Il Modello della Struttura del Mondo
L'Evolversi degli Elementi Cosmici
Elementali, Progenie degli Elementi Cosmici
I Tattwa e i Sette Sensi dell'Uomo
La Nascita di un Globo
Piani e Stati di Coscienza
Loka e Tala
L'Onda di Vita Umana nei Loka-Tala
Le Interconnesioni tra Loka e Tala
Monadi, Centri di Coscienza
Le Classi Monadiche
Il Triplice Schema Evolutivo
Ci sono milioni e milioni di mondi e di firmamenti a noi visibili; e ce ne sono ancora di più non visibili al telescopio, e molti di questi non appartengono alla nostra sfera oggettiva di esistenza. Sebbene ci siano invisibili come se fossero a milioni di miglia dal nostro Sistema Solare, essi sono con noi, vicino a noi, dentro il nostro stesso mondo, così oggettivi e materiali per i loro rispettivi abitanti, come il nostro mondo lo è per noi. Ma il rapporto esistente fra questi mondi e il nostro non è quello di una serie di scatole a forma di uovo incastrate le une nelle altre, come quei giochi chiamati nidi cinesi; ognuno di essi è completamente sottomesso alle proprie leggi e condizioni speciali, e non ha alcuna relazione diretta con la nostra sfera. Gli abitanti di questi mondi, come abbiamo già detto, possono passare — per quanto ne sappiamo o percepiamo — attraverso di noi e intorno a noi, come se fossimo spazio vuoto, poiché le loro abitazioni ed i loro paesi s'interpenetrano con i nostri, sebbene non li vediamo, non avendo ancora le facoltà necessarie per farlo. Però gli Adepti, ed anche certi Veggenti e certi sensitivi, per mezzo della loro vista spirituale, sono capaci di discernere, in maggiore o minor grado, la presenza e la grande vicinanza a noi di Esseri appartenenti ad altre sfere di vita. Quelli dei mondi spiritualmente più alti comunicano solo con quegli abitanti della Terra che si elevano fino a loro, attraverso sforzi individuali, sul piano più alto dove essi abitano . . .
Ciò nondimeno, tali mondi invisibili esistono. Abitati densamente come il nostro, sono sparsi in numero immenso attraverso lo Spazio apparente; alcuni sono molto più materiali del nostro stesso mondo; altri divengono sempre più eterei, finché non hanno più forma e sono come Respiri.
— La Dottrina Segreta, I, 605-6 ed. or.; p. 456 online, v. s.
L'intero universo fisico, in tutti i suoi campi d'estensione e molteplici miriadi di forze e sostanze, non è altro che il rivestimento esterno dei campi sconfinati delle sfere e dei piani invisibili, che sorgono negli stadi gerarchici nell'Illimitato.
Questo concetto non è soltanto una chiave per una corretta comprensione della struttura, visibile ed invisibile, di qualsiasi unità cosmica, ma ha anche una suprema importanza a livello etico. Mostra che l'uomo e l'universo non solo sono due e diversi, ma sono essenzialmente uno. Qui si trova la spiegazione fondamentale del karma: tutto quello che l'uomo è e fa è legato al destino dell'universo, spirituale, etereo, fisico. In essenza, quello che l'universo è, quello è l'uomo; e quindi tutti i suoi pensieri, emozioni, e le conseguenti azioni, sono debitamente annotati dagli archivisti karmici, i Lipika.
Molti studenti trovano difficile comprendere la natura esatta degli elementi-principi cosmici e dei loka e tala, e il loro rapporto con le dodici classi maggiori di monadi. La prima cosa da tenere a mente è che i mondi invisibili sono semplicemente quelle parti del sistema solare e, ad un livello minore, di una catena planetaria, che sono invisibili perché composti di sostanze e forze sia più eteree che più dense di quelle che costituiscono il piano fisico. Il nostro piano fisico non è che uno dei dodici piani cosmici, ciascuno dei quali fondamentalmente ha il suo elemento-principio caratterizzante o etere swabhāvico. In altre parole, ognuno di questi elementi-principi cosmici evolve gradualmente una struttura del mondo dall'interno delle proprie sostanze e forze, e questa struttura del mondo considerata come un tutto unitario è un piano cosmico. Ora, un piano cosmico, poiché il suo elemento-principio si dispiega nella manifestazione, ha le sue parti spirituali, intermedie e fisico-astrali; e ciascuna di tali parti, se vista come la struttura di un mondo individuale e minore dentro la struttura del mondo più grande del piano cosmico stesso, è un loka ed un tala congiunti come gemelli.
In breve: l'Universo, all'inizio della sua manifestazione, si dispiega dal punto più elevato al più basso, attraverso tutti i gradi intermedi, come dodici elementi o principi; allora, ciascun elemento-principio si espande nei diversi sottopiani di un piano cosmico; e sono proprio questi diversi sottopiani ad essere i loka ed i tala cosmici. Questi loka e tala, quindi, possono essere chiamati con altrettanta verosimiglianza i sottogradi o i mondi minori esistenti su qualsiasi piano cosmico.
Ritorniamo per un momento agli elementi-principi cosmici prima che essi, come unità individuali della struttura cosmica, si espandano nei piani e nei diversi loka e tala. La causa di questa manifestazione nelle varietà della differenziazione sta nel fatto che ogni elemento o principio cosmico è esso stesso composto da punti unitari di coscienza, cioè dalle monadi nella loro matrice — nate dall'elemento cosmico dal quale provengono e al quale, quindi, appartengono.
Queste monadi (che potremmo meglio definire come atomi cosmici di vita) sono chiamate elementali cosmici, perché sono i primogeniti nati direttamente dai rispettivi elementi cosmici. Poiché vi sono dodici elementi cosmici, vi sono dodici classi fondamentali di monadi, che spaziano dal divino al fisico. Naturalmente, ciascuna monade o centro di coscienza è un'entità vivente che cresce ed impara, cosicché non ha importanza l'elemento cosmico da cui originariamente è nata, perché è destinata, attraverso l'evoluzione e la raccolta di esperienze, a sbocciare infine in un dio. Iniziando il suo percorso come una scintilla divina incosciente, un jīva — un elementale cosmico generato dall'elemento cosmico — il suo destino è di attraversare tutte le fasi intermedie dell'evoluzione fino a diventare un dio in piena regola, un jivanmukta.
L'idea generale è che gli stessi elementi-principi sono eserciti sterminati di elementali cosmici o monadi originali esistenti su tutti i dodici piani dell'universo, visibile ed invisibile, e che formano, nelle loro immense sostanze ed energie interdipendenti ed interagenti, la mirabile struttura del mondo che è il Brahmānda o Uovo di Brahmā. I piani cosmici o, che è la stessa cosa, i loka ed i tala che formano questi piani, sono effettivamente costruiti dagli innumerevoli eserciti delle dodici classi di monadi evolventi. Il più grande contiene in sé un esercito dei più piccoli o, inversamente, ogni unità più piccola vive in un'unità più grande, che a sua volta non è altro che una parte componente di un'unità ancora più vasta; e così via, fino a raggiungere i limiti del sistema solare. E lo stesso sistema solare è, ripetitivamente, una componente minore in un'entità ancora più sublime, che è la nostra galassia.
Quindi, queste dodici grandi classi di monadi evolventi non solo esistono sui dodici piani cosmici, dentro e attraverso tutti i loka e tala ma, a causa del passato sviluppo evolutivo karmico, riempiono anche la struttura del mondo, producendo così le diverse gerarchie di esseri viventi, dal più elevato al più basso. Alcune di queste monadi sono dèi nella struttura del nostro mondo o nel sistema solare, e altre sono semidèi; ed altre ancora sono monadi in uno stato meno evoluto di sviluppo, del quale la nostra gerarchia umana è un esempio. Possiamo portare le diverse gerarchie minori in basso, al disotto l'umano, fino a raggiungere le tre classi maggiori di elementali — in basso però non significa inferiore nel senso della posizione, ma si riferisce a monadi più giovani.
Una buona analogia per la struttura del mondo la si può trovare nella costituzione di un essere umano. Qui abbiamo un'entità settenaria composta di sostanze e forze — che nella struttura del mondo chiamiamo piani — che spaziano dal divino al fisico, e in tutti i gradi intermedi; e ciascun grado è un numeroso esercito di atomi di vita sotto il comando della sua monade dirigente. Nondimeno, tutte le parti della costituzione di un uomo lavorano insieme e sono interdipendenti, in sostanza ed in azione, per produrre un essere umano settuplo. Esattamente così, un sistema solare è composto sulle stesse linee analogiche; o una catena planetaria o un qualsiasi suo singolo globo, oppure, in verità, qualsiasi atomo degli sterminati eserciti di atomi che costruiscono un globo. Il sistema solare, proprio come l'uomo, è un'entità che ha la propria individualità, che è la sua gerarchia; e questa gerarchia vive dentro e attraverso tutte le forze e sostanze, tutti i piani, loka e tala, del sistema solare che è la sua espressione, la sua costituzione.
Ora, parlando degli Elementi, viene costantemente rivolto agli antichi il rimprovero che essi "supponevano che i loro elementi fossero semplici e indecomponibili." Il rimprovero fatto agli antichi anche questa volta è un'affermazione ingiustificata. Ad ogni modo, ai loro filosofi iniziati non si può muovere tale accusa, poiché sono proprio essi che hanno inventato, fin dall'inizio, le allegorie e i miti religiosi. Se avessero ignorato l'Eterogeneità dei loro elementi, non avrebbero personificato il Fuoco, l'Aria, l'Acqua, la Terra e l'Etere; i loro dèi cosmici, maschili e femminili, non sarebbero stati dotati di una simile posterità, con tanti figli e tante figlie, che non sono altro che elementi nati dai rispettivi Elementi, e dentro di essi.
— La Dottrina Segreta, I, 140 ed. or.; p. 121 online.
All'inizio di qualsiasi manvantara universale, quando comincia la differenziazione e la manifestazione, si apre il grande dramma cosmico con il risveglio, nelle gerarchie creatrici dormienti, del desiderio di esternarsi. Questo è lo stesso tipo di desiderio che provoca il risveglio dell'ego umano in devachan, in modo che possa iniziare la sua 'discesa' in una nuova incarnazione sulla terra. In questa maniera l'universo dispiega, cioè sviluppa, dall'interno di se stesso, le varie essenze — alle quali si fa riferimento come principi o elementi — e cominciando sempre con il più elevato e quindi procedendo da questo in una serie regolare o modalità gerarchica. Ciascuna essenza, una volta che si è evoluta dalla sua precedente, espande dal proprio interno l'essenza che la sostituisce nel costruire la struttura o fabbrica dell'universo. Così le essenze divine producono da se stesse la loro progenie, le essenze spirituali, e queste, a loro volta, producono le essenze che le sostituiranno nell'ordine del mondo, in modo che quando questo processo è completato per quel manvantara, abbiamo l'universo in tutti i suoi piani che si estendono dal divino-spirituale fino all'astrale-fisico.
La modalità di quest'espansione è tale che ogni essenza o elemento-principio non solo contiene in sé il proprio swabhāva, ma è ugualmente il veicolo dei diversi swabhāva di tutte le essenze che l'hanno preceduta, ed anche di quelle che seguiranno; per cui, quando la settima (o dodicesima) essenza è raggiunta, abbiamo l'universo sviluppato come un aggregato di reti di vite. Questo processo è denominato differenziazione o manifestazione.
In diversi sistemi religiosi o filosofici sono stati dati vari nomi a queste essenze o elementi-principi. Comunque, qualsiasi tentativo di mettere in colonne parallele i nomi di un sistema con quelli di un altro, anche se può essere utile mostrare simili punti di vista, tuttavia rischia di essere molto fuorviante se questi nomi comparati sono fraintesi come se avessero esattamente lo stesso significato sotto tutti gli aspetti.
Questi principi o elementi cosmici furono chiamati da Platone, e dopo di lui da Aristotele e da altri scrittori greci: stoicheia, un termine che significa 'le cose che vanno di pari passo,' e usato nel senso dell'espansione o dispiegamento delle essenze cosmiche, le più basse dalle più elevate, e ciascuna da quella che l'ha preceduta nel tempo e nello spazio. Come dice H.P.B. nella Dottrina Segreta (I, 461 ed. or.; p. 347 online):
Gli Elementi (στοιχεîα) di Platone e di Aristotele erano, di conseguenza, i principi incorporei collegati con le quattro grandi divisioni del nostro Mondo Cosmico . . . Così vicini, in realtà, che le Gerarchie di queste Potenze, o Forze, sono state classificate secondo una scala graduata di sette, dal ponderabile all'imponderabile. Esse sono settenarie, non in una maniera artificiale per facilitarne la comprensione, ma secondo una reale gradazione cosmica, dalla loro composizione chimica o fisica, fino alla loro composizione puramente spirituale.
Proclo, uno scrittore e mistico neoplatonico, descrive questo processo di espansione emanativa in maniera suggestiva:
Affinché tutti i progressi degli elementi, comunque, e le loro gradazioni possano diventarci manifesti, si richiede che dovremmo iniziare la loro teoria dall'alto. Questi quattro elementi, quindi, fuoco e aria, acqua e terra, sussistono, primariamente ed uniformemente secondo la causa, nel Demiurgo degli insiemi . . . Da queste cause demiurgiche ha luogo il progresso di questi quattro elementi nell'universo, sebbene non immediatamente nel mondo sublunare. Poiché, come possono le nature del tutto immateriali dare sussistenza, senza un mediatore, a quelle più materiali, e le nature immobili dare sussistenza, sotto ogni aspetto, a quelle in movimento? Perché il progresso delle cose non avviene in nessun luogo senza un mediatore, ma esiste secondo una gradazione ben ordinata.
— Il Timeo di Platone, libro III.
Un altro filosofo greco, Empedocle, usò il termine rhizomata, che significa radici, per queste stesse essenze, termine che adottò anche H.P.B.
Le diverse scuole della filosofia hindu, come la Sānkhya e la Vedānta, avevano la loro terminologia speciale per queste essenze cosmiche; e così fece anche il Buddhismo, particolarmente il Mahāyana. Tuttavia tutte queste scuole, pur immaginando la stessa raffigurazione cosmica delle essenze in espansione, avevano ciascuna il loro modo di vederle.
Il termine Sānkhya per queste essenze cosmiche sono i tattwa,[1] considerati duali nel carattere, ed aventi un aspetto interiore o più etereo ed un aspetto esterno più sviluppato. Il loro aspetto più etereo è chiamato tanmātra, mentre l'aspetto manifestato è chiamato mahābhūta, in modo che il tattwa corrisponda a ciò che la terminologia teosofica chiama un elemento-principio, essendo tanmātra paragonato al principio e mahābhūta all'elemento. I buddhisti, d'altro lato, invece di tattwa, di solito parlano di dhātu.
Ora, prendiamo ancora altri due termini usati nella filosofia Sānkhya: le prakriti e le vikriti. In un senso, le prakriti significano quasi la stessa cosa dei tattwa. Tuttavia, se analizzato più da vicino, vediamo che il termine tattwa dovrebbe essere probabilmente riferito alle essenze cosmiche astratte, mentre il termine prakriti andrebbe usato per le varie sostanze cosmiche e le loro funzioni, che possiamo meglio esprimere come "produttrici di potere" all'interno dei tattwa. Così, prakriti, poiché significa la sostanza in espansione o la materia eterea inerente ad ogni tattwa, fa scaturire dal suo interno i flussi di vita o elementali cosmici. Le vikriti sono uno stadio ancora ulteriore nell'evoluzione cosmica, e stanno per le manifestazioni o differenziazioni prodotte dalle prakriti — le miriadi di tipi di manifestazione che prakriti diventa.
Ora, il termine sanscrito mahābhūta corrisponde a ciò che gli antichi greci chiamavano i cinque elementi cosmici, di solito enumerati come etere, fuoco, aria, acqua, e terra — non essendo però gli elementi comuni che ci sono familiari. Questi nomi furono adottati a causa di certi attributi (le vikriti) inerenti agli elementi fisici o quasi fisici, nel tentativo di descrivere le caratteristiche corrispondenti degli elementi cosmici: la terra che implica solidità ed espansione, l'acqua che implica la fluidità, il fuoco che suggerisce il calore vitale, una rapida energia nervosa come pure la stimolazione del pensiero, ecc.
Vi è un punto interessante che riguarda il termine mahābhūta, che tradotto letteralmente significa 'le grandi cose sorpassate' (in quanto i bhūta derivano dalla radice bhū, divenire) nel senso che i mahābhūta, quando si espandono durante l'inizio di un manvantara cosmico, ciascuno è l'esatta riproduzione di ciò che erano questi elementi cosmici quando il precedente manvantara ebbe termine. Il nuovo universo, per quel che riguarda le essenze cosmiche, può essere paragonato ad un orologio che, essendosi scaricato e poi ricaricato, comincerà di nuovo a funzionare dal momento preciso in cui le lancette indicavano quando il meccanismo si era fermato.
Quando un universo si dispiega attraverso l'espansione delle sue essenze cosmiche componenti è chiamato un Uovo di Brahmā, e la gerarchia di qualsiasi universo del genere è, di conseguenza, il Brahmā che vive nel suo Uovo cosmico, proprio come l'ātman della costituzione umana ne è il Brahman, che vive nell'uovo aurico umano, esistente com'è su tutti i piani della costituzione umana.[2]
Naturalmente, è vero che anche le stesse essenze cosmiche, essendo formate come sono da eserciti di monadi infinitamente vasti, avanzano sviluppandosi, perché tutte le loro monadi componenti sono in evoluzione. Appena un unico corpo di simili monadi passa a funzioni superiori, i loro posti sono presi da altre monadi simili che seguono in coda; e così le essenze cosmiche dell'universo sono sempre lì nei loro stadi dodecupli, per dispiegarsi nei nuovi drammi della vita — quelle monadi che si sono elevate da una gerarchia cosmica passando in avanti e verso l'alto nella gerarchia successiva, e così all'infinito.
Il Fuoco, l'Aria, l'Acqua, la Terra, erano solo gli aspetti visibili, i simboli delle Anime o Spiriti invisibili che li animavano, gli Dèi Cosmici, ai quali gli ignoranti dedicavano un culto, mentre i più saggi ne riconoscevano semplicemente, ma rispettosamente, l'esistenza. Le suddivisioni fenomeniche degli Elementi noumenali erano, a loro volta, animate dai cosiddetti Elementali, gli "Spiriti di Natura" dei gradi inferiori.
— La Dottrina Segreta, I, 461 ed. or.; p. 347 online
Ogni essenza cosmica o elemento, quando si è evoluta, è un immenso aggregato di vite elementali, che nella terminologia teosofica sono chiamate elementali — gli abitanti dei rispettivi elementi cosmici. In altre parole, gli elementali di qualsiasi essenza cosmica sono i suoi figli, e quindi appartengono allo swabhāva del loro genitore, e lo incarnano essi stessi. È vero per tutte le essenze cosmiche dell'universo manifestato, per cui abbiamo gli elementali che scaturiscono da ciascuno dei piani cosmici, da prithivī, la terra, fino al più elevato, ādi-tattva.
Un altro uso più familiare del termine elementali significa esseri o entità proprio al principio della loro crescita evolutiva sulla scala delle vite di un universo. Se applichiamo questo concetto agli elementi-principi della costituzione umana, potremo fare le applicazioni appropriate su scala cosmica. Vi sono, ad esempio, elementali nati dal nostro buddhi, dal nostro manas, ed altri dal nostro karma, ecc.
Il termine elementali può essere ugualmente usato per tutte le entità al di sotto del regno umano. Più specificamente, comunque, il termine si riferisce alle prime entità che appaiono nei sette elementi della natura prima che altre entità più progredite vengano in manifestazione. Così sulla scala gerarchica abbiamo: primo, i tre regni elementali, poi gli elementali che si manifestano nel regno minerale, successivamente quelli che si manifestano nel regno vegetale, poi quelli che si manifestano come animali, seguiti dagli elementali 'perfetti' che chiamiamo esseri umani. I tre regni elementali sono così progettati perché sono le primordiali famiglie o razze di esseri che nascono negli elementi cosmici prima che qualsiasi entità più evoluta possa manifestarsi, e forniscono lo sfondo sul quale la struttura più evoluta di un mondo è costruita da entità dei regni superiori.
Vi sono sette piani o regni della natura, e si manifestano sotto varie forme. Visti da un'angolazione, li chiamiamo loka e tala: da un'altra angolazione, diciamo che la natura è composta di sette tattwa e bhūta, o sette principi ed elementi. Il punto è che ogni elemento contiene tutti gli altri elementi rinchiusi nel suo cuore, finché arriva il campo appropriato e il tempo nello spazio per l'apparizione di questi elementi latenti.
I tattwa cosmici si espandono in ordine seriale e così producono le gerarchie formate dai corrispondenti loka e tala: cominciando con il primo, ādi-tattwa, il secondo, anupapādaka, emana da esso, pur trattenendo una certa porzione del primo tattwa. Dal secondo tattwa si espande il terzo, ākaśa-tattwa, che contiene non solo le sue forze e sostanze swābhāviche predominanti, ma ugualmente la sua porzione del secondo e anche del primo tattwa cosmico. Questo processo continua fino al settimo ed ultimo. Quando si avvicina il tempo del pralaya cosmico, l'intero processo di espansione emanativa s'inverte — l'universo ora comincia il procedimento di 'irradiamento' o di ripiegamento su se stesso.
Ciascuno di questi elementi o regni o reami o loka — chiamateli come volete — della natura interna ed esterna, è riempito dalle sue popolazioni, è composto cioè di monadi, centri monadici, che variano di grado evolutivo, spaziando dall'autocoscienza fino alla mera coscienza, giù fino alla coscienza incoscientemente passiva. Inoltre, più alta è la scala di vita, più grandi e più spirituali diventano gli abitanti di questi regni. I più elevati sono molto potenti; alcuni esseri elementali sono così elevati — non in ordine evolutivo, ma fin dall'origine — che, essendo la progenie di uno degli elementi cosmici, partecipano della saggezza cosmica di cui essi, come entità, sono atomi di vita. Vi sono altri esseri elementali la cui origine è così bassa nelle sfere materiali, da essere istintivamente antagonisti verso gli esseri umani, alcuni addirittura terribilmente malvagi, non per scelta, non per volontà, ma per il loro carattere; altri sono comunque amichevoli verso la razza umana, ed anche benefici. Qualcuno ha un aspetto quasi umano, ma la maggior parte sono di aspetto non umano, alcuni sono di taglia gigantesca, titani, con poteri corrispondenti. La grande maggioranza di questi elementali è solamente quasi cosciente.
Vi sono molte razze e famiglie di elementali, ed anche molte sottorazze e sottofamiglie. Sono, in realtà, le pietre costruttive della natura. La natura stessa è composta da essi, perché nessuna entità, da nessuna parte, può separarsi dal Tutto illimitato. Essi sono gli atomi di vita non evoluti di parecchi elementi cosmici; e questi esseri sono stati chiamati in diversi modi dagli scrittori mistici ed iniziati di vari paesi. In Europa, i Filosofi del Fuoco sostenevano che c'erano quattro elementi principali dell'universo, e da questi nacquero rispettivamente: le salamandre del fuoco, le silfidi dell'aria, le ondine dell'acqua, e gli gnomi della terra.[3] Questi non sono che nomi, ma l'idea così rappresentata è perfettamente vera: dagli elementi essenziali dell'universo nascono le entità naturali che appartengono, per le caratteristiche essenziali, a questi elementi.
Effettivamente, questi elementi del cosmo sono sette, non quattro, ma i tre superiori non sono mai nominati dettagliatamente negli scritti exoterici. I quattro di cui solitamente si parla sono manifestati, cioè rūpa, e possiedono una forma; e le tre classi superiori sono arūpa, senza forma. Di conseguenza, alcuni di questi elementi che compongono la fabbrica dell'universo sono elevati; altri sono grossolani e materiali; vi sono anche quelli di tipo intermedio. Poiché vi è un elemento spirituale ed altri elementi di carattere intellettuale, psicologico, astrale, che vanno tutti a formare la sostanza complessiva dell'universo visibile ed invisibile, gli elementali in origine scaturiscono da queste sette sostanze-madre o elementi che partecipano in ogni caso allo swabhāva della sorgente dell'essere, da cui essi sono nati.[4]
Ė questo il motivo per cui alcuni di questi esseri elementali sono di una saggezza senza pari, perché hanno avuto origine nei piani spirituali ed intellettuali dell'universo; alcuni sono di un'eccessiva malvagità verso l'uomo; vi sono quelli che sono molto intellettuali, mentre altri sono totalmente non intellettuali; alcuni sono semplicemente istintivi. Tutti questi aggettivi non sono che parole, applicate a questi elementali con le necessarie riserve di qualità e tipo. In tutti i casi, nascono come gli atomi di vita delle sostanze-madre da cui provengono. Poiché sono esseri elementali, scintille divine incoscienti, per così dire, atomi di vita delle sostanze originali, sono privi di un ego spirituale o, come dice H.P.B., "Esseri Elementali privi dello Spirito Divino." Ecco perché nel linguaggio popolare sono stati chiamati senz'anima, cioè senza un'anima evoluta; e ciò è generalmente vero, perché soltanto l'evoluzione rivela l'ego spirituale fino a quel momento non manifestato negli uomini, o in esseri equivalenti agli uomini. La Divinità è nel cuore di ogni essere elementale come lo è nel cuore di un dio. Ma finché quel nucleo di divinità non si evolve nella manifestazione, in modo che l'entità sia quindi governata dalla fiamma spirituale interiore come un ego, si dice che è senza un'anima spirituale.
Molte interessanti leggende, storie, romanzi, sono stati scritti sugli elementali, qualcuno che descrive addirittura l'unione di esseri umani con gli esseri elementali del cosmo, belli e in alcuni casi meccanicamente saggi, ma senz'anima.[5] Nella mitologia persiana anche i Peri ai cancelli del Paradiso non possono entrare se non hanno sviluppato un'anima spirituale autocosciente. Non possono entrare in paradiso perché non hanno alcun centro elevato ed autocosciente che li attragga nell'atmosfera dello spirito cosciente. Non possono passare perché non sono in grado di dare le parole d'accesso. Essi non le conoscono, perché hanno già oltrepassato il loro Anello Invalicabile. Ė solo l'anima umana pellegrina, impura e fiacca, ma tuttavia coronata da successo, che può superare la prova finale ai portali del cielo, ed entrarvi; e quella prova richiede un'autocoscienza spirituale evoluta.
Ora, ogni atomo di vita elementale di uno di questi elementi cosmici è un'entità che inizia il suo viaggio evolutivo verso l'alto, verso la divinità autocosciente. Tutte queste entità e tutte le loro molteplici classi o razze o famiglie, aspirano a diventare uomini e lo saranno nel manvantara successivo.[6] Non in questo, però, perché la porta che si apre nel nuovo regno umano è chiusa per l'attuale manvantara — essendo stato raggiunto il punto più basso della materia dalle onde evolventi di vita — ed anche perché abbiamo già cominciato l'ascesa lungo l'arco luminoso, ripercorrendo il nostro cammino verso la divinità. Ciascuno di questi elementali diventerà, nei futuri mahāmanvantara dell'universo, un'entità semicosciente, poi un'entità o essere umano quasi cosciente, e più tardi ancora evolverà diventando un dio, un superdio, e così via.
Noi esseri umani siamo stati elementali in qualche lontano mahāmanvantara cosmico, e abbiamo evoluto attualmente la prima debole luce della spiritualità. Per quanto imperfetta possa essere, abbiamo già iniziato a percepire l'attività della divina fiamma interiore, che è l'influenza del dio interiore.
Questi esseri elementali scaturiscono costantemente per tutto lo Spazio illimitato dalle sette sostanze-madre, cominciando così il loro viaggio; mentre all'altra estremità del pellegrinaggio evolutivo infiniti eserciti di veri e propri dèi stanno oltrepassando l'orizzonte, seguendo il sentiero cosmico che conduce ad uno splendore sempre più grande, e sviluppandosi così in qualcosa di ancora più sublime. Vi è un incessante flusso di vita, dagli atomi di vita elementali agli dèi.
Che cos'è allora che dà origine a questi atomi di vita dagli elementi cosmici? I pensieri — i pensieri dei superdèi e degli dèi, dei daimon e degli eroi, degli uomini e delle bestie — perché i pensieri sono energie animate. E poiché la natura è divisa in sette sostanze elementali o cosmiche, tutte le classi degli esseri possono rintracciare la loro origine in una o in un'altra di queste sette sostanze-madre o fiumi di vita.
In qualsiasi sistema solare, come nel nostro con i suoi sette (o dodici) pianeti sacri, questi fiumi di vita si manifestano costruendo i pianeti, e ciascun pianeta corrisponde a uno di questi elementi cosmici. Troviamo questo insegnamento incorporato nelle dottrine neoplatoniche come l'ha espresso Proclo:
I pitagorici comunque dicono che gli elementi possono essere esaminati nei cieli sotto un duplice aspetto, in uno stato realmente precedente al sole, e in quello posteriore al sole: poiché la luna è terra eterea . . . Tuttavia, dicono che il pianeta Mercurio è acqua eterea, Venere è aria, ed il sole è fuoco. E ancora, che Marte è fuoco celeste, Giove aria celeste, Saturno acqua celeste, e la sfera fissa è la terra celeste. E definendoli così in maniera separata, essi mettono ovunque fuoco e terra come opposti, ma congiungono le nature eteree mediante quelle intermedie, cioè attraverso Venere e Mercurio, poiché questi due hanno un potere collettivo ed unificante. E poi congiungono le nature celesti attraverso Saturno e Giove, poiché attraverso di loro ciò che connette e commisura gli insiemi accede a tutte le cose. Quello che sappiamo ora, comunque, è conforme alla storia espressa da molte [delle dottrine pitagoriche.] Questo tipo di ripartizione non è platonico, e lo possiamo dedurre dal fatto che Platone classifica il sole immediatamente al di sopra della luna, dopo Venere, e poi Mercurio.
Ė necessario, quindi, comprendere che tutti gli elementi esistono in ciascuna delle sfere celesti, anche negli elementi sublunari, e ciascuno partecipa del resto. Il fuoco partecipa della terra, e siccome si sposta con facilità, si estinguerebbe molto rapidamente se fosse completamente instabile. E la terra partecipa del fuoco; spostandosi con difficoltà, richiede calore per ravvivarlo e ristabilirlo. Quindi, poiché questo accade in tali elementi sublunari, tanto più tutti gli elementi devono essere in ciascuna di queste sfere celesti, sebbene alcuni corpi celesti partecipino più del fuoco, altri più dell'aria, altri dell'acqua, ed altri della terra.[7]
In breve, questo insegnamento è mistico, meraviglioso, sublime. Ricordate che ogni elementale, sia su scala cosmica che microcosmica, è un essere che apprende, cresce, evolve. Il suo cuore o nucleo è una monade che, agendo attraverso il suo elementale spirituale come suo 'corpo,' produce da se stessa i suoi veli ulteriori. L'uomo, in un lontano manvantara cosmico del passato, era un elementale del genere, e mediante la graduale crescita evolutiva ora è diventato un uomo; e come la monade umana continuerà, attraverso le ere del tempo futuro, ad emanare dall'interno della propria essenza i suoi poteri e facoltà latenti in un'attività di auto-manifestazione, l'uomo si evolverà diventando un dio. Esattamente lo stesso vale per tutte le entità sulla scala della vita cosmica: stanno tutte imparando e crescendo, ciascuna avendo cominciato in qualche manvantara cosmico come una scintilla divina semicosciente, e destinata, quando gira la ruota della vita, a diventare un dio autocosciente, e progredire in avanti, dalla divinità verso sfere di esperienza sempre più vaste, che ora sono al di là di ogni possibile comprensione umana.
I Tattwa stanno nello stesso ordine delle sette Forze macro e microcosmiche; e, secondo l'insegnamento esoterico, sono come segue:
(1) Ādi Tattwa, la Forza primordiale universale, che sorge all'inizio della manifestazione, cioè del periodo "creativo," dall'eterno immutabile Sat, il substrato di Tutto. Corrisponde all'Involucro Aurico o Uovo di Brahmā, che circonda ogni globo, come pure ogni uomo, animale e cosa. Il veicolo che contiene potenzialmente tutte le cose — Spirito e Sostanza, Forza e Materia. Ādi Tattwa, nella Cosmogonia Esoterica, è la Forza che, secondo la nostra definizione, procede dal Primo Logos Immanifestato.
(2) Ānupadaka Tattwa, la prima differenziazione sul piano dell'essere — il primo essere ideale — o ciò che nasce dalla trasformazione di un qualcosa di più elevato di se stesso. Per gli occultisti, questa Forza procede dal Secondo Logos.
(3) Âkâsa Tattwa, questo è il punto dal quale cominciano tutte le filosofie e religioni exoteriche. Âkâsa Tattwa la spiegano come Forza Eterica, Etere. Ecco il motivo per cui Giove, il dio "più alto," era chiamato Pater Aether; Indra, un tempo il dio supremo in India, è l'espansione eterica o celeste, e così per Urano, ecc. Anche del Dio biblico cristiano si parla come dello Spirito Santo, Pneuma, vento o aria rarefatti. Gli occultisti lo chiamano la Forza del Terzo Logos, la Forza creativa nell'Universo già Manifestato.
(4) Vāyu Tattwa, il piano aereo in cui la sostanza è gassosa.
(5) Tâijas Tattwa, il piano della nostra atmosfera, da têjas, luminoso.
(6) Âpas Tattwa, sostanza acquosa o liquida, o forza.
(7) Prithīvi Tattwa, la sostanza terrestre solida, lo spirito o forza terrestre, il più basso di tutti.
Tutti questi corrispondono ai nostri principi, ai sette sensi e alle forze nell'uomo. Secondo il tattwa o Forza generata o indotta in noi, così agiranno i nostri corpi.
— H.P.B.: Instructions, III, ed. or.; La Dottrina Segreta, vol. III, p. 337 online.
Questo ordine dei tattwa cosmici è quello dato più generalmente, tuttavia, occasionalmente, vāyu e taijasa sono intercambiabili nelle loro posizioni. La ragione è che ciascun tattwa, essendo un piano o elemento cosmico, è settenario, e contiene quindi in sé tutti gli altri tattwa e subtattwa, o sottopiani; ma naturalmente ogni tattwa cosmico è caratterizzato dal proprio swabhāva.[8]
Ad esempio, alcuni filosofi mistici consideravano il primo rivestimento di ādi-tattwa come circondato dai suoi veli, proprio come Brahman è circondato dal suo velo cosmico pradhāna, e Brahmā dal suo velo prakriti, e così via. Inoltre, i filosofi hindu chiamavano questo velo, in base alla sua concrezione relativa alla monade che esso circonda, con il nome di terra, terra divina, prithivī divina. Così possiamo guardare ad anupapādaka-tattwa, secondo nel regolare ordine seriale, come ad un tipo di prithivī o 'terra' divina per la coscienza che esso circonda, essendo questa terra il suo corpo.
Questo è così perché l'ordine dei tattwa non è sempre lo stesso — uno scrittore dà il loro ordine seriale quando l'universo si dispiega dalla divinità fino al mondo fisico; un altro considera un tattwa nel suo duplice aspetto, sia come principio che come velo; ed un altro ancora intercambia una o due delle posizioni nella serie, secondo il punto di vista che adotta nello scrivere.
Così, in alcune cosmogonie, come quelle degli antichi ebrei e del filosofo greco Talete, la prima apparizione delle cose furono le Acque cosmiche, poiché questa prakriti, o velo che circonda, è considerata di carattere acqueo; perché, quando gettiamo uno sguardo nelle vaste profondità dello Spazio, possiamo raffigurarle come 'acque cristalline'con la stessa facilità con cui possiamo farlo per 'l'aria' o il 'fuoco invisibile.'
In rapporto ai sette sensi dell'uomo, ciascuno dei quali deriva da uno dei sette elementi cosmici o tattwa, di cui l'universo è composto, H.P.B. fornisce il seguente passo tratto dalle sue Istruzioni Esoteriche:
Questi nostri sette sensi corrispondono a qualsiasi altro settenario nella natura e in noi stessi. Fisicamente, benché invisibilmente, l'Involucro Aurico umano (l'amnio dell'uomo fisico in ogni età della vita) ha sette strati come li hanno lo Spazio Cosmico e la nostra epidermide fisica. E quest'Aura, a seconda del nostro stato di purezza o di impurità mentale e fisica, ci dischiude visuali su altri mondi, o ci esclude da qualsiasi cosa, salvo il mondo tridimensionale della Materia.
Ciascuno dei nostri sette sensi fisici (due dei quali sono tuttora sconosciuti alla scienza profana) e anche dei nostri sette stati di coscienza — cioè: (1) veglia; (2) dormiveglia; (3) sonno normale; (4) sonno indotto o di trance; (5) psichico; (6) superpsichico; (7) puramente spirituale — corrisponde ad uno dei sette Piani cosmici, sviluppa ed usa uno dei sette supersensi, ed è direttamente collegato, nel suo uso sul piano terrestre-spirituale, con il centro di forza cosmico e divino che gli ha dato la nascita, e che è il suo creatore diretto. Ciascuno è pure collegato ad uno dei sette Pianeti sacri, ed è sotto la sua influenza. Questi appartenevano ai Misteri Minori, i cui seguaci erano chiamati Mystai (i velati) — dato che era loro concesso di vedere le cose soltanto attraverso una bruma, come se fossero "con gli occhi chiusi;" mentre gli Iniziati o "Veggenti" dei Misteri Maggiori erano chiamati Epoptai (coloro che vedono le cose senza veli).[9]
Anche i comuni cinque sensi che abbiamo oggi sono ancora imperfettamente evoluti. Ciascuno cresce progressivamente più sottile, più capace d'interpretare, attraverso se stesso come canale per la coscienza dimorante, la natura e le funzioni dell'universo esterno. Ricordate che l'uomo è un flusso di coscienza che agisce nei veicoli e costruisce in quei veicoli le appropriate camere ed abitazioni, porte e finestre, per così dire, per manifestare i propri poteri e per ricevere interiormente dal mondo esterno gli stimoli e le reazioni che la natura lo obbliga a ricevere.
I cinque sensi fino ad ora si sono manifestati più o meno perfettamente; e sono nati in questo ordine: primo, l'udito da akāśa o etere; poi, il tatto da vāyu o aria; in seguito, la vista dal fuoco, o meglio dalla luce, chiamati tejas o taijasa; quarto, il gusto da āpas o acqua; quinto ed ultimo, l'olfatto dalla terra, prithivī. Di tutti questi, il gusto è il più grossolano e materiale; ma la facoltà dell'olfatto e le sue reazioni ai flussi della coscienza sono anche peggiori di quelli del gusto. Due sensi ulteriori si svilupperanno in noi e si manifesteranno con un apparato appropriato prima che il manvantara dell'attuale ronda su questo globo abbia terminato il suo corso. Tutti questi sensi sono funzioni della coscienza dimorante.
Dal Medioevo in poi, in un ciclo minore, abbiamo risalito il prithivī-tattwa, successivamente siamo entrati nelle acque o āpas-tattwa, nell'aria o vāyu-tattwa, poi nel fuoco o taijasa-tattwa, ed ora stiamo entrando dolcemente, lentamente, nell'etere o ākaśa-tattwa — molto imperfettamente, è vero, una debole predizione di ciò che accadrà nella settima razza; siamo passati, e lo stiamo facendo ancora, attraverso i piccoli cicli di tutti questi e le corrispondenti invenzioni. Le produzioni umane tengono il passo; e tutto dipenderà dal genio umano se queste nuove scoperte saranno usate agli scopi del cielo o dell'inferno. Se sono per quest'ultimo, noi cadremo, soffocati e prigionieri dei nostri malefici effluvi. Se queste scoperte saranno usate a scopi benefici, tutta l'umanità progredirà. I segnali di un'era che sta cambiando sono tutti intorno a noi, con l'arrivo di una nuova ondata negli affari umani.
Dopo la Caduta dell'Impero Romano gli uomini vivevano in maggior parte sulla terraferma, nel prithivī-tattwa, andando scarsamente sul mare. Poi cominciarono a viaggiare più estesamente e con grande abilità sulle acque — poiché si metteva in evidenza l'āpas-tattwa. In seguito, cominciarono ad usare il vapore (vapore, 'aria,' gas) — l'elemento-vāyu, conquistando, negli ultimi secoli, l'aria stessa. Ora, accelerando l'apice dell'esperienza aerea, dall'aria stanno entrando nei tattwa più sottili. Stanno usando, sempre più estensivamente, il fuoco (l'elemento-taijasa), l'elettricità, gli esplosivi, inclusi tutti i vari tipi di orrori ignei — connessi all'aria, perché nascono da essa. Infine, si sta manifestando l'etere (ākāśa) nelle opere dell'uomo, com'è testimoniato dalla radio senza fili, ecc. Tutto questo dimostra che vi sono piccoli cicli all'interno di cicli maggiori, che ripetono in linea generale i processi dei cicli maggiori.
Ė quasi impossibile descrivere i due sensi futuri, perché quello che segue l'attuale quinto senso, l'olfatto, non ha ancora manifestato la sua presenza, tranne qualche occasionale istinto del suo funzionamento. Esso sarà piuttosto parte della natura della facoltà o senso che appartiene al tatto; ma invece di essere un tatto fisico, sarà un senso interiore, e l'intuizione di questo senso, o il suo istinto, si ritrova, sia pure occasionalmente, anche tra gli uomini di oggi — predizioni degli eventi futuri. Proprio come il tatto ha relazione con il mondo esterno, così questi due altri sensi sull'arco ascendente saranno sugli stessi rispettivi piani dell'udito e del tatto; ma, poiché esisteranno in un'entità più evoluta, dapprima si manifesteranno attraverso un organo fisico interiore. Un preannuncio del sesto senso è ciò che chiamiamo l'intuizione se questa o quella cosa sia giusta o sbagliata, o della cosa da fare o non fare. Questa comunque non è intuizione, perché è inferiore all'intuizione: è un'impressione o percezione delle cose che stanno per accadere. Si potrebbe definire, in un certo senso, come una forma di chiaroveggenza.
E il settimo senso, che corrisponde all'udito sul piano fisico, sarà anche uno sviluppo ākāśico. Sarà l'ultimo senso che l'evoluzione manifesterà nel corpo fisico dell'uomo, ed esprimerà quindi una facoltà interiore che sarà risvegliata dal contatto con i gradi più bassi dell'ākāśa. Il prossimo approccio a cui possiamo pervenire riguardo quella che sarà questa facoltà, tralasciando la natura e la collocazione di un organo attraverso il quale essa agirà, è l'intuizione, pienamente sviluppata nei limiti di quello che può esserlo su questo pianeta in questo manvantara: immediata, già pronta, funzionante regolarmente, da bloccare o usare a volontà.
Ogni facoltà del senso, e quindi ogni organo del senso quale sua espressione nel corpo, è una facoltà del nostro flusso di coscienza; e nessuna facoltà del senso può apparire nell'evoluzione, e di conseguenza nessun organo del senso può mostrarsi nel corpo, finché quella porzione del flusso della coscienza si sia equivalentemente manifestata. Gli Atlantiani, ad esempio, all'inizio della loro esistenza avevano soltanto un istinto di ciò che è l'olfatto. Usavano questa facoltà quasi inconsciamente, come anche gli uomini di oggi usano il sesto senso e la sesta facoltà quasi inconsciamente, e solo occasionalmente sono vagamente ne sono consapevoli, e dicono: "Ho avuto un presentimento." Questa facoltà passa dall'invisibile nel visibile e crea per se stessa il suo organo appropriato, che si sviluppa esattamente come la facoltà interiore si evolve sul proprio piano.
Sarebbe bene aggiungere qui poche parole sulle guna, perché a volte vengono confuse con le essenze cosmiche o tattwa. Le guna o 'qualità,' comunemente classificate come sattva, rajas e tamas, sono le tre modalità fondamentali ed universalmente potenti della coscienza degli eserciti di esseri che costruiscono l'universo. Da sattva scaturiscono le altre due modalità della coscienza, rajas o attività, e tamas o inattività, generalmente parlando. Ora, l'unione di queste due qualità, che non si neutralizzano reciprocamente ma si combinano per formare qualcosa di superiore ad entrambe, è quello che s'intende per sattva — ciò che è 'reale,' la condizione in cui vivono gli dèi superiori.
Quando l'universo è nella manifestazione manvantarica, è la qualità rajas a predominare, sebbene siano naturalmente presenti sia la qualità tamas che quella sattva. Quando l'universo è in pralaya, in un'interminabile e prevalente pace e quiete, la qualità predominante è quella del tamas superiore, ma rajas è presente, anche se relativamente latente. Così nei Veda, come pure nelle Leggi di Manu, è affermato che prima che la manifestazione inizi, l'universo è nella condizione tamas, in assoluto riposo. Naturalmente, i principi superiori dell'universo sono allora nella qualità sattva, mentre la qualità rajas durante il pralaya è dormiente.
La filosofia hindu, in relazione alla sua Trimurti o triade di Brahmā-Vishnu-Śiva, di solito ascrive a Brahmā la guna o caratteristica sattva. Tuttavia, sia nel manvantara che nel pralaya la qualità sattva è diffusa attraverso il tutto. Così gli dèi, pur essendo eternamente attivi, sono però in pace perché colmi di saggezza, e i loro movimenti sono un'attività naturale, e le loro azioni sono meravigliosamente tranquille e indisturbate.
Inoltre, ognuna delle guna — poiché l'universo è fondamentalmente uno e tutte le cose in esso sono interconnesse ed interagenti — è essa stessa triplice, altrimenti avremmo che ciascuna di queste tre qualità universali esista completamente separata e distinta dalle altre due, e ciò creerebbe tre qualità assolute. Le tre qualità non sono assolute, ma sono relative; e sia rajas che tamas, quando sono unite e in equilibrio reciproco senza perdere la loro individualità, manifestano la presenza del loro comune originatore: sattva.
Tra gli orientalisti, che non comprendono il significato esoterico di queste guna, è usuale definire tamas solo come ignavia, tenebra, male, ma questo è del tutto sbagliato, perché vi è un sattva-tamas come pure un tamas-tamas; e lo stesso tipo di osservazione può essere fatto nei riguardi sia del carattere o guna di rajas che di sattva.
Così avviene che ognuna delle essenze cosmiche o tattwa è segnata dalla presenza e dall'inerente attività delle tre guna, e ciascuna che agisce in unione con le altre due. Dovrebbe essere lo sforzo di tutti gli individui di portare in luce specialmente la qualità sattva, perché questo significa che, invece del frequente squilibrio o distorsione sia di rajas che di tamas, entrambe queste qualità sarebbero equilibrate nel carattere e cooperanti.
"Il nostro Globo, come è stato insegnato fin dall'inizio, si trova in fondo all'arco discendente, dove la materia delle nostre percezioni appare nella sua forma più grossolana. . . ;. Di conseguenza, è più che ragionevole che i Globi che adombrano la nostra Terra debbano trovarsi su piani differenti e superiori. In breve, come Globi, essi stanno in co-unità ma non in consustanzialità con la nostra Terra e, di conseguenza, appartengono a tutto un altro stato di Coscienza. Il nostro pianeta (come tutti quelli che vediamo) è adattato allo stato particolare della razza umana, stato che ci permette di vedere ad occhio nudo i corpi siderali che sono co-essenziali con il nostro piano e con la nostra sostanza terrestre, precisamente come i loro rispettivi abitanti, i Gioviani, i Marziani ed altri, possono percepire il nostro piccolo mondo; perché i nostri piani di Coscienza differiscono per il grado, ma essendo gli stessi come specie, sono sul medesimo strato di materia differenziata. . . . Ecco ciò che scrissi:"Il Pralaya minore concerne soltanto le nostre piccole Corone di Globi. (Le Catene venivano chiamate Corone in quei giorni di confusione) . . . A tale Corona appartiene la nostra Terra. Ciò dovrebbe facilmente dimostrare che anche gli altri pianeti sono "Corone" o catene . . . Se egli (intendendo l'obiettore) volesse percepire il contorno, anche del più indistinto di questi pianeti sui piani superiori, dovrebbe prima togliere anche le nuvole sottili di materia astrale che si frappongono fra lui ed il piano successivo." — Da una lettera citata nella Dottrina Segreta, I, 166 ed. or.; p. 138 online.
Poiché ciascun piano cosmico è divisibile in sette o dieci o dodici sottopiani, esiste una stretta corrispondenza tra i piani e gli elementi-principi del cosmo, poiché i vari piani cosmici sono mondi realmente costruiti dai corrispondenti elementi-principi. Ogni elemento-principio, essendo settenario o duodenario, contiene in sé tutti gli altri elementi-principi; per cui, da ognuno di essi si può determinare in grado minore la natura e le caratteristiche di tutti gli altri. Il piano evolutivo consiste nelle emanazioni graduali e successive dei vari elementi-principi dall'uno all'altro, perché l'impulso della vita complessiva si espande verso il basso da un piano cosmico al successivo. Questo si ripete necessariamente in scala minore su ciascuno dei sette piani cosmici, nella graduale e successiva apparizione, in ciascuno, di ciò che potremmo chiamare il sottoelemento-principio corrispondente, poiché l'impulso della vita complessiva passa da un sottopiano a quello successivo inferiore.
Da ciò si deduce che ciascuna delle sette ronde di una catena planetaria, ciascuno dei sette (o dodici) globi di quella catena, e quindi ognuna delle sette razze-radice di qualsiasi globo, ha la sua corrispondenza predominante con uno dei sette elementi-principi del cosmo.
Prendiamo il globo D della nostra catena planetaria quale esempio della venuta in esistenza di qualsiasi unità gerarchica attraverso e dentro i sette piani cosmici. Questo globo è sul piano più basso, il settimo, dei piani cosmici manifestati del nostro sistema solare, il piano di prithivī; ma questo stesso piano ha sette o anche dodici gradi di eterealità — i suoi sottopiani, che sono ancora divisibili in sottopiani secondo la stessa modalità. Come esempio di quanto grande sia la differenza tra un sottopiano e il successivo, la materia o prakriti del nostro piano fisico varia dall'invisibilità totale di ciò che chiamiamo etere fino alle sostanze che, come ci assicurano i nostri scienziati, sono più dense del piombo.
Ora, quindi, il nostro globo D su questo piano cosmico inferiore, essendo esso stesso settuplo nei gradi della sua sostanza, esiste (appare in vari modi) su tutto quel piano. Non intendo dire che il nostro globo fisico lo riempie, ma che ogni parte del globo D è sul suo corrispondente sottopiano del piano cosmico, poiché ciascuna fase del globo corrisponde alla propria fase di quel piano. Ciò che si applica al globo D si applica naturalmente a tutti gli altri globi della catena planetaria, ognuno sul proprio piano cosmico.
La questione potrebbe nascere su come si verifica questa serie di corrispondenze. La risposta sta nel comprendere correttamente il modo in cui sono costruite le fondamenta di una catena planetaria, globo dopo globo, durante la prima ronda. Questo può anche essere illustrato dal caso del globo D, perché il processo inerente è identico per tutti i globi della catena.
Il nostro globo D nella prima ronda, nel suo aspetto altamente etereo, è sul primo piano, il più elevato, dei sette sottopiani o fasi del piano cosmico dell'elemento-principio cosmico di prithivī. Di conseguenza, evolve nella più elevata, quasi spirituale, fase dell'elemento-principio cosmico di prithivī. Nella seconda ronda il globo D si sarà evoluto al punto da trovarsi nella successiva fase inferiore dell'elemento cosmico di prithivī; altrimenti detto, si sarà materializzato in misura tale da trovarsi sul secondo sottopiano, contando dall'alto verso il basso. Questo non dovrebbe essere frainteso nel senso che il globo D, dopo aver lasciato il primo sottopiano, è dunque completamente sul secondo sottopiano di prithivī. Sarebbe più vicino alla verità dire che il globo D si trova (nella seconda ronda) nel secondo sottopiano del piano di prithivī, ma che contiene in sé, quindi, le qualità e gli attributi del primo sottopiano. Ora ha evoluto dal suo interno le sostanze e le energie che lo rendono idoneo ad apparire sul secondo sottopiano del piano di prithivī.
Nella terza ronda il globo D sarà disceso al terzo sottopiano del piano cosmico di prithivī. Si sarà evoluto al punto tale da trovarsi, manifestandosi, sul piano successivo di questi tre sottopiani, incorporando nel frattempo gli attributi e le caratteristiche dei due sottopiani superiori. Nella quarta ronda, la nostra, il globo D ha raggiunto il quarto sottopiano di prithivī, lo stato più grossolano del nostro globo nella sua attuale incarnazione. Il ciclo verso il basso allora cessa per il nostro globo, e comincia la sua risalita.
Sono costretto qui ad aggiungere qualche delucidazione su questo soggetto molto intricato dei sottopiani e dei loro ulteriori sottopiani, di qualsiasi piano cosmico. In ciò che precede ho abbozzato un semplice schema della discesa del nostro globo D durante quattro ronde, senza tentare di essere preciso nella descrizione. Comunque, se volessi attenermi ad una rigorosa puntualizzazione, direi: il sotto-sottopiano invece di sottopiano. In realtà, ogni incarnazione di un globo, che significa il corso di un periodo di sette ronde, ha luogo su un sottopiano di qualsiasi piano cosmico, tale come il piano cosmico di prithivī. Inoltre, poiché ciascuno di tali sottopiani è esso stesso settenario, ne consegue che una ronda ha veramente contatto ed esistenza in uno dei sottopiani di un sottopiano del piano cosmico. In altre parole, in ogni piano cosmico, come ad esempio il piano cosmico di prithivī, vi sono sette incorporamenti di un globo, e quindi vi saranno sette rispettive lune.
Cosa dire sui sottopiani 5, 6, 7? I diagrammi dati nella Dottrina Segreta[10] dei globi di una catena su differenti piani cosmici sono eccellenti e suggestivi, mostrando la discesa nella materia e la risalita nei regni spirituali; ma questi sono solo grafici, che convogliano idee ed evocano pensieri. Se dovessimo prendere questi diagrammi come effettive raffigurazioni, allora dovremmo dire che i sottopiani 5, 6, 7, sono identici l'un l'altro ai sottopiani 3, 2, 1, e ciò è del tutto sbagliato. Ė stato già affermato che ogni piano cosmico è settenario, o decuplo, o duodenario, secondo il modo di vederlo; e quindi ogni sottopiano, oltre ad essere di per sé settenario o decuplo o duodenario, è proprio diverso da tutti i piani che lo precedono o lo seguono.
Ora, quando un globo ha raggiunto il quarto sottopiano — e il quarto, in qualsiasi serie di piani o principi, è sempre il più grossolano della serie — allora il globo comincia a risalire e quindi a dematerializzarsi, sebbene molto lentamente. Questa risalita ha luogo attraverso i sottopiani 5, 6, 7, ma nei loro sotto-sottopiani più eterei o superiori, in modo che quando un globo finalmente raggiunge il sottopiano 7, lo fa nella parte più eterea di quel sottopiano, che è già quasi spirituale. [11]
Sono vivamente consapevole della difficile natura di quest'idea, e mi sento alquanto in difficoltà nel trovare parole adeguate per descrivere l'evoluzione seriale di un globo 'verso il basso' e 'verso l'alto.' Nondimeno, vi è un fatto fondamentale che possiamo sempre tenere a mente, vale a dire che ogni piano cosmico e, per analogia, quindi, ogni sottopiano, ha i suoi piani e sotto-sottopiani quasi spirituali, intermedi, e più materiali o concretizzati.
La seguente correlazione degli elementi-principi, globe, ronde, ecc., data in forma tabulare, può aiutare a chiarire alcuni di questi punti tecnici:
Elementi-Principi Cosmici | Globi di Una Catena | Ronde di Una Catena | Piani di Una Catena Duodenaria | Sottopiani di Qualsiasi Piano |
|
||||
Ādi-tattwa | Il globo più elevato dei dodici | 1.a Ronda | I piani di una catena duodenaria sono effettivamente identici agli elementi-principi cosmici. | Qui l'analogia mostra che i sottopiani di qualsiasi piano cosmico ripetono, ognuno, il sistema complessivo dei piani di una catena duodenaria. |
Anupapādaka-tattwa | Il globo successivo nell'Arco Discendente | 2.a Ronda | ||
Ākāśa-tattwa | Il terzo globo sull'Arco Discendente | 3.a Ronda | ||
Taijasa-tattwa | Globo A | 4.a Ronda | ||
Vāyu-tattwa | Globo B | 5.a Ronda | ||
Āpas-tattwa | Globo C | 6.a Ronda | ||
Prithivī-tattwa | Globo D | 7.a Ronda |
Quando saremo sui globi E, F, e G dell'arco ascendente, allora 'vedremo' i globi corrispondenti, vale a dire i globi C, B, e A; poiché, a dire il vero, noi potremo farlo solo quando il globo o i globi su cui ci troviamo sull'arco ascendente attraversano l'esatto sottopiano sul quale allora si trovano i globi dell'arco discendente.
Vi è un altro punto di connessione con qualsiasi quarto sottopiano in una serie: quelle monadi che sono scese con la maggior parte di qualsiasi classe monadica sull'arco discendente, e che sono incapaci, per ragioni karmiche, di risalire lungo l'arco ascendente, prendono il 'sentiero che porta in basso,' al punto più grossolano — che è il punto mediano del quarto sottopiano — e queste monadi sfortunate sono quelle che vengono definite dei 'fallimenti.' Esse cadono e sono lasciate indietro, e devono attendere i futuri manvantara prima di poter tentare ancora e, piene di speranza, passare il punto critico della loro evoluzione, che è sempre il punto mediano di una quarta ronda.[12]
Ciò che si applica al globo D riguardo alle ronde e ai globi si applica a tutti i globi della catena planetaria, ciascuno sul proprio piano cosmico. Ora, le onde di vita aggregate, nel compiere la loro prima ronda, passano attraverso il piano (o sotto-sottopiano) più elevato di ciascuno dei quattro piani cosmici inferiori del sistema solare al quale appartiene la catena planetaria. In ognuno di questi quattro piani cosmici inferiori, le onde di vita, aggregativamente, gettano le fondamenta di un globo, costruendo allora ciascuno dei dodici globi dell'intera catena.
Per dirlo in maniera diversa: nella prima ronda, le onde di vita aggregate formano il globo A sul primo sottopiano, il più elevato, del quarto piano cosmico — seguendo il diagramma di H.P.B. Ancora, nella prima ronda le onde vita aggregate formano le basi del globo B sul primo sottopiano, il più elevato, del quinto piano cosmico. Nella stessa ronda, le onde di vita aggregate formano le basi del globo C sul primo sottopiano, il più elevato, del sesto piano cosmico; ed infine, formano le basi del globo D, il nostro pianeta Terra, sul sottopiano più elevato di questo settimo piano cosmico, prithivī.
Ugualmente sull'arco ascendente, i globi E, F, e G, hanno le loro fondamenta create dalle onde di vita aggregate. Allora, quando le onde di vita hanno raggiunto il globo più elevato della nostra catena, la prima ronda ha termine. Dopo il nirvana, alla fine della prima ronda, comincia la seconda ronda. Da questo punto in poi, le onde di vita sono ora individualizzate in misura molto maggiore, e quindi peregrinano come onde individuali, essendo ciascuna di tali onde veramente una famiglia di monadi. Un'onda di vita sul globo A, all'inizio della seconda ronda, si trova sul secondo sotto-sottopiano del quarto piano cosmico; nel tempo karmico passa poi al globo B e si trova sul secondo sotto-sottopiano del quinto piano cosmico; a tempo debito passa al globo C e al secondo sotto-sottopiano del sesto piano cosmico; quindi, nel tempo kosmico, passa ancora al globo D e al secondo sotto-sottopiano del settimo piano cosmico, prithivī. Similmente, rispetto all'arco ascendente, ogni onda di vita si trova sull'appropriato sotto-sottopiano dei rispettivi piani cosmici su cui sono posti i globi E, F, e G, della catena.
Lo stesso schema generale di espansione emanativa è seguito in tutte le ronde successive. Il globo D si manifesta attualmente sul quarto sotto-sottopiano del quarto sottopiano di questo piano cosmico, prithivī, considerando che adesso siamo nella quarta ronda. Parimenti, ne consegue che, durante le sette ronde, le onde di vita passano, tutto sommato, complessivamente attraverso 49 sotto-sottopiani, e gli esseri che compongono queste onde di vita hanno dunque la possibilità di svilupparsi emanativamente su questi differenti sottopiani e di risolvere il destino per cui sono venuti in manifestazione attiva.
I tre piani superiori sono i piani più elevati della coscienza, rivelati e spiegati in entrambe le scuole solo agli Iniziati, quelli più bassi rappresentano i quattro piani inferiori — e il più basso è il nostro piano, cioè l'Universo visibile.
Questi sette piani corrispondono ai sette stati della coscienza nell'uomo, che rimane con lui per armonizzare i suoi tre stati superiori con i tre piani superiori del Kosmo. Ma prima che egli possa tentare di armonizzarli, deve risvegliare le tre "sedi" alla vita e all'attività.
— La Dottrina Segreta, I, 199 ed. or.; p. 160 online.
La maggior parte delle persone è portata a considerare i sette piani o mondi in qualsiasi universo come se stessero l'uno sulla sommità dell'altro, come una pila di libri su un tavolo, o come i gradini di una scala. Questo, naturalmente, è un concetto sbagliato, ed è nato a causa del tentativo di raffigurare questi piani cosmici sotto forma di un diagramma, e quindi l'uno sull'altro. Comunque, non è che un mezzo per aiutarci a realizzare che più è elevato il piano, più etereo è, e quindi più spirituale; e che più basso è il piano, più grossolano è, e quindi più materiale.
In effetti, i piani cosmici s'interpenetrano reciprocamente, specialmente verso l'interno; e questa verità dovrebbe essere chiara se ricordiamo, ad esempio, l'insegnamento riguardo all'uovo aurico di un uomo. Prendiamo in esame gli 'strati' di un simile uovo aurico come esatte corrispondenze dei piani nel cosmo. Comprendiamo subito che questi strati non sono l'uno sulla sommità dell'altro e che sorgono sulla testa di un uomo finché non raggiungono l'infinito, ma sono gruppi di atomi di vita che insieme formano l'uovo aurico, e si differenziano solo nei gradi della spiritualità o materialità. In verità, l'analogia è estremamente precisa, perché ciò che l'uovo aurico è nell'uomo, con i suoi molti strati di atomi che vibrano a tassi diversi di velocità, così è quello che nel cosmo è l'aggregato dei piani cosmici che s'interpenetrano l'un l'altro — poiché un piano è differente da un altro a causa delle immense variazioni nei tassi di vibrazione, producendo un piano materiale, un altro etereo, e così via fino al piano più elevato.
Ora, proprio per il fatto che gli atomi di vita sono come unità individuali, ciascuno con il proprio veicolo superiore o ātmico, e il proprio veicolo più basso o materiale (può anche essere etereo), vediamo che uno strato o piano è creato da questi stessi atomi di vita, in modo che, collettivamente, anche il più basso di questi aggregati di atomi di vita ha ugualmente il suo essere ātmico o più profondamente spirituale. Ė per questo che gli strati più alti di qualsiasi piano cosmico sono spirituali o divini; come pure il sottopiano più alto del piano cosmico più basso, e ciò non significa che sia spirituale-divino solo quando è confrontato a tutti gli altri suoi sottopiani più bassi. In altre parole, gli strati più alti di qualsiasi piano cosmico sono spirituali di per sé; e quando i successivi strati si dispiegano verso il basso, si addensano, cioè, diventano subito proporzionalmente grossolani, più è basso il piano cosmico.
A dispetto di tutto quello che è stato dichiarato, qualcuno potrebbe raffigurare i sette piani cosmici, o i sette principi nell'uomo, o anche i differenti strati dell'uovo aurico, come accatastati l'uno sulla sommità dell'altro. Naturalmente, sotto un certo aspetto, in questo vi è un fondo di verità, poiché ogni piano si dispiega emanativamente nel tempo e nello spazio dal suo piano superiore. Ė veramente l'illusione del tempo a fare in modo da farci considerare ciascun piano cosmico al di sotto del piano che gli ha dato la nascita.
Il sottopiano più elevato di qualsiasi piano cosmico è, nella sua essenza, elevato quanto il sottopiano superiore di qualsiasi altro piano cosmico. Tuttavia, più basso è il piano cosmico, più rapidamente avviene la solidificazione quando la gerarchia di quel piano si espande 'verso il basso. 'Così, per il piano cosmico inferiore o settimo, la sua essenza spirituale è elevata quanto quella del primo, del secondo, o di qualsiasi altro piano cosmico.
Ė questo il motivo per cui definiamo il cuore del sole, del globo D della catena solare, ad esempio, come una particella della sostanza-madre nel sesto o anche nel settimo stato di questa sostanza-madre, un soggetto che tratteremo in seguito più dettagliatamente. Ciò significa che tutti i diversi piani, invece di essere effettivamente l'uno sulla sommità dell'altro, sono interconnessi ed interagenti, e vi è quindi uno sviluppo degli atomi di vita o monadi non solo dal vertice fino all'estremità, e poi di nuovo in risalita, ma orizzontalmente, per così dire, su ogni piano.
Il primo piano cosmico superiore è il primo strato superiore dell'uovo aurico del cosmo, o quello che potremmo chiamare l'ātman cosmico, il Paramātman. Il secondo, o successivo piano cosmico, il più alto in essenza, è uguale al secondo sottopiano ātmico del primo piano cosmico, il grande piano ātmico. Il terzo piano cosmico, il più alto in essenza, è uguale al terzo sottopiano ātmico del primo piano cosmico; e così via discendendo lungo la scala. Così il sottopiano ātmico del settimo piano cosmico, il più basso, è lo stesso, in essenza, del settimo sottopiano, il più basso, della gerarchia più elevata, la gerarchia ātmica del cosmo. Ė, per così dire, un riflesso del piano sotto-ātmico inferiore del primo piano cosmico. Questo avviene perché ogni piccolo atomo di vita, anche sul piano fisico, è un'entità settupla, in quanto possiede nel suo nucleo l'essenza del primo piano cosmico, l'ātman superiore del cosmo, più le essenze di tutti i cinque piani cosmici intermedi.
Il piano atmico superiore del cosmo contiene quindi, ravvolti in se stesso, tutti gli altri gradi inferiori ātmici del cosmo in manifestazione. Il più alto si dipana in sette (o dodici) piani, e da questi si dipanano tutte le altre essenze ātmiche dei piani cosmici inferiori. Il sottopiano ātmico del secondo piano cosmico lo potremmo definire una derivazione dal buddhi-ātman del primo piano cosmico; l'ātman del terzo piano cosmico sarebbe una derivazione del manas-ātman del primo piano cosmico, e così via fino alla linea della gerarchia cosmica in manifestazione.
Sarebbe interessante a questo punto ricordare che gli antichi iniziati buddhisti dividevano i mondi e i piani cosmici di qualsiasi unità strutturale in tre gruppi generalizzati di dhātu: l'ārupa-dhātu, il rūpa-dhātu, e il kāma-dhātu.
Supponiamo di prendere la nostra catena planetaria cercando di dividere i sette piani cosmici su cui sono distribuiti i suoi dodici globi nella triplice divisione dei dhātu. Allora il più basso dei dhātu, il kāma-dhātu, può essere considerato come i sette globi manifestati, e il rūpa-dhātu come corrispondente ai cinque globi superiori dei dodici della nostra catena. Gli arūpa-dhātu, i mondi senza forma, corrisponderebbero ai tre piani superiori al di sopra dei sette, su cui stanno questi dodici globi, completando così i dieci piani del sistema solare. Infatti, questa collocazione dei dhātu, comunque, è qualcosa di arbitrario, perché potrebbe essere data una distribuzione diversa con la stessa logica. Tutte queste divisioni dell'universo dovrebbero considerarsi qualcosa di simile ai diagrammi: sono suggestivi e rigorosamente conformi alla struttura della natura, ma non sono perfetti ed appropriati. La stessa H.P.B. dà un altro modo di collocare i globi in confronto ai sette globi della Qabbala. [13]
Il kāma-dhātu si riferisce ai piani e globi che sono i mondi più o meno concretamente materializzati; il rūpa-dhātu, o mondo con forma, si riferisce a quei piani del sistema o della catena solare e ai globi ivi contenuti, che sono più eterei: inoltre, l'arūpa-dhātu o mondo senza forma comprende i piani che a noi appaiono come materia non solidificata, sia grossolana che eterea, ma sono puramente spirituali e quindi per noi sono senza forma. Tutti questi dhātu si riferiscono altrettanto agli stati della coscienza degli esseri che vi dimorano, poiché sono loro a costruire i piani e i globi stessi.
Visti da un'altra angolazione, questi tre gruppi di piani cosmici possono essere descritti brevemente come segue: il più elevato è il sistema o gruppo 'senza immagine;' l'intermedio è il sistema con 'l'immagine;' e il terzo e più basso è il sistema del 'desiderio' — quest'ultimo si riferisce a quei piani o mondi in cui le entità vivono in veicoli relativamente materiali o grossolani, con appropriati organi sensoriali, causati dal desiderio non ancora estinto, dalla voglia di esistenza in sfere di materia.
Così il sistema del kāma-dhātu comprende il nostro piano cosmico con tre altri piani a noi invisibili, che s'innalzano lungo una scala eterea, e tutti insieme formano un aggregato di quattro piani del cosmo, su cui possiamo collocare i sette globi della catena planetaria. Segue poi verso l'alto il successivo sistema di mondi o piani, che comprende il rūpa-dhātu, un sistema di gruppo composto altrettanto di sette e, graduandosi in etereità e spiritualità fino al più elevato di questa scala intermedia, si mescola al più basso degli arūpa-dhātu, che è anche il sistema di gruppo dei sette mondi o piani.
Questi tre dhātu, ascendendo in campi sempre più eterei, formano tutti i piani cosmici in qualsiasi sistema solare universale; tuttavia, al di sopra di essi, vi sono altri piani ancora più spirituali che raggiungono il divino, e in questi ultimi campi dell'essere si trovano quelle entità che hanno conquistato il nirvana. Su scala cosmica, i principi superiori di un sistema solare universale raggiungono questi campi spirituali-divini dell'essere alla fine del manvantara Mahā-Saurya, ed entrano quindi nel loro paranirvana.
Ora, le espirazioni di Brahmā provengono da questi campi spirituali-divini della galassia, e queste espirazioni, discendendo lentamente attraverso tutti i piani intermedi fino al nostro mondo fisico, appaiono all'inizio del suo manvantara, prima come una cometa cosmica che si evolve per diventare una nebulosa, e alla fine come un sistema solare universale. Quando si avvicina il pralaya Mahā-Saurya, ha luogo il processo inverso di inspirazione. Gli esseri, le energie e le sostanze, a cominciare dal piano cosmico inferiore, si ritirano gradualmente all'interno, come una pergamena che si arrotola quando la forza complessiva di vita del sistema solare universale si ritira sempre più in alto e verso l'interno, attraverso tutti i piani del trailokya,[14] radunando ciascuno di questi piani e tutti gli esseri che essi contengono, raggiungendo così alla fine i reami senza immagine o paranirvanici dei principi divini della galassia.
Quello che è il nirvana o il paranirvana per una classe di entità può non essere necessariamente lo stesso per un'altra classe ad essa superiore. In altre parole, l'Anello Invalicabile non è un particolare piano o sfera, ma varia nelle differenti classi di entità. H.P.B., nel definire i sette globi della nostra catena planetaria esistenti sui quattro piani cosmici inferiori, scrive:
Questi sono i quattro piani inferiori della Coscienza Cosmica, essendo i tre piani superiori inaccessibili all'intelletto umano così com'è sviluppato oggi. Le sette fasi della coscienza umana riguardano proprio un'altra questione.[15]
Quando H.P.B. afferma che l'intelletto umano non può ascendere in alto oltre il quarto piano macrocosmico — su cui ci sono il primo ed il settimo globo della catena planetaria — non significa che noi deriviamo la nostra origine da quel piano, ma semplicemente che la parte superiore della nostra attuale costituzione come entità cosciente non può ora ascendere oltre di esso. Ciascuno di noi è Infinitudine nel cuore più profondo del dio interiore. Ma, come entità umana, anche per l'intelletto più elevato e sviluppato in modo sublime, non possiamo elevarci in pensiero e comprensione al di sopra del quarto piano macrocosmico. Quando saremo passati dalla comune umanità alla quasi-divinità, allora saremo in grado di pervenire, con il pensiero autocosciente e l'intuizione spirituale, anche al di là di questo quarto piano.
Gli dèi possono ascendere al primo dei sette piani macrocosmici superiori. Ma anch'essi, nel loro attuale stato di divinità, non possono oltrepassare l'Anello Invalicabile, che significa il limite massimo della loro coscienza ed intelletto. Le ali dello spirito non possono portarli più in alto, più lontano, più profondamente, nell'essenza dell'Essere. Queste espressioni, alto, lontano, profondo, si applicano solo al nostro universo fisico, e le usiamo perché non abbiamo termini appropriati per esprimere la realtà spirituale di un'intuizione sempre crescente negli arcani del cuore della natura.
Leggendo dell'Anello Invalicabile, dovremmo ricordare che questo Anello si riferisce allo stato o evoluzione di qualsiasi entità individuale. L'Anello Invalicabile di un dio significa quella profonda estensione della coscienza e quell'attività vitale che egli, nel suo divino potere, può ottenere; similmente l'Anello Invalicabile di un buddha sarebbe la capacità più intima di essere cosciente della sua estrema sfera spirituale-vitale, e vivere in essa. In modo esattamente identico, l'Anello Invalicabile di un uomo è quel limite o frontiera oltre cui egli, nel suo attuale stadio evolutivo, non può andare in coscienza o in attività autocosciente. Così l'Anello Invalicabile non significa tanto qualsiasi particolare piano cosmico, quanto la capacità dell'entità, oltre la quale non può passare e non ancora passa. Ad esempio, le bestie sulla terra oggi hanno semplicemente una coscienza diretta e il più semplice sviluppo dell'autocoscienza come loro Anello Invalicabile; ma gli umani hanno oltrepassato questo Anello, perché hanno raggiunto l'autocoscienza.
Come scrive H.P.B. nella Dottrina Segreta (I, 131 ed. or.; p. 114 online):
Il chimico arriva fino al punto laya, o punto-zero, del piano di materia sul quale investiga, ma poi, ad un tratto, si arresta. Il fisico e l'astronomo calcolano miliardi di miglia al di là delle nebulose e poi anch'essi si fermano. Anche l'occultista semi-iniziato si rappresenterà questo punto-laya come esistente su qualche piano, se non fisico, ma pur sempre concepibile all'intelletto umano. Ma il vero Iniziato sa che l'Anello "Invalicabile" non è una località, né può essere misurato dalla distanza, ma che esiste nell'assolutezza dell'Infinito. In questo "Infinito" del vero Iniziato non vi è né altezza né larghezza né spessore, ma tutto è profondità insondabile, discendendo dal fisico al "para-metafisico." Adoperando il termine "discendendo," s'intende la profondità essenziale — in nessun luogo ed ovunque — e non la profondità della materia fisica.
In questa doppia progressione il nostro Mondo — il solo che possiamo giudicare in modo oggettivo, non è un mondo unico e distinto, ma è composto di due come su ciascun pianeta; dai due vengono poi emanati gli altri, che a loro volta hanno dato origine al nostro mondo, o Terra. Così nella prima Ronda sul pianeta A, l'Umanità partecipa di Satya e Atala; nella II Ronda — sul pianeta B, è la volta di Tapas-Vitala; III Ronda — Janas-Sutala; nella IV — Mahâr-Rasâtala, ecc. E sulla progressione delle gradazioni in Razze e sotto-razze, secondo un moto ascendente o discendente, si riflettono le qualità e gli attributi fisici e spirituali di tutti e di ciascuno individualmente.[16]
Innanzitutto i loka ed i tala non sono un qualcosa di distinto e separato dalle entità o esseri che li abitano. Anzi, queste sfere o loka e tala sono effettivamente identici nell'essenza fondamentale ai principi e agli elementi di un cosmo, ed ugualmente ai piani di una gerarchia, non importa che quella gerarchia sia un sistema solare, una catena planetaria, o un uomo.
Come abbiamo spiegato precedentemente, nel corso dell'evoluzione dei mondi all'inizio di un manvantara cosmico, sono gli elementi cosmici, o elementi-principi, ad apparire per primi: poi, prendendo come esempio un piano cosmico, questo piano si dispiega, si espande nei suoi diversi mondi, e sono precisamente questi mondi o sottopiani ad essere i loka-tala gemelli. Ne consegue che i termini sottopiani, loka e tala, possono essere usati più o meno in modo intercambiabile.
I loka possiamo definirli i principi, o energie, di una gerarchia, e i suoi corrispondenti tala possiamo definirli i suoi elementi o aspetti sostanziali o materiali. Tutti i sette loka e tala s'intersecano ed interagiscono continuamente, ed insieme formano l'universo con le sue varie gerarchie subordinate. Possiamo definire un tala come il lato materiale del mondo in cui esso predomina, proprio come possiamo considerare un loka come il lato spirituale del mondo in cui esso è dominante. Ogni loka coesiste con il suo tala corrispondente sullo stesso piano, e non può esserne separato. Per analogia, la costituzione dell'uomo è, nel suo genere, una gerarchia, e quindi, come tale, è un'entità composita formata da loka e tala.
Questo diagramma espone i sette piani cosmici manifestati con i dodici globi di una catena planetaria, come pure i loka e i tala attraversati dalle onde di vita nelle differenti ronde e, su una scala di magnitudo ancora più piccola, i sotto-sotto-loka e i sotto-sotto-tala in rapporto alle razze di qualsiasi globo della catena che sia simile alla nostra terra. Il diagramma mostra che la nostra attuale onda di vita umana, ora sul globo D, è sul piano cosmico più basso, il settimo, o in bhūrloka- pātāla; e poiché siamo nella quarta ronda, siamo nel quarto mondo del sistema loka-tala, maharloka-rasātala; ma, essendo nella quinta razza-radice di questa ronda, noi siamo nel mondo svarloka-talātala.
Il duplice settenario dell'interazione e dell'interconnessione di loka e tala può essere considerato, almeno da un punto di vista, come i poli spirituali e veicolari di un universo. Nel nostro sistema solare essi rappresentano i mondi evoluti e in via d'evoluzione, o sottopiani di ciascuno dei sette piani cosmici, su cui sono distribuiti i dodici globi della nostra catena planetaria. A causa della struttura ripetitiva del sistema solare, ogni globo ha tutti i loka e tala, che possiamo chiamare i suoi sotto-loka e sotto-tala.
Inoltre, avrete notato che i tala sono particolarmente stanziati sull'arco discendente, che i loka e i tala si equilibrano reciprocamente nel globo D, il punto di svolta della nostra catena, e che i loka sono particolarmente stanziati sull'arco ascendente. Il vero significato è che i loka sono l'arco luminoso, o piuttosto quella successione della natura e degli esseri in cui predomina lo spirito, mentre i tala sono l'arco oscuro, o quella successione della natura e degli esseri in cui predomina la materia. Con ciò non bisogna però pensare che non vi siano loka sull'arco discendente, né tala sull'arco ascendente. La questione è che i tala si estendono particolarmente sull'arco discendente, e i loka lì sono realmente recessivi; mentre sull'arco ascendente i loka sono particolarmente manifestati e i tala relativamente recessivi. Ogni loka ha il suo gemello che corrisponde a tala; e ciascuna coppia è inseparabile, sebbene a volte sia la qualità loka che quella tala siano più manifestate.
Ciò che distingue ciascuno dei dodici globi è il fatto che i loka e i tala del piano cosmico su cui è collocato il globo sono effettivamente, per quel globo, dominanti o più forti. Ad esempio, noi siamo sul piano più basso, il settimo, del sistema solare. Quindi i nostri loka e tala sono il bhūrloka e il pātāla del sistema solare; ma, poiché siamo nella quarta ronda, le influenze associate del maharloka-rasātala sono ugualmente molto forti in noi, ma interagiscono con il bhūrloka e il pātāla, ed operano attraverso questi ultimi come qualità ipertoniche, per usare un'espressione musicale.
Ora, prendiamo il globo B. Seguendo la scala settenaria, possiamo dire che il globo B è una combinazione di talātala e svarloka, ma, poiché il globo esiste sul versante di tala, il versante discendente e materiale, talātala è effettivamente più forte della parte svarloka del globo B. Oppure, prendiamo il globo E in cui bhuvarloka agisce e si mescola con mahātala; ma qui la qualità bhuvarloka è più marcata.
Notiamo che il piano cosmico superiore è un'unione tra satyaloka ed atala. Anche il secondo piano cosmico è una combinazione di taparloka e vitala che agiscono all'unisono; come i poli positivo e negativo in elettricità, non possono essere separati. Tuttavia, in qualsiasi periodo del tempo, o in qualsiasi momento dell'evoluzione, o in qualsiasi parte dell'arco razziale, sia un loka che un tala sono più predominanti dei loro tala o loka opposti.
Continuando verso il basso, il terzo piano cosmico è quello in cui janarloka e sutala si mescolano ed agiscono insieme. Sul quarto piano cosmico maharloka e rasātala sono congiuntamente predominanti — ed è proprio sopra e dentro questo piano dei sette piani manifestati, che si trovano gli aspetti più grossolani e la maggiore densità. Il successivo, il quinto piano cosmico, è formato da svarloka e talātala; e quindi il sesto piano cosmico, che incorpora bhuvarloka e mahātala; ed infine raggiungiamo il fondo della discesa nel settimo piano cosmico, il più basso, che incorpora bhūrloka e pātāla, il più basso loka-tala gemello della serie gerarchica.
Quindi, possiamo dire a ragione che ognuno dei globi di una catena planetaria è l'incarnazione dello swabhāva del suo predominante loka-tala gemello. Tuttavia, tutti gli altri loka e tala si manifestano ugualmente in ciascun globo. Come ogni globo è settuplo (e in verità decuplo e anche duodenario) così i piani cosmici, i loka e i tala sono ugualmente settupli, decupli ed anche duodenari nella tipologia swabhāva. Per chiarire, il globo più elevato sul primo piano cosmico è satyaloka-atala che, essendo settuplo, include tutti gli altri loka e tala, ma nello stato satyaloka-atala: essi vi sono tutti rappresentati in latenza, racchiusi nel seme e non ancora manifestati.
Seguendo fin giù il diagramma, otteniamo il quadro di un universo che si estende e si dispiega in sfere di coscienza, in globi, in piani cosmici, altrimenti definiti loka e tala, fino a raggiungere il globo D, la nostra terra. Noi lo chiamiamo bhūrloka-pātāla, perché è un'espressione delle caratteristiche di bhūrloka-pātāla. Ugualmente, il sole che vediamo è il bhūrloka-pātāla della catena solare. Il pianeta Venere a noi visibile è anche il bhūrloka-pātāla della catena di Venere, e così via per tutti gli altri pianeti.
L'analogia è la chiave maestra — semplicemente perché la natura è costruita in questo modo, è costante con se stessa, è coerente con le proprie parti e poteri, e quindi quello che il grande contiene, deve ugualmente contenerlo anche la parte piccola di quel grande. Applicando ciò ai loka, possiamo dedurre che, se l'universo è diviso in sette, dieci o dodici parti, ogni sua porzione avrà lo stesso numero di caratteristiche. Sulla scala settenaria ogni loka e tala manifesta i suoi poteri in sette diversi gradi di forza, e quindi abbiamo sette volte sette loka e tala, che in tutto fanno quarantanove loka-tala gemelli.
Questi mondi [loka e tala] sono per i rispettivi abitanti tanto solidi e reali quanto lo è il nostro per noi. Ciascuno di essi, tuttavia, possiede la sua propria natura, le sue leggi e i suoi sensi — che sono del tutto diversi dalla nostra natura, leggi e sensi. Noi non possiamo localizzarli nello spazio e nel tempo, e lo stesso non possono fare loro con noi; ma come un mondo a 3 dimensioni può immaginare l'esistenza di un mondo a 4 dimensioni, in quest'ultimo si può intuire l'esistenza del nostro mondo inferiore.[17]
In rapporto all'evoluzione delle entità peregrinanti sui sette piani cosmici manifestati, e quindi funzionanti nei diversi loka e tala, è importante ricordare che i piani cosmici e, in coincidenza, i loka e tala, possono essere visti da due punti di vista diversi: (a) in senso evolutivo sono considerati come il dispiegarsi progressivo ed incessante di poteri e facoltà, e (b) in senso di piani cosmici e loka e tala, sono considerati come l'espansione della struttura cosmica dal punto di vista delle densità e delle corrispondenti eterealità.
L'evoluzione procede dallo spirituale, attraverso tutti i piani intermedi, in quella che possiamo definire una linea retta, finché arriviamo alla fine dell'arco evolutivo, com'è mostrato dal paradigma dei globi di una catena planetaria; e quindi, quando è toccato il fondo dell'arco, comincia l'ascesa dello spirito, ma comunque il progresso evolutivo è sempre in avanti. Le onde di vita evolventi progrediscono costantemente intorno alla catena planetaria e attraverso globi diversi, prima sull'arco discendente, e quindi, a loro volta, risalgono lungo l'arco ascendente fino a raggiungere nuovamente lo spirito — e le stesse onde di vita emanano continuamente dall'interno tutti i possibili poteri, facoltà, attributi e qualità, che il viaggio evolutivo richiede.
In rapporto ai loka e tala, per le classi delle monadi l'evoluzione comincia nel satyaloka-atala, e passa direttamente in avanti fino a raggiungere il bhūrloka-pātāla, cioè la piena fioritura della capacità evolutiva nelle monadi. Tuttavia, il piano cosmico più denso, e in modo appropriato i loka e tala più densi, è il quarto nella serie di piani, loka e tala. Cominciando dal quinto piano e dal suo corrispondente loka e tala gemello, procedendo poi sulla scala ascendente, la densità decresce in proporzione e l'eterealità è più marcata, cosicché, quando le monadi evolventi raggiungono la fine del settuplice viaggio evolutivo nel bhūrloka-tala, lo fanno come monadi spirituali evolute che hanno sviluppato facoltà ed attributi, ma nei campi del bhūrloka-pātāla, che sono altamente eterei e relativamente spiritualizzati.[18]
Per chiarire: quando la nostra onda di vita umana avrà raggiunto la settima razza-radice in questa ronda, su questa terra, sarà in uno stato più etereo (perché sarà nelle parti più elevate del bhūrloka-pātāla) di quanto lo fosse la nostra onda di vita quand'era nella quarta razza-radice, corrispondente al maharloka-rasātala del nostro globo e della nostra evoluzione razziale. Ancora, quando la nostra onda di vita umana avrà raggiunto la settima ronda sul settimo globo, il più elevato — usando il sistema settuplo — noi ci troveremo alla fine di tutta l'evoluzione possibile nel presente manvantara della catena, e saremo nei campi satyaloka-atala dell'etereità. Allora gli individui della nostra onda di vita che avranno quindi passato con successo la razza saranno pronti ad entrare nel loro nirvana come dhyāni-chohan relativamente evoluti — virtualmente una razza di buddha minori.
In breve: dovremmo tenere a mente che l'evoluzione procede come se fosse su una semplice linea retta, dal punto più elevato al più basso, che fa il giro e ritorna alle sfere supreme; ma le densità e le grossolanità maggiori dei sistemi del mondo, i loka e i tala, si trovano nella quarta fase manifestata — sempre seguendo il sistema settenario.
Se la monade ritornasse allo stesso stato in cui cominciò le sue peregrinazioni, sarebbe semplicemente un ritorno della monade, o jīva, ad uno stato incosciente. Ma non è così; noi evolviamo in avanti su una linea fissa, e alla fine raggiungiamo il punto più alto come entità individualizzate autocoscienti. In altre parole, per avere un campo d'azione e di coscienza appropriato e idoneo, in cui i jīva altamente sviluppati ed evoluti possano agire, la natura fornisce questi piani manifestati; e il ritorno alla divinità, che in definitiva avviene alla fine di un manvantara di qualsiasi grandezza, non è un ritornare nelle condizioni precedenti ma nei piani supremi, come esseri autocoscienti. Ad esempio, noi non discendiamo la catena fino al quarto sottopiano del bhūrloka-pātāla e poi risaliamo verso l'alto attraverso gli stessi piani fino a raggiungere i piani o le condizioni precedenti, perché ciò sarebbe semplicemente come nel detto inglese: "Il re di Francia e i suoi quarantamila uomini estrassero le loro spade e le rimisero di nuovo nei foderi." Ma noi procediamo fermamente in avanti attraverso tutti i sette piani o sottopiani di qualsiasi piano cosmico; e il risultato è che dopo che l'arco discendente è terminato ed inizia la spiritualità che si eleva verso l'alto, non è all'indietro ma in avanti — in avanti attraverso i piani non ancora attraversati, però nelle parti più alte e più spirituali di questi piani.
Per riepilogare ancora una volta: il quarto piano e il quarto loka-tala gemello sono i più grossolani della serie, e i piani che precedono e quelli che seguono sono più eterei in entrambe le direzioni. Detto altrimenti, i sistemi di piani o loka-tala diventano sempre più densi fino a raggiungere il quarto piano di ciascuno, per poi risalire verso i sistemi dei piani e loka-tala più eterei, sebbene l'evoluzione proceda in un 'percorso rettilineo' in avanti nel suo processo di facoltà, poteri e attributi che si dispiegano.
Proprio qui c'è è un punto significativo. Considerando i dodici globi, vediamo che bhūrloka più pātāla è un riflesso di satyaloka e atala, un adombramento dello spirito precipitato 'giù' nelle onde del settimo piano cosmico. Anche i tala si sviluppano di più come tala quando li seguiamo in basso lungo la scala — sempre più 'talaistica,' per così dire. In modo simile, ciascun loka che oscilla verso l'alto è più spiritualizzato di quello immediatamente sotto di esso finché raggiungiamo il loka più elevato, il 'loka della Realtà.'
In satyaloka-atala, il tala e il loka più elevati si uniscono o si ricongiungono all'essenza monadica della catena planetaria. La differenziazione così marcata sui piani inferiori si estingue qui e, per questo motivo, i due si mescolano e diventano uno. Al contrario, nel globo D della catena, il più basso, abbiamo il tala più sviluppato, chiamato pātāla, che si unisce al loka più pienamente espresso, il bhūrloka, diventandone l'alter ego. L'idea è veramente interessante, perché troviamo sul piano più alto il loka e il tala più elevati, che si fondono in un'identità virtuale; e sul settimo piano cosmico, il più basso, il loka e il tala più bassi si fondono ugualmente in un'indistinguibile unità — ma in maniera opposta alla non-differenziazione che si trova nel piano supremo, perché nel loka-tala inferiore e nel globo più basso si produce il più grande sviluppo della sostanza e della forza innate, della qualità, attributo, caratteristica e potenzialità.
Comunque, i globi di una catena — oppure i loka e i tala che formano ogni globo — non rimangono, per tutto il manvantara della catena, sullo stesso piano cosmico al quale appartengono rispettivamente o vi sono collocati. Poiché questi stessi globi, nel corso delle ere, transitano verso il basso attraverso i piani cosmici fino a raggiungere il fondo evolutivo dell'arco, e quindi risalgono verso l'alto finché ciascun globo raggiunge ancora i piani spirituali, preparandosi ad un nuovo manvantara della catena.
Ogni loka e tala, come un gemello, rappresenta la bipolarità di ciascun mondo; ed è proprio quest'interazione che rende le monadi evolventi capaci di esternare ciò che giace latente dentro di loro. Effettivamente, come abbiamo visto, gli stessi loka e tala sono costituiti di monadi di vari gradi evolutivi; e sono queste monadi meno sviluppate che compongono l'impalcatura strutturale dei mondi, o i loka e i tala, che forniscono i veicoli viventi o corpi, sia cosmici che sotto-cosmici, in cui le monadi più avanzate vivono, si evolvono, e realizzano i fini del loro destino karmico.
Quindi, anche un essere umano, se sviluppa dentro di sé la capacità di fare altrettanto, può essere in rapporto empatico con i poteri spirituali che governano il nostro universo; e può farlo immettendo il suo centro di autocoscienza nel loka-tala corrispondente al piano interiore dell'essere in cui egli desidera essere al momento.
Dovremmo realmente pensare ai loka e ai tala come mondi o sfere di coscienza di vari gradi di etereità e spiritualità. Non dovremmo immaginare nemmeno per un momento che un uomo viva soltanto nel bhūrloka-pātāla, proprio perché al suo corpo fisico accade di essere in quel loka-tala. Faccio un esempio che forse può dimostrare come tra due individui che vivono sullo stesso piano cosmico, e quindi nello stesso sistema loka-tala, ciascuno ha tuttavia una vita interiore in un mondo loka-tala diverso da quello dell'altro. A e B, diciamo, sono fratelli. Possono sedere nello studio di A, passeggiare per una strada, o possono stare in paese a riposare su una sponda erbosa. Il primo uomo è un musicista, l'altro è uno scienziato. Ora, entrambi gli uomini sono sul globo D della nostra catena e sul settimo piano cosmico, e quindi nel bhūrloka-pātāla. Ma, poiché entrambi appartengono alla nostra attuale quinta razza-radice, sono anche sotto l'influenza dell'ipertono di svarloka-talātala; per di più, poiché noi, come onda di vita siamo nella quarta ronda, essi sono ugualmente soggetti all'influenza dell'ipertono di maharloka-rasātala. Sono proprio questi coefficienti comuni, o queste comuni facoltà della coscienza, che li rendono capaci di comunicare reciprocamente, di essere amici nonostante le grandi differenze interiori di carattere — di swabhāva.
Nondimeno, mentre questi due uomini sono insieme, la mente e la coscienza di A, diciamo, è in uno dei sistemi più elevati di loka-tala, forse anche temporaneamente in janarloka-sutala; tuttavia, nello stesso istante, la mente e la coscienza dell'altro uomo possono essere nel suo maharloka-rasātala. Proprio qui si trova la chiave segreta che l'adepto usa spesso quando vuole comunicare con i regni interiori. Egli solleva la sua coscienza fuori dal bhūrloka-pātāla, e la immette nel loka-tale dove desidera funzionare.
Non c'è alcun bisogno di indugiare sulle differenze tra piani, loka e tala, e principi ed elementi, perché quando consideriamo l'essenza di tutte queste varie cose troviamo che esse sono identiche, non essendo altro che modi diversi di esaminare lo Spazio nelle sue manifestazioni.
L'uomo, essendo un microcosmo, ripete per analogia, attraverso la propria struttura, qualunque cosa il macrocosmo o universo contenga. Abbiamo già appreso che i sette principi dell'uomo sono soltanto un altro modo di vedere i differenti strati dell'uovo aurico, e che effettivamente questi strati corrispondono strettamente ai loka e tala dell'universo. Questi aggregati di strati, o principi ed elementi, se considerati ciascuno come un'unità, corrispondono ai piani del cosmo.
Né gli strati nell'uovo aurico né gli equivalenti loka e tala nel cosmo occupano lo stesso spazio, anche se entrambi il microcosmo ed il macrocosmo s'interpenetrano e sono centrati intorno all'entità individuale. Intendo dire che i loka e tala più eterei e anche più spirituali o gli strati più eterei e spirituali dell'uovo aurico di un uomo si estendono all'esterno e all'interno come un'aura o atmosfera che circonda l'entità; mentre i loka e tala più bassi e gli strati più bassi dell'uovo aurico sono virtualmente il veicolo fisico, sia del cosmo che dell'uomo, i loka e tala più elevati e gli strati superiori dell'uovo aurico si estendono oltre i loro veicoli fisici. Sono proprio queste aure più lontane che tengono costantemente in contatto spirituale e psico-vitale un'entità con altre entità del proprio tipo: con altre parti dell'universo nel caso di un cosmo, e con altre parti del mondo nel caso di un uomo.
In questo sta il vero significato dell'insegnamento che l'entità spirituale che si effonde continuamente attraverso i centri laya ha raggi che si estendono ben oltre i veicoli più materiali, che nei veicoli inferiori irradiano appena oltre i propri limiti circoscritti. In altre parole, i regni interiori dell'uomo (o di un globo) sono i vari piani o sfere dell'uovo aurico. Quest'idea è incarnata nel Vishnu Purāna, una delle opere brahmaniche:
La sfera della terra (Bhūr-loka) che comprende i suoi oceani, montagne e fiumi, si estende fin dove è illuminata dai raggi del sole e della luna; e nella stessa misura, sia nel diametro che nella circonferenza, la sfera del cielo (Bhuvar-loka) si diffonde sopra di essa (verso l'alto, fino alla sfera planetaria, o Swar-loka). L'orbita solare è situata a centinaia di migliaia di leghe dalla terra; e quella della luna ad un'eguale distanza dal sole. Allo stesso intervallo sopra la luna si verifica l'orbita di tutte le costellazioni lunari. Il pianeta Budha (Mercurio) è a duecentomila leghe al di sopra delle case lunari: Śukra (Venere) è alla stessa distanza da Mercurio; Angāraka (Marte) è ugualmente al di sopra di Venere; e il sacerdote degli dèi (Bihaspati, o Giove) è altrettanto lontano da Marte; mentre Saturno (Śani) è a duecentocinquantamila miglia oltre Giove. La sfera dei sette Rishi (l'Orsa Maggiore) è a duecentomila leghe sopra Saturno; e ad una simile altezza, al di sopra dei sette Rishi, c'è Dhruva (la stella polare), il perno o asse dell'intero cerchio planetario. Così, o Maitreya, è l'altezza delle tre sfere (Bhūr, Bhuvar, Swar) che formano la regione degli effetti risultanti dai lavori. La regione dei lavori è qui (nella terra di Bharata).
Al di sopra di Dhruva, alla distanza di dieci milioni di leghe, giace la sfera dei santi (Mahar-loka) — i cui abitanti vi dimorano per tutto un Kalpa (un giorno di Brahmā). A due volte questa distanza è situato il Jano-loka, dove risiedono Sanandana e altri figli di Brahmā, dalla mente pura. A quattro volte la distanza tra questi due ultimi giace il Tapo-loka (la sfera della penitenza) abitata dalle divinità chiamate Vairāja, che sono inconsumabili dal fuoco. A sei volte la distanza (o dodici crore — a centoventi milioni di leghe) si trova il Satya-loka (la sfera della verità) — i cui abitanti non conoscono mai più la morte.[19] — II, vii, pp. 225-7
In altre parole, il campo d'influenza di bhūrloka, la nostra terra, si estende poco più oltre la sua atmosfera; bhuvarloka ha un'atmosfera o aura che si espande fino al sole, sebbene sia effettivamente il mondo o loka più vicino alla terra; e svarloka all'interno di bhuvarloka è un mondo ancora più etereo o spirituale, che ha un'aura che raggiunge anche Dhruva, la stella polare.
Non possiamo avere alcun rapporto con esseri che sono al di fuori di noi stessi, o con altri globi o pianeti, o anche con il nostro sole, a meno che non ci siano questi vettori atmosferici o raggi aurici, entrambi sul nostro piano e su altri piani. Proprio come un magnete ha il suo campo o atmosfera che si estende oltre se stesso, così tutti questi loka e tala hanno le loro rispettive atmosfere.
Prendiamo in esame la nostra terra o il nostro sistema solare: i loka e tala superiori di entrambi sono i suoi punti di contatto con le altre speciali unità spaziali per tutta l'infinità. I loka e tala più eterei e più spirituali della nostra terra hanno un intimo contatto magnetico, non solo con tutti gli altri globi della nostra catena, ma ugualmente con le altre catene planetarie del nostro sistema solare; e la stessa grande legge si applica all'interconnessione del nostro sistema solare con altri sistemi solari della nostra galassia.
Vediamo, da quanto abbiamo detto, che i nostri principi spirituali sono universali, il che significa che il nostro ātma-buddhi ci lega all'intero universo; similmente, l'ātman cosmico del nostro sistema solare è universale nella sua estensione, connettendolo all'intera galassia. Questa meravigliosa realtà è la base dell'affermazione nella filosofia hindu che l'essenza dell'uomo, il suo ātman, è identica al paramātman dell'universo.
Quando riusciamo ad unirci ai principi superiori della nostra costituzione e impariamo a pensare, sentire ed agire autocoscientemente in essi, otteniamo l'immortalità autocosciente[20] per la durata della catena planetaria — bilioni di anni; perché allora noi siamo dei jīvanmukta. Naturalmente, quando la catena planetaria giunge alla fine, queste monadi liberate, non essendo state capaci di elevarsi più in alto nei reami ancora più vasti della vita cosmica autocosciente, devono seguire la legge della natura ed avere il loro periodo nirvanico di riposo.
In questa connessione dovremmo chiederci se i loka e tala che costruiscono la fabbrica del sole duodenario sono identici a quelli della catena planetaria di un globo. O, ancora, i loka e tala della nostra terra derivano la loro essenza ed energia dal sole, poiché il sole le fa discendere, per così dire, dai loka e i tala di una galassia? Se è così, un uomo abbraccia o contiene i poteri del loka-tala di una galassia?
In breve, la risposta ad entrambe le domande è si. Il nostro sistema solare è un individuo unitario, e quindi ha i propri loka e tala su scala solare. Essendo lì e vivendoci, è ovvio che i loka e i tala di una catena planetaria, o di qualsiasi altro globo della stessa, sono fondamentalmente identici a quelli della catena solare, conservando tuttavia le loro rispettive individualità. Così pure i loka e i tala della nostra galassia comprendono nel loro essere i loka e i tala minori di qualsiasi sistema solare in quella galassia. Di conseguenza, vediamo che i loka e i tala del nostro sistema solare sono mondi individuali, ma sono contenuti nel più grande sistema dei mondi galattici, precisamente come i loka e i tala di una catena planetaria o di uno qualsiasi dei suoi globi sono circondati dal sistema più grande di loka e tala della catena solare. Ė un contenitore di ruote dentro ruote. Nello stesso modo tutti gli atomi di vita, su qualsiasi piano, che vanno a creare la costituzione di un uomo, sono entità individuali, ma racchiusi nella più vasta entità umana.
Mentre la risposta alle domande precedenti è affermativa, deve essere precisata con l'affermazione che ciascun mondo individuale più piccolo, o il loka-tala gemello, è circondato e pervaso dall'essenza vitale del sistema loka-tala più grande in cui esso vive. Così, non possiamo dire che il sistema minore è identico a quello maggiore, perché il maggiore e il minore sono ognuno un individuo; nondimeno, purché le essenze funzionino, essi sono identici su grande scala. Le differenze esistenti tra i loka e i tala, sia su scala macroscopica o su quella di una catena planetaria, riguardano i toni o frequenze di vibrazione.
Quindi, ogni uomo contiene nella propria costituzione, come base fondamentale del suo essere, non solo i poteri di loka-tala e le sostanze della nostra galassia, ma anche del nostro sistema solare, come pure del nostro globo D, la terra. Più di questo, essendo un individuo, combina egli stesso tutti i poteri di questi loka-tala più grandi con i poteri e le sostanze del suo loka-tala.
Questa bella realtà della natura permette all'uomo, quando penetra negli arcani del proprio essere, di porsi in un identico rapporto vibratorio con tutte le altre parti dell'universo, e quindi sentire e sapere che egli stesso è uno con tutto ciò che esiste. Proprio qui sta la sublime causa della morale, e la ragione per cui tutti i grandi saggi e veggenti del passato hanno insegnato che l'etica non è semplicemente una convenzione umana, ma si basa sulla struttura dell'universo stesso: quando un uomo arreca danno ad un altro, in verità egli arreca danno a se stesso.
La "Fiamma Trilingue che mai si estingue" è la Triade spirituale immortale, Âtmâ, Buddhi e Manas, o piuttosto il raccolto di quest'ultimo allorché viene assimilato dai primi due dopo ogni vita terrena. I "Quattro Lucignoli" che vengono fuori e che si estinguono, sono il Quaternario o i quattro princìpi inferiori compreso il corpo . . .
Simili a miliardi di scintille luminose che danzano sulle acque dell'oceano, al disopra del quale splende una sola e medesima luna, le nostre Personalità evanescenti — gli involucri illusori dell'immortale Monade-Ego — scintillano e danzano sulle onde di Māyā. Esse appaiono e, come le migliaia di scintille prodotte dai raggi della luna, durano soltanto fino a che la Regina della Notte irradia il suo splendore sulle "Acque Correnti della Vita", il periodo di un Manvantara, e quindi scompaiono; mentre sopravvivono solo i "Raggi" — simboli dei nostri Ego Spirituali eterni — fusi nella Sorgente-Madre e tornati nuovamente uno con essa come prima.
— La Dottrina Segreta, I, 237 ed. or.; p. 185 online
Ogni punto matematico dello Spazio è un centro di coscienza, una monade — un 'individuo,' il punto finale che non può essere più diviso, il punto di fuga. Esaminate cosa significa quest'idea. In ogni cosa intorno a noi — tutti i materiali in una costruzione, le sostanze di tutti i nostri corpi, atomi, molecole, elettroni, tutti i cosiddetti punti matematici, sia dell'aria, del mondo, dello spazio circostante dei piani interiori, superiori ed inferiori — si applica la stessa regola, perché lo Spazio è un vasto insieme di punti di coscienza.
Siamo circondati da cose molto materiali, da ogni tipo di entità; ad esempio, nel nostro mondo siamo circondati da composti chimici: pietra, legno, acqua, piante e carne, ecc. In definitiva, tutte queste cose sono formate da monadi. Se inoltriamo la ricerca sempre più lontano e più profondamente, fin dove possiamo arrivare, realizziamo che non raggiungeremo mai una fine; tuttavia, la mente ottiene infine un punto di supporto che essa chiama un centro matematico, il nucleo del cuore di un'entità — e che è la monade, un'individualità spirituale con la divinità nel suo cuore. In questa connessione gli antichi parlavano di Acque dello Spazio, ciascuna goccia o monade che emanava dal circondante Oceano di Coscienza ed infine tornava ad esso. O, come si afferma che il Signore Buddha abbia detto, "la goccia di rugiada scivola nel Mare splendente" — per emanare nuovamente da esso all'inizio dei futuri manvantara. La Monas monadum, che significa la monade cosmica, è semplicemente l'aggregato di monadi, delle quali è contemporaneamente la madre e la meta finale. A sua volta, non è che una minuta entità in un'entità supercosmica ancora più vasta.
Per quanto profondamente s'immerga negli abissi del pensiero, la mente non raggiungerà mai qualcosa di più che una coscienza di se stessa in continua espansione: il Sé supremo, il dio interiore, l'ātman. Questa è la monade. Questa è l'individualità perpetua, l'individuo spirituale, la nostra parte invisibile. Il cuore della monade, la sua sorgente superiore di vita ed intelligenza, è una monade divina, il dio interiore. Ma il termine monade è usato in generale per una varietà di centri di coscienza nell'uomo. Vi è la monade spirituale, progenie della monade divina; vi è la monade umana, progenie della monade spirituale; vi è la monade vitale-astrale, progenie della monade umana. Tutte queste, insieme, formano la costituzione umana. Ogni simile monade, non importa quale sia il suo grado, è un'entità evolvente. Tutto ciò che noi siamo come esseri umani lo deriviamo in definitiva dall'essenza monadica che circonda la parte più profonda. La nostra intelligenza spirituale, i nostri istinti di un pensare nobile, di un'azione gentile ed amichevole, gli impulsi alla compassione che riempiono i nostri cuori, l'amore che ci nobilita, gli intuiti più elevati di cui è capace la nostra natura — tutto questo deriva dalla monade, ed è radicato in essa. La monade spirituale, che è il 'cuore' dell'ego reincarnante, è essa stessa radicata nella monade divina o dio interiore, la nostra parte immortale. Senza la sua influenza, cioè i raggi provenienti dalla monade che fluiscono nella nostra coscienza umana, saremmo soltanto bestie umane. La monade ci sarebbe, anche se inattiva, e in verità noi saremmo umani, ma spiritualmente offuscati e non consapevoli.
Ora, l'anima, che è un'entità aggregata proprio come lo è una stessa monade, è semplicemente il rivestimento o il velo psico-mentale di una monade che sta passando attraverso quella particolare fase delle sue interminabili peregrinazioni nel tempo periodico e nello spazio gerarchico. Un'anima è la manifestazione di questa monade su qualsiasi piano. L'anima, a sua volta, agisce attraverso il proprio veicolo, sia etereo che fisico. Misticamente, il corpo fisico in se stesso potrebbe essere definito una monade aggregata del piano fisico, perché è formata da punti matematici, piccole vite o monadi di cui l'anima è la Monade delle monadi di questa particolare gerarchia fisica; mentre la monade al di sopra dell'anima è ancora la sua supermonade o Monas monadum.
Questo è un meraviglioso mistero: la natura universale della coscienza. Essa ci mostra l'errore di avere le nostre idee cristallizzate, di tenerle etichettate. In materia di coscienza non si può farlo. Dobbiamo avere le nostre idee fluide come l'etere — in verità, come la coscienza stessa! La coscienza di un uomo, ad esempio, è tutta sul suo corpo, tuttavia ha diversi focolai o punti di speciale attività negli organi corporei. (Ė possibile per la coscienza di una persona essere localizzata in un organo, o anche in un punto del corpo; ma per farlo ciò richiede un dispendio di grande energia.) Per analogia, vediamo come sia universale la coscienza della monade cosmica, e come tutti noi siamo in essa per l'intera eternità, sviluppando continuamente ed espandendo la nostra coscienza in essa, e questo significa evolvere le nostre vite coscienti.
L'universo esprime i suoi poteri interiori e le sue strutture mediante periodi alternati di manifestazione e di riposo del mondo. All'inizio di ciascun manvantara esso comincia ad esternare ciò che è interiore; e quando alla fine quel manvantara termina, tutte le monadi delle diverse gerarchie e classi nell'universo hanno fatto ciascuna un passo in avanti sulla scala infinita della vita cosmica. Così, considerandolo un individuo, per un universo non vi è né principio né fine, tranne per quanto riguarda gli stadi della sua crescita espansiva, i periodi di manifestazione e di pralaya — proprio come un'incarnazione umana ha un inizio e una fine definiti, ciò che chiamiamo nascita e morte; ma la coscienza interiore spirituale fluisce poi sempre in avanti.
Una cosa che un essere umano non può mai fare è di annientare se stesso, perché, come una goccia individuale del Mare cosmico, egli è una monade individuale che si effonde continuamente, qualcosa come un pozzo artesiano, ampliando sempre i flussi della coscienza provenienti dall'interno.
Una monade comincia il suo cammino evolutivo sullo sfondo di uno qualsiasi di questi grandi manvantara. Non può cominciare altrove, perché non si può salire su una scala partendo dalla sommità e andando verso il basso. Così è per le monadi: si immettono nel manvantara all'inizio delle cose. Fanno così come monadi spoglie, e gradualmente dispiegano intorno a loro stesse i rivestimenti della coscienza, ciascuno appropriato alla sfera attraverso la quale si trova nello scorrere del tempo, essendo questi rivestimenti composti di monadi ancora meno evolute che seguono la monade suprema — monadi bambine a cui essa ha dato la nascita in passati manvantara. Ma il cuore di ciascuna di queste monadi che iniziano la loro nuova evoluzione mahāmanvantarica è una monade proveniente da precedenti mahānvantara.
Così la monade, all'inizio del manvantara, entra nei tre regni elementali, e procede sulla scala fino agli dèi. Ma da dove vengono i tre regni elementali? Dalle monadi che stanno nel nucleo di ognuno di tali elementali. Ogni essere — dio, semidio, uomo, entità sub-umane di tutte le classi — ciascuno è essenzialmente una monade che passa attraverso una particolare fase della propria evoluzione. Tutti gli impulsi hanno origine nella monade. Tutte le sostanze scaturiscono dal cuore della monade. Tutta la coscienza risiede nel nucleo di una monade, tutti i pensieri, nella loro origine di base, germogliano dal flusso di coscienza che nasce nella sua sorgente.
Tutte queste entità, dagli elementali fino agli dèi, e così via per sempre, sono veicoli che manifestano diverse fasi del lunghissimo viaggio evolutivo delle monadi attraverso spazio e tempo. Un dio è un veicolo come lo è un uomo, soltanto molto più grande nella qualità spirituale. Ugualmente, un elementale è il veicolo di una monade. Potremo mai raggiungere una fine ultima ed assoluta penetrando sempre più profondamente nel nucleo del cuore di una monade? Mai, perché la sua radice è l'Infinito.
Alcune monadi provenienti dalla conclusione del precedente mahāmanvantara si sono già talmente evolute, che all'instaurarsi del nuovo mahāmanvantara hanno poco da imparare nei suoi stadi iniziali, e quindi attraversano molto rapidamente questi stadi inferiori. Ma le loro monadi bambine, raggi di se stesse, vengono in manifestazione attiva all'inizio di un tale nuovo mahāmanvantara, e di conseguenza devono attraversare tutti gli stadi inferiori come fossero le loro nuove aule scolastiche d'esperienza.
Le monadi 'graduate' sono, ognuna di loro, una Monas monadum; e queste sono le guide e le assistenti spirituali delle monadi meno sviluppate, la loro prole che si trascinano dietro. Questa è l'idea essenziale della dottrina della Gerarchia di Compassione.
Gli antichi hindu parlavano di 'anu,' che significa infinitesimale o atomico; quindi, esso è una monade nei suoi campi inferiori di manifestazione cosmica. Quando diciamo monade le attribuiamo grandezza, volume o massa? No, perché la nostra mente la riconosce istintivamente come un punto infinitesimale di coscienza, la cui essenza nondimeno è universale perché è una goccia della coscienza universale. La monade (letteralmente 'una') non può mai essere divisa; è un individuo, ma abbraccia tutto perché il suo cuore è l'Infinito. L'inizio di un cerchio è come la sua fine; ugualmente, l'Infinitudine è l'ultrainfinitesimale. Lo spirito del sé interiore afferra e comprende quest'idea perché la contiene, ma la mente-cervello, con la sua insistenza sulle dimensioni, non l'afferrerà perché non è abbastanza evoluta. Tuttavia, anche la stessa mente-cervello è una monade non ancora manifestata.
Ė questo il motivo per cui i filosofi hindu chiamarono anu con il nome di Brahman, perché Brahman è al tempo stesso l'universale e l'ultrainfinitesimale. La goccia non è diversa dal Mare lucente, e quando ritorna alla fonte dalla quale è venuta, è diventata una con l'acqua della sua sorgente. Ė quello che la coscienza è, e fa; questo è ciò che il corpo e la forma non sono, e non fanno. Dovremmo cercare di pensare in termini di coscienza, in termini di comprensione. Se concepiamo che la monade abbia una dimensione fisica non otterremo mai l'idea essenziale, perché allora noi le stiamo dando delle limitazioni che non le appartengono. La frase "è diventata una con l'acqua" non significa che l'essenza monadica che produce la goccia si fonda con l'acqua. La goccia è il veicolo fisico della monade interiore e, proprio come fanno i nostri corpi umani, si disgrega nelle sue particelle componenti che sono distribuite attraverso il prithivī-tattwa della natura; ma la monade rimane l'individuo, il centro indivisibile della coscienza, e radunerà tempestivamente, ancora una volta, i suoi atomi di vita e riprodurrà la goccia che era e che ora è nuovamente — la 'resurrezione del corpo,' come la chiamerebbero i cristiani.
Così, il jīvanmukta, o la monade liberata, alla fine del manvantara ridiventerà il Brahman da cui è stata emanata come un raggio, ma non si fonderà per l'eternità con quel Brahman, perché all'apertura dle dramma cosmico del successivo manvantara la monade riemerge, e dà inizio alle sue peregrinazioni nei regni superiori dai quali era stata anteriormente liberata come un jīvanmukta.
Come dice una delle "Sacre Śloka;"
"Il filo radioso che è imperituro e che si dissolve solo nel Nirvana, riemerge da esso nella sua integrità il giorno in cui la Grande Legge richiama all'azione tutte le cose."[21]
Il termine anu, la particella che possiamo immaginare come la più piccola della materia, ha più o meno lo stesso significato che ha l'atomo nel pensiero filosofico e scientifico di oggi. Jīva significa vita, ed anche un'entità vivente. Coniamo allora un termine per l'anima di un anu e chiamiamolo un jīvāni, un 'atomo di vita,' una vita infinitesimale, 'l'anima' dell'atomo chimico. Superiore ad esso, ed effettivamente suo genitore, classifichiamo un paramānu (parama, che significa primordiale, primo nell'ordine): Abbiamo così anu, l'atomo; jīvānu, l'atomo di vita; paramānu, l'atomo supremo o monade atomica.
Il paramāmu o monade atomica dura attraverso l'intero manvantara cosmico senza che il suo potere diminuisca o la sua coscienza s'interrompa. L'atomo di vita o jīvānu, dura solo per un determinato periodo di tempo nel manvantara cosmico. Come il nostro corpo fisico, l'anu è anche transitorio e fuggitivo. Così, quando un atomo di vita e un anu raggiungono il loro termine, il paramānu o monade atomica deve reincarnarsi, prendere un nuovo atomo di vita e un nuovo aggregato di infinitesimali creando un nuovo anu.[22]
Ugualmente per l'uomo: la nostra monade dura per l'intero manvantara cosmico. La nostra anima o ego reincarnante che, in corrispondenza, è l'atomo umano di vita dentro di noi, dura solo per il periodo di una catena planetaria; ma i nostri corpi durano per una sola vita sulla terra. Abbiamo così le analogie: paramānu, jīvanū, anu; la monade, l'ego reincarnante, il corpo; o, secondo lo schema cristiano: spirito, anima, corpo. Ogni entità manifestata dappertutto, sia interiore che esteriore, sui pianeti esterni, qui o altrove nello Spazio illimitato, è costruita su linee identiche. Il suo cuore, il nucleo di se stessa, è un individuo, cioè una monade, uno spirito, un dio, che ha la propria anima e i suoi corpi.
Quando diciamo che un paramānu dura attraverso tutto il manvantara cosmico senza che il suo potere diminuisca o la sua coscienza s'interrompa, intendiamo il paramānu come l'essenza cosmica di un atomo; ma ciò non implica che quest'essenza monadica atomica sia altamente sviluppata nei suoi innati poteri e facoltà divine e spirituali come lo è la monade di una divinità. Sia il paramānu che la monade divina sono uno in essenza; tuttavia, un paramānu è, per così dire, latente o dormiente, se paragonato alla monade divina che manifesta pienamente i suoi poteri trascendenti ed è, con tutta probabilità, l'essenza monadica di qualche jīvanmukta. [23]
Un altro metodo per classificare le tre divisioni principali dell'essere umano è sulla base delle tre classi di indrya come sono date nelle filosofie hindu. Sono considerate come gli organi o canali, o meglio gli strumenti, mediante i quali l'ego si esprime dentro e attraverso i rivestimenti della coscienza: i buddhīndrya, i jñānendrya, e i karmendrya. Dal punto di vista teosofico, i buddhīndrya, come mostra la parola buddhi, sono ciò che potremmo chiamare gli organi o i mezzi della coscienza spirituale, appercezione, senso e azione; i jñānendrya sono quegli organi e funzioni di coscienza innati, che appartengono alle parti intellettuali, mentali e psichiche della costituzione umana, mentre i karmendrya stanno nel loro posto naturale come gli organi astrale-vitale-fisici e dell'azione sul nostro piano, come l'orecchio, la pelle, l'occhio, la lingua e il naso.
Per comprendere la filosofia esoterica è meglio dimenticare i corpi e afferrare la nostra coscienza. L'errore fatale del pensiero occidentale in tutti i suoi dipartimenti di religione, filosofia e scienza, è che si concentra sugli aspetti del corpo, quindi sul transitorio, l'impermanente. Abbiamo dimenticato che il modo per conoscere gli aspetti estremi è di affrontarli e studiarli; e l'estremo degli estremi è l'ipseità, la coscienza estrema.
La Monade emerge dal suo stato di incoscienza spirituale ed intellettuale e, saltando i primi due piani — troppo vicini all'Assoluto per permettere ogni correlazione con qualsiasi cosa si trovi su un piano inferiore — giunge direttamente sul piano della Mentalità. Ma non vi è in tutto l'Universo un piano che abbia un margine maggiore o un campo d'azione più ampio di questo piano mentale, nelle sue gradazioni quasi infinite di qualità percettive e appercettive; ed esso possiede, a sua volta, un piano minore appropriato ad ogni "forma," dalla Monade Minerale, risalendo fino al punto in cui l'evoluzione fa sbocciare questa Monade stessa nella Monade Divina. Ma durante tutto questo tempo essa è sempre una sola medesima Monade e differisce soltanto nelle sue incarnazioni, attraverso i successivi cicli che percorre; cicli di oscuramento parziale o totale dello spirito, di parziale o totale oscuramento della materia — le due antitesi polari — a seconda che essa salga verso il regno della spiritualità mentale, oppure discenda verso gli abissi della materialità.
— La Dottrina Segreta, I, 175 ed. or.; p. 144 online
Ogni cosa nel cosmo universale consiste di dodici principi o elementi; o, se consideriamo dal lato della coscienza, le gerarchie della coscienza, guardiamo ad esse come le dodici classi di monadi. In altre parole, quando il nostro universo venne per la prima volta in esistenza procedendo nei suoi stadi evolutivi di dispiegamento, si srotolò in dodici 'piegature' o divisioni, essendo ciascuna un piano o un principio o una classe di monadi. Se invece usiamo lo schema settenario, lo facciamo solo perché per il momento ci limitiamo alle sette sfere manifestate, dalla loro sfera più alta alla loro sfera inferiore; similmente, quando parliamo di dieci, abbiamo a mente le sette manifestate con la monade divina, di carattere trino, che si libra al di sopra di esse. Quando ci riferiamo a dodici, consideriamo l'insieme, l'alto e il basso, senza omettere alcuna parte.
Ogni monade di qualunque classe è, nella sua origine, un elementale cosmico perché nato da uno degli elementi o principi cosmici. Roteando e turbinando attraverso i regni della natura e lungo i sentieri del destino karmico, ciascuna monade emette da se stessa le caratteristiche latenti, le facoltà e i poteri che, appena appaiono, si elevano allo stato evolutivo della monade in via di sviluppo, in un campo sempre più esteso di coscienza e attività. Alla fine, la monade evolvente diventa un uomo, destinato a diventare in futuro un dio pienamente sbocciato.[24]
Consideriamo per un momento la relazione delle differenti classi di monadi nel mondo manifestato intorno a noi. Quelle monadi — e mi riferisco ora all'evoluzione degli esseri che progrediscono in avanti — che hanno sviluppato un elemento o principio, sono native o abitano in ciò che chiamiamo gli elementi di per sé. In Occultismo è consuetudine considerare che questi abitanti stiano nei tre regni elementali: gli elementali dello spirito di un elemento, quelli dei campi intermedi, e gli elementali che appartengono alla triade inferiore di tale elemento cosmico.
Quelle monadi che hanno manifestato due principi le chiamiamo, nel loro insieme, il regno minerale; quelle che hanno manifestato tre principi compongono il regno vegetale, mentre quelle che ne hanno manifestato quattro sono il regno animale. Il regno umano ha manifestato, almeno di qualche grado, cinque principi dei dodici. Non saremo realmente esseri umani completi sino alla fine della quinta ronda, quando manas, per quanto sia possibile, non si sarà allora completamente sviluppato in noi. Attualmente, essendo soltanto nella quarta ronda, e tuttavia nella quinta razza sul quarto globo, siamo una specie di animale umano, poiché il quarto elemento, kama, si manifesta in noi quasi più fortemente di quanto faccia il quinto principio manasico.
Ancora, le monadi che manifestano in sé sei elementi sono i mahatma più elevati, i bodhisattva; e quelle completamente illuminate da ātman — quando tutti i sei principi o elementi si sono manifestati dentro di loro ad un grado relativamente alto — sono chiamate Buddha o Cristi, o con qualche nome similmente rappresentativo. Quelle monadi che hanno manifestato in se stesse, o che manifesteranno in futuro, sette elementi in relativa pienezza, sono gli dèi. Ugualmente, quelle che dispiegano dieci dei principi cosmici sono le gerarchie cosmiche, i Guardiani Silenziosi, che non hanno più niente da imparare per il resto dei loro rispettivi manvantara. Mentre quelle che hanno manifestato in se stesse tutti i dodici principi cosmici, e sono quindi autocoscienti su ogni piano o in qualsiasi aspetto del loro essere, sono quelle entità divine che si manifestano come universi — includendo lo spirito interiore, i campi intermedi, e abbracciando il corpo cosmico.
Da quanto detto prima, comprendiamo perché a volte è necessario parlare di sette, dieci o dodici quando ci riferiamo ai principi o elementi o piani cosmici. Ma tutti i metodi di divisione sono in qualche modo arbitrari in ciò che potremmo parlare con altrettanta verità di creature o esseri con tre principi, o anche quattro, o cinque principi, ecc.
Ogni monade, elevata o inferiore nello Spazio illimitato, contiene ciascun elemento che hanno tutte le altre monadi; ma tutte hanno questi principi comuni manifestati a diversi gradi e secondo le classi. Alcune hanno manifestato molti dei loro principi; altre, solo una parte; altre ancora, come gli esseri umani, si avvicinano al punto mediano, dove stanno i buddha e gli dèi. Quando esaminiamo l'universo nella sua totalità pensiamo a dieci, o anche a dodici elementi; o, quando consideriamo soltanto l'aspetto inferiore manifestato, parliamo di sette, che è forse il più comune perché è così pratico negli insegnamenti. Probabilmente è questo il motivo per cui H.P.B. ha evidenziato così fortemente i settenari nell'universo, anche se ha frequentemente puntualizzato che gli altri principi o elementi, superiori ai sette manifestati, appartengono ai campi divini o superdivini.
Nella Dottrina Segreta H.P.B. tratta delle diverse classi di monadi — e gli stadi gerarchici e i gradi evolutivi che occupano nella vita e nella struttura cosmica — da un punto di vista molto mistico, distribuendo le sette classi di monadi attraverso le dodici divisioni zodiacali.
Ė ovvio che il numero dodici può essere diviso in due gruppi di sei. Ora, questo metodo di distribuire il sette manifestato al di sopra e dentro i dodici è come segue: l'esade inferiore è lasciata indisturbata, e il più basso dei sei individui del gruppo superiore forma il legame che unisce l'esade inferiore a quella superiore. Così i sei inferiori plus l'individuo più basso dei sei superiori, creano il settenario manifestato, che è applicato sia ai piani cosmici, alle classi delle monadi, o ai loka e tala. Inoltre, questo individuo inferiore dei sei superiori include cinque membri dell'esade superiore, dandoci quindi ancora il numero dodici.
Un altro schema simile è quello del dieci, diviso nel settenario inferiore e nella triade superiore, con quest'ultima che si libra al di sopra del settenario, per così dire, e tuttavia è da considerarsi come ispirante, perché risiede in esso, l'unità predominante del settenario inferiore.
Ė interessante notare che queste sette classi di monadi, che incarnano in se stesse le cinque classi superne, sono descritte, anche se un po' vagamente, nella Dottrina Segreta,[25] di cui cito i seguenti passi pertinenti:
La Gerarchia dei Poteri Creatori è divisa esotericamente in Sette Ordini (quattro e tre) contenuti nei Dodici grandi Ordini simboleggiati dai dodici segni dello Zodiaco; e questi Sette della scala manifestata sono collegati, inoltre, con i Sette Pianeti. Tutti questi sono suddivisi in Gruppi innumerevoli di Esseri divini spirituali, semi-spirituali ed eterei. . . .
Il Gruppo superiore è composto dalle Fiamme Divine chiamate pure i "Leoni Ardenti" ed i "Leoni di Vita," il cui esoterismo è celato accuratamente nel segno zodiacale del Leone. Esse formano il nucleo del Mondo Divino Superiore. . . . Sono i Soffi del Fuoco, senza forma. . . . — I, 213 ed. or.; p. 169 online
Il secondo Ordine degli Esseri Celesti, quelli del Fuoco e dell'Etere, che corrispondono allo Spirito e all'Anima o Atma-Buddhi, e i cui nomi sono infiniti, sono ancora senza forma, ma più definitamente "sostanziali". Essi sono la prima differenziazione nell'Evoluzione Secondaria . . . sono i Prototipi degli Jiva o Monadi che s'incarnano, e sono composti di Spiriti Ardenti di Vita. È attraverso essi che passa, come un puro raggio solare, il Raggio a cui essi forniscono il futuro Veicolo, l'Anima Divina, Buddhi. Questi si riferiscono direttamente alle Legioni dei Mondi superiori del nostro sistema. Da queste Duplici Unità emana il Triplice. — I, 216 ed. or.; p. 171 online
Il Terzo ordine corrisponde ad Atma-Buddhi-Manas; Spirito, Anima ed Intelletto; ed è chiamato le "Triadi." — I, 218-19 ed. or.; pp. 172-73 online
Il Quarto Ordine è composto di Entità sostanziali. Questo è il gruppo più elevato fra i Rûpa (Forme Atomiche), il vivaio delle Anime spirituali, umane e coscienti. Sono chiamati i "Jîva imperituri," e costituiscono, attraverso l'ordine che si trova sotto di loro, il primo gruppo della prima Legione settenaria — il grande mistero dell'Essere umano cosciente ed intelligente. . . .
Il Quinto gruppo è molto misterioso, perché è collegato al pentagono microcosmico, la stella a cinque punte, che rappresenta l'uomo. — I, 218-19 ed. or.; pp. 172-73 online
Si suppone che il quinto gruppo degli Esseri celestiali contenga in sé gli attributi sia spirituali che fisici dell'Universo, i due poli, per così dire, di Mahat, l'Intelligenza Universale, e la natura duale dell'uomo, la spirituale e la fisica. Ecco perché il numero Cinque, che raddoppiato è divenuto dieci, lo collega con Makara, il decimo segno dello Zodiaco.
Il sesto ed il settimo gruppo condividono le qualità inferiori del Quaternario. Essi sono composti di Entità eteree, coscienti, invisibili come l'Etere stesso, che, simili a ramoscelli di un albero, spuntano dal primo gruppo centrale dei quattro, e a loro volta danno origine ad una quantità di gruppi collaterali, i più bassi dei quali sono costituiti dagli Spiriti della Natura o Elementali, di specie e di varietà infinite; da quelli senza forma e non sostanziali — i pensieri ideali dei loro creatori — fino agli organismi atomici, per quanto invisibili alla percezione umana. . . . La Gerarchia Celeste del presente Manvantara si troverà trasferita, nel successivo Ciclo di Vita, su mondi superiori più elevati e farà posto ad una nuova Gerarchia, composta dagli eletti della nostra umanità. L'Essere è un ciclo senza fine in seno all'Eternità Una ed Assoluta, Eternità nella quale si svolgono infiniti cicli interni, finiti e condizionati. Gli Dèi creati tali, non avrebbero alcun merito personale nell'essere Dèi. Creature simili — perfette solo in virtù della natura speciale immacolata che sarebbe loro inerente — di fronte all'umanità che lotta e soffre, e perfino di fronte alla creazione inferiore, sarebbero il simbolo di un'ingiustizia eterna, di carattere quasi satanico, ed un crimine onnipresente. Ciò è un'anomalia ed un'impossibilità nella Natura. Quindi i "Quattro" ed i "Tre" devono incarnarsi, come devono farlo tutti gli altri esseri. Inoltre, questo Sesto Gruppo rimane quasi inseparabile dall'uomo, il quale ne trae tutti i suoi princìpi ad eccezione del più elevato e del più basso, ossia del suo spirito e del suo corpo; poiché i cinque principi umani intermedi costituiscono l'essenza stessa di quei Dhyâni. Soltanto il Raggio Divino, l'Âtman, procede direttamente dall'Uno. Quando ci si domanda: Come è possibile tutto ciò? Come è possibile concepire che questi "Dèi" o Angeli, possano essere nel medesimo tempo le proprie emanazioni ed i loro sé personali? Avviene forse come nel mondo materiale, dove il figlio è, in un certo modo, il proprio padre, essendo il suo sangue, le ossa delle sue ossa e la carne della sua carne? A tali domande gli Istruttori rispondono: in verità, è così. Bisogna però penetrare a fondo il mistero dell'essere, prima di poter comprendere pienamente questa verità. — I, 221-22 ed. or.; pp. 172-3 online
Esaminando quindi queste sette classi di esseri, possiamo fare un'analogia con i sette principi dell'uomo o del cosmo, ed anche con i sette piani cosmici. Così, la prima delle classi superiori dei sette gruppi monadici corrisponde all'ātman nell'uomo o al paramātman nel cosmo; la seconda classe corrisponde all'ātman-buddhi nell'uomo o al mahā-buddhi del cosmo; e in maniera simile, troviamo, successiva nell'ordine seriale, la terza classe di monadi che corrisponde all'ātman-buddhi-manas nell'uomo; la quarta classe corrisponde all'ātman-buddhi-manas-kāma, e così via, percorrendo la scala verso il basso, fino a raggiungere la settima classe inferiore di monadi, corrispondente all'ātman-buddhi-manas-kāma-prāna, e al linga-śarīra più il corpo fisico o sthūla-śarīra.
Ora, mentre ciascuna di queste sette classi di monadi è un gruppo di per sé, che analogicamente corrisponde ad un piano cosmico, in realtà formano effettivamente e sono quel piano, nonostante sia evidente che ogni classe subordinata di monadi contiene in sé tutte le classi superiori — alla maniera in cui l'universo è srotolato verso il basso dal suo principio o piano cosmico superiore attraverso tutte le serie, costruendo così la struttura del cosmo. Ogni classe di monadi, sebbene sia essa stessa divisa in sette (o dodici) sottoclassi, come gruppo può essere considerata una famiglia individuale cosmica, composta da sette sottomembri; esattamente come un piano cosmico, considerato come un individuo, è esso stesso divisibile in un simile numero di sottopiani subordinati. Questa realtà della natura settenaria di ogni classe di monadi fornisce l'immensa e sorprendente varietà di monadi esistenti in qualsiasi classe.
Osserviamo ugualmente che, proprio come nello srotolarsi del piano cosmico (per formare la struttura composita dell'universo) o nell'emanazione dei sei principi inferiori dell'uomo dal suo ātman, ciascuno contiene in sé tutti i precedenti piani superiori; così allo stesso modo ognuna delle sette classi di monadi contiene in sé tutte le precedenti classi superiori.
Vi è nell'uomo una monade rappresentativa di ognuna delle sette classi monadiche, la loro unione lo mette quindi in contatto, o nell'inseparabile essenza della vita comune, non solo con tutti i sette piani cosmici, ma anche con l'intero settenario di questi gruppi monadici. Tuttavia l'uomo è autocosciente nel suo attuale stadio evolutivo su questo piano cosmico (per noi) inferiore. Ciò avviene perché la monade umana, o la sua essenza kāma-mānasica, è risvegliata all'autocoscienza su questo piano cosmico, e funziona autocoscientemente dall'alto nel suo terzo principio (o quinto dal fondo) o classe monadica.
Infine, come abbiamo detto, queste sette classi di monadi sono gli abitanti dei rispettivi sette piani cosmici. Ciascuno di tali piani (prendendo il più elevato come esempio illustrativo), a causa della sua natura subordinatamente settenaria della classe delle monadi che ne fanno parte, contiene non solo le monadi più evolute che gli appartengono per sviluppo evolutivo, ma ugualmente le monadi non sviluppate provenienti da quel piano superiore — a causa del loro karma nel manvantara — piano in cui cominciano il loro lungo viaggio evolutivo di eoni. Ciò si spiega con il fatto che questo piano cosmico superiore, o classe elevata di monadi, è esso stesso settenario, da un lato con il divino-spirituale, e dall'altro con la classe inferiore subordinata.
I seguenti paragrafi della Dottrina Segreta sono pieni di realtà occulte, anche se sfortunatamente molti studiosi le hanno interpretate talmente alla lettera da perdere la maggior parte degli intendimenti di H.P.B. Tenendo a mente le sette o più classi di monadi peregrine, essi arrivano quindi al riferimento di H.P.B. ad un "triplice schema evolutivo," e si meravigliano che non sia una contraddizione. Non vi è contraddizione di alcun tipo.
È chiaro adesso che nella Natura esiste un triplice schema evolutivo per la formazione delle tre Upadhi periodiche, o meglio, tre schemi separati di evoluzione che s'intersecano e si connettono inestricabilmente nel nostro sistema. Questi sono l'Evoluzione Monadica (o Spirituale), quella Intellettuale e quella Fisica. Questi tre sono gli aspetti finiti, o i riflessi sul campo dell'Illusione Cosmica, di atma, il Settimo Principio, la realtà unica.
1. L'Evoluzione Monadica, come la parola stessa indica, concerne la crescita e lo sviluppo in fasi sempre più elevate di attività, delle Monadi, in congiunzione con:
2. L'Evoluzione Intellettuale, rappresentata dai Manasa-Dhyani (i Deva Solari o gli Agnishvatta Pitri), "coloro che forniscono all'uomo l'intelligenza e la Coscienza" e:
3. L'Evoluzione Fisica, rappresentata dalle Chhaya dei Pitri Lunari, attorno alle quali la Natura ha plasmato il corpo fisico attuale. Questo corpo serve come veicolo per lo "sviluppo" (per quanto questa parola possa indurre in errore) e le trasformazioni attraverso Manas e mediante l'accumulo delle esperienze — del Finito nell'infinito, del Transitorio nell'Eterno ed Assoluto.
Ciascuno di questi tre sistemi ha le proprie leggi, ed è retto e guidato da gruppi diversi dei più elevati Dhyâni o Logoi. Ognuno di essi è rappresentato nella costituzione dell'Uomo, il Microcosmo del grande Macrocosmo; ed è l'unione di queste tre correnti che ne fa l'essere complesso che è ora. — I, 181 ed. or.; p. 148 online
Se consideriamo l'evoluzione dell'uomo attraverso le ere, è corretto dire che tutti i suoi sette principi e le sue varie monadi evolvono, così come è corretto dire che la sua evoluzione avviene come un "triplice schema evolutivo," cioè, il suo spirito evolve, la sua anima evolve, il suo corpo evolve. Nell'estratto appena citato si può notare che H.P.B. ha semplicemente diviso le sette classi monadiche in tre gruppi generali: (a) quelle monadi che sono tipicamente spirituali nello swabhāva e nella posizione sulla scala della vita; (b) quelle che sono, mediante swabhāva e uno sviluppo evolutivo, intellettuali o tipicamente mānasiche; (c) il gruppo che aggregativamente è composto di monadi più o meno completamente sprofondate nei regni materiali o fisici della natura.
Quindi, la costituzione umana è allora divisibile in tre gruppi monadici: una diade superiore, una diade intermedia, e una triade inferiore.[26] Le due classi superiori di monadi — quelle estremamente avanzate nella crescita spirituale — formano ciò che H.P.B. descrive come lo spirituale o il monadico, corrispondente alla diade superiore (ātma-buddhu) nella costituzione umana.
Il secondo gruppo, che corrisponde alla diade intermedia (manas-kāma) nell'uomo, comprende le due classi di monadi particolarmente manāsiche; e i deva solari inferiori, che sono gli spiriti lunari superiori. In altre parole, questi ultimi sono pitri agnishwatta di una classe inferiore, sebbene con caratteristiche solari, che sulla luna avevano evoluto monadi intellettuali di grado inferiore.
In terzo luogo, le tre classi monadiche del gruppo inferiore formano ciò che H.P.B. chiama il fisico, e corrispondono alla triade inferiore (vitale-astrale-fisica) nella costituzione umana. Queste tre classi consistono in parte di monadi tipicamente terrestri in quanto strettamente connesse, per destino karmico, al globo D della nostra catena planetaria, e in parte degli atomi di vita monadici trasudati o emanati dalla parte più bassa dei veli dei pitri lunari, atomi di vita che nel loro aggregato sono le 'ombre' o cchāyā o doppi astrali dei pitri lunari, proprio come il linga-śarīra dell'uomo è il suo doppio astrale.
Ora, quando i pitri lunari, durante il corso della loro crescita evolutiva come primi 'umani' su questo globo D nella presente ronda, si rivestirono di questi veli astrali — la densa effusione della propria vitalità emanata dall'uovo aurico — queste cchāyā o corpi astrali servirono come corpi 'fisici' originali del ceppo 'umano' nella prima razza-radice. Gli atomi di vita terrestri si riunirono intorno a queste cchāyā, e così furono d'aiuto nel processo di consolidamento del linga-śarīra 'umano' in quei periodi primordiali dell'evoluzione umana su questo globo durante questa quarta ronda. Ecco perché i nostri attuali corpi fisici o sthūla-śarīra sono le cchāyā concretizzate dei pitri lunari.
Vediamo che le tre upādhi periodiche menzionate prima sono i tre gruppi di monadi corrispondenti allo spirito, all'anima, e al corpo nell'uomo, e l'unione di questi tre flussi in lui lo rendono l'essere completo che è ora. Mentre "ciascuno di questi tre sistemi ha le proprie leggi, ed è governato e guidato da diversi gruppi di Dhyani o 'Logoi' più elevati," tuttavia nel nostro sistema essi sono "inestricabilmente interconnessi e mescolati in ogni punto."
Da quanto detto, la distinzione tra i pitri agnishwātta e i pitri lunari dovrebbe essere chiara. I pitri agnishwātta sono quelle monadi che nella precedente catena planetaria passarono da scintille divine non autocoscienti allo stato umano, e attraversando lo stato umano ottennero la divinità mānasica. D'altra parte, i pitri lunari, spesso chiamati barishad, sebbene in essenza deva solari proprio come gli agnishwātta, non hanno tuttavia raggiunto lo stato 'umano' sulla luna, ma lo hanno raggiunto nella nostra attuale catena planetaria — per cui i pitri lunari ora siamo noi umani.
Per la maggior parte dell'umanità questo evento ebbe luogo durante la terza razza-radice, quando i mānasaputra, i 'figli della mente,' risvegliarono le latenti facoltà intellettuali e psichiche, allora relativamente latenti, nel ceppo umano di quella razza-radice, perché il loro dovere karmico era di agire così. Questi mānasaputra o agnishwātta, da allora in poi continuarono la propria evoluzione nei loro regni, mentre i pitri lunari, stimolati o risvegliati in questo modo, proseguirono il loro corso evolutivo all'incirca dalla metà della razza-radice in poi come individui pensanti e autocoscienti.
Ogni monade, di qualsivoglia classe, e non importa quale possa essere il suo stato evolutivo in qualsiasi momento, è, nella propria essenza, una divinità o un dio non completamente manifestato. Quindi, avendo noi nella nostra costituzione queste diverse monadi, siamo esseri davvero compositi, essendo ciascuna di queste stesse monadi un'entità che apprende e cresce, destinata nelle ere future, se attualmente sono al di sotto dello stato umano, a diventare un uomo; e se sono al di sopra dello stato umano, a proseguire ancora di più verso l'alto.
In futuro, e seguendo la regola dell'azione della natura, saremo noi, alla fine della settima ronda, a diventare mānasaputra o agniswātta di una delle classi inferiori di questo gruppo; e, quando la nostra catena planetaria si reincarnerà ancora una volta, allora saremo noi a ricoprire il ruolo di illuminare o risvegliare queste monadi che ora, tra noi, ancora non si sono evolute verso lo stato umano, essendo attualmente i gruppi superiori degli animali.
Ho accennato al modo in cui i pitri lunari, durante la prima razza-radice su questo globo D durante questa quarta ronda, trasudarono, proiettarono cioè le loro ombre o cchāyā, che erano i loro corpi astrali, le forme vitali-astrali e quasi fisiche in cui essi si incarnavano. Questo trasudare significa semplicemente che i pitri lunari, nella loro evoluzione, avevano raggiunto il punto in cui i loro veicoli astrali erano più o meno completamente sviluppati, in modo che essi formarono effettivamente dei corpi attraverso e dentro i quali le monadi lunari agivano, esattamente come le nostre monadi umane oggi vivono ed agiscono attraverso e dentro i nostri corpi fisici. Una volta raggiunto questo stadio nell'evoluzione dei pitri lunari, e una volta che le loro cchāyā o corpi astrali erano divenute abbastanza concrete da manifestarsi nel mondo 'fisico,'da quel momento la materia e le forze terrestri di questo globo aiutarono queste cchāyā a svilupparsi. Tale processo continuò fino al punto mediano della quarta razza-radice — il punto più materiale possibile in questa quarta ronda. Da quel momento i nostri corpi si sono molto lentamente ma incessantemente eterealizzati, per cui noi della quinta razza abbiamo corpi meno grossolani di quelli degli Atlantiani, la quarta razza. Questo processo di etereizzazione dei nostri sthūla-śarīra proseguirà senza interruzione, in modo che, alla fine della settima razza-radice su questo globo D durante questa quarta ronda, i nostri corpi fisici, nella struttura e nell'aspetto, diventeranno simili ai corpi quasi astrali della prima razza-radice.
Quando H.P.B. parla dei doppi astrali trasudati o proiettati dai pitri lunari, usa quest'espressione grafica perché i veicoli astrali e fisici di un uomo sono più o meno doppi o riflessi di ciò che è l'uomo interiore. Così, i nostri corpi fisici altro non sono che i deboli riflessi di quello che noi, come esseri umani, realmente siamo. Ė del tutto sbagliato pensare che questa frase, i doppi astrali, significhi che i pitri lunari distaccarono da se stessi forme astrali che, così separate, si evolsero negli esseri umani.
Ora, come possiamo relazionare quanto detto prima all'affermazione nella Dottrina Segreta che sette gruppi di umanità apparvero simultaneamente?[27]
Riguardo l'evoluzione dell'umanità, la Dottrina Segreta postula tre nuove proposizioni, che sono in diretto antagonismo con la scienza moderna, come anche con i dogmi religiosi correnti. Essa insegna (a) l'evoluzione simultanea di sette gruppi umani in sette parti diverse del nostro globo; (b) la nascita del corpo astrale prima del fisico, poiché il primo fa da modello al secondo; e (c) che l'uomo, in questa Ronda, ha preceduto tutti i mammiferi — compresi gli antropoidi — nel regno animale. — II,1 ed. or.; p. 3 online
Questo si riferisce al fatto che l'evoluzione umana si è aperta su questo globo D in questa quarta ronda con l'apparizione simultanea, su sette diverse parti della terra che circonda il polo nord, di sette embrioniche 'umanità' astrali, che erano le sette classi dei pitri lunari. Da queste umanità originali, che formarono gli inizi della prima razza-radice su questo globo in questa ronda, vennero tutte le successive razze umane. Queste umanità astrali avevano le loro zone geografiche su quella che H.P.B. chiama "l'Imperitura Terra Sacra," il primo continente, che circonda ed include il polo nord e che si estende, come le foglie di un loto, dal polo verso sud, in sette diverse zone. Questi primordiali centri di vita o razze simultanee, erano distinte, come i sette globi della catena planetaria lo sono l'uno dall'altro. La dottrina esoterica insegna quindi un'origine poligenetica, e non monogenetica, per l'umanità.[28]
Vi sono, strettamente parlando, tre classi di pitri: tre arūpa o relativamente senza forma, chiamate la classe agnishwātta o kumāra, che erano esseri solari; e gli altri sette, i rūpa, coloro che hanno forma, che erano i pitri lunari. Di queste sette classi, le tre superiori erano anche relativamente arūpa, mentre le altre quattro erano distintamente rūpa. Furono i pitri lunari che, venendo su questo globo dal precedente globo C della nostra catena planetaria, apparvero — quando cominciò su questo globo l'ora dell'evoluzione umana — al polo nord nelle loro sette classi, risvegliando i śishta o semi dell'umanità lasciati su questo globo D quando era finita la precedente ronda, ere ed ere anteriori.
Non è affatto preciso definire queste sette umanità astrali come sette razze, perché il termine razze, in questo caso, potrebbe essere frainteso. Parlerei volentieri di esse come di sette umanità astrali a livello embrionale, ciascuna di loro essendo la produzione di una delle sette classi dei pitri lunari. Furono soprattutto le quattro classi inferiori di pitri lunari a dare a queste umanità originali la loro forma fisica.
Tale fu l'apertura del dramma dell'evoluzione dell'attuale umanità su questo quarto globo in questa quarta ronda. Da quel periodo in poi, le sette umanità astrali cominciarono il loro sviluppo evolutivo come prima razza-radice, e lo continuarono, ciascuna sulla propria zona, fino al momento in cui apparve la seconda razza-radice. Da quel momento le sette varie umanità originali si erano mescolate e ed erano scomparse come umanità individuali separate. Allora la prima razza-radice s'immerse nella seconda razza-radice e diventò tale. Già nella prima razza-radice, e fra le sette embrionali umanità astrali di quel periodo primordiale, apparvero sette gradi o differenze nello sviluppo evolutivo dall'umanità inferiore verso l'alto, fino alla più elevata, la settima, che già allora mostrava i primordi dell'uomo autocosciente e pensante.
Ora, queste sette umanità primordiali all'inizio erano molto più eteree di quanto lo fosse questo globo D sul quale apparvero, sebbene a quel tempo il globo fosse più etereo di oggi. Con l'eccezione di quei relativamente pochi che avevano raggiunto un certo grado di autocoscienza perché appartenevano alla classe superiore dei pitri lunari, la grande maggioranza di queste sette umanità primordiali era incosciente e quindi 'senza mente.' Erano corpi astrali più o meno concretizzati, proiettati dai pitri lunari: senza ossa, senza pelle, e senza organi interni come li conosciamo oggi. Erano uomini in embrione, in uno stato di coscienza che potrebbe essere paragonata solo a quello di un pesante sonno ad occhi aperti; ugualmente, non avevano senso morale, e di conseguenza non c'era alcun peccato tra di loro perché non c'era una mente cosciente ad immaginare il peccato ed a farlo. Moralmente, erano irresponsabili proprio come un bambino appena nato, sebbene l'analogia non sia del tutto rigorosa.
Ricapitolando: le sette umanità embrionali erano effettivamente i corpi astrali delle sette classi dei pitri lunari, le monadi lunari, di cui ciascuna classe era attratta dal karma verso la propria zona geografica. Comunque, furono soltanto le quattro classi inferiori dei pitri lunari a formare e modellare, proiettando le proprie ombre o corpi astrali, quelli che allora erano i corpi fisici di queste primordiali umanità.
Così è composto un uomo — composto dalla grandiosità divina di una galassia, dallo splendore solare dei mānasa-dhyāni, come pure dalle energie transitorie dei pitri lunari. Quale percorso abbiamo davanti a noi! Come umani siamo entità finite; la nostra fase umana non è che un evento limitato, un fenomeno transitorio nel campo della Durata eterna; come umani non ci siamo evoluti attraverso l'eternità. L'evoluzione è una delle leggi della natura, e l'evoluzione di per sé, considerata come un'idea astratta, è eterna; ma nessuna entità, nessuna cosa che esiste, è eterna!
Nel presente manvantara cosmico noi umani siamo scaturiti come semi di vita, scintille divine incoscienti, da qualche entità che ci aveva preceduto nell'evoluzione e di cui siamo la progenie, e in cui ci muoviamo, viviamo ed abbiamo il nostro essere. Poiché noi stessi, insieme ad altre entità, evolviamo nella divinità, anche noi emaneremo dal nostro essere scintille divine, cioè elementali che a loro volta cominceranno il lungo pellegrinaggio attraverso il manvantara successivo e alla fine raggiungeranno essi stessi la divinità.
Persino gli stessi dèi, a differenza dell'eterna Durata, non sono permanenti più di quanto lo siamo noi: un lampo di vita e se ne sono andati, ma per riemergere nel prossimo manvantara cosmico su un piano superiore. Noi, non come uomini, ma come essenza monadica dentro di noi, siamo i figli dell'Eternità, particelle dell'Illimitato. Cominciamo in questo manvantara cosmico una nuova esperienza di vita, un nuovo pellegrinaggio in sfere superiori e su piani più elevati, in un mondo più nobile di quello in cui si è manifestata l'essenza monadica nel precedente manvantara.
Per conoscere tutto su questo presente universo, questa presente gerarchia, dobbiamo attraversare ogni parte, da quella più spirituale a quella più materiale, ed elevandoci quindi lungo l'arco ascendente, ridiventare ciò che una volta eravamo, plus — e qui è il valore dell'evoluzione — tutto il frutto dell'esperienza ottenuta: il rafforzamento della fibra interiore, il portar fuori i tesori che stanno nel nostro essere essenziale.
La reincarnazione esemplifica l'idea. In una sola vita abbiamo la nostra esperienza, sviluppiamo qualche passo lungo il sentiero, tiriamo fuori qualcosa di ciò che è nascosto dentro di noi, ci prendiamo il nostro riposo devacianico, e poi cominciamo un nuovo periodo d'evoluzione — una nuova incarnazione sulla terra. Qui vediamo precisamente la stessa legge: un uomo, in una qualsiasi incarnazione, non si è evoluto per l'eternità. Lì egli è un nuovo evento, una nuova realizzazione, con il suo principio e la sua fine.
Quest'essenza monadica di ciascuno di noi è una cosa divina, è un eterno produttore, un'inesauribile sorgente di vita, intelligenza e coscienza, tutte sfaccettature diverse della stessa fondamentale coscienza-vita-sostanza.
Alla fine del precedente mahāmanvantara noi abbiamo concluso lì la nostra evoluzione come dhyāni-chohan, 'i signori della meditazione,' gli dèi, e siamo andati nel nostro paranirvana, il riposo cosmico, e abbiamo trascorso eoni in quel periodo, soltanto per riemergere di nuovo come scintille divine incoscienti nel nuovo stadio di vita, nella nuova gerarchia superiore — il figlio della precedente gerarchia, proprio come noi siamo i figli del nostro Sé.
E questi dhyāni-chohan, il frutto del manvantara anteriore, è ciò che ora chiamiamo il nostro dio interiore. Noi siamo lui, e tuttavia siamo diversi da lui. Scaturiamo da lui come un nuovo seme di vita individualizzata al principio di questo mahāmanvantara; ed è il destino di ciascuno di noi diventare un dio interiore per qualche futura monade psichica, emanando dal cuore di quel dio interiore nel prossimo manvantara cosmico. Io sono il mio dio interiore e tuttavia sono suo figlio.
[1] Vedi Fundamentals of Esoteric Philosophy, dove ho stilato la seguente tavola di essenze cosmiche equiparate ai tattwa brahmanici e ai paralleli della Mistica greca, ecc. Ognuna di queste tavole, comunque, è più o meno arbitraria, perché altre potrebbero essere tracciate con uguale cura da differenti punti di vista:
Linea Esoterica |
Tattwa Brahmanici |
Elementi |
Mistica Greca |
||
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|||||
1. Swabhavat | Ādi-tattwa | l'Uno | Primo Logos | Dhyanī-chohan | |
2. Ādi-buddhi o Ādi-Buddha |
Anupapādaka-tattwa | Spirito | Secondo Logos | ||
3. Dèi | Ākaśa-tattwa | Etere |
Dèi, Terzo Logos (Mahat) |
||
4. Monadi | Taijasa-tattwa | Fuoco | Daimones | ||
|
|||||
5. Anime | Vāyu-tattwa | Aria | Eroi | Pitri | |
6. Atomi | Āpas-tattva | Acqua | Uomini | ||
7. Corpi | Prithivī-tattwa | Terra | Bestie | ||
|
Mondo Elementale
8. _______________________________________________________
9. _______________________________________________________
10. _______________________________________________________
[2] Il seguente estratto è tratto dal Vishnu Purāna (I, ii, 27-40):
Nello stesso modo in cui il profumo influenza la mente solamente da vicino, e non per qualche immediata azione sulla mente stessa, così il Supremo influenzò gli elementi della creazione. Purushottama è sia l'agitatore che la cosa da agitare, poiché è presente nell'essenza della materia, sia quando si contrae che quando si espande. . . .
Allora dall'equilibrio di quelle qualità (Pradhána) che presiedono sull'anima procede lo sviluppo ineguale di quelle qualità (che costituiscono il principio Mahat o Intelletto) al tempo della creazione. Il Principio Primario allora riveste quel Grande Principio, l'Intelletto; e diventa triplice, poiché è influenzato dalla qualità del bene, della pienezza, o delle tenebre, ed è rivestito dal principio Primario (la materia) come il seme lo è dalla sua buccia. Dal grande principio (Mahat) dell'Intelletto è prodotto il triplice Egotismo (Ahamkára), denominato Vaikárika, il 'puro;' Taijasa, 'il passionale;' e Bhútádi, il 'rudimento,' l'origine degli elementi (sottili) e degli organi dei sensi; rivestito dall'intelletto in conseguenza delle sue tre qualità, perché l'Intelletto è il principio Primario. L'Egotismo Elementare allora diventò produttivo, come il rudimento del suono prodotto dall'Etere, la cui caratteristica è proprio il suono, rivestendolo del suo rudimento del suono. L'Etere, diventando produttivo, generò il rudimento del tatto, da cui ebbe origine il forte vento, la cui proprietà è il tatto; e l'Etere, con il rudimento del suono, sviluppò il rudimento del tatto. Allora il vento, diventando produttivo, produsse il rudimento della forma (il colore), da cui provenne la luce (o fuoco), di cui la forma (colore) è l'attributo; e il rudimento del tatto sviluppò il vento con il rudimento del colore. La luce, divenendo produttiva, produsse il rudimento del gusto, da cui derivarono tutti i succhi in cui dimora il gusto; e il rudimento del colore investì i succhi con il rudimento del gusto. Le acque, diventando produttive, generarono il rudimento dell'olfatto, da cui ha origine un aggregato (la terra), che è la proprietà dell'olfatto. In ogni diverso elemento dimora il suo particolare rudimento; perciò, la proprietà di tanmátratá (tipo o fondamento) è da ascriversi a questi elementi . . .
Quindi, etere, aria, luce, acqua, e terra, separatamente uniti con le proprietà del suono e del riposo, esistevano distinti secondo le loro qualità, come riposante, terrificante, o stupefacente, ma, possedendo varie energie ed essendo indipendenti, non potevano, senza delle combinazioni, creare esseri viventi, non essendo mescolati l'un l'altro. Essendosi quindi mescolati reciprocamente, assunsero, tramite la loro mutua associazione, il carattere di una massa compatta ed unitaria; e sotto la guida dello spirito, con la sottomissione del Principio compatto, l'Intelletto ed il resto, inclusi gli elementi grossolani, formarono un uovo, che gradualmente si espanse come una bolla d'acqua . . . In quell'uovo, O Brahman, c'erano i continenti e i mari e le montagne, i pianeti e le divisioni dell'universo, gli dèi, i demoni, e l'umanità. E questo uovo fu esternamente rivestito da sette involucri naturali: cioè da acqua, aria, fuoco, etere, e Ahamkára, l'origine degli elementi, ciascuno dieci volte la misura di ciò che esso ha rivestito; in successione venne il principio dell'Intelligenza, ed infine tutto l'insieme fu circondato dal Principio compatto, rassomigliando così alla noce di cocco, internamente riempita dalla polpa ed esternamente coperta da buccia e scorza.
[3] Popolarmente si dice che le silfidi o spiriti della natura atmosferica, gli elementali vāyu, siano estremamente pericolose per l'uomo, perché sono su di un piano che ha una stretta ed intima corrispondenza con il campo kāmico del mondo astrale. Gli gnomi, o elementali prithivī, sono meno pericolosi perché troppo pesanti. Le ondine, o esseri elementali di āpas-tattwa, sono ancora meno pericolose perché non sono così evolute come le silfidi. Gli elementali del fuoco o salamandre, gli esseri nati dal taijasa-tattwa, sono ugualmente non pericolosi perché, sebbene più evoluti delle silfidi o elementali vāyu, non sono intimamente connessi ai campi manāsici del mondo astrale.
[4] Vedi La Dottrina Segreta, I, 294, ed. or., nota a piè di pagina; p. 224 online:
"Il significato di ciò è che, siccome l'uomo è composto da tutti i Grandi Elementi — Fuoco, Aria, Acqua, Terra ed Etere — gli elementali che appartengono rispettivamente a questi Elementi sono attratti dall'uomo a causa della sua stessa essenza. L'Elemento che predomina in una costituzione sarà dominante in tutta la vita. Ad esempio, se l'uomo ha una preponderanza dell'Elemento terrestre e gnomico, gli gnomi lo porteranno ad assimilare i metalli — denaro, ricchezze, ecc."
[5] Come ad esempio la leggenda mistica Undine, del Barone de La Motte-Fouqué.
[6] Il tipo di manvantara al quale si fa riferimento è il manvantara solare che, comunque, è un termine ambiguo. Come puntualizzato altrove, il termine manvantara solare ha due applicazioni: la prima, all'intero ciclo di vita del nostro sole, e quindi dell'intero sistema solare — di solito definito mahāmanvantara; e la seconda, al ciclo di vita di una singola catena planetaria, che è ugualmente chiamato un manvantara solare, per la ragione che ciascun ciclo di vita, quando comincia il suo corso, entra su un nuovo sottopiano cosmico e, di conseguenza, un nuovo sole, per così dire, appare per ogni manvantara della catena planetaria.
[7] On the Timaeus of Plato, Vol. I, Libro III, p. 246: Thomas Taylor, Londra, 1820. [Il Timeo di Platone, Libro III.]
[8] Nella tavola tratta da Fundamentals of the Esoteric Philosophy [vedi nota a piè di pagina nel capitolo 'L'Evolversi degli Elementi Cosmici'] mi riferivo al taijasa-subtattwa, quella parte del vāyu cosmico che chiamiamo vāyu-taijasa; e, ugualmente, al vāyu-subtattwa, quella parte del taijasa cosmico che potremmo chiamare il taijasa-vāyu. Ad esempio, un uomo può appartenere per caratteristiche karmiche al taijasa-tattwa, ma passare attraverso il suo stadio vāyu, il taijasa-vāyu, e possiamo dire che per il momento egli è un individuo vāyu. In questa tavola stavamo prendendo in esame i tattwa nell'ordine seriale del loro dispiegamento cosmico, da quello meno materiale al più materiale, e quindi taijasa precedeva vāyu, perché il fuoco, anche sulla terra, è più etereo dell'aria. Ma vi sono altri modi di considerare l'espansione dell'universo fuori dalla sua sostanza interiore.
[9] Esoteric Section Instructions, I, ed. or.; La Dottrina Segreta, Vol. III, p. 291 online.
[10] I, 153, 172 ed. or.; pp. 212 e 234 online.
[11] Vedi Studies in Occult Philosophy, pp. 56-62 e 94-101.
[12] La Dottrina Segreta, I, 187-9 ed. or.; p. 232 e seguenti online: 'Ulteriori Fatti e Spiegazioni relativi ai Globi e alle Monadi.' Le Lettere dei Mahatma, pp. 86-8 ed. or.; p. 74 online.
[13] Vedi La Dottrina Segreta, I, 200 ed. or.; p. 141 online.
[14] Un termine sanscrito che significa i tre mondi, spesso usato per i tre dhātu. Le corrispondenze fra il trailokya e le parti simili della costituzione umana sono mostrate dai trikāya, o tre veicoli, vale a dire, contando dall'alto verso il basso, il dharmakāya, il sambhogakāya, e il nirmānakāya. L'arūpa, o dharma-arūpa, in genere corrisponde al dharmakāya nell'uomo, il rūpa-dhātu al sambhogakāya; e il kāma-dhātu al nirmānakāya (e al corpo fisico) dell'essere umano. Tutti questi tre kāya o veicoli sono parte integrante della costituzione di un uomo, e attraverso l'iniziazione si può imparare a vivere coscientemente in uno qualsiasi dei tre, sia durante la vita che dopo la morte. Andrebbe notato, comunque, che l'aspetto supremo del dharmakāya è nirvanico, e quindi si dice spesso che il nirvani vive nel dharmakāya.
[15] La Dottrina Segreta, I, 200 ed. or.; p. 141 online.
[16] The Letters of H. P. Blavatsky to A. P. Sinnett, pp. 252-53 ed. or. [Le Lettere di H. P. Blavatsky ad A. P. Sinnett, p. 193 online.]
[17] The Letters of H. P. Blavatsky to A. P. Sinnett, p. 249; [Le Lettere di H. P. Blavatsky ad A. P. Sinnett, p. 191 online.]
[18] Potrebbe non essere facile afferrare queste affermazioni complicate e paradossali riguardo al fatto che l'evoluzione, sebbene proceda, per così dire, lungo una linea retta dal suo inizio fino alla conclusione del manvantara, lavorando così nella serie gerarchica, e attraverso di essa, di loka e tala, tuttavia, considerato come un processo, ha la sua manifestazione più grossolana e rozza nel punto mediano di questo progresso seriale — nella quarta fase, sia dei loka e tala che dei globi.
Ho più volte sottolineato che il quarto di una serie, come il quarto principio nell'uomo, è il più grossolano. Su una linea esattamente analogica, il più grossolano dei sette globi manifestati è il quarto, il nostro globo D; e anche la quarta razza, gli Atlantiani, era la più grezzamente materiale del nostro attuale manvantara razziale su questo globo durante questa quarta ronda. In altre parole, la prima, la seconda e la terza razza-radice, declinarono progressivamente lungo l'arco discendente, e l'onda di vita raggiunse il suo culmine di grossolana materialità animale nella quarta razza-radice. Da allora abbiamo cominciato l'arco ascendente, per cui noi della presente quinta sottorazza sperimentiamo una costante, anche se lenta, eterealizzazione, e anche la spiritualizzazione di noi stessi, come pure della natura circostante.
Come ho affermato prima, l'evoluzione, considerata come un processo, si muove costantemente in avanti, emanando incessantemente dall'interno le monadi evolventi ivi latenti, in modo che l'acme della perfezione evolutiva sia raggiunta nel settimo stadio che, proprio a causa dell'evoluzione, chiamiamo il più elevato. Tuttavia, quando consideriamo questo corso evolutivo dal punto di vista del 'cadere nella materia,' cioè dal punto di vista delle densità che cambiano, vediamo che il quarto stadio è dove ha luogo la fase evolutiva più grossolana e più densa. Applicando questa regola al viaggio delle monadi attraverso i loka e i tala, vediamo che raggiungiamo il culmine della fioritura evolutiva degli attributi e facoltà nei sottopiani superiori del bhūvarloka-pātāla, che sono realmente semispirituali — ad ogni modo altamente eterei; ma prima di raggiungere questo settimo stadio dobbiamo passare attraverso il più grossolano e grezzo degli stati 'animali' dei loka e tala, il maharloka-rasātala.
[19] I campi, o distanze individuali, dei pianeti l'uno dall'altro, non sono costruiti come lo sono le unità astronomiche; i riferimenti sono mistici, non spaziali.
[20] Questo è ciò che K.H. definiva come "immortalità paneonica" nelle Lettere dei Maestri, pp. 129, 131 ed. or.; p. 103 online.
[21] La Dottrina Segreta, II, 80 ed. or.; p. 54 online.
[22] Qui sto usando questi termini sanscriti nel loro significato strettamente etimologico, quindi in un modo alquanto diverso da quello impiegato dalle due scuole hindu di Filosofia Atomica — la Nyāya e la Vaiśeshika — che hanno attribuito a queste parole un loro specifico significato.
[23] La Dottrina Segreta, I, 610-34 ed. or.; p. 460-477 online.
[24] Sarebbe un errore immaginarsi la Monade quale un'Entità separata che percorra lentamente la sua via su un sentiero distinto, attraverso i regni inferiori e che, dopo una serie incalcolabile di trasformazioni, sbocci in un essere umano; come se, per esempio, la Monade di un Humboldt derivasse dalla Monade di un atomo di anfibola. Invece di dire una "Monade Minerale", sarebbe stato più giusto usare la fraseologia più esatta della scienza fisica che differenzia ogni atomo, e chiamarla invece "la Monade che si manifesta in quella forma di Prakriti denominata il regno minerale". — La Dottrina Segreta, I, 178 ed. or.; p. 146 online.
[25] Dobbiamo ricordare che H.P.B. scriveva per lettori laici; e questo giustifica i molti e vari racconti quasi esoterici che lei derivava dalle letterature mondiali. Per chi non ha studiato la religione e la filosofia comparate, la ricchezza del materiale da lei citato a supporto della sua affermazione che queste monadi si trovano menzionate nelle diverse letterature mondiali, questi passaggi appaiono estremamente complicati, e molte menti li interpretano quasi come un guazzabuglio. Così lo studioso, a meno che non segua rigorosamente la linea di pensiero di H.P.B., ritroverà la sua mente a vagare qua e là; e questa è una delle ragioni per cui queste pagine sono state così male interpretate, o giudicate da qualcuno come incomprensibili.
[26] Vedi Fundamentals of the Esoteric Philosophy, cap. XLVI.
[27] I commenti dell'autrice su tale questione furono pubblicati in seguito in Studies in Occult Philosophy, pp. 260-2.
[28]Essa non insegna la discesa dell'umanità da una singola coppia, da Adamo ed Eva. La storia ebraica non si riferisce realmente ad un uomo chiamato Adamo e a una donna di nome Eva, originariamente una costola del corpo di Adamo, ma un modo generalizzante di parlare della prima umanità — che non significa la prima razza-radice, ma la metà della terza razza-radice su questo globo in questa ronda. La costola è un riferimento alla separazione dell'umanità androgina di quel periodo in due sessi; e la 'costola' è solo una traduzione del termine ebraico, che significa un 'fianco' o una 'parte.' Questo racconto ricorda una delle narrazioni mistiche e quasi storiche di Platone nel suo Simposio (190) dove egli definiva l'umanità primordiale come di forma sferica, forte e possente, ma malvagia nel carattere e nell'ambizione, per cui Zeus, allo scopo di frenare la loro tendenza al male e diminuirne la forza, tagliò questi esseri in due, proprio come chi taglierebbe un uovo con un capello.