La Sorgente Primordiale dell'Occultismo — G. de Purucker

Sezione 11

La Morte e le Circolazioni del Cosmo — I

L'UNITÀ DI TUTTA LA VITA

L'Ego spirituale dell'uomo si muove nell'Eternità come un pendolo tra le ore della vita e della morte. Ma se queste ore che segnano i periodi della vita terrena e spirituale sono limitate nella loro durata, e se proprio questo numero di fasi nell'Eternità tra sonno e veglia, illusione e realtà, ha il suo inizio e la sua fine, sull'altro versante il "Pellegrino" spirituale è eterno. Quindi, sono le ore della sua vita post-mortem — quando, una volta disincarnato, egli si trova faccia a faccia con la verità e non con i miraggi delle sue transitorie vite terrene durante il periodo di quel pellegrinaggio che noi chiamiamo "il ciclo delle rinascite" — la sola realtà da noi concepibile. Questi intervalli, nonostante il loro limite, non impediscono all'Ego, mentre si perfeziona sempre, di seguire con perseveranza, sia pure gradualmente e lentamente, il sentiero verso l'ultima trasformazione, quando quell'Ego che ha raggiunto la sua meta diventa il Tutto divino. — H.P.B. in Lucifer, gennaio 1889, p. 414.

Probabilmente nel mondo di oggi non c'è alcun soggetto il cui valore sia così poco conosciuto e tuttavia così profondamente radicato nel sentimento e nel pensiero, come quello della morte. Comunque, per quanto cerchiamo di ignorare la spiacevole realtà della dissoluzione del corpo, e per quanto l'abitudine di schernire le cose sconosciute possa fuorviare la mente, tutti sono interessati al soggetto della morte, speculandoci sopra e desiderando saperne di più.

Gli insegnamenti della filosofia esoterica riguardanti quella fase della vita universale chiamata morte sono semplici da capire in linea generale, ma difficili nei loro aspetti più reconditi. Il tema principale di tutte le grandi scuole misteriche dell'antichità e i rituali che riflettevano in forma drammatica questi insegnamenti interni, erano le 'avventure' nelle quali l'entità umana s'inoltra quando il corpo fisico è messo da parte. Il rilievo più forte verteva sul fatto che la morte e il sonno sono fondamentalmente la stessa cosa, soltanto di grado diverso; che il sonno è una morte imperfetta e la morte è un sonno perfetto. Questa è la chiave principale di tutti gli insegnamenti sulla morte, perché, se comprendiamo cosa avviene durante il sonno, avremo il filo di Arianna per una comprensione relativa di ciò che avviene al momento della morte, durante e dopo.

Questo è il percorso di studio ed allenamento con cui il neofito diventa finalmente capace di rimanere pienamente autocosciente mentre il corpo dorme; e l'adepto o il chela elevato, mediante lo stesso allenamento protratto per un periodo ancora più lungo, è capace di rimanere completamente consapevole ed attivo sui piani interiori quando il corpo muore. L'uomo che ha così sviluppato più o meno completamente la conoscenza delle funzioni e delle caratteristiche della propria natura, può, durante la sua vita, viaggiare autocoscientemente fuori dal corpo verso altre parti della terra e, con un potere più rafforzato, anche su altri pianeti. Ma ancora superiore è il potere di visitare autocoscientemente i mondi interiori che ci circondano, e di riportare un ricordo relativamente perfetto delle esperienze e della conoscenza così acquisita. In verità, tutta l'iniziazione poggia proprio su questo fatto.

La Morte non è l'opposto della Vita, ma è effettivamente uno dei modi di vivere — una modificazione della coscienza, un cambiamento da una fase di vita ad altre, subordinate al destino karmico. Sarebbe impossibile per qualsiasi entità vivere un per solo istante se non morisse al tempo stesso, come Paolo parafrasa: "Io muoio ogni giorno." Ugualmente, ogni uomo "muore" quando dorme; perché i nostri corpi sono in uno stato di costante cambiamento, i loro atomi sono in un processo continuo di rinnovamento che altro non è se non un tipo di morte, e per quanto riguarda gli atomi, per essi non è una morte relativa ma totale. Anche mentre siamo incarnati viviamo in mezzo a numerose piccole morti. Come era solito dire Eraclito, panta rhei, "tutte le cose fluiscono," in un incessante stato di cambiamento.

Ora, questo continuo movimento di modifica, cioè di morti e rinascite — sia che questi cicli avvengano in lassi di tempo di una frazione di secondo o che siano calcolati in milioni di anni — è, in ultima analisi, sotto il governo del maestoso battito del cuore della vita cosmica, di cui è espressione, e della quale ogni entità o essere non è altro che un atomo di vita, altamente evoluto oppure no.

Era precisamente questo quadro generale degli incomprensibilmente vasti giri interagenti ed interconnessi degli eserciti di esseri, che gli antichi iniziati-filosofi avevano in mente, come ad esempio quelli dell'India, quando si rivolgevano con un anelito infinito dell'anima verso il nirvana, per ottenere la beatitudine, per lunghi eoni, del jīvanmukta, e porre una tregua dagli intricati giri sulla ruota della vita, come Buddha la chiamava.

Possiamo ugualmente applicare quanto detto alle nostre vite, perché siamo tutti coinvolti in questi cicli vorticosi dei movimenti evolutivi della vita cosmica, e così le nostre incarnazioni e il nostro morire sono soltanto l'eco dei cambiamenti del nostro destino karmico. Di conseguenza, vediamo che non corrisponde a verità la prospettiva sulla morte dei cristiani, e nemmeno quella degli scienziati, perché entrambi fraintendono il prendere e il lasciare i corpi come eventi a se stanti, invece di valutarli come episodi che noi, in qualità di attori, recitiamo nell'ininterrotto progresso evolutivo delle nostre anime.

La morte non è che un cambiamento, un cadere nel 'grande sonno,' che deve essere inevitabilmente seguito da una reincarnazione, vale a dire una riproduzione di noi stessi sulla terra in un futuro punarjanman,[1] ma anche dall'intermedia riproduzione karmica di noi stessi nel piccolo, in tutte le diverse dimore della vita che compongono i regni esterni ed interni dell'universo duodecuplo. È questo turbinio, questo giro della monade attraverso lo spazio e il tempo, a cui alludono gli scritti buddhisti come il samsāra,[2] e nella Qabbālāh come il gilgūlīm, ed anche nei mistici greci di alcune scuole fisiche come kuklos kosmou, 'il ciclo del (o attraverso il) kosmo — ed ognuno di essi esprime, in modi diversi, l'incessante peregrinare della monade durante il manvantara cosmico in tutte le dimore della vita e attraverso di esse. Mentre questo si riferisce particolarmente alla monade umana, si applica anche a tutte le altre monadi. Come ho tanto spesso affermato, la monade comincia in qualsiasi manvantara cosmico come una scintilla divina incosciente, per poi terminare come un dio autocosciente pienamente sbocciato rispetto a quel particolare periodo di tempo manvantarico, perché essa vi ha imparato, attraverso le sue vite e le sue morti evolutive, le sue incarnazioni e metempsicosi, tutte le lezioni che è capace di sperimentare attraverso il manvantara cosmico.

La morte di un uomo, dunque, non è che un viaggiare attraverso gli spazi dello Spazio, poiché la monade segue le circolazioni del sistema solare su tutti i sette pianeti sacri e il sole e attraverso di essi, dopo di che ritorna alla terra lungo gli stessi sentieri per assumere un nuovo corpo umano.

Sarebbe davvero sbagliato immaginare che la stessa monade è incarnata qui sulla terra, e che dopo la morte è disincarnata. In primo luogo, la monade è sempre sul proprio piano elevato, e lavora attraverso gli involucri della coscienza. Di conseguenza, durante le sue peregrinazioni sui piani interiori, si riveste, in ogni sfera di vita che visita, di un involucro o 'corpo' strettamente corrispondente alle forze e sostanze dei diversi piani del cosmo attraverso i quali la monade passa, sia in ascesa che in discesa. Sui piani superiori del nostro universo i veicoli molto eterei — in sanscrito, kośas — che assume e attraverso i quali lavora sono per noi arūpa, senza forma, solo perché sono talmente diversi dalla materia grossolana dei nostri corpi fisici, da somigliare ad involucri di luce abbagliante. Tutte le cose sono relative; così, mentre parliamo di queste sfere altamente eteree o, in verità, spirituali, e dei loro abitanti che sono arūpa, altre entità che vivono su piani divini ancora più alti riterrebbero questi esseri elevati come rivestiti di rūpa, cioè di forme.

La tragedia spirituale dell'occidente è stata la perdita della consapevolezza dell'unità della vita cosmica con tutta l'esistenza manifestata. A causa di secoli di travisamenti religiosi e, in seguito, di errati insegnamenti scientifici, l'uomo di oggi considera se stesso piuttosto istintivamente come un qualcosa di diverso dall'universo. Fu Descartes, il filosofo francese del diciassettesimo secolo, ad essere determinante nel causare questa perdita di consapevolezza nell'anima umana della sua identità spirituale con l'universo, perché la sua dottrina filosofica si basava su una supposta differenza tra spirito e materia; e questo, aiutato dalla perdita di spiritualità negli insegnamenti e nella vita della Chiesa Cattolica, ha influenzato negativamente tutta la successiva filosofia e scienza in occidente. Fortunatamente, i maggiori esponenti della moderna teoria scientifica stanno ritornando ancora una volta, anche se a livello inconscio, agli insegnamenti arcaici che l'anima dell'uomo è una scintilla dell'anima mundi, e che forza e materia non sono che due aspetti della stessa Realtà sottostante.


GLI ASPETTI CAUSALI DELLA MORTE

Tutto considerato, è stata posta troppa enfasi sui vari corpi o rivestimenti nella costituzione dell'uomo. Dopotutto, questi sono semplicemente veicoli temporanei proiettati intorno a sé dall'uomo interiore, che è una monade, un raggio ardente della divinità solare, un raggio che discende attraverso tutte le sfere della coscienza di vita cosmica fino a raggiungere questo piano fisico dove si manifesta attraverso le sostanze, principalmente del cuore e del cervello, dell'uomo incarnato. Al contrario, la morte, nelle sue fasi, consiste nel mettere da parte, uno dopo l'altro, i rivestimenti di cui il raggio si era avvolto.

Se un uomo desidera sapere il destino del suo post-mortem, è necessario seguire le peregrinazioni della coscienza monadica di per sé, perché la morte è innanzitutto un cambiamento di coscienza, un ampliamento della sua sfera d'azione. Egli deve cominciare studiando il suo vero sé che è la sua essenza individuale interiore, seguendo con il pensiero questo raggio continuamente verso l'alto e verso l'interno lungo i punti focali, cioè i centri della coscienza della propria costituzione.

In natura l'azione ciclica non è che uno dei modi mediante il quale il karma cosmico si manifesta. Per dare giusto un chiarimento: il processo della morte nell'uomo è identico a quello degli atomi di vita della sua costituzione fisico-astrale. Quando un atomo di vita 'muore,' il che significa che la sua vita incarnata estremamente breve è finita, passa dal corpo fisico a quello astrale, e lì, con uguale rapidità, si sottopone a determinate trasformazioni prima che il jīva o monade di quell'atomo di vita ascenda attraverso i principi-elementi superiori della costituzione umana. Poi, dopo un periodo di riposo recuperativo, un tale atomo di vita discende attraverso i principi-elementi della costituzione interiore dell'uomo, giù fino al suo linga-śarīra, e quindi nel veicolo fisico dove nuovamente, per la durata della sua breve vita, aiuta a costruire il corpo umano.

Seguendo in generale lo stesso carattere dell'efflusso peregrinante, dell'assimilazione e riposo in devachan, e il successivo afflusso nella luce astrale e nella sfera terrestre, le monadi umane perseguono i propri corsi. Quello che l'atomo di vita è per il corpo fisico dell'uomo, da un punto di vista e da linee strettamente analogiche, così l'atomo di vita spirituale o monade umana lo è per il globo terrestre. Ciò si applica anche ad altre entità. Qui sta il segreto della vera natura della morte, che così è vista solo come un'altra fase del meraviglioso ed intricato apparato delle funzioni della vita universale.

La vita dell'uomo sulla terra non è che una fase nel viaggio di ogni ego cosciente sempre in espansione, l'ego reincarnante, attraverso la sfera fisica, e la morte è solo la continuazione di questo viaggio fuori da questa sfera terrestre in un'altra. La morte fisica è in gran parte provocata dal fatto che il campo d'espansione della coscienza umana si diffonde al di là della capacità del corpo che la contiene, il quale, sentendo le pressioni su di sé, gradualmente scivola nella senescenza, per essere gettato alla fine come un abito logorato. Poco tempo prima che avvenga la morte, i principi interiori del quaternario inferiore cominciano a separarsi sui propri piani, e il corpo reagisce automaticamente a quest'incipiente separazione, causando la decadenza fisica della vecchiaia. Questo punto è di essenziale importanza, perché mostra che la morte fisica non provoca la dissoluzione dei legami dei principi-elementi inferiori; al contrario, il corpo muore perché queste invisibili forze inferiori, sostanze, ed energie — collettivamente parlando, la vita interiore causale del quaternario umano — hanno già iniziato a separarsi, e il corpo fisico, man mano che passa il tempo, ne segue naturalmente ed inevitabilmente l'esempio.

È ovvio che la parte immortale dell'uomo abbia un potere incomparabilmente irresistibile e un'influenza pervadente nei regni causali, più di quanto lo abbia il semplice ego umano; ne consegue che vi è una costante spinta verso l'alto, alle sfere più elevate in cui ha origine la triade superiore dell'uomo. Questa potente attrazione spirituale ed intellettuale che agisce sulla parte elevata della natura intermedia della costituzione umana, combinata all'usura e alla lacerazione sul composto fisico-astrale durante la vita terrestre, sono le due principali cause che contribuiscono alla morte fisica. La morte, quindi, è causata principalmente dall'interno, e solo secondariamente dall'esterno, e coinvolge un'attrazione dell'ego reincarnante verso l'alto, alle sfere divino-spirituali, e la progressiva decadenza del veicolo atrale-vitale-fisico.

Dovrebbe essere chiaro che non è una mancanza di vitalità che porta alla morte fisica, o, per la verità, al sonno, suo gemello, ma piuttosto una sovrabbondanza di attività prānica. Come affermò W. Q. Judge, è l'eccesso di forza prānica che attraverso gli anni risveglia gli organi con lo stress e la tensione che premono su di loro mediante il flusso vitale di cui sono i portatori, per cui la loro coesione e il potere molecolare ed anche atomico di compiere i loro rispettivi 'doveri' o funzioni, sono infine distrutti.

È stato detto di frequente che ogni individuo ha una certa riserva limitata di vitalità, e che quando si è esaurita, l'uomo deve morire. Quello che significa è che l'organismo vitale-astrale-fisico, come entità composita, non solo ha un determinato potere di resistenza ai flussi di vita prānica che si riversano attraverso di esso, ma ha anche il suo potere coesivo che nasce nei prāna delle molecole e degli atomi individuali che nella loro aggregazione creano il corpo. In altre parole, quando le energie prāniche dell'intera costituzione logorano il corpo in modo che non possa più funzionare regolarmente, esso comincia a indebolirsi, o si ammala. Si può aggiungere che questo processo è applicabile ugualmente ad ogni organo del corpo; perciò, se si fa uno sforzo eccessivo su un qualsiasi organo, è questo organo che si indebolisce per primo, e in casi estremi può trascinare gli altri organi in questo disordine, per cui può insorgere la malattia, o anche la morte.

Strettamente connesso a questo soggetto è l'argomento delle 'vite,' cioè gli atomi di vita con cui è costruita ogni parte della nostra costituzione. Possono essere contemporaneamente costruttori e preservatori e, altre volte, a causa di uno sforzo eccessivo o di qualche altra influenza disgregante, questi stessi atomi di vita possono diventare distruttori. Ma gli estremi sono sempre pericolosi: se, ad esempio, degli atomi di vita sono forzatamente costretti a cambiare il loro modo di procedere atomico, e quindi naturale e salutare, allora lì per lì — immediatamente o gradualmente — diventano distruttori invece che costruttori o preservatori. In realtà, la questione della morte, che è causata da un eccesso di vitalità, e ugualmente il lasciarsi andare di un uomo al sonno, poggia sul fatto che gli atomi di vita del corpo hanno raggiunto un punto in cui la loro resistenza si affievolisce, o decresce, come nel sonno. Ecco quindi la funzione degli atomi di vita, una volta costruttori o preservatori, e un'altra volta distruttori — in un certo senso, anche rigeneratori.

La morte, nella maggior parte dei casi, è preceduta da un certo periodo trascorso nel ritiro dell'individualità monadica, o meglio, dell'ego reincarnante, che ha luogo in coincidenza con la separazione dell'essere settuplice che è l'uomo.[3] L'ego reincarnante obbedisce così fortemente all'attrazione interna verso un'indicibile beatitudine dei mondi interiori, che il filo d'oro della vita, che lo connette alla triade inferiore, si spezza. Segue immediatamente l'incoscienza, poiché la natura è molto misericordiosa in queste cose, essendo guidata da una saggezza quasi infinita.

La vecchiaia è quindi semplicemente il risultato fisico del ritiro preliminare dell'ego reincarnante dalla partecipazione autocosciente agli affari della vita terrestre. Molto verosimilmente, la si può paragonare al periodo — che varia per mesi o anche anni — che precede la nascita di un bambino, durante il quale l'ego che ritorna si è sottoposto quasi coscientemente a prepararsi alla sua 'morte' nel devachan e alla sua discesa, attraverso i regni inferiori intermedi, nello stato appropriato della sua incarnazione su questo piano. Le condizioni caratteristiche di quella che è conosciuta come la seconda infanzia rappresentano uno dei diversi modi naturali di lasciare questa vita terrestre. Non vi è nulla di dannoso in questo; la vita è semplicemente un riflusso mentre è in preparazione una 'nascita' nei regni invisibili.

La causa della senescenza o senilità nella nostra attuale quinta razza-radice è che il buddhi e l'ātman sono soltanto adombrati dai loro poteri quando l'individuo oltrepassa la mezza età, e così la vecchiaia non è ancora illuminata e rafforzata da questi principi superiori. Ugualmente, nella quarta razza-radice, quando kāma e kāma-manas si stavano sviluppando, l'elemento mānasaputrico o mānasico superiore si manifestava soltanto in maniera flebile, come una lontana emanazione. Quindi, l'Atlantiano comune, sebbene vivesse fisicamente molto più a lungo rispetto a noi, aveva una vita fisica intensa ed eccessivamente vigorosa e passionale durante la mezza età, e dopo un certo periodo seguiva un'immediata diminuzione di potere seguita da una lunga e persistente vecchiaia.

Verso la fine della settima razza-radice di questa ronda avremo imparato a vivere, almeno parzialmente, in ciascuno dei nostri sette principi-elementi o monadi, per cui, quando la morte si avvicinerà, vi sarà un costante incremento non solo nella facoltà spirituale ed intellettuale, ma anche negli attributi psichici. In altre parole, non vi saranno più persone 'vecchie,' perché gli individui umani cresceranno progressivamente più grandiosi, più forti e più efficienti in ogni parte del loro essere — fino ad un periodo molto breve che precederà la 'morte,' che allora sarà un istantaneo immergersi nell'incoscienza, un sonno improvviso, uno stato di trance, seguito dalla caduta dell'involucro fisico.


IL PROCESSO DI DISINCARNAZIONE

Quando un uomo sta soffrendo di un dolore mortale, i suoi parenti gli stanno vicino e, mostrandogli affetto, dicono: "Mi riconosci? Mi riconosci?" Finché il linguaggio non si fonde nella sua mente (manas), la sua mente nella vita (prāna), la vita nel fuoco (tejas), il fuoco nella Divinità Suprema — egli li riconosce per molto tempo.
Ora, quando il suo linguaggio è immerso nella mente, la mente nella vita, la vita nel fuoco, il fuoco nella Divinità Suprema — allora egli non li riconosce.
Quella che è la sua esiguità (ani), che è la propria essenza, che è tutto, che è verità (satya), che è Ātman, quello sei tu, o Śvetaketu. — Chāndogya-Upanishad, VI, 15, 1-3.

Chi ha studiato gli scritti di H.P.B. realizzerà che tutte le diverse parti della costituzione umana sono rappresentate nell'aura ākāśica che permea e circonda il corpo umano, e che ciascuna di queste parti ha il proprio tasso vibratorio, il proprio colore, e anche la sua nota musicale fondamentale. Durante la vita quest'aura ākāśica — che è l'efflusso più fisico dell'uovo aurico — presenta un gioco veramente meraviglioso di colori, che variano ad ogni istante secondo l'azione del pensiero e dell'emozione; ed è attraverso di essi che il veggente allenato è capace di dire, proprio con una sola occhiata, in quale condizione mentale o emotiva si trovi l'uomo, e quale sia il suo stato sulla scala della vita. Di questo fatto si sono impadroniti dei mistici inesperti, ed è stato così esagerato e sfruttato, che esitiamo a soffermarci su di esso, sia pure brevemente.

È in riferimento a quest'aura ākāśica che si applicano le espressioni "la corda d'oro" o "il filo d'argento" della vita. Quando la morte si avvicina, il che implica un ritiro dell'essenza vitale dall'essere umano incarnato, quest'aura ākāśica è trattenuta in modo coordinato, e così la sua attività diventa immediatamente meno efficiente; e al momento della morte completa, che significa il distacco dell'aura vitale dal corpo fisico, quest'aura ākāśica si riduce ad una sola corda o filo che alla fine si spezza. Ora, questo filo è di un colore o di un altro; a volte sembra d'oro, a volte con sfumature d'argento o azzurrognole, altre volte rosso o verde, ed altre volte ancora di una tinta fangosa e sporca — il colore dipende in ogni caso dagli ultimi pensieri che attraversano la mente dell'uomo morente. Spesso anche il veggente osserva che il filo è multicolore — d'oro nelle sue parti più alte, tendente all'indaco-azzurro con un'occasionale lampeggiare di verde, o a volte striato di rosso, e le parti inferiori possono essere d'argento o viola.

In tutti i casi, sono coinvolti i vari prāna, perché sono i campi vitali in cui agiscono e si manifestano gli elementi della costituzione umana. In verità, questo filo è composto dalla sostanza di parecchi prāna che progressivamente lasciano i tessuti, e per ultimi gli organi vitali del corpo. Quando è privato della sua vita prānica psico-vitale-magnetica, a quel punto il corpo è 'morto,' proprio come la lampadina, quando s'interrompe la corrente, lampeggia per un breve istante e poi si spegne.

Il momento preciso in cui si spezza il filamento della corda non è l'ultimo respiro, e nemmeno l'ultimo battito del cuore, sebbene entrambi evidenzino il momento della morte apparente, che è come dire il momento della scomparsa di gran parte della corda vitale. Perché, fintanto che il panorama delle esperienze della vita passata attraversa il cervello, cosa che avviene in tutti i casi di morte, rimane ancora un sottile trefolo del filamento. Solo quando il panorama diventa finalmente vuota incoscienza, quest'ultimo filamento luminoso sparisce — e questa è la morte completa del corpo. Allora comincia immediatamente il rigor mortis, essendo una reazione aurica automatica che si manifesta come una temporanea immobilità o 'rigidità' dei prāna latenti nel cadavere, che indugiano in uno stato vegetativo prima di svanire.

Vi è un curioso legame tra lo spezzarsi della corda vitale alla morte, e la prima entrata del flusso vitale nel feto. Proprio come la rottura dell'ultimo filo della corda significa l'inizio della morte completa, così il primo movimento del bambino nell'utero significa il primo istante della vera entrata del raggio egoico della monade dall'alto all'interno del corpo del bambino non ancora nato. Poi, quando il bambino nasce, il suo primo respiro è una reazione astrale-fisica più o meno automatica allo stimolo interno combinato con lo stimolo esterno.

Il processo della morte è complicato. Approssimativamente, il cuore 'muore' per primo, e il cervello è l'ultimo organo ad essere abbandonato dalla corda vitale. Tuttavia, anche dopo che il cuore si è fermato, vi rimane un punto luminoso all'interno, connesso all'ākāśa ancora attivamente in funzione nel cervello e che produce il panorama della vita passata — questo punto luminoso nel cuore svanisce un istante prima che l'ultimo filamento vitale della corda sparisca. Come regola generale, il ritiro dell'essenza aurica comincia alle estremità inferiori e gradualmente procede fino al cuore, dove si ferma brevemente e quindi risale lungo il midollo spinale fino al cervello.

Comunque, sarebbe sbagliato supporre che tutti i prāna dell'uomo incarnato, considerato come un aggregato, escano solo attraverso il cervello. Ogni orifizio del corpo diventa, durante il processo della morte, un'apertura o organo di espulsione per il corrispondente prāna che durante la vita lavora dentro e fuori un tale orifizio. Le aperture generative, l'ano e l'ombelico, emettono certe parti inferiori dell'aura umana vitale; mentre il cuore, come detto, trova la sua via d'uscita attraverso il midollo spianale fino al cervello. Quella porzione dell'astrale incarnato, che è il vettore dei più elevati efflussi intermedi dell'ego, lascia il veicolo fisico in quella che sembra una nuvola di vapore, passando principalmente attraverso la bocca e le narici. Un'altra porzione della vitalità esce attraverso le orecchie e gli occhi. La parte dell'uomo astrale che, mentre è incarnato, è stata l'organo degli elementi intellettuali spirituali e più nobili, abbandona il corpo attraverso quello che negli antichi scritti hindu è conosciuto come brahmarandhra, in genere descritto come un'apertura o orifizio mistico sulla sommità della testa vicino alla ghiandola pineale. Così i prāna del corpo e del linga-śarīra abbandonano la loro presa sulle molecole e gli atomi del corpo fisico e, lasciandoli con i loro speciali prāna, si ritirano nell'uovo aurico dell'entità che sta morendo.

Quando parliamo dell'uomo astrale ci riferiamo specificamente al linga-śarīra e al suo ritirarsi dal corpo dell'uomo morente; infatti, una volta che è avvenuta la morte, il linga-śarīra si libra intorno e sopra al cadavere, sebbene sia legato ad esso da numerosi e tenui fili di sostanza astrale prānica — che potremmo chiamare materia elettrica o magnetica. In effetti, come è stato puntualizzato, ogni orifizio del corpo essuda la sua parte appropriata dell'uomo astrale come una nuvola di vapore; e, ugualmente, ogni molecola ed atomo del corpo dell'uomo morente lascia andare la sua porzione dei prāna generali, che si liberano da questi legami molecolari ed atomici, causando 'l'esplosione' o lo scoppio della luce o l'irradiazione che avviene al momento della morte.[4]

Può essere interessante aggiungere qui qualche nota sui vari metodi di disporre il corpo dopo la morte. Le pratiche della mummificazione o imbalsamazione, come sono state eseguite da diverse popolazioni antiche, e anche oggi da quelli che vogliono preservare il corpo dal disfacimento nei limiti del possibile, non sono buone, per la ragione che sono un tentativo di impedire la trasmigrazione degli atomi di vita.

Queste pratiche ebbero origine nei degenerati tempi di Atlantide, quando i devachan erano brevi e la reincarnazione avveniva in una successione abbastanza rapida, per la diffusa mancanza di spiritualità tra i popoli che allora abitavano la terra. Gli stregoni e i maghi di quel periodo, per ragioni diaboliche, tentarono di interferire con i processi purificatori della natura, imbalsamando e mummificando i loro morti: essi speravano che al momento in cui l'ego si fosse nuovamente reincarnato, questi corpi mummificati sarebbero stati ancora intatti. A volte, quando questo succedeva realmente, i cadaveri erano bruciati per liberare gli atomi di vita, affinché potessero tornare nel nuovo corpo dell'ego reincarnato.

Ora, l'imbalsamazione e la mummificazione del corpo era in parte inutile, perché non aveva in nessun modo qualche effetto su uno qualsiasi degli atomi di vita superiori o più eterei di quelli astrali e fisici inferiori. Ma il tentativo riusciva anche parzialmente, perché le classi più grossolane e materializzate degli atomi di vita, che altrimenti avrebbero seguito le circolazioni più materiali della trasmigrazione, erano trattenute da tali circolazioni.

Quindi, quando l'entità ritornava ad incarnarsi dopo qualche migliaia di anni, riceveva questi atomi di vita quasi nell'identica condizione in cui si trovavano precedentemente per quanto riguardava il livello dell'esperienza. Questi particolari atomi di vita erano quindi ritardati nel loro naturale viaggio evolutivo. È sufficiente dire che questa pratica non trova nessuna giustificazione morale.

Come detto, la mummificazione aveva origine da un atto di magia nera atlantiana — un tentativo di ostacolare i processi infinitamente saggi e giusti della natura. Ugualmente, nacque da una visione tipicamente atlantiana della grande importanza dell'universo materiale e della vita materiale. Dopo che il suo significato si era perduto, l'abitudine perdurò attraverso le ere, e fu continuata da parecchie popolazioni Ario-Atlantiane, come i peruviani, gli egiziani, ed altri. (Gli egiziani e i peruviani, comunque, non erano veri Atlantiani, ma appartenevano alla razza-radice Ariana.) Era una parte del pesante karma degli Atlantiani che permaneva ancora nella quinta razza-radice, e si manifestava in maniera materiale.

Molto meglio era il costume dei primi Ariani di affidare alle fiamme purificatrici i corpi dei loro morti, liberando così gli atomi di vita il prima possibile, e permettendo allo splendore interiore di librarsi nei mondi interiori senza nemmeno un'ombra d'attrazione verso la terra, che un corpo morto fornisce. La polvere alla polvere, le anime al sole, e lo spirito alla stella genitrice — era il credo dei nostri antenati ariani.

La cremazione aiuta il corpo astrale a disintegrarsi più in fretta di quando il corpo fisico è lasciato putrefare nella tomba, perché sia il corpo astrale che il cadavere sono strettamente uniti fisicamente e magneticamente. Infatti, essi si disintegrano quasi atomo per atomo (la sola eccezione è lo scheletro, perché la sua pesante composizione chimica minerale può sopravvivere anche allo 'scheletro' astrale del linga-sārīra). Per tutto il tempo in cui il corpo si disfa nella sua tomba, il linga-śarīra gli gira intorno; e così a lungo dura il kāma-rūpa, attirato in una certa misura nei dintorni della tomba.

Il fuoco è un fenomeno elettrico, una manifestazione di elettricità prānica. La sua influenza è di solito distruttiva, ma è anche il grande costruttore dell'universo, ed è per questo che gli antichi lo adoravano. Il fuoco fisico non può distruggere niente al di là del suo raggio d'azione; disintegra le molecole fisiche e spezza la coesione degli atomi chimici rendendoli liberi. La cremazione, quindi, non ha alcun effetto sugli atomi di vita, se non di affrettare il processo di dissociazione chimica da atomo ad atomo; invece di 'bruciare' lentamente attraverso gli anni per ossidazione, la cremazione è un metodo veloce di fare la stessa cosa.

Quando un uomo è veramente morto, non vi è assolutamente niente in lui che sia, nel senso più remoto, cosciente di ciò che ha luogo quando il corpo è cremato — tranne forse un indistinto e piacevole senso di liberazione. Questa sensazione è avvertita perché la consumazione del corpo mediante il fuoco e, di conseguenza, del linga-śarīra, libera immediatamente il kāma-rūpa; e nel caso degli uomini comuni, il kāma-rūpa si libra nelle regioni superiori del kāma-rūpa al di fuori degli stessi sedimenti astrali.

Una volta che la corda d'oro si è spezzata, non vi è sulla terra nulla di fisico che possa disturbare il passaggio dell'anima. Tuttavia, devono trascorrere almeno trentasei ore tra l'ultimo respiro e l'eliminazione dell'involucro fisico. Gli uffizi funebri dovrebbero essere brevi, semplici, e nel rispetto dell'amore che il defunto suscitava nei cuori degli altri.

Tra le persone che hanno paura della morte, che si aspettano di andare in 'cielo' e tuttavia rifiutano quell'esperienza beatifica con ogni atomo del loro essere, sembra esserci un istinto paradossale a considerare questo avvenimento così naturale come un momento di dolore e desolazione. In verità, c'è più bisogno di cordoglio per la nascita di un bambino di quanto ce ne sia per il passaggio di un individuo che è andato nella felicità superna.


LA VISIONE PANORAMICA

Nell'ultimo istante tutta la vita si riflette nella nostra memoria e, con un susseguirsi di immagini ed avvenimenti, emerge da tutti i cantucci e gli angoli dimenticati. Il cervello morente smuove il ricordo con un forte impulso supremo e la memoria ricostruisce fedelmente ogni impressione che le fu affidata durante il periodo d'attività del cervello. L'impressione ed il pensiero più forte diventano naturalmente i più vividi e sopravvivono, per così dire, a tutto il resto, che ora svanisce e scompare per sempre, per ripresentarsi solo nel Devachan. Nessuno muore pazzo o senza accorgersene — come afferma qualche fisiologo. Anche il pazzo o chi abbia un attacco di delirium tremens ha un istante di lucidità perfetta al momento di morire, benché non sia in grado di dirlo agli astanti. Spesso un uomo può sembrare morto. Ma dall'ultima pulsazione, dall'ultimo battito del cuore all'istante in cui l'ultimo guizzo di calore animale lascia il corpo — il cervello pensa e l'Ego rivive tutta la propria vita in quei brevi secondi. Parlate in un sussurro, voi che assistete al letto di Morte e vi trovate alla sua solenne presenza. Dovete mantenervi sereni specialmente dopo che la Morte ha steso la propria viscida mano sul corpo. Parlate in un sussurro, ripeto, per non turbare il sereno mormorio del pensiero ed impedire all'opera del Passato di riflettersi sul Velo del Futuro. — Le Lettere dei Maestri, pp. 170-1 ed. or.; pp. 131-2 online

La visione panoramica di solito comincia quando tutte le attività e funzioni corporee sono cessate e, in verità, qualche volta prima dell'ultimo battito cardiaco e, come regola, continua dopo che il cuore si è fermato e l'ultimo respiro è stato esalato. È impossibile stabilire la durata di tale processo, perché la lunghezza della visione varia immensamente da individuo a individuo. Nel caso di persone altamente spirituali l'intero processo si completa in poche ore; in altre persone può durare fino a dodici ore, forse anche di più. Probabilmente è richiesta una media di sei ore per quest'ultima visione della māyā della vita appena vissuta. Ma in tutti i casi, la visione panoramica avviene perché il cervello è soffuso dalle scintillazioni fugaci che ancora gli arrivano dai lievi viticci della corda della vita, che diventa progressivamente sempre più sottile con il passare delle ore.

Questa panoramica ha luogo anche quando un uomo muore all'improvviso in conseguenza di un terribile incidente, come ad esempio quando il cervello esplode a pezzi o quando il corpo è bruciato vivo. In questi casi, la panoramica avviene nelle parti superiori del cervello astrale che, sebbene sia seriamente influenzato, specialmente nelle sue parti più materiali, tuttavia resiste come un organo coesivo molto più a lungo del cervello fisico.

Nell'estrema vecchiaia il panorama comincia in un modo vago ed incerto qualche giorno, o forse settimane, prima della morte fisica, e questa è realmente la causa della condizione di intontimento in cui cadono frequentemente le persone molto vecchie poco prima di morire.

Ogni avvenimento, episodio, evento, pensiero ed emozione della vita di un uomo è registrata nelle diverse parti del suo essere: gli eventi emotivi nella parte kāma-manāsica, ecc. … mentre il linga-śarīra e il corpo fisico sono essi stessi permanentemente marcati e spesso cambiati notevolmente dalle esperienze subite attraverso l'incarnazione.

Il panorama scorre in tutti i suoi mirabili dettagli — nessun pensiero o punto d'azione viene omesso — perché è il risultato dell'azione istintiva della monade umana che, quasi incoscientemente a se stessa, si stacca da ogni segreto recesso dei suoi ricordi interiori, impressi come sono sulla propria sostanza vitale, tutti i dettagli della vita appena passata. A causa delle forze spirituali in azione, che sono strettamente armoniche e karmiche, la coscienza funziona automaticamente nell'apertura della visione panoramica a cominciare dal primo avvenimento che la memoria ha registrato nell'ultima vita passata, e procede quindi in uno sfarzo maestoso di immagini finché l'ultimo pensiero è raggiunto, l'ultima emozione sentita, l'ultima intuizione percepita — e allora viene l'incoscienza, completa, improvvisa, e infinitamente misericordiosa. Questa è la vera morte.

Ora, non è possibile che una tale panoramica possa aver luogo nella sua completezza durante il normale periodo di vita dell'uomo, perché la sua coscienza è così distratta dai molteplici avvenimenti in cui egli vive, che non vi è alcuna possibilità che si realizzi. Quella che chiamiamo memoria è semplicemente la capacità di leggere più o meno accuratamente le impressioni fisiologiche stampate sul nostro uovo aurico, impressioni che sono trascinate dal flusso aurico fino al corpo, dove entrano nella struttura del cervello fisico e del sistema nervoso, e per reazione si fanno spesso percepire come memorie del passato.

È una cosa davvero meravigliosa che la coscienza umana, attraverso il suo corpo e i suoi vari organi, non solo registra con sorprendente precisione ogni avvenimento mentale ed emotivo che ha luogo di giorno in giorno, ma che fotografi anche sui registri dell'essere interiore un numero incomprensibilmente immenso di impressioni sensoriali, cerebrali e nervose, delle quali la coscienza quotidiana è del tutto scarsamente consapevole. Ma durante la visione ogni singolo avvenimento passa rapidamente davanti all'occhio osservatore dell'uomo interiore, precedendo il suo passaggio da questo piano.

Quelli che sono accanto ai moribondi li sentono spesso mormorare flebilmente gli avvenimenti della prima infanzia, ma non comprendendo, suppongono che sia una visione del cielo, o qualcosa del genere. È semplicemente la bocca che ripete ciò che il cervello vede — memorie che passano in rivista; e indietro, a ridosso, c'è il Sé che vede e giudica la vita passata, e il suo giudizio è infallibilmente veritiero. Il Sé vede la registrazione di cose fatte o non fatte, i pensieri avuti, le emozioni seguite, le tentazioni che sono state domate o che hanno dominato; e quando la panoramica è arrivata alla fine, vede la giustizia di tutto questo. Nel guardare la visione del karma passato, conosce quale è il futuro nella prossima vita.[5]

Vi è una simile visione panoramica della vita passata, ma in tono meno vivido e completo, in quella che è chiamata la seconda morte in kāma-loka. Ma non è tutto, vi è una terza riapparizione di questa panoramica prima della rinascita, cioè prima che la monade umana lasci il suo sogno devacianico e ridiventi incosciente prima di reincarnarsi nell'utero umano. La completezza e la precisione dei dettagli in ciascun caso dipende dal tipo dell'ego, poiché non c'è una regola ferrea da applicare a ciascuno. Vi sono variazioni di qualità ed intensità in queste visioni, poiché dipende dal grado evolutivo raggiunto dall'ego umano.

Nel caso di individui di un'inusuale condizione spirituale, la panoramica che precede la morte (ed ugualmente quella che ha luogo prima di lasciare il devachan) spesso contiene barlumi della seconda o terza vita precedente, e forse di un periodo più remoto nel passato dell'ego umano. La capacità di vedere panoramicamente il passato vicino o distante dell'ego umano è proporzionale al grado di spiritualità che è stato raggiunto; più l'ego è spirituale, maggiore è il potere di guardare nel passato; e, in verità, nei chela o nei mahatma elevati questa capacità diventa attiva anche durante la vita incarnata. Quanto lontano nel remoto passato il mahatma possa scavare — se lo vuole fare — dipende non solo dalle sue capacità evolutive, ma dalla sua volontà di farlo; molti di essi non amano scrutare nelle loro vite precedenti.[6]

Anche l'uomo comune, a rari intervalli, ha dei barlumi non solo di una vita, o di vite, passata, ma anche profeticamente del futuro. Comunque, è così debolmente allenato a riconoscere queste visioni per quello che effettivamente sono — registrazioni impresse nella fabbrica del proprio uovo aurico o nella luce astrale — che di solito le considera meri sogni o fantasie. Poiché non è evoluto abbastanza da intuire cosa potrebbe vedere o discernere, quale che sia il livello di precisione, tra immaginazione e le vere registrazioni auriche, per lui è assolutamente pericoloso tentare di scrutare nel passato o nel futuro. Nello stesso tempo, non è da trascurare il fatto che a volte, durante una malattia o in una trance spesso causata dalla malattia, il malato possa avere visioni o immagini distorte delle registrazioni nella luce astrale o nel proprio uovo aurico, ma in questi casi, essendo così diversa dalla vera panoramica che avviene alla morte, la visione è confusa e distorta, e a volte di carattere talmente orripilante, da lasciare lo sfortunato malato in un sudore freddo di terrore impotente.

Quegli sfortunati individui che vogliono vedere semplicemente le loro vite passate non sanno ciò che chiedono. Se lo facessero e realizzassero che cosa racchiudono quelle registrazioni, incluso il bene che ovviamente essi hanno compiuto, la probabilità è che farebbero assolutamente qualunque cosa in loro potere per cancellare le immagini dalla loro memoria. A quale uomo normale piacerebbe guardare indietro in tutti i pensieri e le azioni deboli, crudeli ed ignobili da lui impressi sulla galleria delle immagini della natura durante le vite vissute in tempi passati?[7]

Anche molte persone hanno periodi di reminiscenze quando sembra esserci un afflusso degli eventi della prima fanciullezza, ricordi che successivamente si affievoliscono. Questo non ha comunque niente a che fare con la situazione che avviene alla morte, nemmeno nel vedere le proprie vite passate, ma accade semplicemente perché il sistema nervoso e il cervello in quel momento sono in armonia vibratoria con le registrazioni nel proprio uovo aurico, e quindi il cervello registra automaticamente queste immagini vaghe e transitorie della memoria, rendendo un individuo capace di vivere per un po' nella coscienza ritornata agli anni precedenti. Questi casi sono abbastanza comuni. Commentando il soggetto della memoria al momento della morte, H.P.B., in uno dei suoi articoli, dice:

Il fatto è che il cervello umano è semplicemente il canale tra due piani — il piano psico-spirituale e quello materiale — attraverso cui ogni idea astratta e metafisica filtra dalla Coscienza manasica giù fino a quella inferiore umana. Quindi, le idee sull'infinito e l'assoluto non sono, né possono esserlo, dentro le capacità del nostro cervello. Possono essere riflesse fedelmente solo dalla nostra Coscienza spirituale, e di qui proiettate più o meno debolmente sulle tabelle delle nostre percezioni su questo piano. Così, mentre le registrazioni di avvenimenti anche importanti sono spesso rimosse dalla nostra memoria, l'azione più insignificante delle nostre vite non può sparire dalla memoria dell' "Anima," perché per essa non è memoria, ma una realtà sempre presente sul piano che sta fuori dai nostri concetti di spazio e tempo ….. mentre la memoria fisica in un uomo vivente in buona salute è spesso offuscata, poiché un fatto prende il sopravvento su un altro più debole al momento del grande cambiamento che l'uomo chiama morte — quella che chiamiamo memoria sembra ritornare a noi in tutto il suo vigore e freschezza.
Non potrebbe questo essere dovuto, come ho appena detto, semplicemente al fatto che, per pochi secondi almeno, le nostre due memorie (o meglio, i due stati della coscienza, lo stato superiore e quello inferiore) si fondano, formandone così una sola, e che l'essere morente si trova su un piano in cui non vi è passato né futuro, ma tutto è un solo presente? La memoria, come tutti sappiamo, è più forte riguardo alle sue prime associazioni, nel periodo in cui il futuro uomo è solo un bambino, e più un'anima che un corpo; e se la memoria è una parte della nostra Anima, allora, come ha detto Thackeray da qualche parte, deve necessariamente essere eterna.[8]

Questi mirabili processi della coscienza con cui l'uomo vede tutta la sua vita appena finita realizzando l'assoluta giustizia di tutto ciò di cui ha sofferto o gioito, non sono in alcun modo uno sforzo della volontà dell'ego reincarnante, ma sono procedimenti automatici del funzionamento della propria sostanza. La coscienza dell'anima dell'ego, che guarda questa rassegna, è per tutto il tempo completamente dimentica di qualsiasi cosa tranne che di questa visione panoramica. L'ego riceve un'impressione indelebile che rimane in lui per tutto l'interludio devacianico e aiuta a guidarlo verso il proprio ambiente per la sua prossima rinascita fisica.

Per ricapitolare: ogni essere umano che è 'nella media' — né altamente spirituale e molto avanzato, né estremamente grossolano e materialista — ha tre visioni panoramiche: la prima, che precede proprio la morte completa del corpo fisico; la seconda, appena prima e al momento della seconda morte nei piani superiori del kāma-loka, vale a dire l'abbandono del kāma-rūpa e l'inizio dell'entrata in devachan; la terza, dopo aver lasciato il devachan e prima che cominci la successiva incoscienza che precede l'entrata del raggio egoico nell'utero. Questa terza visione panoramica contiene anche qualcosa di qualitativamente profetico, perché l'ego umano, che in questo modo si sta preparando alla gestazione che precede la nascita nel corpo fisico, non solo vede il suo passato ma ha dei barlumi del futuro, e riconosce la giustizia e la necessità karmica del tipo di ambiente e del tipo di corpo in cui sta entrando.

Ora, quegli esseri umani che sono eccessivamente grossolani e materialisti non hanno devachan e, di conseguenza, nessuna autentica seconda morte, e quindi, praticamente, nessuna seconda visione panoramica; ecco perché sono quasi immediatamente attratti a reincarnarsi sulla terra. Hanno la prima visione panoramica, un adombramento della seconda, ma non hanno alcuna terza visione che precede la rinascita. Altri, come ad esempio le anime perdute e gli stregoni di basso grado hanno in ogni caso la visione panoramica alla morte, sempre secondo il loro potere psico-intellettuale, ma non possono avere devachan. Nei casi degli idioti congeniti e dei bambini che muoiono, essi non hanno nessuna visione panoramica perché non hanno nulla nella vita terrena appena conclusa da ricordare o da rivedere autocoscientemente, poiché la qualità mānasica è 'dormiente,' o non ancora risvegliata interiormente.

Naturalmente, quegli esseri altamente spirituali che ancora non hanno imparato a vivere autocoscientemente dopo la morte, hanno tutte le tre visioni panoramiche.


I PRĀNA O LE ESSENZE VITALI

Questa vita (prāna) nasce da Ātman.
Come nel caso di una persona c'è quest'ombra estesa, così è in questo caso. Tramite l'azione della mente essa viene in questo corpo.
Come un grande feudatario comanda ai suoi sovrintendenti dicendo: "Sorveglia questo e quell'altro villaggio," così questa vita (prāna) controlla uno per uno gli altri soffi di vita.
L'espirazione (apāna) è negli organi di escrezione e di generazione. Il soffio di vita (prāna), come tale, si stabilisce nell'occhio e nell'orecchio, nella bocca e nel naso. Nel mezzo c'è il respiro equalizzante (samāna), poiché è questo che equalizza qualsiasi cosa sia stata offerta come cibo. Da esso nascono le sette fiamme.
Nel cuore, in verità, è il sé (ātman). Qui vi sono quelle centouno arterie. A ciascuna di esse appartengono un centinaio di arterie più piccole. In esse si muove il respiro diffuso (vyāna).
Ora, risalendo attraverso una di queste [arterie] il respiro in alto (udāna) porta, in conseguenza del lavoro buono, al mondo buono; in conseguenza di quello cattivo, al mondo cattivo; in conseguenza di entrambi, al mondo degli uomini.
Il sole (Āditya), in verità, sorge esternamente come vita; poiché è lui che aiuta il soffio di vita nell'occhio. La divinità che è nella terra sostiene il soffio di vita (apāna) di una persona. Quello che è nel mezzo, vale a dire lo spazio (ākāśa), è il respiro equalizzante (samāna). Il vento (vāyu) è il respiro diffuso (vyāna).
Il calore (tejas), in verità, è il respiro in alto (udāna). Quindi, l'individuo il cui respiro è cessato va a rinascere con i suoi sensi immersi nella mente (manas).
Quale che sia il pensiero dell'individuo, con questo egli entra nella vita (prāna). La sua vita, unita al suo calore, insieme al sé (ātman) conduce a qualsiasi mondo sia stato creato [nel pensiero].
— Praśna-Upanishad, III, 3-10 (basato sulla traduzione di R. E. Hume)

In esoterismo, la funzione e il carattere dei prāna nel corpo umano sono riconosciuti come dieci e anche dodici, tuttavia sono considerati anche come sette, per la stessa ragione per cui si afferma comunemente che la catena planetaria consiste di sette globi invece che del numero completo di dodici. Comunque, noi usiamo il termine prāna come un termine generalizzante per indicare l'aggregato dei fluidi psico-vitali-astrali, che in realtà sono i prāna. Potremmo altrimenti chiamarli le essenze vitali.

Anche nell'Europa medievale — che naturalmente derivò le sue idee dalle antiche opere greche e romane — più o meno lo stesso concetto del corpo umano inteso come un'entità piena di spiriti vitali ed umori è prevalso fino ad un periodo relativamente recente, quando fu rigettato dalla scienza medica, che ha schernito le superstizioni dei nostri antenati. Tuttavia, questi spiriti vitali ed umori corrispondevano, anche se imperfettamente, ai fluidi prānici degli antichi insegnamenti hindu — considerati sia come essenze vitali che come umori fisici. Dall'alto medioevo fino ai tempi recenti, la medicina ha consistentemente insegnato che la normale salute fisica nel corpo umano era mantenuta quando questi spiriti vitali ed umori agivano in equilibrio, e che la malattia e anche la morte erano i prodotti del loro cattivo funzionamento. Le epoche arcaiche furono unanimemente d'accordo su questi punti.

Gli scritti esoterici degli hindu li ritenevano cinque di numero: (1) Prāna,[9] 'un respirare in fuori,' e quindi l'essenza vitale che controlla la respirazione, in particolare l'espirazione, l'inspirazione o l'azione riflessa dei polmoni, è considerata una regolazione automatica della funzione. Il suo organo o sede sono i polmoni. (2) Vyāna, 'un respirare intorno o separatamente,' il fluido psico-astrale-fisico che governa le circolazioni, sia del sangue che dei nervi, e quindi i suoi organi sono, da un lato, le vene e le arterie, e, dall'altro, i nervi e gli aspetti superiori della funzione circolatoria in generale. (3) Samāna, 'un respirare insieme o intorno,' il respiro o essenza che ha a che fare con il controllo della funzione digestiva come pure dell'assimilazione e della distribuzione dei fluidi; i suoi organi sono lo stomaco, le viscere, ecc. (4) Apāna, 'un respirare verso il basso o in fuori,' che significa espellere, governando gli organi dell'escrezione. (5) Udāna, 'un respirare verso l'alto o al di sopra,' l'essenza vitale che causa il movimento circolatorio al di sopra. La sua sede è nell'ombelico con le corrispondenti sedi simpatiche nel cuore e nel midollo spinale; controlla il movimento dell'essenza vitale dagli organi inferiori verso l'alto, nel cranio.

Vi sono due 'prāna' superiori: l'organo di uno è dislocato nel cuore, e l'altro nella testa. Vi sono anche cinque altri 'prāna' segreti, che appartengono non tanto al corpo quanto alle 'respirazioni' circolatorie dei movimenti dello spirito ātmico e di buddhi-manas nella costituzione umana e attraverso di essa.

Tutti i differenti prāna del flusso vitale ākāśico creano veramente l'uomo completamente incarnato, perché sono i campi vitali, o quelli che qualche volta vengono definiti come i fluidi nervosi, nei quali e attraverso i quali le essenze più sottili spirituali, intellettuali e psichiche, agiscono e si manifestano. Quando tutti i prāna sono appropriatamente bilanciati, e nessuno di essi è super stimolato o superattivo, allora l'uomo è sano in tutta la sua intera costituzione. Questo è il motivo per cui qualsiasi tentativo di interferire con queste correnti prāniche — mediante lo yoga o pratiche psichiche — porta ad un cambiamento nella costituzione umana, pratiche che, se condotte attraverso una sperimentazione ignorante, come avviene quasi sempre, sfocerà invariabilmente in malattia e molto probabilmente ne conseguirà la morte, o anche disturbi psichici e mentali.

I vari prana non sono semplicemente venti vitali, come il termine è comunemente tradotto, ma sono fiotti o flussi di sostanza psico-astrale che agiscono nel corpo come energie sostanziali. Sono tutti formati di particelle estremamente minute o unità atomiche o entità, che in verità sono gli stessi atomi di vita.

In ultima analisi, il corpo di un uomo è costruito da questi flussi prānici di particelle atomiche. Inoltre, tutti i prāna che si manifestano nel corpo umano sono l'espressione psico-astrale-magnetica delle corrispondenti correnti causative di vitalità nell'uovo aurico. In verità, sono la forma energizzante e vitale che l'uovo aurico immette sul piano fisico; e le aure che questi prāna essudano, producendo qualcosa come un vapore o nebbia intorno al corpo, sono la loro atmosfera psico-magnetica. In altre parole, i prāna sono i veicoli di manifestazione per tutti gli attributi e qualità superiori della costituzione umana.

I prāna trovano i loro rispettivi campi d'azione nell'uovo aurico, da cui si manifestano nel corpo fisico, che è la concrezione più materiale degli aspetti grossolani dell'uovo aurico. In corrispondenza ai vari organi fisici, inclusi i diversi gangli nervosi o plessi, ci sono equivalenti centri attivi o focolai nell'uovo aurico; e, in verità, questi ultimi sono gli originatori o le cause auriche che producono i loro effetti come centri o organi corrispondenti nel corpo fisico.

Così avviene che il corpo fisico riceve i sette o dieci prāna dall'uovo aurico che, a sua volta, li riceve dai centri monadici nella costituzione umana — spaziando dall'ātman giù fino al corpo fisico. Per l'incessante attività delle forze o energie al lavoro nell'uomo, queste forze scaturiscono dai diversi focolai monadici della sua costituzione come flussi di vitalità, cioè correnti di atomi di vita, nei vari strati dell'uovo aurico. Questi flussi di forza vitale compongono realmente l'uovo aurico, con i suoi fluidi vitali compositi e le loro qualità caratteristiche auriche o swabhāva; e quindi dai vari strati dell'uovo aurico queste aure prāniche si riflettono nei differenti organi o centri o chakra del corpo fisico.

Così, allora, l'uomo completo durante l'incarnazione, se visto come un'entità oggettiva, presenta un'immagine straordinariamente meravigliosa di flussi di vitalità prānica che interagiscono ed emettono barlumi di luce, che nei loro campi superiori sono come correnti di luce in movimento, e nei loro campi inferiori sono come fiotti di vitalità quasi materiale.[10] Ciò che chiamiamo magnetismo ed elettricità, ciascuno essendo l'alter ego dell'altra, non sono che flussi psico-magnetici di vita, prānici o vitali. Nel cosmo manifestato, sono due aspetti dell'attività vitale della nostra gerarchia solare, che s'intersecano e si combinano con il magnetismo vitale e l'elettricità della nostra catena planetaria, e anche con il magnetismo e l'elettricità del nostro globo terrestre — e queste forze cosmiche rappresentano nel sistema solare quelli che sono i diversi prāna nella costituzione umana.

Quindi, l'uomo sulla terra, ed equivalentemente altri esseri su altri pianeti, è circondato non solo da tutti i prāna del sistema solare e delle catene planetarie, ma anche dai dodici magnetismi cosmici o elettricità che scaturiscono nel sistema solare dalle costellazioni zodiacali che lo circondano. Tenendo a mente ciò, e ricordando che i pianeti sono governati dalle case dello zodiaco — i moderni astrologi occidentali dicono in maniera inesatta che i pianeti governano i segni — lo studente può correlare gli swabhāva dei diversi prāna dell'uomo non solo agli swabhāva dei pianeti ma anche agli swabhāva prānici delle case zodiacali o costellazioni.

Durante la vita di un uomo, tutti questi prāna agiscono più o meno nella sua costituzione. (In un certo senso, l'unica differenza tra un mahatma e un uomo comune è che il mahatma focalizza la propria coscienza nei suoi prāna superiori, lasciando gli altri prāna ad agire quasi automaticamente nelle parti inferiori della costituzione.) Ecco perché l'uomo, durante l'incarnazione, è come una colonna di luce guizzante, la cui parte superiore sembra svanire nella gloria incolore dell'infinità, mentre le parti intermedie ed inferiori crescono progressivamente più concrete e più marcate nel colore, finché, quando raggiungono il corpo, i prāna diventano grossolani e pesanti e forniscono gli swabhāva combinati della monade animale incarnata.

Quando un uomo muore, questi prāna sono successivamente attratti da fasi regolari dal basso verso l'alto finché l'ego umano subisce la seconda morte nel kāma-loka immergendosi nel suo sogno o condizione swapna, ed entra nel devachan in seno alla monade spirituale. I prāna, che finora sono stati in grado di risalire, rientrano nelle monadi che originariamente li hanno generati, quando l'ego era precedentemente disceso dal suo devachan nell'incarnazione. Questo è il significato dell'affermazione che i prāna ritornano alle loro rispettive sorgenti nella natura.

Infine, si può dire che anche le attività più elevate dell'essere umano, come la coscienza, l'intelletto, l'intuizione, ecc., sono semplicemente modi diversi di descrivere gli swabhāva delle forze prāniche spirituali e divine derivanti dalle monadi nella costituzione umana e che sono sui suoi piani più elevati. Il significato di questo è che tutta la natura è vita incarnata o coscienza, pensiero, intelligenza, incarnati. È il superiore che produce l'inferiore, cosicché i flussi o fluidi vitali sui piani manifestati, e quindi nel corpo fisico e attraverso di esso, altro non sono che l'espressione della vitalità più alta che si manifesta sui piani inferiori e più bassi.


LA MORTE FISICA — UN FENOMENO ELETTROMAGNETICO

Quando il Sé (ātman), essendo caduto in uno stato di debolezza, entra nell'incoscienza, per così dire, allora le correnti di vita (prāna) si radunano intorno a lui. Raccogliendo tutti questi elementi splendenti, allora egli entra nel cuore. Quando lo Spirito dell'occhio si allontana in un cerchio, perde la conoscenza della forma.
"Egli diventa uno, egli non parla," essi dicono. "Egli diventa uno, egli non sente il gusto," essi dicono. "Egli diventa uno, egli non pensa," essi dicono. "Egli diventa uno, egli non ha contatto, " essi dicono. "Egli diventa uno, egli non conosce," essi dicono. Allora l'entrata del cuore diventa luminosa. Per mezzo di questo irraggiamento, il Sé trova la sua uscita, o dall'occhio, o dalla testa o da altre parti del corpo. Quando si allontana, la vita (prāna) si allontana dopo di lui; quando la vita si allontana, si allontanano tutte le aure vitali. Egli diventa dotato di percezione; entra in quella percezione; la conoscenza, le azioni e la realizzazione del passato, si riuniscono e lo pervadono. — Brihadāranyaka-Upanishad, IV, 4, 1-2

Non vi è alcuna differenza sostanziale tra la morte di un sole e quella di un uomo o dell'atomo più piccolo. I dettagli sono differenti, questo è tutto. La morte di un sole produce un istantaneo svanire del corpo di luce del sole, che è più grossolano della luce dei regni spirituali, ma tuttavia luce; e la luce è energia, e l'energia è materia. Ugualmente, il corpo di un uomo, o il corpo di un atomo, in realtà tutta la materia fisica, non sono che luce compatta. Poiché il sole è un essere divino, si riveste di un veicolo appropriato di pura luce eterea, non di luce grossolana o concreta come sono i nostri corpi. Di conseguenza, quando la fiamma divina del sole si è ritirata (vale a dire che è la morte) i suoi atomi componenti si disperdono nel battito di un occhio, e questa dispersione crea una gloria, una diffusione di luce, attraverso gli sterminati regni dello spazio.

Nel caso dell'uomo, quando la fiamma divina si è ritirata, il che avviene in un lampo, il corpo, essendo troppo grossolano e pesante per sfasciarsi istantaneamente e svanire, è ancora compatto come un cadavere, finché l'azione chimica degli atomi stessi porta alla dissoluzione fisica.

I nostri corpi irradiano luce costantemente, luce di molti colori, a volte belli, altre volte ripugnanti. Un essere umano che è in preda alla collera o all'odio, ad esempio, emette luce da tutto il suo essere fisico in un flusso che è grossolano, rosso, infuocato, e detestabile da vedere, e per reazione crea sentimenti di odio in altre persone raggiunte da questa luce malefica. Al contrario, un uomo il cui cuore è pieno di amore impersonale, irradia questo amore costantemente, specialmente nei momenti in cui egli agisce sotto lo stimolo della compassione — e anche il suo corpo fisico emette flussi di luce d'indescrivibile bellezza, di gloria opalescente. Questo è il segreto dei nembi o aureole che si dice circondino la testa dei santi. Ogni essere umano ha una tale aureola. La luce, comunque, non è la sola cosa che emana dal corpo: anche gli odori fanno così. Alcuni animali sono più sensibili alle emanazioni di luce, mentre altri sono più sensibili agli odori.

Durante una vita, ogni emozione è accompagnata da simili radiazioni di luce, ciascuna con la propria qualità e tipologia, esprimendosi tuttavia, per reazione, attraverso l'aura del corpo fisico; ed è questo il motivo per cui l'adepto, osservando un uomo sotto uno sforzo emotivo o mentale o anche spirituale, è capace di stabilire quale movimento della coscienza stia quindi influenzando l'aura.

L'uomo è una dinamo di energie. Qualsiasi cosa faccia, qualsiasi pensiero abbia, qualsiasi emozione egli senta, producono un effetto corrispondente attraverso tutta la sua costituzione. Alla morte, la rottura della corda della vita è il risultato dell'azione dell'energia — energia immediatamente liberata, che deve produrre il suo effetto. A causa di ciò, la morte non può avvenire senza provocare un'esplosione degli atomi di luce che scaturiscono da ogni poro del suo corpo fisico. L'esplosione di luce, quando il corpo avvampa di luce per un istante — invisibile alla vista ordinaria — non è qualcosa di unico, perché lo stesso vale, in grado maggiore o minore, per ogni entità, dai soli e dalle stelle fino agli animali e le piante. Non è che un'esemplificazione più vasta del processo che avviene nella disintegrazione radioattiva di alcuni elementi chimici come uranio, torio, e radio. Questa dissociazione degli atomi deriva da quella che potremmo forse graficamente definire come la morte delle rispettive particelle atomiche e subatomiche.

È un fatto veramente interessante che ogni movimento, sia su scala macrocosmica che microcosmica, sia accompagnato da un'emissione di luce; e la luce è un fenomeno elettromagnetico che si esprime come un'irradiazione. Infatti, qualsiasi entità movente, qualsiasi movimento dappertutto, come il sollevamento di un braccio, l'ondeggiare del ramo di un albero nel vento, la scintilla che sprigiona dallo sfregamento di acciaio sulla selce, o il turbinio dell'elettrone, invariabilmente producono un lampo, o un conglomerato di minuscoli lampi, tutti a carattere elettromagnetico.

Dal punto di vista delle cause, tutti questi movimenti sono prodotti dalla vitalità elettromagnetica di innumerevoli eserciti di vite e di esseri viventi che sono dappertutto intorno a noi; il magnetismo e l'elettricità altro non sono che manifestazioni della vitalità del sistema solare, come pure della nostra terra, unendosi in una rete affascinante con tutte le forze interagenti delle vitalità individuali delle entità contenute in questi corpi macrocosmici. Ma non è tutto: il solo pensiero espresso come volontà — come quello che produce il movimento del braccio — mette in attività vitale-elettrica le particelle del cervello, molecolari, atomiche ed astrali; ed ognuno di questi minuscoli movimenti degli atomi del cervello, rispondendo al comando del pensiero, emette il suo particolare lampo d'irradiazione.

Venendo dunque al punto, le irradiazioni o esplosioni di luce che avvolgono il corpo fisico al momento della morte, sono provocate dall'improvviso ritiro, cioè dalla rottura, dei vari prāna dalle molecole ed atomi che compongono il corpo. Quest'esplosione di luce dura pochi istanti fuggitivi. Da quel momento, il corpo è un cadavere 'inanimato,' anche se, naturalmente, ogni sua molecola ed atomo contengono i propri swabhāva prānici.

Infine, l'intensità e il volume della luce che essuda dal corpo quando avviene la morte varia di grado e di qualità secondo il carattere dell'uomo moribondo. Quando la morte ha luogo improvvisamente e con il corpo nel pieno della forza e della maturità degli anni, l'esplosione di luce è corrispondentemente intensa e voluminosa e forse di brevissima durata; mentre nel caso di un uomo che muore in vecchiaia, o che trapassa tranquillamente durante il sonno, o dopo una lunga malattia, l'esplosione dell'irradiazione luminosa è corrispondentemente meno intensa e meno voluminosa perché più protratta nel tempo.

L'idea della scienza riguardo all'elettricità, il magnetismo, la luce, il suono e il calore, poiché considera diverse ottave d'irradiazione, si avvicina strettamente alla filosofia esoterica, nel senso che tutte queste forme di'irradiazione altro non sono che vari aspetti del substrato fondamentale di vitalità che tutto include e che si esprime in diversi gradi d'intensità. Prima o poi il pensiero e la coscienza saranno riconosciuti come appartenenti alla stessa scala vitale d'irradiazione, pur appartenendo originariamente a piani dell'universo più elevati di quelli fisici.


KĀMA-LOKA E LA SECONDA MORTE

. . . per chi non ha percezione interiore né fede, non vi è alcuna possibilità d'immortalità. Per vivere nel mondo e pervenire ad una vita cosciente, dobbiamo innanzitutto credere in quella vita durante la nostra esistenza terrestre. Su questi due aforismi della Scienza Segreta è costruita tutta la filosofia sulla coscienza post-mortem e l'immortalità dell'anima. L'Ego riceve sempre secondo le sue aspirazioni. Dopo la dissoluzione del corpo comincia per lui o un periodo di coscienza totalmente chiara, o uno stato di sogni caotici, o un sonno assolutamente senza sogni, indistinguibile dall'annichilimento; e questi sono i tre stati della coscienza. I nostri fisiologi ricercano la causa dei sogni e delle visioni in una preparazione inconscia durante le ore di veglia; perché non ammettere la stessa cosa per i sogni post-mortem? Ripeto, la morte è un sonno. Dopo la morte comincia, davanti agli occhi spirituali dell'anima, una rappresentazione legata ad un programma appreso e molto spesso composto inconsciamente da noi stessi: lo svolgimento di credi corretti o di illusioni che noi stessi abbiamo creato. Un metodista resterà metodista, un mussulmano resterà mussulmano, naturalmente, proprio per un periodo di tempo — in un perfetto paradiso dei folli creato e strutturato da ciascun uomo. Questi sono i frutti post-mortem dell'albero della vita. Naturalmente, il nostro credo o miscredenza nell'immortalità cosciente è incapace di influenzare la realtà incondizionata del fatto stesso, una volta che esso esiste; ma il credere oppure no in quell'immortalità, come la continuazione o l'annichilimento di entità separate, non può mancare di colorare il fatto nella sua applicazione a ciascuna di queste entità. — H.P.B. in Lucifer, gennaio 1889, p. 413

Per afferrare gli insegnamenti dell'occultismo riguardanti gli stati del dopo-morte, è importante tenere a mente che l'uomo è composto di parecchi principi-elementi che formano i campi d'azione dell'uovo aurico, in cui funzionano i vari centri della coscienza. Tutti questi principi-elementi con le loro monadi costituenti sono intimamente correlati, e ciascuno deriva come un raggio della sua monade superiore. Quindi, abbiamo, primo: un'essenza monadica divina, incondizionatamente immortale, di enormi poteri spirituali, intellettuali ed anche fisici, e di un campo cosmico d'azione e di coscienza; secondo: una monade divino-spirituale, il suo raggio o progenie, di natura e funzione puramente spirituale; terzo: una monade spirituale-intellettuale o ego superiore; quarto: un ego umano che a sua volta è un raggio del precedente centro monadico: quinto: il corpo-modello, il campo della cosiddetta monade astrale; sesto: un corpo fisico parzialmente costruito intorno a questo corpo astrale; e settimo ed ultimo: l'essenza vitale o vita, vale a dire la forza vitale o energia che attraversa e che unisce tutti questi principi-elementi. Questa stessa energia di vita è progressivamente meno eterea quando discende attraverso le parti inferiori della costituzione, ed è composta a sua volta, come lo sono gli altri principi-elementi, da unità monadiche: i corpuscoli vitali, per così dire, entità di magnitudo infinitesimale conosciute come atomi di vita.

In ultima analisi, la costituzione dell'uomo è duodecupla, e consiste delle sette unità manifestate e delle cinque non manifeste, di carattere superiore; e le sette manifestate possono essere ancora suddivise in una triade spirituale superiore e in un quaternario inferiore. Quando usiamo il metodo decuplo di divisione, dovremmo tenere a mente le altre due unità, una delle quali è il legame superdivino con la divinità dell'universo, e l'altro è il legame polare che unisce l'entità alle parti inferiori dell'universo, raggiungendo così il dodici.

Non dobbiamo supporre che le divisioni duodecuple della costituzione umana debba diventare preferenziale rispetto alla divisione settuplice o decupla. H.P.B. si concentrò di più sul settenario perché è più facile da insegnare e comprendere. Il punto principale è che tutti i principi-elementi sono racchiusi dentro l'uovo aurico che ha il suo nucleo originario o sorgente nella più elevata delle dodici parti della costituzione; e in un certo senso l'uovo aurico, a causa della sua perpetuità, è veramente il sūtrātman oggettivo o il filo conduttore del sé.

Ora, i campi di coscienza delle diverse parti della costituzione umana, se divisi in dodici, sono compresi abbastanza facilmente. I cinque non manifestati potremmo chiamarli tipicamente universali o cosmici, almeno le sue unità superiori, perché il loro campo d'azione si estende ben oltre la nostra galassia o l'universo che è la nostra patria. La portata della monade divina, che è essenzialmente la monade ātmica con il suo veicolo buddhico, è il sistema solare; mentre il campo d'azione dell'ego reincarnante è la catena planetaria; ed infine, il campo della monade astrale o quaternario inferiore, come potremmo descriverla, è un singolo globo di una catena, il nostro globo D, ad esempio.

In questa connessione dobbiamo fare una distinzione, anche se non è una vera differenza, tra l'ego reincarnante che ha il suo campo oltre la catena planetaria, e il suo raggio, l'ego reincarnante che riguarda un essere umano incarnato nel suo veicolo fisico su questo globo D.

In verità, l'uomo è un composto di molte sostanze, materie, forze ed energie — ciascuna che agisce nella sua porzione appropriata dell'uovo aurico come parte integrante di un incessante flusso di coscienza. La morte fisica porta alla temporanea dissoluzione dei quattro principi e mezzo di quest'entità composita.

Quando la costituzione dell'uomo si separa in kāma-loka alla seconda morte, tutto quello che è stato nobile e di carattere spirituale nella vita passata — le belle aspirazioni e gli ideali, le grandi memorie che l'anima superiore trattiene nella fabbrica della sua sostanza — viene riassorbito nella triade superiore, che è l'immortale essenza monadica della nostra costituzione. L'aggregato di questi elementi riassorbiti è visto proprio come la monade umana, che riposa come un embrione nella monade spirituale della triade superiore fino alla prossima rinascita su questa terra.

Al contrario, la parte inferiore dell'uomo che fu attrae la parte inferiore dell'ego umano, tutte le passioni, le emozioni e il puro egoismo, che si dissolvono nei loro diversi gradi di atomi di vita, dai quali sono effettivamente composti. Questi atomi di vita allora seguono le loro trasmigrazioni nei vari regni della natura. Quando il corpo fisico muore e si disintegra, i suoi atomi di vita ritornano agli elementi della terra, dell'aria, dell'acqua, del fuoco, dell'etere, che in origine li diedero al corpo. Quindi, in un successivo momento nel kāma-loka della luce astrale, ciascuno degli atomi di vita che componevano gli involucri intermedi dell'essere disincarnato passa alla sua rispettiva sfera del cosmo. Il detto: "la terra alla terra, l'acqua all'acqua, l'aria all'aria, il fuoco al fuoco," ecc., si riferisce agli atomi di vita delle diverse porzioni della costituzione umana.

La stessa regola prevale per le monadi nell'uomo, ciascuna delle quali segue il proprio regno o sfera; la monade umana entra nel suo devachan; la monade spirituale intraprende le sue peregrinazioni attraverso le sfere; e, nell'istante della morte, il raggio divino imprigionato nella costituzione umana è rilasciato dal composto umano e ritorna a casa più veloce del pensiero alla sua stella genitrice, alla sfera della monade divina, la nostra monade più intima e più elevata.[11]

Ora, il kāma-loka è quella parte della luce astrale che è immediatamente attigua al globo terrestre, lo circonda completamente e lo penetra. Nelle sue parti più grossolane, è un piano veramente semimateriale, sebbene, poiché è inevitabile che non possiamo vederlo o percepirlo, noi lo chiamiamo invisibile e 'soggettivo.' Il kāma-loka, pur essendo divisibile in diversi gradi di etereità, non ha tuttavia zone che potremmo definire belle o sante. È la dimora delle ombre, quell'aspetto del mondo astrale dove, per usare una primitiva espressione cristiana, le cose rigettate svaniscono. Contiene le reliquie, gli avanzi astrali-vitali degli esseri che furono. Per quanto riguarda la luce astrale, non solo include il kāma-loka, ma anche i campi che tendono ad una qualità eterea 'verso l'alto' e che diventano gradualmente spirituali. In un certo senso, la luce astrale, nella sua pienezza, è l'uovo aurico della terra mentre in un altro senso occupa per la terra la posizione analogica che il corpo-modello ha rispetto all'uomo. La stessa luce astrale non è altro che il veicolo dell'anima mundi, 'l'anima del nostro mondo.' In altre parole, possiamo parlare dell'anima mundi come dell'anima della luce astrale (che è, nelle sue parti più basse, il linga-śarīra della terra) e del kāma-loka come la feccia più grossolana o la parte più materiale della luce astrale.

Si può dire che il kāma-loka, quale che sia la sua posizione nello spazio, si estende alquanto al di là della sfera della nostra luna in una direzione, e tocca la terra nell'altra direzione. Comunque, quando guardiamo al kāma-loka come ad una serie di stati o condizioni di materia occupati temporaneamente dalle entità che vi dimorano, perché attaccate alla propria qualità corrispondente al kāma-loka, allora possiamo dire che il kāma-loka, considerato come un aggregato settuplice, è intermedio tra il devachan e l'avīchi. Però, né il devachan né l'avīchi sono località, ma sono stati di coscienza che gli esseri sperimentano. Naturalmente, una qualsiasi entità in qualsiasi stato di coscienza deve avere ugualmente un collocamento.

Anche se il devachan e l'avīchi sono soltanto condizioni o stati, il kāma-loka è a carattere duale, essendo sia una serie di piani nella luce astrale che immediatamente circonda la terra ed è in essa, sia qualità o stati della materia che rendono questi piani adatti ad essere le dimore temporanee delle entità che li attraversano. Ciò che è detto del kāma-loka della nostra terra, in linea di principio si applica ai kāma-loka degli altri globi della nostra catena — e, in verità, di qualsiasi catena nel sistema solare — perché ciascun globo ha la sua luce astrale.


I QUATTRO STATI DELLA COSCIENZA

Vi sono quattro qualità fondamentali di coscienza in cui un uomo può entrare sia in vita che dopo la morte. In sanscrito sono chiamate jāgrat, swapna, sushupti, e turīya,[12] e ciascuno dei sette stati o condizioni in cui può trovarsi la coscienza umana contiene i suoi relativi jāgrat, swapna, sushupti, e turīya.Questi quattro tipi di coscienza possono essere assegnati alle loro località appropriate nella costituzione umana, in modo che, mentre la coscienza ordinaria della mente-cervello dell'uomo di solito è nello stato jāgrat, un'altra parte può essere nello stato swapna, e un'altra in quello sushupti, mentre la parte superiore della sua coscienza, il buddhi interiore, è perennemente nella qualità turīya.

Questo spiega le molteplici differenze nella coscienza che esistono tra uomo e uomo, e gli stati d'animo in cui possono trovarsi le persone in vari momenti, per cui un uomo è distintamente nella condizione fisica jāgrat, mentre un altro, pur essendo nella qualità jāgrat, può sembrare che sia nello stato di sonno-sogno di swapna, e una terza persona può essere quasi dimentica degli avvenimenti esterni, e quindi essere temporaneamente nella qualità sushupti dello jāgrat, e così via.

Prendiamo un individuo comune: egli, mentre è sulla terra, è nel normale stato di veglia, ma ha delle sensazioni di qualcosa in lui di più nobile e bello di quanto mostri la qualità jāgrat. Questo è il manas superiore o il mānasaputra interiore, che si esprime in questa sfera di coscienza nella qualità swapna perché, sebbene il suo potere sia pienamente manifestato sul proprio piano, può manifestarsi debolmente in un tale uomo comune. Ancora, il buddhi in lui, anche se completamente funzionante sul suo piano, nondimeno, a causa delle imperfezioni dell'uomo, può raggiungerlo solo occasionalmente con un luminoso raggio proveniente da se stesso, e questo di solito vagamente e più o meno nella qualità sushupti. Infine, il Buddha o il Cristo in lui è funzionante sul suo elevato piano spirituale, ma non può imprimere la sua pienezza di coscienza sulla mente dell'individuo ordinario, e così per lui il suo Buddha interiore è della qualità della coscienza turīya.

Inoltre, in qualsiasi momento di tutta la vita di un uomo, vi sono quelle rare 'rivelazioni' o intuizioni molto mistiche e meravigliose, che vengono nella sua coscienza come illuminazioni spirituali ed intellettuali. Questi lampi momentanei d'ispirazione possono aver luogo anche dopo che è iniziata la vera senescenza, e possono continuare, se l'uomo ha vissuto una vita dignitosa, finché comincia — solo un breve momento che precede la morte — 'l'ascesa' di quelle parti superiori della costituzione umana, che annunciano la sua disgregazione preliminare e che si completa quando il corpo è messo da parte.

Ora, quindi, la parte speciale dell'uomo che sperimenta queste varie qualità di coscienza è l'ego umano, che ovviamente è autocosciente nella qualità jāgrat dell'esistenza fisica. Così, all'insorgere sia del sonno che della morte, la coscienza passa dallo jāgrat all'incoscienza: l'ego umano ha dapprima una temporanea condizione di swapna o sonno-sogno, e poi, subito o lentamente, secondo la sua costituzione, comincia lo stato 'incosciente' del sushupti — incosciente dal nostro punto di vista solo perché non ci siamo ancora abituati a vivere autocoscientemente nelle nostre qualità superiori.

Comunque, questi cambiamenti della coscienza dallo jāgrat allo swapna e poi al sushupti non si verificano per gli adepti superiori e quelli ancora più elevati, perché essi hanno imparato a vivere nelle estensioni più alte della propria coscienza. Allora, quando l'adepto o mahatma muore, può trasferire a volontà la sua piena autocoscienza a qualsiasi qualità o condizione che egli preferisce, e poco dopo reincarnarsi; oppure, in rari casi, immergersi in un breve devachan, o anche, nel caso di grandi adepti, in un nirvana temporaneo.

Le stesse osservazioni si applicano esattamente all'adepto nel caso del sonno. Egli può permettere al suo corpo e alla sua mente-cervello di passare in una completa incoscienza e restaurare i loro tessuti esausti, mentre il suo ego autocosciente è totalmente funzionante sui piani interiori. Ma l'uomo ordinario non ha imparato a farlo, perché tutta la sua coscienza è focalizzata su questo piano, cosicché, quando s'addormenta, il suo stato di coscienza è secondo quanto permette la sua vita interiore imperfettamente sviluppata, cioè: innanzitutto, la coscienza del sonno-sogno, che s'immerge nell'incoscienza, e forse poi scivola nella condizione swapna o sonno-sogno, e così via finché si risveglia. Ugualmente, l'uomo ordinario dopo la morte entra nel devachan, che è uno stato di swapna spirituale — una condizione di sonno-sogno della coscienza dell'ego umano, ma su un piano spirituale dove solo le cose di grande bellezza e di aspirazioni a carattere altamente intellettuale o spirituale passano come 'realtà' fugaci nella visione del devacianī.

Questo spiega perché l'uomo più grossolano, più materialista, ha un devachan breve o forse nessuno, poiché durante la vita sulla terra tutta la sua coscienza è stata così pesantemente vincolata alla materia e al mondo dei sensi intorno a lui, che egli non ha costruito alcuna vita interiore di pensieri nobili che richiamino una coscienza quasi di sonno-sogno dopo la morte. Se un uomo desidera rimanere autocosciente mentre dorme o anche dopo la morte, deve aver precedentemente imparato a vivere nel suo manas superiore e in buddhi. Focalizzando così la sua coscienza durante la propria vita, egli diventa completamente a suo agio in questi principi superiori e vi rimane quando il corpo si recupera nel sonno, o è gettato via alla morte.

Dopo la morte la coscienza dell'ego umano dell'uomo comune non può rimanere o diventare autocosciente nelle qualità superiori della sua costituzione. Quindi, la parte che cade nell'incoscienza è la coscienza dell'ordinaria mente-cervello della vita quotidiana. Essa rimane in questo stato tranne che per brevi intervalli nel kāma-loka, quando vi è un risveglio più o meno indefinito, seguito da un immergersi ancora una volta nell'incoscienza, tutto come un sogno indistinto, fino alla seconda morte in kāma-loka, nel momento in cui l'ego umano entra nel sogno del devachan, dove rimane più o meno ininterrottamente finché non sente l'impulso per la prossima reincarnazione.

Nessun uomo è cosciente di ciò che avviene intorno a lui dopo la morte reale;[13] ed eventuali contestazioni a questa realtà sono delle frodi o delle cattive interpretazioni nei casi di trance erroneamente scambiati per morte. Una volta che la morte effettiva è avvenuta, sopravviene comunque l'incoscienza, e l'uomo è assolutamente inconsapevole di ciò che accade intorno al suo letto di morte, contrariamente a quanto è stato a volte riportato dai kāma-rūpa 'che ritornano' manifestandosi come 'spiriti' attraverso il medium. Se un uomo è in trance, comunque, i legami della coscienza con il cervello fisico possono essere ancora abbastanza svegli da rendere la 'coscienza' capace di percepire vagamente cosa stia avvenendo intorno al capezzale. Ma una volta che il filo d'oro della vita è finalmente spezzato ed è avvenuta definitivamente la morte, non è affatto possibile una tale consapevolezza di ciò che sta succedendo perché tutti i legami con il cervello percipiente, o anche con il linga-śarīra si sono stati spezzati.

In una delle Upanishad più antiche, la Brihadāranyaka (IV, v, 13), il saggio Yājñavalkya dice alla sua consorte Maitreyī: "Essendo trapassati, non vi è alcun sanjñā" — cioè nessuna compattezza di pensiero autocosciente attivo. Ora, è questa facoltà del pensiero riflessivo autocosciente che l'entità in kāma-loka non ha, perché il manas in quei momenti non è funzionante, essendo nel suo torpore incosciente; ed anche in quegli attimi fugaci quando l'entità in kāma-loka ha un presentimento nebuloso dell'autocoscienza, ciò avviene semplicemente perché l'uovo aurico dell'entità ripete automaticamente, per così dire, quello che era abituato a fare o a pensare durante la vita.

Ecco perché la 'coscienza' in kāma-loka varia per tutto il percorso, da una cancellazione temporanea dell'autocoscienza, attraverso i gradi intermedi dell'incoscienza, fino all'autocoscienza astrale di basso tipo che hanno gli elementari e le anime perdute. L'uomo comune in kāma-loka è sia incosciente che in uno stato di sogno che crea immagini. Più puro è l'uomo, più profonda è l'incoscienza.

Gli individui fortemente attaccati alle cose terrene e ai loro appetiti e passioni materiali hanno un risveglio completo nel kāma-loka, e vi è una buona dose di sofferenza in ciò, perché essi si trovano in una sorta di incubo; sebbene anche lì la natura è generosa, poiché l'incubo è surreale, piuttosto indefinito. L'uomo veramente spirituale, al contrario, non ha quasi alcuna coscienza di passare attraverso il kāma-loka, e lo percorre come un treno attraverso un tunnel, del tutto ignaro di qualsiasi male o dispiacere. Tra gli uomini comuni, quelli che protendono alla materia possono avere la confusa sensazione di trovarsi in un brutto sogno, mentre altri di carattere più spirituale possono avere proprio un'idea che quelle condizioni esistono, ma che loro non le sperimentano. In ogni caso, il kāma-loka non è lungo, tranne per gli uomini malvagi e gli stregoni, che in verità a volte soffrono terribilmente — non una sofferenza fisica come la intendiamo noi, ma un orribile sogno da incubo che si ripete con delle variazioni. Essi hanno attirato ciò su se stessi mediante continue elucubrazioni, e il registratore interno, per così dire, essendo carico, ora deve scaricarsi.

D'altro canto, nel caso di quegli adepti e iniziati che non sono del tipo più elevato ma che tuttavia appartengono a una classe al di sopra anche degli uomini spirituali, vi è una certa sofferenza dopo la morte, a causa dei loro sensi e visioni interiori risvegliati, una sofferenza che nasce dalla consapevolezza degli orrori nel kāma-loka che passano intorno a loro. Ma anche questo non dura a lungo, forse solo per qualche momento o qualche ora; e potrebbe essere leggero o intenso secondo il risveglio interiore. Come dato di fatto, gli iniziati e i chela, anche quando sono incarnati, possono percepire quasi a volontà (o chiudere le loro visioni) la luce astrale o il kāma-loka della stessa.

Naturalmente, quelli che sono ancora più elevati non sono influenzati dalla luce astrale, perché sono pienamente consapevoli dei suoi aspetti anche prima di morire e, isolando tutte le vie dell'impressione, girano attraverso di essa come una stella.

La sofferenza dopo la morte a cui allude H.P.B. in uno o due passaggi è proprio la stessa di quella che deve affrontare il neofito durante l'iniziazione. Egli deve imparare in prima persona, per esperienza personale, tutte le realtà del mondo sotterraneo, come pure del mondo superiore; e per il neofito che deve entrare nel kāma-loka con gli occhi aperti ed ogni facoltà sveglia, la sofferenza è a volte quasi insopportabile, a causa dell'orrore, della miseria e del sudiciume che egli sente intorno a sé. Ma l'iniziazione deve essere affrontata, per conoscerla. Una volta conosciuta, egli diventa padrone della situazione, e da quel momento in poi non è più così profondamente influenzato.

Un altro punto che posso commentare è la lunghezza in generale del periodo durante il quale l'entità umana, dopo la morte, è incosciente prima di acquisire nuovamente almeno una vaga autocoscienza nel kāma-loka. Ogni singolo caso è unico. Gli uomini altamente spirituali non hanno alcuna incoscienza, di nessun tipo, tranne che per un breve intervallo relativo alla seconda visione panoramica, alla seconda morte, proprio prima di entrare nel devachan. D'altro lato, gli esseri umani di tipo grossolanamente animale o materiale variano in tutti i modi, da quelli destinati a diventare elementari fino a quelli che hanno abbastanza spiritualità dentro di sé per avere un breve devachan prima dell'incarnazione.

Ognuno di questi 'risvegli' parziali nel kāma-loka dipende invariabilmente dalla vita appena terminata. I pensieri che un uomo ha al momento della morte, che prefigurano il tipo dei suoi stati dopo la morte, non sono altro che il funzionamento quasi automatico della sua coscienza, che mostra che tipo di uomo egli sia, perché i suoi ultimi pensieri saranno generalmente caratterizzati da quelli a lui più comuni e maggiormente cari.

La lunghezza di tempo tra la morte fisica e la seconda morte è ancora quasi del tutto dipendente dalla natura dell'entità umana disincarnata.[14] Qui abbiamo l'applicazione delle stesse regole: il vero uomo spirituale avrà un soggiorno estremamente breve nel kāma-loka, passando forse attraverso di esso senza pausa, e la sua seconda morte verrà presto; l'essere umano ordinario vi soggiornerà molto più a lungo, mentre l'uomo dai forti istinti e sentimenti materiali avrà un periodo ancora più lungo nel kāma-loka. Alcuni rimangono per decine d'anni, probabilmente anche cento o duecento anni prima di avere la seconda morte e il susseguente breve devachan. Tutti coloro in cui la natura spirituale non esercita alcuna attrazione 'verso l'alto' — inclusi gli idioti congeniti, e anche i bambini che subiscono una morte prematura — naturalmente non avranno una vera seconda morte, che in realtà è una nuova nascita in condizioni superiori di coscienza.

Nel caso veramente eccezionale di un elementare o di un'anima perduta — o di qualsiasi essere umano la cui vita è stata così profondamente animalesca e avviluppata nella materia nella quale la sua coscienza è incatenata — vi è un 'risveglio'per una durata più o meno lunga di tempo verso una realizzazione autocosciente o quasi cosciente che egli è morto, e non è più un uomo incarnato.[15] Ma in nessun caso una tale coscienza dura finché avviene la reincarnazione, perché l'incoscienza gli sopraggiunge misericordiosamente prima che egli assuma un nuovo corpo fisico.

Nei casi normali, una volta che l'uomo muore, l'incoscienza, dolce e bella ed infinitamente compassionevole, discende su di lui come un velo avvolgente di protezione ākāśica; e allora, ad eccezione dei pochi attimi fuggenti della coscienza che sogna nel kāma-loka, il devacianī comincia la sequenza di una mentazione spirituale e beata, che non è così diversa dal tipo di coscienza che un individuo ha quando fa dei sogni piacevoli. Possiamo chiamarla 'autocoscienza,' se vogliamo, perché, in un certo senso, è quella; ma è lo stato swapna dell'autocoscienza, e non lo stato jāgrat dell'essere umano incarnato.


IL CONFRONTO TRA SPIRITISMO ANTICO E MODERNO

La medianità non è un dono, è una disgrazia fatale. Non si conosce niente di così distruttivo per il progresso spirituale. Essa disloca i principi della costituzione interna separando sempre più le influenze raffinanti del sé superiore da quello inferiore, per cui il corso del destino dei medium va solitamente di male in peggio; ed essi sono veramente molto fortunati a non finire nella magia nera. Il medium è uno strumento indifeso sotto il dominio di forze psichiche, e di solito è inconsapevole di quello che fa, uomo o donna che sia, e di cosa avviene — assoggettato ad ogni elementale che passa o ad ogni energia psichica nella luce astrale, come pure passivamente soggetto a qualsiasi volontà umana concentrata e ben diretta.

Il mediatore, d'altro lato, è un intermediario pienamente autocosciente e altamente sviluppato tra un potere spirituale-intellettuale e gli uomini. Questo incarico che ha scelto è altamente onorifico, tuttavia pieno di pericoli, e quasi sempre coinvolge l'autosacrificio. Inoltre, il mediatore è una copia nella vita umana di quello che certi dèi superiori sono nei regni divini. Donano se stessi affinché gli altri che lavorano duramente dietro di loro possano salvarsi. Vi è lo stesso parallelo etico e spirituale tra un mediatore e un medium, come tra un mago bianco e uno nero — tra un figlio del sole e una creatura della luna.

In questo contesto dovremmo ricordare che H.P.B. venne nel mondo occidentale con le istruzioni di lavorare in quella particolare categoria di uomini che avrebbero avuto più probabilità di corrispondere agli insegnamenti che lei era autorizzata a dare. Allora questi erano gli spiritisti, che per certi versi erano tra le persone più aperte di mente del tempo, più o meno aperti alla possibilità che nell'universo illimitato ci fosse qualcosa che andava oltre le esistenze morte, senz'anima, materiali. H.P.B. si recò da loro, e sostenne sulla stampa pubblica questa verità così come lei la trovò lì. Tentò di indurli a comprendere che in verità esisteva un mondo spirituale, ma che era molto al di sopra del mondo astrale; che la loro summerland era un'intuizione vaga e distorta del devachan; e che i supposti 'spiriti che ritornavano' non erano che i simulacri astrali degli esseri umani — entità psico-astrali in decomposizione e assolutamente incapaci a comunicare. Ma essi non vollero ascoltarla. Il fenomenalismo allora era dilagante. Un tavolino che si ribaltava, dei colpi sul muro o sul tavolo, erano per loro le prove dell'immortalità di quei defunti. La filosofia che H.P.B. promulgava non l'accettarono. Così lei fondò la Società Teosofica come il veicolo per portare nelle menti e nei cuori degli uomini il messaggio dell'antica religione-saggezza. Per anni i peggiori nemici di H.P.B. furono gli spiritisti. Non poterono mai dimenticare che lei aveva abbandonato i loro ranghi e si era dedicata al suo lavoro. Lo consideravano un tradimento, non comprendendo le motivazioni e le ragioni del suo comportamento.

L'atteggiamento dell'occultismo genuino verso il soggetto del cosiddetto spiritismo e il presupposto rapporto con le entità disincarnate è inequivocabilmente affermato in certe lettere e manoscritti tibetani citati da H.P.B. nel suo articolo "Insegnamenti Tibetani."[16] Secondo lei, i punti di vista espressi nei suoi estratti sono quelli del Venerabile Chohan-Lama, che era "il capo degli Archivisti" delle biblioteche che contengono i manoscritti sugli insegnamenti esoterici appartenenti ai Lama Dalai e Tashi:

" . . . affermiamo che non vi è possibilità alcuna che un 'sé' completamente puro rimanga nell'atmosfera terrestre dopo che si è liberato del corpo fisico, nella sua personalità, in cui agiva sulla terra. Sono fatte solo tre eccezioni a questa regola:
"Nella prima, il santo motivo che spinge un Bodhisattwa, uno Svraka, o un Rahat, ad aiutare coloro che rimangono dietro di lui, il vivente, ad avere la stessa beatitudine; in tal caso egli non li istruirà più, né interiormente né dall'esterno; nella seconda, coloro che, per quanto puri, innocui e relativamente liberi da peccato durante le loro vite, sono stati così assorbiti da qualche particolare idea in relazione a una delle mâyâ umane, che sono morti in mezzo quel pensiero che tutto assorbe; e, nella terza, le persone in cui un amore intenso e santo, come quello di una madre per i suoi bambini orfani, crea e genera un'indomabile volontà nutrita da quell'amore sconfinato di rimanere con i viventi e nei loro sé interiori.
"I periodi assegnati a questi casi eccezionali variano. Nel primo caso, per la conoscenza acquisita nella sua condizione di Anuttara Samyak Sambodhi — il cuore più santo ed illuminato — il Bodhisattwa non ha un limite prestabilito. Abituato a rimanere per ore e giorni nella sua forma astrale durante la vita, egli, dopo la morte, ha il potere di creare intorno a sé le proprie condizioni, calcolate per frenare la naturale tendenza degli altri principi a ricongiungere i loro rispettivi elementi, e poter discendere o anche restare sulla terra per secoli e millenni. Nel secondo caso, il periodo durerà finché la potentissima attrazione magnetica del soggetto del pensiero — intensamente concentrato al momento della morte — si indebolisce e gradualmente si esaurisce. Nel terzo caso, l'attrazione è spezzata sia dalla morte che dall'indegnità morale delle persone amate. Non può in entrambi i casi durare più di una vita.
"In tutti gli altri casi di apparizioni e comunicazioni tramite qualsivoglia modalità, lo 'spirito' risulterà al massimo un 'bhûta' malvagio o 'ro-lang' — il guscio senza vita di un 'elementare'. . . .
"Quindi, noi deprechiamo incondizionatamente e assolutamente ogni rapporto con il Ro-lang. Chi sono quelli che tornano? Che tipo di creature sono quelle che possono comunicare a volontà, oggettivamente, o mediante una manifestazione fisica? Sono creature impure, anime grossolanamente peccaminose, 'a-tsa-ras;' suicidi; e quelli che sono arrivati ad una morte prematura per un incidente e devono fermarsi nell'atmosfera della terra fino al completo esaurirsi del loro naturale periodo di vita. . . .
"Ora, gli esseri che appartengono alla seconda e terza classe — suicidi e vittime di incidenti — non hanno completato il loro naturale periodo di vita; e, di conseguenza, sebbene non debbano essere necessariamente dannosi, sono vincolati alla terra. L'anima prematuramente espulsa si trova in uno stato innaturale; l'impulso originale sotto il quale l'essere si era evoluto e gettato nella vita della terra non si è consumato — il ciclo necessario non è stato completato, ma nondimeno deve essere esaurito.
"Tuttavia, sebbene vincolati alla terra, questi esseri sfortunati, vittime sia volontarie che involontarie, sono solo sospesi, per così dire, nell'attrazione magnetica della terra. Non sono, come la prima classe, attratti verso la vita da una brama selvaggia di nutrirsi della loro vitalità. L'unico loro impulso — cieco perché generalmente essi si trovano in una condizione di stordimento e torpore — è di arrivare nel vortice della rinascita il prima possibile. Il loro stato è quello che chiamiamo un falso Bar-do — il periodo tra due incarnazioni. Secondo il karma dell'essere — che è influenzato dalla sua età e dai meriti nell'ultima nascita — questo intervallo sarà più lungo o più breve.
"Niente, tranne un'attrazione potentemente intensa, come un amore puro per qualche caro in grande pericolo, può trascinarli, con il loro consenso, a vivere; ma il potere mesmerico di un Ba-po, un necromante — il termine è usato negativamente, perché il sortilegio necromantico è Dzu-tul, o ciò che chiamiamo un'attrazione mesmerica — può forzarli alla nostra presenza. Quest'evocazione, comunque, è totalmente condannata da chi crede nella Buona Dottrina; poiché l'anima così evocata è fatta soffrire eccessivamente, anche se non è se stessa ma solo un'immagine che è stata strappata e spogliata da se stessa per diventare l'apparizione; a causa della sua prematura e violenta separazione dal corpo, lo 'jang-khog' — anima animale, è ancora pesantemente carico di particelle materiali — non vi è stata una separazione naturale delle molecole più grossolane da quelle più raffinate — e il necromante, nel forzare artificialmente questa separazione, la fa soffrire, potremmo quasi dire, come se uno di noi fosse scorticato vivo.
"Così, evocare la prima classe — le anime grossolanamente peccaminose — è pericoloso per i vivi; forzare l'apparizione della seconda e terza classe, per i morti è crudele oltre ogni espressione.
"Nel caso di uno che è morto di morte naturale esistono condizioni completamente diverse; l'anima è quasi del tutto al di là della portata del necromante, e nel caso di grande purezza, lo è completamente, e quindi al di là di quella cerchia di evocatori o spiritisti che, inconsapevolmente, praticano una vero Sang-nyag del necromante, cioè un incantesimo magnetico. . . .
"In ogni caso, in quel momento non ha né volontà né potere di trasmettere qualsiasi pensiero ai vivi. Ma dopo il suo periodo di latenza, va oltre, e il nuovo sé entra in piena coscienza nella benedetta regione del Devachan — quando tutte le nebbie terrestri si sono disperse, e le scene e i rapporti della vita passata si susseguono davanti alla sua vista spirituale — allora egli può, e lo fa occasionalmente distinguendo tutti quelli che amò e che lo amarono sulla terra, attirati a lui per comunione e attrazione d'amore, gli spiriti dei vivi che, quando sono tornati alla loro condizione normale, immaginano che egli sia disceso da loro.
"Quindi, noi dissentiamo radicalmente dai Ro-lang-pa occidentali — spiritisti — riguardo a cosa essi vedono o comunicano nei loro circoli e attraverso la propria necromanzia inconscia. Diciamo che non sono altro che le scorie o gli avanzi senza spirito dell'essere deceduto; quello che è stato trasudato, gettato via e abbandonato quando le sue particelle più raffinate sono poi passate nel grande Oltre.
"In lui permangono alcuni frammenti di memoria ed intelletto. Certamente egli era una parte dell'essere, e così possiede quel minimo di interesse; ma in realtà e in verità, non è quell'essere. Formato di materia, per quanto eterealizzata, deve prima o poi essere trascinato nei vortici dove esistono le condizioni per la sua disgregazione atomica. . . .
"Questo è l'insegnamento. Nessuno può adombrare i mortali tranne l'eletto, soltanto 'il Realizzato,' il 'Byang-tsiub,' o il 'Bodhisattwa — coloro che sono penetrati nel grande segreto della vita e della morte — che sono capaci di prolungare a volontà il loro soggiorno sulla terra dopo 'morti.' Tradotto in una fraseologia volgare, questo adombramento è quello di 'nascere più e più volte' a beneficio dell'umanità."

Da tutto ciò vediamo la follia di credere che l'essere disincarnato possa comunicare con quelli che ha lasciato, sia attraverso i medium o altrimenti. Tuttavia, è possibile un collegamento nel caso di entità 'vincolate alla terra,' come gli elementari, quando le condizioni sono adatte a questa procedura pericolosa e spiritualmente e mentalmente malsana.

Lo spiritismo è stato conosciuto dall'umanità per milioni di anni. Fin dal punto mediano della quarta razza-radice, le comunicazioni con le ombre trapassate e il suo collegamento con i cosiddetti poteri psichici nell'uomo hanno sempre attratto certi caratteri. Ma attraverso tutta l'antichità e in Oriente oggi, la comunicazione con i bhūta è stata considerata impura, sbagliata, moralmente contagiosa. La parola bhūta, che significa 'è stato' è un termine curiosamente descrittivo e adatto. D'altro lato, lo 'spiritualismo' insegnato da H.P.B. era la dottrina dello spirito cosmico; lo spiritualismo in contrasto con il materialismo.

Il vero spiritualismo non ha nulla a che vedere con la necromanzia, perché lo spiritualismo dell'antichità insegnava che il mondo è una grande ed organica entità vivente, composta da spiriti cosmici, e che ogni essere umano è, nel suo profondo, un tale spirito cosmico, ed ha il dovere e l'ineffabile privilegio di entrare in comunicazione con i regni spirituali attraverso il proprio dio interiore. Si credeva anche che ogni essere umano dovrebbe diventare un mediatore — che è il legame tra i regni divini e quelli inferiori; ed inoltre, che ogni entità autocosciente è grande precisamente in proporzione a come diventa un mediatore tra il sole divino e gli esseri umani.

Questo, in breve, era lo spiritualismo di H.P.B. Blavatsky, lo spiritualismo degli antichi, la religione-saggezza dell'umanità, insegnata dai theodidaktoi — istruiti da dio — dei paesi intorno al Mare Mediterraneo, all'incirca al tempo della nascita dell'Avatāra Gesù, ed anche nei templi d'Egitto, di Persia, e di Babilonia. In India era chiamato il brahma-vidyā o, in un senso più esoterico, il gupta-vidyā, la teosofia insegnata anche dai druidi, dagli antichi americani e scandinavi — insegnata in tutto il mondo.


LA NATURA DEL KĀMA-RŪPA

Il kāma-rūpa, che diventa il veicolo dell'entità incosciente o quasi cosciente nel kāma-loka, si forma effettivamente durante la vita di un individuo; in altre parole, è in un continuo stato di cambiamento o modifica, e questi cambiamenti cominciano quando l'entità incarnata come un bambino si sente cosciente degli affetti mentali ed emotivi, delle attrazioni, ecc. Comunque, dopo la morte del corpo fisico non vi è un ulteriore cambiamento o crescita della forma kāma-rūpica, poiché rimane più o meno statica, essendo tutte le modifiche del tipo di disintegrazione o di lento disfacimento. È realmente quella parte della costituzione umana che è la sede kāma-mānasica-astrale o il centro focale degli attributi passionali, emotivi, mentali e psichici inferiori; e questi comprendono, come un aggregato, tutti gli skandha inferiori della costituzione umana, di solito enumerati come cinque.[17]

Questo gruppo di skandha lavora ed ha il suo punto focale nelle parti inferiori dell'uovo aurico, strati inferiori che però non vanno confusi con il linga-śarīra o corpo modello. Durante la vita il kāma-rūpa incessantemente in trasformazione ha la sua sede nel linga-śarīra, o lo usa come veicolo; e il linga-śarīra, rispondendo istantaneamente ai vari movimenti passionali nel kāma-rūpa, a sua volta comunica questi impulsi al corpo fisico, che reagisce quindi con un'azione corrispondente.

Ora, è l'ego umano a lavorare attraverso il kāma-rūpa durante l'incarnazione, esattamente come il kāma-rūpa lavora attraverso il linga-śarīra, e quest'ultimo ancora attraverso il corpo. Infatti, è abbastanza corretto dire che l'uomo personale, che è il riflesso e solitamente la radianza distorta dell'ego reincarnante o monade umana, è questo kāma-rūpa stesso, perché, essendo una raccolta di skandha, il kāma-rūpa è semplicemente l'espressione delle qualità personali dell'ego umano.

Quindi, dopo la morte e dopo che è passato un certo periodo di tempo in kāma-loka, questa raccolta di attributi skandhici continua ancora perché il kāma-rūpa tiene incatenato per attrazione l'ego umano, essendo l'uomo personale incosciente. Questa raccolta dura fino all'evento della seconda morte, il che significa semplicemente che è arrivato il momento in cui l'ego reincarnante è riuscito a spezzare tutti i legami di attrazione simpatetica o psico-magnetica che lo unisce con il kāma-rūpa dell'uomo personale che fu.

La seconda morte, dunque, è una riproduzione astrale di ciò che ha avuto luogo alla morte fisica; poiché, proprio come alla morte fisica il corpo è gettato via con il linga-śarīra e i grossolani prāna animali, così alla seconda morte l'ego umano, avendo spezzato i suoi legami di attrazione psico-magnetica con il kāma-rūpa, quest'ultimo allora è abbandonato come un cadavere o guscio kāma-rūpico. Da quel momento in poi, il kāma-rūpa comincia a disintegrarsi: rapidamente nel caso di uomini le cui vite sono state di tipo spirituale, di meno nel caso di uomini comuni, e ancor ameno rapidamente per quelli che furono fortemente attaccati alle cose della materia. È questo il motivo per cui dopo la seconda morte il kāma-rūpa è chiamato un guscio astrale. Inoltre, se questo guscio è ancora più o meno impregnato dagli impulsi passionali automatici di un uomo cattivo grossolanamente materiale, è persino una sorta di elementare; ma il vero elementare è il kāma-rūpa di un uomo disperatamente malvagio o di uno stregone che non può salire nel devachan.

Per un certo periodo di breve durata, che dipende in ogni caso dall'individuo, i kāma-rūpa trattengono un tipo ondeggiante e vago di coscienza quasi animale, a causa del fatto che essi incarnano gli atomi di vita mānasici di tipo inferiore, i cui impulsi di pensiero e di attività emotiva, non si sono ancora scaricati, come una macchina continuerà a funzionare per qualche istante dopo che l'alimentazione viene spenta. Quando questi atomi di vita di grado inferiore lasciano il kāma-rūpa, esso si disintegra e da quel momento in poi è come il guscio di un uovo dal quale è stato rimosso il contenuto. Questi gusci kāma-rūpici non sono più nemmeno elementari di un tipo debole, ma sono completamente vuoti della coscienza, e gradualmente svaniscono come fa una nube. Alcuni kāma-rūpa si disintegrano in pochi mesi; quelli dell'umanità ordinaria possono prendersi otto, dieci, quindici, o forse vent'anni; mentre quelli di uomini cattivi estremamente materialisti, ma che avevano ancora un po' di bene in loro, possono durare per parecchie decine di anni.

Ora, il termine elementari generalmente significa due cose: (a) i fantasmi o spettri o apparizioni astrali, cioè i kāma-rūpa di tutte le persone disincarnate la cui dimora è il kāma-loka; e (b) quelle che H.P.B. chiama 'le anime disincarnate dei depravati,'[18] cioè le anime depravate di coloro che, dopo morti, hanno un lungo e difficile periodo nel kāma-loka prima che la loro triade superiore o la monade collettiva possa liberarsi per il suo riposo devacianico.

Una speciale applicazione del termine elementari è fatta ancora nel caso delle anime perdute da una parte, e di inveterati stregoni dall'altra; in nessuno dei due casi essi hanno una seconda morte, e di conseguenza nessun devachan. Questi elementari sono veramente umani disincarnati la cui dimora è la luce astrale e che, per quanto privati del corpo e anche della monade spirituale, non possono avere né incoscienza né devachan, ma rimangono nella luce astrale fino alla reincarnazione sulla terra, che di solito avviene in breve tempo. Tali anime perdute e accreditati stregoni si reincarnano in corpi indeboliti continuamente nella loro efficienza; e se la propria condizione di essere 'anime perdute' è talmente completa che il regno umano non le attrae più, esse, nella loro disperata sete di incarnarsi fisicamente, si rivolgono agli uteri degli animali e anche, nei peggiori dei casi, si attaccano alle piante.

Va notato, negli ultimi esempi di anime completamente perdute, che esse sono realmente monadi astrali, ciascuna distaccata dalla sua monade spirituale; sono chiamate appropriatamente elementari perché sono ributtate in una condizione di evoluzione 'elementare,' e quindi ritornano ai regni attraverso i quali erano precedentemente passate come 'anime elementari.' Comunque, esse non s'incarnano in questi regni inferiori come monadi di questi animali o piante. Il processo è piuttosto quello delle anime perdute o elementari che si uniscono astralmente, psichicamente e magneticamente, con l'uovo aurico della bestia o della pianta — e così sono, in un senso vero ma incosciente, 'infestatori' o 'abitanti' di queste entità animali o piante. Ecco perché sarebbe sbagliato supporre che questo o quell'animale non sia ordinariamente unito ai suoi sette principi; ma dove un tale fatto accade, l'animale o la pianta è disturbata dalla mescolanza degli atomi di vita astrale che appartengono all'elementare.

Tutti gli elementari, di qualsiasi tipo sono, generalmente parlando, reliquie o avanzi di quelli che una volta erano stati esseri umani incarnati sulla terra. Prima o poi vengono afferrati dalle correnti turbinanti dell'efflusso che li trascina nella Cloaca Maxima del nostro globo, poiché queste monadi astrali sono infine spazzate via dall'atmosfera della terra nella Fossa, il Pianeta della Morte.

Consideriamo il soggetto da un'angolazione piuttosto diversa: quando un uomo muore, egli è ancora un essere umano, tranne il fatto che ha rigettato il suo corpo fisico, il linga-śarīra e la grossolana vitalità prānica astrale. Questo, di conseguenza, lo lascia un umano completo nel senso che tutte le qualità superiori restano nel kāma-rūpa; egli è un'entità con quattro principi, essendo l'ātman, buddhi, manas e kāma-manas, ancora uniti. Le qualità umane e gli attributi sono addormentati, per così dire, nel kāma-loka, e quindi sono incoscienti — un benedetto provvedimento della natura!

Quando ha luogo la seconda morte la monade trina, l'ātman, buddhi-manas, si libera da tutte le sostanze ed energie kāma-mānasiche inferiori. Questi elementi perituri restano nel guscio kāma-rūpico e si dissolvono gradualmente come la luminosità nel cielo dopo il tramonto; le energie che producono questo dissolvimento svaniscono gradualmente 'verso l'alto' e, essendo atomi di vita tardivi, si attaccano come semi dormienti o elementali tanhici all'uovo aurico dell'ego umano che ora è entrato nel suo devachan. Questi semi dormienti degli attributi e delle qualità inferiori, cioè gli skandha che dormono, precedendo la prossima incarnazione, entreranno in azione e parteciperanno alle parti iniziali del futuro corpo astrale.

Alla separazione della monade triadica dal kāma-rūpa, tutti gli attributi più spirituali ed altamente intellettuali sono attratti, come una radianza ancora più brillante, nell'ego reincarnante; ed è questo aroma spirituale, il vero essere umano, che diventa il devacianī che dorme nel seno dell'ego reincarnante, la monade umana. Qui la monade umana va distinta dal suo raggio, l'ego umano.

Così, dopo la morte fisica, l'uomo con i sette principi è diventato di quattro principi, che consistono delle due diadi, ātma-buddhi, e manas con le parti spirituali di kāma. Ora, quando l'uomo con i quattro principi entra, alla seconda morte, nel devachan, queste due diadi si mescolano nella triade superiore di ātma-buddhi e nella parte più elevata di manas, perché hanno abbandonato gli attributi kāma-mānasici inferiori.

Riguardo al raggio divino, nell'istante della vera morte, esso lampeggia verso casa, verso la sua stella genitrice. Benché sia la nostra essenza più profonda, solo i più avanzati della razza umana riconoscono in loro stessi il dimorare di questa gloria superna; e più grande è l'uomo incarnato nel potere spirituale ed intellettuale, più pienamente l'influenza del raggio divino si manifesta nella sua vita.

Gli uomini comuni oggi sono solo occasionalmente illuminati dai lampi dell'intuizione che dentro di loro abita un Qualcosa che è superiore all'intelletto, incomparabilmente più glorioso dell'emozione o del sentimento, e che è la "luce che illumina ogni uomo che viene al mondo" — la Luce dell'Eternità. Questi rari momenti di illuminazione interiore sono gli efflussi provenienti dalla monade spirituale interiore. Allora, vi sono i più nobili figli degli uomini che, per una subitanea, meravigliosa e mistica trasformazione della loro coscienza, sperimentano come una realtà quella Presenza vivente in loro, che trascende tempo e spazio.


[1] Un termine sanscrito composto: punar, ancora, e janman, nascita.

[2] Un composto sanscrito formato dal prefisso sam, con, e sāra, dalla radice verbale sri, che significa 'un lungo fluire' — un termine che, se usato teosoficamente, implica la modificazione della coscienza che l'essere disincarnato subisce con 'un lungo fluire' nei fiumi delle vite, vale a dire le circolazioni del sistema solare. Questi fiumi di vita sono in costante movimento dentro e su tutti i piani dei mondi visibili ed invisibili. Per chiarire: ogni atomo di vita, di qualsiasi classe, nell'universo solare, deve almeno una volta entrare nel sole e poi uscirne ad ogni battito del cuore solare, e vi è un tale battito ad ogni ciclo di macchie solari.

[3] L'azione separativa precede la morte fisica, variando da un numero di mesi o anche anni; dipende dall'individuo, e così è una preparazione per l'esistenza futura in ciò che per lui la conseguente prossima sfera di effetti — il devachan.

[4] L'elettricità vitale fisica, per quanto eterea e tenue alle nostre percezioni, è tuttavia proprio sostanziale; e, in verità, i prāna del nostro piano fisico e quasi ugualmente del nostro piano astrale, sono sostanze relativamente materiali se paragonate ai prāna delle parti superiori della costituzione umana.

[5] Fare una pratica di rivedere gli avvenimenti della giornata quando stiamo per andare a dormire è molto importante. Il suo effetto è quello di abituare la mente a considerare la propria vita come un campo d'azione che coinvolge la responsabilità della condotta, dandoci l'opportunità di trarne delle lezioni. Ha anche l'effetto sulla mente di cominciare ad abituarsi alla visione panoramica, facendo così una realizzazione autocosciente più facile, più rapida e più completa degli avvenimenti che passano davanti all'occhio della mente al momento della morte. Quest'abitudine crea anche il risultato altamente benefico di abbreviare la seconda visione panoramica che precede la seconda morte.

Questo esame etico o morale degli avvenimenti del giorno è uno dei migliori aiuti possibili nell'immettere la saggezza nei problemi che s'incontrano nella vita, e portare attraverso la riflessione, anche se fatto più o meno inconsciamente, uno spirito di gentilezza e comprensione verso gli altri. Un gran numero di attriti e problemi inutili nel mondo sorge dal modo meccanico in cui viviamo mentalmente, senza un adeguato auto-esame, con poca o nessuna analisi delle nostre azioni quotidiane e dei pensieri ed emozioni che provocano queste azioni. Naturalmente, io qui non mi riferisco a una malsana o morbosa introspezione, ma all'accurata ed onesta pratica di rivedere imparzialmente e criticamente, come spettatore, i propri pensieri ed azioni. È un grande aiuto per rafforzare le nostre intuizioni morali.

[6] Le Lettere dei Mahatma, p. 145 ed. or.; Lettera 23a.

[7] Una tale fase di ricordi dei dettagli delle nostre passate incarnazioni, per quanto concerne l'uomo comune, non avrà luogo finché la nostra terra sarà abitata da una razza di esseri di gran lunga mirabilmente più evoluti di quanto lo siano ora; e questa è una fortuna. Le eccezioni a questa regola, come detto, sono i maestri ed alcuni chela elevati, non quelli che possono vantare questa cosiddetta facoltà o potere.

[8] "Memory in the Dying",  Lucifer, ottobre 1889, pp. 128-129.

[9] Un composto sanscrito: pra, in fuori; an, respirare, e questa radice verbale si trova in tutti i termini che indicano i prāna.

[10] Nella letteratura teosofica sono frequentemente menzionati i 'fluidi nervosi' del corpo fisico. Il fatto è che vi sono molti fluidi nervosi nella struttura fisica dell'uomo come vi sono molti prāna, e questi ultimi non sono che un altro nome per i sette o dieci prāna che agiscono dentro e attraverso il sistema nervoso. Sono i prāna che cooperano a produrre il flusso generale dell'energia nervosa o forza o vitalità nervosa.

[11] Vi è un gran numero di misteri collegati agli stati del dopo-morte dell'entità umana. Ad esempio, è stato chiesto a che punto, nelle diverse fasi della 'discesa' della monade o reincarnazione, il raggio della monade divina ha contatto con la costituzione dell'uomo futuro ancora in embrione? Prima di tutto, varia da individuo a individuo, ma parlando in senso più generale, sarei propenso a dire che, per come ho compreso questo difficile punto dell'insegnamento, il momento del ricongiungimento del raggio divino con la monade spirituale ha luogo nell'istante in cui la monade spirituale, avendo raggiunto l'acme delle peregrinazioni post-mortem, si prepara ancora una volta al suo pellegrinaggio verso il basso nelle sfere della materia. Tuttavia, mentre ciò appare indubbiamente vero, non dobbiamo supporre che la costituzione che si sottopone al processo di ricostruzione sia completamente sotto l'influenza del raggio divino; se fosse così sarebbe la costituzione di un dio.

[12] Jāgrat, il normale stato di veglia; swapna, lo stato di sonno-sogno; sushupti, la condizione del sonno profondo e senza sogni; turīya, letteralmente 'quarto,' il più alto di tutti.

[13] Anche la morte violenta, sia per suicidio o incidente, è seguita da un'immediata incoscienza. Naturalmente, vi è una differenza enorme tra chi subisce una morte accidentale e chi si toglie la vita perché ha paura di affrontare il mondo, o non gli importa più di farlo. La vittima di un incidente si trova immediatamente a fare sogni indistinti finché non entra nello stato del devachan. Ma chi commette un suicidio, perché troppo debole per continuare a fare il suo dovere come uomo, lo commette per una sua scelta volontaria in un momento di intenso stress emotivo, e il karma pretenderà la retribuzione per quell'atto. Ma non dimentichiamo che è così che l'individuo impara, poiché la retribuzione karmica non è una 'punizione,' ma è semplicemente una reazione della natura. Se io metto la mano nel fuoco, la mia mano sarà bruciata. E questo è colpa della natura? Proprio così per il suicida: egli riceve ciò che ha fatto a se stesso, cioè, abbrevia la sua vita prima che la riserva di vitalità sia esaurita, e deve quindi rimanere in un mondo quasi fisico, affinché vi possa esaurire la vitalità quasi fisica che esisteva ancora nel suo corpo astrale alla morte. Dopo di ciò, deve affrontare il suo kāma-loka.

[14] In Tibet e nei suoi confini, gli stati dopo la morte dell'entità disincarnata sono conosciuti sotto il termine generalizzante di bardo — un termine che significa 'tra due,' intorno al quale l'immaginazione ha intessuto molte e varie fabbriche di fantasie, tutte più o meno sul modello delle realtà esoteriche. Comunque, se dovessimo ora prendere alla lettera questi insegnamenti del tutto esoterici, sbaglieremmo di grosso. Tuttavia, se appropriatamente compresi, hanno un inerente significato mistico.

Nelle Lettere dei Mahatma (pp. 105-106 ed. or.; p. 86 online) troviamo quanto segue:

Il "Bardo" è il periodo fra la morte e la rinascita — e può durare da alcuni anni ad un kalpa. Esso è diviso in tre sottoperiodi: (1) quando l'Ego liberato dei suoi ceppi mortali entra nel Kama-Loka (la dimora degli Elementari); (2) quando entra nello "Stato di Gestazione"; (3) quando rinasce nel Rupa-Loka del Devachan. Il Sottoperiodo (1) può durare da alcuni minuti a un numero d'anni — infatti, la frase "alcuni anni" diventa enigmatica ed assolutamente priva di valore senza una spiegazione più completa; il Sottoperiodo (2) è "assai lungo", come dite voi, talvolta più lungo di quanto possiate immaginare, ma proporzionale alla forza spirituale dell'Ego; il Sottoperiodo (3) dura in proporzione al Karma buono, dopo di che la monade è di nuovo reincarnata.
Quindi il bardo ha il significato generale sia del periodo di tempo che dei vari stati di coscienza cui è sottoposta la monade pellegrina tra la morte e la sua prossima reincarnazione. I tre stati del bardo, in generale, sono: il bardo Chikhai, che equivale sia al periodo di tempo che allo stato della coscienza dell'essere disincarnato dal momento della morte fino a quando entra definitivamente nel devachan; il bardo Chönyid, che è sia il periodo di tempo devacianico di una tale entità, sia i vari cambiamenti e risonanze degli stati di coscienza che il devacianī sperimenta; e il bardo Sidapai, che è sia il periodo di tempo che le diverse esperienze nella coscienza di un'entità dal momento che ha lasciato definitivamente il devachan fino al momento in cui si ritrova un embrione in crescita nell'utero umano. È quindi evidente che queste tre divisioni del bardo sono semplicemente il modo tibetano di descrivere gli stati dopo la morte. Vi è una certa somiglianza tra il concetto tibetano del bardo e i Giorni della Commemorazione dei defunti nella Chiesa Greca Ortodossa, in cui i riti sono celebrati il terzo, il settimo, e il quarantesimo giorno, ed anche in altri giorni, dopo la morte di un uomo. Questi Giorni altro non sono che un riflesso exoterico di quello che una volta era un insegnamento esoterico riguardante le diverse fasi o stazioni attraverso le quali l'entità disincarnata passa durante il corso delle sue peregrinazioni post-mortem. Effettivamente, queste fasi sono individuali e serialmente raggiunte dopo un lasso di anni o anche di secoli, periodi di tempo che la Chiesa Greca Ortodossa, ignorando del tutto le chiavi esoteriche ma sostenendo un'affermazione exoterica, ha ridotto ai giorni terrestri nel suo rituale.
Il lettore troverà del materiale alquanto interessante sul bardo nei testi scolastici del dr. W. Y. Evans-Wentz sugli insegnamenti tibetani, la letteratura religiosa e le scuole filosofiche, particolarmente nel suo Tibetan Yoga and Secret Doctrines. [Lo Yoga e le Dottrine Segrete Tibetane.]

[15] Le Lettere dei Mahatma, p. 128, ed. or.

[16]"Tibetan Teachings", Lucifer, settembre e ottobre 1894, pp. 15, 98-101.

[17] H.P.B. usa il termine kāma-rūpa nei due sensi in cui io lo impiego qui: uno, per l'uomo personale incarnato, e due, per l'entità astrale dell'uomo dopo la morte, sia prima che dopo la seconda morte nel kāma-loka. Comunque, credo che W. Q. Judge, in un passaggio, si oppone a qualsiasi altro uso del termine kāma-rūpa che non sia l'uomo personale astrale dopo la morte, il cui uso è perfettamente corretto; tuttavia, quando facciamo un'analisi filosofica più approfondita, vediamo che possiamo logicamente parlare del kāma-rūpa anche durante il periodo di vita dell'uomo. Posso solo supporre che quest'osservazione di Judge era un tentativo di rendere il più semplice possibile l'insegnamento durante quei primi tempi della Società Teosofica.

È ovvio che per un rūpa ben definito esistere dopo la morte del corpo presuppone che sia stato formato o portato in esistenza durante la vita. Il kāma-rūpa, il 'veicolo' tra il manas superiore e l'uomo fisico, è una delle parti più fluide, mutevoli e plastiche della costituzione, perché è sottoposto a modifiche ad ogni stato d'animo che insorge, in verità ad ogni pensiero che passa. Ma, poiché ogni uomo ha il suo swabhāva, tutti questi cambiamenti minori nel kāma-rūpa, sia improvvisi che graduali, non influenzano le sue caratteristiche essenziali e nemmeno della forma o della sostanza. Ad esempio, il viso di un uomo ha una forma o impostazione distinta, che include i lineamenti, il colorito e l'espressione, e tuttavia, veloce come un fulmine, il suo volto può cambiare mirabilmente, come sa ogni attore; ma questo passaggio di espressioni, anche se certamente marcato, non altera la fisionomia di base.

Noi uomini siamo i kāma-rūpa dei nostri sette principi in manifestazione. Tutti noi abbiamo un principio del desiderio, kāma, e un principio mentale, manas, e le nostre emozioni nate da kāma; e questi attributi personalizzano l'uomo. Quando moriamo e gettiamo via il corpo, vi rimane un kāma-rūpa con tutti i principi superiori ancora attaccati; e quando questi principi superiori abbandonano il kāma-rūpa, allora rimane solo il guscio vuoto kāma-rūpico. Ma quando siamo incarnati su questa terra noi siamo dei kāma-rūpa viventi, entità settuple. Quest'ultimo è il caso del sole; il primo, il guscio gettato via, è il caso della luna, il kāma-rūpa in disfacimento della luna che fu.

Ora, se noi, mentre viviamo, facciamo del nostro kāma-rūpa il veicolo del dio in noi, quel kāma-rūpa diventa il vettore, e noi diventiamo un bodhisattwa, un Buddha o Cristo su questo piano. In effetti, tutti gli uomini insieme sono quelli che potremmo chiamare i kāma-rūpa dell'organizzazione sociale dell'umanità, la vera razza umana che sono le monadi spirituali di queste migliaia di milioni di donne ed uomini.

Proprio così, qualsiasi gruppo di soli è analogo ad un'aggregazione di 'atomi' che formano il kāma-rūpa del nostro immenso Brahmānda, l'uovo di Brahmā. Ciascun sole, in questo aggregato solare, è un atomo cosmico, e quindi una manifestazione del potere derivante da fohat o Eros cosmico — usando Eros non nel senso astratto della vita divina, ma nel suo significato inferiore di kāma o desiderio cosmico, essendo quest'ultimo corrispondente in qualche modo al Cupido latino.

Quindi, i soli, come 'atomi' cosmici, rappresentano nel loro complesso un kāma-rūpa del più vasto cosmo incarnato, cioè il lato mentale, passionale ed energizzante dell'universo, manifestandosi in quelle sfere di stupefacente potere che chiamiamo stelle, o che possiamo anche chiamare i figli di fohat.

[18] Vedi Glossario Teosofico alla voce 'Elementari.'



Theosophical University Press Online Edition