egitto e nelle parti orientali; e attualmente, come se fosse in un covo di vipere, è segretamente divulgata tra molti, contaminando la purezza di quelle regioni; e come una tara ereditaria s'insinua nelle minoranze per poter raggiungere la maggioranza. — Lettera 130.16

Girolamo riporta anche il fatto che più di una setta cristiana insegnava qualche forma di reincarnazione metempsicosica. Scrivendo a Demetria, Girolamo afferma ancora che qualche forma di metempsicosi o di reincarnazione era allora sostenuta ed insegnata tra quelle associazioni di cristiani ma come una dottrina tradizionale ed esoterica, e che era trasmessa solo ad una minoranza selezionata. Ovviamente, egli stesso non credeva nella dottrina e gettò molto fango su quelli che ci credevano; tuttavia le sue affermazioni valgono come una documentazione del fatto.

Ora, Girolamo visse nella seconda metà del quarto secolo — quindi parecchie centinaia di anni dopo la supposta nascita di Gesù — e di conseguenza scrisse sotto l'influenza dei crescenti exoterismi e della teologia dogmatica che ai suoi tempi cominciava rapidamente a cristallizzarsi nella forma che poi assunse più tardi. Il suo punto di vista sulla dottrina della reincorporazione è dunque è facilmente comprensibile, e tiene conto del modo tipicamente patristico e dogmatico in cui egli ne scrive. Ma ciò prova che, se anche così tardi come nel quarto secolo, qualche forma di reincarnazione metempsicosica era ancora sostenuta da certe sette cristiane, anche se più o meno segretamente, è indubbio che fosse dovuto alla paura delle persecuzioni ortodosse.

Vi è una parte degli ultimi Padri della Chiesa, del tutto ortodossi, che rivaleggiavano reciprocamente nel trovare termini di vituperio e vergogna per ciò che non comprendevano affatto, condannando le credenze dei compagni cristiani di un'epoca precedente e più pura, e anche delle loro rispettive epoche — così in ritardo, in verità, come l'anno 540! Lattanzio, ad esempio, che visse nel quarto secolo, freme con abbastanza disprezzo contro l'antica dottrina della reincorporazione.

La reticenza che era palese negli ultimi secoli riguardo alla reincorporazione fu dettata da motivi di saggezza terrena, o nacque dalla paura di persecuzioni e rappresaglie da parte dei loro compagni cristiani? O fu dettata da molti diversi motivi che regolavano l'insegnamento pubblico di qualche forma di reincorporazione in tempi precedenti all'era cristiana? Forse un po' di entrambi i motivi. I principi di questa dottrina sono di per sé semplici, ma se uno desidera avere una conoscenza accurata ed estesa, deve studiare e riflettere profondamente. Era un'antica consuetudine, prevalente dappertutto, che nessuno divulgava in una volta sola insegnamenti completi di qualsiasi scienza o arte o sistema filosofico, e soprattutto non a coloro i quali non si serano precedentemente preparati con l'allenamento e lo studio a riceverli appropriatamente e legittimamente.

Questo era lo spirito che dominava tutti i riti iniziatici usati nelle antiche scuole misteriche, e in una certa misura ancora è così anche per noi. Ad esempio, non permettiamo a un bambino di imparare come combinare le sostanze chimiche in esplosivi. Lo studente deve prima imparare gli elementi dello studio al quale si indirizza, deve prima preparare se stesso, sia nella mente che nel cuore, non solo per la propria sicurezza, ma per quella dei suoi simili. Allora può ricevere i segreti più grandi, ma anche allora solo proporzionalmente al grado che egli ha raggiunto.

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Durante il Medioevo esistevano certe confraternite che insegnavano una dottrina segreta della reincorporazione, sebbene i dettagli delle loro credenze non siano più rintracciabili; e queste sfortunate confraternite di eretici erano rigorosamente ricercate e perseguitate, a causa delle loro convinzioni, dal lungo braccio delle autorità, sia ecclesiastiche che civili. Tali erano i Catari — che significa "i puliti" perché credevano in una vita pulita. Erano anche chiamati Albigesi, Tisserand, e con altri nomi. Tali erano i Bogomili in Bulgaria e Russia — questo è un antico termine slavo, e probabilmente significa "l'eletto di Dio." Sembra che il loro "crimine" sia stato di amare più che le cose di questo mondo quelle che pensavano fossero le cose di Dio. Entrambe queste ultime confraternite di uomini, forse, tennero viva qualche forma della dottrina generale della reincorporazione che molto prima era stata insegnata nel diffuso e popolare sistema manicheo di fedi.

Ancora più tardi, in Europa venne Giordano Bruno (1548–1600), un Neoplatonico nato in anticipo sui tempi. È anche possibile che Helmont (1578–1644), lo scienziato e filosofo mistico olandese, credesse in qualche forma di reincarnazione; e ancora più tardi, sembra che Swedenborg (1688–1772) abbia adottato la dottrina della reincorporazione dell'anima in una forma adeguata alle proprie idee.

Nella Germania moderna troviamo che anche Goethe ed Herder hanno insegnato la reincarnazione, ma come la intendevano loro. Così fece Charles Bonnet, il biologo e filosofo franco-svizzero; mentre Schopenauer ed Hume, pur non insegnandola, la consideravano una dottrina meritevole del più profondo rispetto e studio filosofico.

Il noto scrittore e critico G. E. Lessing sosteneva il punto di vista logico che il progresso della specie umana, come pure di tutte le altre entità animate, si basava su qualche forma di reincarnazione metempsicosica. La sua opinione, in un certo senso, si avvicina strettamente allo schema di quello che la teosofia insegna riguardo alla reincarnazione. Lessing scrisse più apertamente di altri, che in privato sostenevano la stessa opinione, e il suo procedimento sul soggetto era, in breve, come segue:

L'anima spirituale è un'entità non composta, intrinsecamente capace di concetti infiniti, in considerazione della sua derivazione fondamentale da una sorgente infinita, il Divino Kosmico. Poiché nella sua manifestazione è solo un'entità dai poteri finiti, non è capace di contenere concetti infiniti mentre è nei suoi stati finiti, ma raggiunge concetti infiniti con la crescita attraverso un'infinita successione di tempo, ottenendo gradualmente queste esperienze. Ma per ottenere queste esperienze gradualmente, devono necessariamente esserci l'ordine e il grado con cui questi concetti infiniti sono acquisiti. Quest'ordine e questa misura del sapere si trovano negli organi percettivi, comunemente chiamati sensi, interiori ma anche esteriori, le cui vere radici si trovano nell'anima naturalmente percettiva; i sensi fisici attualmente sono soltanto cinque; ma non è sensato supporre che l'anima abbia iniziato con soli cinque sensi, o che non avrà mai più di cinque sensi.
Poiché è certo che la Natura non fa mai un salto nella sua crescita ignorando i passi intermedi, l'anima deve quindi essere passata attraverso tutte le fasi inferiori fino a quella attuale, imparando in ognuna di esse attraverso un organo appropriato o organi appropriati; e poiché è anche certo che la Natura comprende e contiene molte sostanze e poteri ai quali i nostri cinque sensi odierni non possono corrispondere e che dunque non possono trasmettere alla coscienza centrale a causa delle imperfezioni di questi cinque sensi, dobbiamo riconoscere che vi saranno delle fasi future di crescita ed espansione in cui l'anima svilupperà tanti nuovi sensi quanti sono i poteri e le sostanze della Natura.

Nel suo breve ma meritevole saggio, scoperto dopo la sua morte, "That there can be more than five Senses for Man" [Per l'uomo possono esserci più di cinque Sensi] egli dice:

Questo mio sistema è inequivocabilmente il più antico di tutti i sistemi filosofici; perché in realtà non è altro che il sistema della preesistenza e della metempsicosi dell'anima che occupava le menti di Pitagora e Platone e, anche prima di loro, degli egiziani, dei caldei e dei persiani — in breve, di tutti i Saggi dell'Oriente; e questo fatto dovrebbe da solo andare a suo favore, perché il primo e più antico credo è, in teoria, sempre il più probabile perché il senso comune lo afferra immediatamente.

Ne L'Educazione della Razza Umana, Lessing scrive non diversamente sulla reincarnazione:

94 . . . Ma perché ogni uomo individuale non dovrebbe essere esistito più di una volta su questo Mondo?
95 . . . Questa ipotesi è così ridicola perché è la più antica? Perché l'intelletto umano, prima che i sofismi delle Scuole l'avessero dissipata e indebolita, si illuminava subito su di essa?
96 . . . Perché non potrei anch'io aver già fatto quei passi del mio perfezionamento che portano all'uomo solo punizioni e ricompense temporanee?
97 . . . E nuovamente, perché non ripetere un'altra volta tutti quei passi, per compiere i quali le prospettive delle Eterne Ricompense ci assistono?
98 . . . Perché non dovrei ritornare così spesso per poter acquisire nuove conoscenze, nuove abilità? In passato ho forse portato via così tanto, che non vi è niente per ripagare la difficoltà di ritornare?
99 . . . È questa una ragione contraria? O perché dimentico di essere già stato qui? È una felicità per me poter dimenticare. Il ricordo della mia condizione anteriore mi permetterebbe solo un cattivo uso di quella attuale. E quello che anch'io deve dimenticare ora, è necessario che sia dimenticato per sempre?
100 . . . O è una ragione contro l'ipotesi che tutto questo tempo sia stato perduto per me? Perduto? E allora quanto dovrei perdere? — non è mia un'intera Eternità?   — traduzione di F. W. Robertson.

L'industriale americano Henry Ford è un reincarnazionista di tipo moderno, e si esprime apertamente su questa realtà. Il seguente estratto è preso da un'intervista sul soggetto che Ford diede qualche anno fa al famoso giornalista americano George Sylvester Viereck:

Ho adottato la teoria della Reincarnazione da quando avevo ventisei anni . . .
La religione non mi offriva niente di appropriato — o perlomeno, ero incapace di scoprirlo. Nemmeno il lavoro poteva darmi una soddisfazione completa. Lavorare è inutile se non possiamo utilizzare l'esperienza che raccogliamo in una vita in quella successiva.
Quando ho scoperto la Reincarnazione fu come se avessi trovato un piano universale. Realizzai che c'era una possibilità di lavorare sulle mie idee. Il tempo non era più limitato. Non ero più uno schiavo delle lancette dell'orologio. C'era abbastanza tempo per pianificare e creare.
La scoperta della Reincarnazione mise la mia mente a suo agio. Mi ero stabilizzato. Sentivo che l'ordine e il progresso erano presenti nel mistero della vita. Non cercai più altrove una soluzione all'enigma della vita.
Se lei, Dr. Viereck, conserva una registrazione di questa conversazione, la trascriva in modo che possa mettere le menti degli uomini a loro agio. Mi piacerebbe comunicare agli altri la calma che la lunga prospettiva della vita ci offre.
Tutti noi conserviamo, per quanto debolmente, le memorie di vite passate. Percepiamo frequentemente che siamo stati spettatori di una scena o che abbiamo vissuto un momento in qualche precedente esistenza. Ma ciò non è essenziale; è la sua essenza, la sostanza, i risultati dell'esperienza, che sono preziosi e restano con noi.
— The San Francisco Examiner, 6 agosto 1928

Oggi vi sono strani travisamenti o anche distorsioni di quest'insegnamento una volta universalmente diffuso. L'eminente ricercatore ingegneristico e scienziato, Matthew Luckiesh, qualche anno fa scrisse:

La reincarnazione dell'anima è stata sognata e desiderata da molti popoli.
. . . Dopo tutti questi anni siamo ancora incerti del destino di quella nostra parte intangibile — l'anima o l'entità della mente. Posiamo noi reprimere un sorriso quando ammettiamo che la conoscenza ha provato la reincarnazione e la vita praticamente eterna della materia morta, ma che non ha ancora rivelato alcuna prova delle cosiddette anime? Di notte ci corichiamo e la nostra mente resta incosciente. Gli atomi nei tessuti che ci ricoprono sono così vibranti di vita come lo sono quelli nei nostri corpi. Gli elettroni negli atomi ruotano senza sosta nelle loro orbite e le molecole composte da atomi vibrano continuamente. I movimenti di questi piccoli corpi elementali proseguono, che siamo svegli o morti, e continuano a farlo per sempre, bloccando qualche fenomeno catastrofico che finora esiste solo in teoria. La sua ironia! La conoscenza ha fornito per prima la vita eterna della materia. — "Uomini, Atomi, e Stelle," Scientific American, giugno 1928.

Questa è un'ipotesi curiosamente contraddittoria! Egli crede che "la materia è morta," nella stessa frase afferma che la materia ha "la vita eterna."

Continuando la citazione:

Una cosa cosiddetta viva muore; ma i suoi innumerevoli atomi sono più vivi che mai. La particolare organizzazione degli atomi rappresentata da quel corpo morto è radunata . . .
Possiamo immaginare molte interessanti migrazioni della materia, nel cui corso hanno luogo molte reincarnazioni. . . .
Ad esempio, un atomo di ossigeno che noi ora respiriamo può essere venuto sulla nostra Terra da lontano, in una meteora. Forse fu formulato bilioni di anni fa . . . in un crogiuolo stellare — in una remota nebulosa. . . . L'atomo di ossigeno faceva parte di una meteora [successiva] che viaggiava errando per eoni. Questi "legni trasportati dalla corrente" dello spazio probabilmente entrarono nell'atmosfera della Terra e s'incendiarono . . . L'atomo di ossigeno venuto sulla Terra è polvere di cenere.
Questo può essere successo milioni di anni fa. Gli elettroni ruotavano per tutto il tempo nelle orbite di questo atomo. Gli atomi divennero parte di una molecola di sale minerale. . . . Ora è una parte di una molecola d'acqua. Ha ancora un viaggio tortuoso e molte reincarnazioni. . . . Questo è il più semplice scorcio della sua vita eterna — immutabile anche se reincarnato infinite volte.

Parlando con precisione, è meglio descrivere tutte le peregrinazioni di un atomo o di un elettrone come reincorporazioni, e riservare il termine reincarnazione per quei particolari veicoli di carne che la monade assume nelle sue ripetute incarnazioni.

Egli parla di questi atomi come se fossero fisicamente vivi, Ora, questa è un'affermazione assoluta per esprimere, poiché è quasi una certezza fisica secondo gli insegnamenti dei chimici, che gli stessi atomi hanno una definita durata di vita, e quindi hanno sia un principio che una fine. La Filosofia Esoterica asserisce che questo principio non è che un'unità, un legame, nella catena infinita di questi reincorporamenti atomici; perché non solo gli atomi si reincorporano, ma anche i corpi celesti, i sistemi solari e le galassie, e così via.

Dopo un po' egli dice che l'atomo di ossigeno aveva i suoi elettroni che ruotavano nel suo interno per bilioni di anni, e che queste rotazioni elettroniche hanno seguito i loro rispettivi sentieri "immutati" per tutto quel periodo di tempo. Ora, un atomo che ha bilioni di anni è veramente un atomo molto antico. Come può un atomo vivere "immutato" per tutta quella durata di tempo? Non conosciamo nessuna cosa in natura che duri "immutata" attraverso l'eternità: quello che non ha il suo inizio, raggiunge la maturità, e alla fine decade e muore — solo per ritornare, per reincorporarsi. Quando questo periodo evolutivo riguarda l'anima umana, è chiamato reincarnazione; quando è uno delle migrazioni degli atomi di vita, o anche degli atomi fisici, la chiamiamo reincorporazione o trasmigrazione di quegli atomi di vita.

———————

Gettando quindi un'occhiata sugli annali della storia, vediamo che più ci avviciniamo alla nostra epoca, più chiaramente notiamo che la dottrina della reincorporazione è stata frequentemente distorta; mentre, d'altro lato, più indietro rintracciamo nel tempo la sua storia, più accurato era l'insegnamento impartito e più estesa era la sua diffusione sul globo. In quei tempi antichi gli uomini comprendevano veramente questa nobile dottrina. Sapevano che lo studio di tutta una vita non avrebbe esaurito il suo immenso contenuto, e sapevano anche quanto fossero grandi la saggezza e il conforto che scaturivano nelle loro menti e nei loro cuori da un suo studio serio e continuato. Era la spiegazione più coerente degli enigmi e spesso delle strazianti ineguaglianze nella vita umana; una dottrina di speranza infinita, perché la sua importanza e il suo significato avevano a che fare non solo con il passato karmico ma raggiungevano gli illimitati campi del futuro.

Come esempio del modo in cui l'insegnamento della reincorporazione era trasmesso e compreso nei tempi antichi, può essere istruttiva la seguente breve sintesi del ruolo che esso ricopriva nell'antico pensiero Orfico. Orfeo fu uno dei più grandi e riveriti filosofi della Grecia arcaica, e si suppone che sia vissuto in quella che è chiamata "l'età mistica" della Grecia. Secondo una linea della tradizione leggendaria, egli fu il principale fondatore dei Misteri Eleusini.

Lo spirito e il corpo sono uniti da un legame inegualmente forte: lo spirito è divino in essenza, immortale, e anela alla sua libertà originaria, mentre il corpo lo tiene temporaneamente incatenato. La morte dissolve questo legame, ma solo per un periodo, perché la ruota della rinascita gira incessantemente, riportando lo spirito-anima ad incarnarsi nel dovuto corso del tempo. Così lo spirito-anima può continuare il suo viaggio cosmico tra periodi di esistenza spirituale e libera e nuove incarnazioni intorno al lungo cerchio di Necessità. A queste entità prigioniere Orfeo insegna il messaggio della liberazione, richiamandole al divino mediante una vita intensamente santa ed un'auto-purificazione: più è pura la vita, più elevata sarà la reincarnazione successiva, finché lo spirito-anima abbia completato l'ascesa a spirale del destino, e vivere quindi in piena libertà come un'entità divina nel senso dello stesso divino, ma ora pienamente auto-cosciente.

In questo questa panoramica dell'arcaico sistema Orfico avremmo dovuto aggiungere che lo spirito-anima che ha così terminato il suo percorso per quel particolare universo cosmico è quindi diventato autocoscientemente partecipe al lavoro cosmico dell'universo ancora più esteso e che tutto abbraccia; e rimane una divinità pienamente sbocciata finché inizia un nuovo periodo di manifestazione della vita cosmica. Allora, dall'interno e dall'esterno, è nuovamente spinto ad ritornare — come ha fatto innumerevoli periodi prima, ma come un principiante che ora è nella parte inferiore di questa nuova scala evolutiva — e sottoporsi a un nuovo viaggio in campi ancora più universali.


[1] La parola che Erodoto usa è zōon, parola che, come il suo equivalente termine Latino, animal, può significare "essere vivente" o "animale," perché l'animale è un essere vivente. Così un uomo è un essere vivente; ma poiché l'essere umano possiede facoltà e attributi spirituali ed intellettuali che gli danno quell'eminente priorità sulla mera vitalità o animalità del suo corpo, il termine zōon, in Greco, o animal in Latino, era raramente usato, o mai, per gli esseri umani. Era comunque correntemente usato in senso mistico, per definire esseri animati di qualche tipo, superiore o inferiore, quando si voleva evidenziare il lato corporeo dell'essere. Così, nel cerchio dello Zodiaco i vari segni o case o dimore erano perciò chiamati zōa, esseri viventi, proprio secondo l'idea mistica dei greci che i corpi celesti fossero "animali," "esseri viventi," ma nel loro caso, animati o ispirati dalle divinità. Non possiamo evitare di soffermarci su questo soggetto, per quanto brevemente, a causa della persistente traduzione di questo termine, zōon in Greco, o l'equivalente animal in Latino, come "bestia" o "animale" nel moderno significato europeo; e questa traduzione, poiché omette spesso l'effettivo significato mistico degli scrittori originali greci o latini, può considerarsi un travisamento del senso originale.

[2] "Il vasaio . . . può fare dalla stessa qualità d'argilla un vaso per uso onorato e un vaso per uso vile . . . " (San Paolo: Romani, 9:21-23) — n. d. t.

[3] Le capre che circondavano l'albero della vita dei Frigi. — n. d. t.



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