La Sorgente Primordiale dell'Occultismo — G. de Purucker

Sezione 12

La Morte e le Circolazioni Del Cosmo — II

LA NATURA E LE CARATTERISTICHE DEL DEVACHAN

Perché si dovrebbe supporre che il devachan sia una condizione monotona solo perché qualche momento di sensazione terrena è perpetuato per un tempo indefinito — è prolungato, per così dire, per eoni? Non è vero, non può essere vero. . . .
Perciò — come potete pensare che "per la perpetuazione sia scelto solo un istante della sensazione terrena?" È vero che "quell'istante" dura dal principio alla fine, ma solo come la nota fondamentale di tutta l'armonia, come tono definito ed apprezzabile attorno al quale si affollano e si sviluppano, in variazioni progressive di melodia e come infinite variazioni sul tema, tutte le aspirazioni, i desideri, le speranze ed i sogni che, in relazione a quel particolare "istante," avevano attraversato il cervello del sognatore durante la vita senza potersi realizzare sulla terra, e che ora egli trova pienamente realizzati nel devachan in tutta la loro intensità, senza sospettare che tutta quella realtà apportatrice di gioia non è che la prole generata dalla propria fantasia, gli effetti delle cause mentali prodotte da lui stesso. L'istante particolare che sarà più intenso e predominante nei pensieri del cervello morente nell'ora della separazione regolerà naturalmente tutti gli altri "istanti." — Le Lettere dei Mahatma, pp. 191-2 ed. or.; pp. 146-7 online

Una delle leggi della natura è che un'entità non può continuare ad essere la stessa per sempre, perché è trasformando l'imperfetto nel perfetto che noi cresciamo; e la morte è proprio una simile trasformazione. Il bambino deve morire per diventare un uomo, e l'uomo deve morire frequentemente per diventare un dio. Vi sono molte cose meravigliose intorno a noi di cui siamo consapevoli per tutto il tempo, e tuttavia sono così comuni che non ne traiamo le necessarie deduzioni. Se il seme non muore, la pianta non può venire in esistenza. Se l'uomo non muore, non può sperimentare quelle condizioni post-mortem del pensiero e della coscienza che appartengono al suo essere interiore, allo spirito celeste che egli è nella propria essenza.

La morte è la cosa più familiare in natura, ma è la più temuta perché la meno compresa. Noi tutti siamo entrati nella vita attraverso la porta della nascita, e poiché essa è già avvenuta, non abbiamo paura della nascita. Ma guardiamo con apprensione verso il giorno in cui passeremo attraverso il solenne cambiamento della morte e saremo liberi.

Dopo la morte andiamo ad essere esattamente come siamo stati durante la vita. Se abbiamo vissuto una vita dignitosa, saremo un'entità dignitosa dopo la morte; e se abbiamo vissuto come bestie, allora andremo ad essere un'entità bestiale, e dovremo prendere ciò che viene per noi. Non andiamo ad essere salvati dalle conseguenze della nostra ultima vita, né ad essere dannati eternamente. Non vi è cielo, non vi è inferno, nel vecchio senso teologico. Ma vi sono stati post-mortem di vari tipi, quasi numerosi all'infinito; e a causa delle procedure armoniose della natura nessun essere umano potrebbe mai morire ed essere attratto da una condizione o luogo ai quali egli è inadatto. Non sarà creato nessun miracolo per noi alla nostra morte. Nessuna cosa innaturale, sia buona che cattiva, ci accadrà; nulla può accadere fuori dalle infallibili leggi della natura dell'universo. Un uomo va nei particolari loka o tala nei mondi interiori che durante la sua vita sulla terra ha ritenuto adatti da abitarci temporaneamente. Egli crea da solo il proprio destino post-mortem: buono, cattivo, o indifferente.

Quando sopraggiunge la seconda morte, per la natura intermedia dell'uomo vi è la liberazione dai legami, e lo spirito-anima ritorna ai suoi regni nativi, con la natura intermedia che resta in lui, sottoponendosi ad un processo di recupero spirituale, di assimilazione e assorbimento mentale delle lezioni imparate nella vita appena vissuta. Come il corpo fisico ricostruisce le sue energie durante il sonno, così la natura intermedia dell'uomo ha ugualmente il proprio 'sonno' o devachan dopo ciascuna incarnazione. Poiché gli stati della coscienza dell'entità disincarnata sono molteplici e vari, il devachan può considerarsi come una 'scala' gerarchica che corre verso il basso, dagli stati più spirituali a quelli meno spirituali, per poi riemergere impercettibilmente nei reami superiori o più eterei del kāma-loka.

La morte è un gettare via limiti e catene, un abbandono dei corpi uno dopo l'altro, ciascuno essendo più etereo dell'ultimo. La parte più spirituale dell'ego reincarnante si libera dei corpi eterei della costituzione interna dell'uomo e, entrando nel suo genitore divino, il cuore dell'essenza monadica, prosegue le sue peregrinazioni attraverso i pianeti sacri, oltrepassando alla fine i portali del sole verso regni e sfere di gloria indicibile.

In quanto alla stessa scintilla divina, è realmente sempre libera, anche durante la vita, tranne che per la connessione con i vari veicoli attraverso i quali lavora. È il fuoco centrale che illumina nel cuore dell'essenza spirituale dell'uomo, ed invia semplicemente il suo splendore verso il basso, avvolgendolo, velo dopo velo, finché il tipo di quel raggio discendente tocca il cervello fisico dandogli luce e vita.

Il devachan, inteso come una serie di stati di coscienza, non è in alcun senso un loka o un particolare mondo o sfera. È nella stessa categoria degli stati ancora più sublimi della coscienza chiamati nirvana e, nella direzione opposta, avīchi, che è anche una serie di condizioni della coscienza degli esseri che vi dimorano. Possiamo immaginare una scala o una continuità di stati della coscienza dei quali ogni gradino è uno stato; e possiamo dividere questa scala in tre parti distinte. La superiore è il nirvana e, poiché vi sono molti tipi di nirvanī, possiamo dividerla in sette o anche dieci gradini o condizioni. La seconda parte possiamo chiamarla il devachan, a sua volta divisibile in una serie di stati della coscienza.[1] Al di sotto di esso vengono le sette o dodici condizioni di coscienza di avīchi.

Queste tre parti della scala onnicomprensiva della coscienza si fondono l'una nell'altra, cosicché la condizione inferiore del nirvana s'immerge in quella più elevata del devachan; e, ugualmente, lo stato devacianico più basso passa impercettibilmente nella condizione superiore della coscienza nel kāma-loka; e ancora, lo stato più basso della coscienza del kāma-loka si mescola con lo stato più elevato di avīchi. Ora, il significato dell'inclusione del kāma-loka negli stati di coscienza della serie va inteso nel senso che è anche una serie di loka.[2] Sto parlando qui degli esseri in kāma-loka, i cui stati di coscienza, come una classe, formano il legame tra le condizioni di avīchi e la coscienza superiore in devachan, in cui le entità del kāma-loka passano quando la loro coscienza non è più trattenuta nel kāma-loka.

Il devachan è un periodo di fioritura spirituale ed altamente intellettuale delle energie immateriali che non poterono trovare un'adeguata espressione personale durante la vita. Queste energie producono il loro effetto sulla fabbrica del carattere dell'entità sognante che le sperimenta e quindi le assimila ed elabora. Infatti, queste espansioni spirituali ed intellettuali della coscienza modellano e modificano il carattere dell'ego disincarnato anche più di quanto faccia la vita sulla terra. Sotto questo aspetto, quindi, la vita può essere vista come un 'mondo di cause,' mentre il devachan è un 'mondi di effetti.'

La condizione devacianica, per l'essere umano ordinario che ha vissuto un'encomiabile vita di aspirazioni e di morale, è di una bellezza spirituale e mentale, e di pace. Ogni suprema aspirazione e desiderio insoddisfatto di fare del bene trovano la loro opportunità di manifestarsi nella sua coscienza, per cui il suo devachan è riempito da una glorificazione di quanto di più nobile egli aveva sperato di fare sulla terra — coinvolgendo infinite variazioni sui temi fondamentali del pensiero, su cui lavorano le facoltà creative dell'ego. Vi è progresso per l'ego in devachan? Dipende dal significato che diamo al termine. Se lo pensiamo come un processo di graduale assimilazione ed elaborazione di tutto quello che l'entità ha sperimentato e raccolto nella propria coscienza durante la vita sulla terra, allora possiamo dire che negli stati devacianici vi è 'progresso.'[3] Ma se per progresso intendiamo il progresso evolutivo della facoltà e del suo uso, e che il devachan è una sfera di cause spirituali originanti che prima o poi stimolano l'entità ad un'ulteriore evoluzione, allora non c'è alcun progresso.

La ragione per cui alcune sfere sono state chiamate le sfere delle cause, ed altre le sfere degli effetti, è dovuta alla differenza tra le azioni della volontà e del pensiero instaurate da un'entità settupla, come un uomo completamente incarnato, e lo stato di sogno di un devacianī, che è soltanto un essere triplice — formato dalla diade superiore più l'aroma o fioritura spirituale, mentalmente e psichicamente parlando, dell'uomo che fu. Assume un'entità pienamente settenaria per diventare un reale creatore degli effetti nel proprio mondo che, per quanto concerne l'entità, è la sfera delle cause. Lo stesso ruolo si applica agli esseri di uno qualsiasi di tutti i piani, e a qualsiasi località, visibile ed invisibile, nel cosmo. Dovunque agisca o viva un'entità settenaria o duodenaria, quella sfera è per lui il proprio mondo delle cause, e quando è finito il termine della sua incarnazione, il suo periodo di riposo diventa il suo mondo degli effetti.

È chiaro che la coscienza umana, avendo la gamma di una costituzione settuplice, agisce quindi in una sfera più estesa di quella in cui è limitata dall'illusione del sogno della monade umana che dorme in devachan. In altre parole, quando vive sulla terra — anche se siamo nella māyā dell'esistenza incarnata — abbiamo la scelta di venire in contatto con il nostro sé creativo spirituale e mānasico. Come entità settenarie noi possiamo, se lo vogliamo, liberarci della māyā e funzionare in ogni parte della nostra costituzione come un essere completo causante, intellettualmente risvegliato. D'altro lato, il devacianī è solo un'entità triplice; e poiché la maggior parte delle nostre esperienze devacianiche sono māyāviche, per l'ego che sogna esse sono perfette illusioni ed hanno quindi l'apparenza della realtà, per cui si compiace di aver raggiunto meravigliosi risultati.

Infatti, i sogni devacianici sono incomparabilmente più reali di qualsiasi cosa i nostri sensi imperfetti possano segnalarci, perché l'ego umano che li sperimenta vive nei regni del pensiero puro e della coscienza spirituale, dove niente offusca la cognizione sognante che i suoi ideali e le aspirazioni più nobili si realizzano. Da ciò ne consegue che il devachan non è una sfera oggettiva, ma in ogni caso è una condizione individuale della coscienza, che corrisponde esattamente al flusso dominante della coscienza dell'uomo durante la sua vita incarnata.

Così, l'ego reincarnante in devachan seguirà nella sua coscienza quelle particolari tendenze di pensiero e sentimento spirituale ed intellettuale che furono molto dominanti ma che avevano una minima possibilità di realizzarsi nella vita appena finita. Ma come gli stati devacianici sono condizioni di riposo e beatitudine senza la più piccola possibilità di sofferenza o miseria, tutti i 'sogni' dell'ego sono del tipo più possibile elevato ed estaticamente bello per le energie innate della coscienza allora attiva.

Una delle più grandi illusioni a cui crede l'umanità di oggi è la nozione che quando coloro che amiamo muoiono, noi abbiamo perduto il contatto con loro; e anche i molti che credono che incontreranno nuovamente i loro cari in una vita futura sulla terra, si ritrovano sotto la stessa illusione. Ora, è davvero enfaticamente falso che lo spirito possa mai ritornare per comunicare con i viventi in una maniera qualsiasi. Al di là della crudele possibilità sia per i morti che per i vivi, e del tono di questa idea eccessivamente materialistica, dovrebbe essere chiaro che uno spirito disincarnato non può in nessun momento e in nessuna circostanza 'discendere' sulla terra. Dopo la morte, e dopo i vari processi di rigettare i rivestimenti prānici nel kāma-loka, l'ego umano risorge nel suo riposo devacianico, e da quel momento in poi non può essere toccato da nessuna cosa, tranne da ciò che apparteneva al proprio carattere o tipo spirituale superiore. Ed è proprio in quest'ultima frase che sta la ragione per cui non dobbiamo mai pensare di perdere tutta la comunione spirituale con coloro che abbiamo amato, perché le parti più elevate del nostro essere possono ad ogni momento, mediante la simpatia vibratoria, congiungere le proprie vibrazioni con quelle del devacianī, e diventare così temporaneamente uno con lui. Come scrive H.P.B. ne La Chiave della Teosofia:

Noi siamo con coloro che abbiamo perduto nella forma materiale, e molto, molto più vicini adesso di quanto lo fossimo quando loro vivevano. E non è solo nella fantasia del Devacianī, come qualcuno potrebbe immaginare, ma nella realtà. Poiché il puro amore divino non è solo la fioritura del cuore umano, ma ha le sue radici nell'eternità.

Potrei aggiungere che se c'è veramente un amore spirituale, non vi è nemmeno bisogno di qualche sforzo per comunicare con chi è deceduto, perché un tale amore impersonale arriverà al devacianī, e convincerà interiormente l'individuo sulla terra che il legame non si è spezzato.

Il devacianī è protetto dalle leggi della propria natura. Niente di ciò che è terreno può raggiungerlo, perché il velo ākāśico in cui l'entità devacianica è avvolta, come il bozzolo della farfalla non ancora nata, lo protegge dall'intrusione di qualsiasi cosa al di sotto dell'altezza della sua coscienza. È solo l'amore spirituale che può innalzarsi alla comunione interiore con coloro che ci hanno preceduto. Comunque, sono seriamente convinto che sia molto meglio non tentare nemmeno di entrare in comunione con il devacianī, perché pochissimi di noi hanno un amore a carattere puro e santo da essere adatto, o anche capace, di ascendere all'elevato livello dell'impersonalità.

Il devacianī è sotto la sorveglianza di entità spirituali, i propri maestri della natura, e nessun umano, per quanto elevato sia il suo grado, si dovrebbe intromettere; e, in verità, più elevato è il grado, minore è l'impulso di trasgredire il sacro mistero del devachan.


LA DURATA DEL PERIODO DEVACIANICO

Nel Devachan non vi sono né orologi né pendoli … sebbene in un certo senso tutto il Cosmo sia un gigantesco cronometro. Nemmeno noi mortali — ici bas même — badiamo molto al tempo nei periodi di felicità e di gioia, né li troviamo troppo brevi, un fatto che non c'impedisce di godere ugualmente quella felicità — quando giunge. Non avete mai pensato alla piccola possibilità che, forse, il "devaciani" perde "ogni senso del passare del tempo" proprio perché la sua coppa della felicità è colma fino all'orlo, cosa che non provano coloro che giungono nell'Avitchi, sebbene anch'essi non s'accorgano del tempo — vale a dire dei calcoli dei periodi di tempo che facciamo sulla terra? A questo riguardo posso anche ricordarvi che il tempo è una cosa creata completamente da noi … Le similitudini finite non sono adatte ad esprimere l'astratto e l'infinito; e l'oggettivo non può mai riflettere il soggettivo. Per comprendere la beatitudine del Devachan o l'orrore dell'Avitchi dovete assimilarli — come facciamo noi. — Le Lettere dei Mahatma, pp. 193-94 ed. or.; Lettera 25, p.148 online

In occultismo c'è una legge basata interamente sulle operazioni della natura: normalmente, l'entità umana non si reincarna meno di cento volte il numero degli anni vissuti sulla terra. Si dice che la durata della vita comune oggi sia all'incirca di quindici anni, ma questa è solo una media statistica,[4] e naturalmente vi sono milioni di persone che vivono e sono più vecchie, e il loro periodo devacianico sarà quindi corrispondentemente più lungo. Tuttavia, il devachan di ogni ego è individuale, sia riguardo al carattere che alla durata di tempo. Alcuni esseri umani sono in devachan per più di 1500 anni, mentre altri con una disposizione e attributi fortemente materialistici hanno forse un devachan soltanto di qualche centinaio di anni.[5]

Può sembrare una perdita di tempo passare così tanti anni nel devachan: ma, come dato di fatto, vi sono centinaia di migliaia di esseri umani intorno a noi che sono in uno stato semi-devacianico, così pieno di sogni ad occhi aperti, che li giudichiamo individui poco pratici, sognatori, visionari, ecc. Il motivo di questo stato sta nel desiderio dei germi dormienti del carattere a ritornare sulla terra, un desiderio che si risveglia prematuramente nel devachan come germi dell'impulso, del pensiero e della passione, abbreviando quindi il tempo devacianico prima che abbia raggiunto il suo completo termine karmico. Sogni vaghi della gloria che fu sperimentata rimangono così con l'ego reincarnante; e secondo il grado in cui la mente-cervello è influenzata da questi ricordi, l'entità è ancora in devachan. Questa condizione non è positiva, perché tali uomini non sono pienamente risvegliati e il loro parziale stato devacianico impedisce all'ego reincarnante di valutare le sue opportunità di crescere ed espandersi mentre è sulla terra. Dovremmo sbarazzarci della tendenza a sognare la nostra vita, essendo spiritualmente e mentalmente attivi con la volontà, e aspirando ad essere sempre più nobili. Il semplice studio dei libri, pur essendo a modo suo apprezzabile, non è sufficiente. È la natura spirituale che dovrebbe essere coltivata in ogni circostanza, anche negli intricati affari dell'esistenza umana.

Vi sono ugualmente individui che vivono sulla terra, anche se decisamente molto pochi, che realmente sono in uno degli stati più elevati di avīchi — che sono, per così dire, ossessionati da 'sogni' continuamente ricorrenti di sofferenza ed orrore. E, per contrasto, vi sono sublimi esseri umani che, pur stando in un corpo, sono in uno o più piani inferiori del nirvana; ma questi sono molto rari.

L'uomo ordinario, se per qualche atto magico potesse evitare il devachan, ritornerebbe probabilmente sulla terra come un semi-idiota, perché la sua natura intermedia sarebbe così stanca e la sua energia esaurita, che egli sarebbe proprio come chi è stato per tanto tempo senza dormire da essere in una condizione di esaurimento fisico e torpore mentale. Nondimeno, ogni neofito il cui anelito spirituale è di dedicarsi ai grandi lavori della Gerarchia di Compassione, è aiutato in ogni modo possibile per evolvere rapidamente, cosicché il devachan diventa sempre più breve ad ogni incarnazione; e alla fine egli raggiunge il punto in cui il devachan non è veramente necessario — tranne che per brevi periodi. Ma anche i più progrediti devono avere almeno una tregua e l'oblio per il recupero psicologico e mentale; viene il momento in cui la costituzione interiore non può più sostenere lo sforzo.[6]

Il devachan è il rigoroso risultato matematico del proprio stato spirituale al momento della morte. Più l'uomo è spirituale, fino a un certo punto, e più lungo è il suo devachan; più materialista egli è, più breve è il devachan. Vi è un modo, comunque, in cui il devachan può essere molto abbreviato: la via dell'impegno, della rinuncia del sé nella causa dei Buddha di Compassione. La scelta è nostra — se siamo evoluti abbastanza da esercitare questa scelta con la forza della volontà per renderla effettiva. Anche compiere quella scelta abbrevierà il periodo devacianico.[7]

Un'altra ragione per cui i periodi devacianici per noi sono così lunghi è perché l'uomo è un raggio incarnato proveniente dalla monade spirituale, monade che deve avere il suo periodo completo per gli scopi delle peregrinazioni post-mortem; e queste possono aver luogo solo quando il suo legame con la terra (o anche con altri mondi o globi) attraverso il raggio egoico è stato spezzato, liberandola così per le avventure in altre sfere. Queste nostre reincarnazioni sono molto, molto lontane dal costituire 'l'intero spettacolo' — e qui dovremmo notare che i periodi sia di manifestazione che di riposo di una catena planetaria sono di uguale durata. La chiave di questo mistero sta nel fatto che l'ego umano è una monade o un essere spirituale nelle proprie sfere dove c'è il suo destino più grande, e contatta questi regni inferiori di materia solo in occasione dell'incarnazione mediante la proiezione di un raggio egoico che crea 'l'uomo' che conosciamo.[8]

È abbastanza comprensibile che i comuni esseri umani attivi quasi rifiutino istintivamente l'idea di passare all'incirca cento volte nello stato devacianico di sonno-sogno quanto nella conoscenza autocosciente e nell'attività della vita incarnata. Tuttavia il devacianī non sta 'sprecando oziosamente' il suo tempo, perché la liberazione della monade umana dai legami della vita terrena dà a lui — il vero uomo' — il tempo e l'opportunità di portare a termine le sue necessarie ed inevitabili peregrinazioni del destino.

La vita dell'uomo terreno, essendo soltanto una fase dell'esistenza manvantarica della monade umana, non è uno standard di confronto; né è la base più importante da cui hanno inizio le peregrinazioni della monade umana. È proprio l'esatto contrario, perché il raggio della monade umana, che produce l'uomo terreno, non è che la proiezione occasionale della coscienza proveniente dalla monade umana, la cui sfera di attività non è esclusivamente la nostra catena planetaria, ma anche, a causa del suo legame con la monade spirituale, il sistema solare. Quindi, le ripetute incarnazioni sulla terra del suo raggio altro non sono che fasi del ciclo delle peregrinazioni, essendo la sua durata di vita più ampia dentro e sui globi invisibili della nostra catena.

La natura, nel suo lungo percorso non fa grandi errori, e il tempo passato nel devachan è, in ogni caso, equiparato dalle immutabili leggi della natura ai bisogni, alla salute e alla stabilità spirituale ed intellettuale dell'ego evolvente. Di conseguenza, è filosoficamente inadeguato considerare come troppo lunga o inutile la durata del tempo trascorso dall'ego in devachan. Questi lunghi periodi di tempo sono necessariamente richiesti dalla monade umana, non solo per le sue peregrinazioni, ma per l'assimilazione delle passate esperienze dell'entità devacianica come uomo incarnato.

Il devacianī non realizza il passare del tempo come lo sperimenta l'uomo sulla terra. Per noi, qui, il nostro senso del tempo è molto forte, a causa dell'incessante successione di avvenimenti che nella nostra coscienza delimitano e producono il nostro concetto dei periodi di tempo, come i nostri giorni e le notti, e le stagioni, come pure le fasi del pensiero e del sentimento umano in cui la coscienza del raggio proiettato è immersa e psicologicamente limitata. Ma nel devachan tutte queste cose svaniscono come impatti esteriori su di noi. È molto simile a quanto accade ad un uomo che ha un sonno profondo; sia che egli si trovi nella coscienza fortemente sognante di swapna, o nel sonno senza sogni del sushupti, non ha alcuna sensazione del passare del tempo esteriore, cosicché, quando si risveglia, è scarsamente capace di dire se ha dormito due o otto ore. E ancora di più lo è per il devacianī. Per lui, il tempo non esiste più, tranne che nella sensazione sognante della successione di immagini del pensiero e delle beate fantasticherie che riempiono la propria coscienza. Nei regni sempre più elevati del devachan anche le visioni ineffabilmente belle svaniscono in un qualcosa di ancora più elevato, che per la nostra coscienza umana incarnata è 'incoscienza' — o il vero sushupti.

Naturalmente, in un remoto futuro, quando la razza umana si sarà così evoluta spiritualmente ed intellettualmente da aver superato la necessità del devachan, questi periodi di riposo non saranno lunghi. Forse la monade passerà semplicemente da un corpo allora etereo in un altro con appena un'interruzione nell'autocoscienza.

Abbiamo già menzionato i quattro stati generali in cui la coscienza umana può trovarsi. Primo, jāgrat, la coscienza in stato di veglia; poi swapna, il sonno con sogni; e il motivo per cui non ricordiamo bene i nostri sogni è perché essi sono spesso troppo eterei e troppo intensi perché il cervello possa trattenerne il ricordo quando ci siamo svegliati. Non è perché siano troppo deboli. Ancora, quando un uomo trattiene il loro ricordo, questa condizione è sushupti. È una coscienza così vivida, così spirituale, talmente vasta, che il povero cervello — la sua sostanza fisica come pure la sostanza astrale della mente-cervello — non può trattenerne il ricordo.

Il quarto stato, il più elevato che noi umani possiamo raggiungere, è turīya-samādhi, che è effettivamente la coscienza del divino in noi. Se lo stato sushupti è così potente che il nostro cervello non può ricordarlo, un migliaio di volte in più lo si può dire della condizione turīya. È piuttosto simile al nostro debole cervello che tenta di conoscere la coscienza della gerarchia del nostro universo solare. Tutti questi stati della coscienza possono essere, e in casi estremamente rari lo sono, sperimentati dagli uomini anche quando sono incarnati sulla terra.

Ora, quando un uomo muore, passa dallo jāgrat nello swapna, per quanto concerne il suo corpo astrale. La sua anima umana è incosciente in sushupti, ma lo spirito in lui, che è ritornato alla sua sorgente genitoriale, finché non è richiamato sulla terra è nello stato turīya-samhādi. Nelle epoche future, quando saremo semidèi sulla terra, gli adombramenti di questa coscienza divina saranno familiari a tutti noi. Allora comprenderemo perché conosceremo. Anche oggi, dov'è l'uomo che non può avere qualche vaga idea del sublime? Ogni essere umano normale, se si allena in questo modo, può innalzare la sua coscienza, il suo sé reale, e focalizzarlo nella parte superiore del suo essere; e allora, quando egli parla, il suo mondo è la verità convincente.


IL DEVACHAN E I GLOBI DELLA CATENA PLANETARIA

Egli direbbe: "In verità, nella misura in cui si estende quest'Ākāśa, così è l'ākāśa nel cuore. In quest' ākāśa sono contenuti cielo e terra, fuoco (agni) e aria (vāyu), il sole e la luna, il fulmine e le stelle, come pure qualsiasi cosa qui che è e che non è — tutto questo mondo è contenuto in essa (ākāśa)."
Egli direbbe: "Ciò che non diventa decrepito con la vecchiaia non è ucciso neppure con la morte. Quella è veramente la dimora di Brahman (Brahmapura) — in essa sono contenuti tutti i desideri. È il Sé (ātman), libero dal male, senza età, immortale, senza dolore, fame, sete, il cui desiderio è la verità, la cui decisione è la verità." — Chāndogya-Upanishad, VIII, i, 3, 5

Ognuno dei sette globi manifestati della nostra catena planetaria ha il suo caratteristico kāma-loka o atmosfera astrale che lo circonda. Quando gli esseri incarnati di un'onda di vita su un globo muoiono, le attrazioni accumulate che furono determinate dall'incarnazione devono essere gettate via nel kāma-loka di quel globo. Ovviamente, più basso è il globo nella catena planetaria, più grossolano e grezzo è il suo kāma-loka; e più elevato è, più etereo è il suo mondo astrale.

Quindi, quando un essere umano muore, ha la sua seconda morte nel kāma-loka della terra, cioè nell'aura della terra, un processo durante il quale la monade umana, rapidamente o lentamente a seconda dell'individuo, lascia cadere dapprima i più grossolani, e alla fine i meno grossolani atomi di vita e le corrispondenti attrazioni che lo tengono nel kāma-loka astrale. Il culmine di questa pulizia o gestazione purgatoriale[9] è la seconda morte, vale a dire che la monade umana è arrivata al punto di rigettare le ultime vestigia del suo involucro astrale, o ciò che rimane del suo kāma-rūpa. Da questo momento comincia a scivolare nella condizione devacianica.

Quando la radiosità, che è l'effluvio dell'ego reincarnante, ascende a suo Padre nel Cielo, la monade spirituale, attraversa le sfere dell'essere nei mondi interiori. In ciascuno di essi si ferma per un periodo di tempo che varia, per disperdere gli atomi di vita che appartengono a quella sfera e che sono di carattere troppo sostanziali per essere radunati nella sua radianza, cosicché può viaggiare più lontano verso sfere ancora superiori e più spirituali.

Questo passaggio della monade peregrina sull'arco ascendente della nostra catena planetaria continua finché il globo G è raggiunto. (Similmente, la monade attraversa i globi A, B, e C, sull'arco discendente al suo ritorno per una nuova incarnazione sul nostro globo terrestre.) I globi superiori sull'arco ascendente sono molto più elevati del nostro globo D, sia nella condizione spirituale che nei tipi di entità che vivono lì, cosicché le vere bestie sui globi F e G, e quasi sul globo E, sono più elevate di quanto lo siano gli uomini su questa terra.[10]

Alcune entità umane non entrano pienamente nel loro stato devacianico finché non hanno lasciato il globo G. Altre s'immergono nel devachan dopo il soggiorno temporaneo sul globo E o forse sul globo F, mentre altre ancora entrano nel loro devachan più o meno completamente anche prima di raggiungere il globo E. Questi diversi modi di entrare nel devachan esemplificano gradi differenti di perfezione del periodo di gestazione a cui sono sottoposte le entità incarnate. Così, i casi individuali variano grandemente, ma per la maggior parte degli esseri umani il sonno devacianico comincia dopo la seconda morte nel kāma-loka della terra, quando la monade entra nella sfera del globo successivo; e questo sonno diventa progressivamente più profondo e più estatico, finché, alla fine, l'entità è diventata totalmente dimentica di qualsiasi cosa tranne i suoi sogni devacianici.

Riguardo al carattere delle incarnazioni a cui si sottopone la monade peregrina sui globi E, F, e G, dell'arco ascendente, potremmo ben chiederci: queste incarnazioni sono di ego differenti da quelli che la monade ha emanato da se stessa, o sono effettive incarnazioni, per quanto temporanee, della monade umana?[11]

Ora, sarà impossibile afferrare il vero insegnamento in questo contesto se le nostre idee sono troppo pesantemente cristallizzate sulla nozione che vi sia soltanto una monade nella costituzione umana, quando in realtà la costituzione umana è costruita da parecchie monadi in diversi gradi dello sviluppo evolutivo. Qui abbiamo a che fare con la natura sottile e fluida della coscienza: con la monade intesa come un centro di coscienza, piuttosto che come un essere che 'occupa lo spazio,' proprio come questa mela occupa lo spazio sulla tavola davanti a me.

Quando la monade umana inizia il suo devachan nel kāma-loka della terra, cade addormentata in seno alla monade spirituale, e così è riportata alla sua monade genitrice attraverso i globi dell'arco ascendente prima di lasciare definitivamente la nostra catena per peregrinare attraverso le diverse catene planetarie nella nostra ronda esterna. Per fare ciò, deve ovviamente passare attraverso questi globi, poiché ognuno di essi è una stazione nella sua peregrinazione esterna, e non ne può tralasciare nessuno. Proprio come un viaggiatore sul treno è ignaro della stazione attraversata di notte mentre dorme, ma al risveglio si renderà conto di passare velocemente per alcune stazioni e di fermarsi ad altre, proprio così sui vari globi attraverso i quali la monade spirituale passa, la monade umana che riposa in essa avrà un risveglio relativo — anche se sempre molto leggero — o assolutamente nessuno, ogni caso dipende dal suo karma.

Ma non dobbiamo insistere troppo su quest'analogia. Ciò che effettivamente accade è che quelle qualità monadiche della coscienza, che diventeranno relativamente complete sui diversi globi quando l'onda di vita complessiva le raggiunge — quelle qualità (e non la piena coscienza della monade devacianica) sono temporaneamente risvegliate in una coscienza illusoria allorché questi globi sono attraversati. Queste emissioni delle qualità della coscienza sono proiettate come raggi del pensiero, e s'incarnano temporaneamente su quei globi che le risvegliano con la loro pulsione attrattiva. Naturalmente, una tale incarnazione è molto imperfetta e, in un certo senso, illusoria, per la ragione che l'onda di vita alla quale apparteniamo è attualmente sulla terra e non su quei globi superiori.

Anche nella vita ordinaria possiamo trovare un esempio dello stesso funzionamento parziale della coscienza, perché non è raro per un uomo compiere i propri doveri o essere immerso nei suoi pensieri, e tuttavia rendersi conto al tempo stesso che la sua attenzione è attirata da qualche altro oggetto o avvenimento; e, in modo più o meno evanescente, un raggio del pensiero è proiettato dalla sua mente altrimenti occupata, ingloba l'avvenimento e ben presto si ritira nella coscienza dell'uomo. O un uomo in dormiveglia, che in quel momento vive in due aspetti della sua coscienza: in parte nella condizione jāgrat e in parte in quella swapna; ed egli è vagamente cosciente di essere in entrambi gli stati.

Niente di quanto è stato detto dovrebbe essere frainteso intendendo che la beatitudine devacianica della parte principale della coscienza della monade umana sia disturbata o interrotta. È solo un raggio del pensiero, per così dire, che è attratto da questo o da un altro globo e, dopo questa evanescente proiezione, si ritira di nuovo nella coscienza devacianica. Tutti gli stati dopo la morte sono realmente funzioni della coscienza.

Durante il periodo in cui l'ego umano dorme nella sua monade genitrice, quando quest'ultima attraversa l'arco ascendente della catena planetaria, l'intelligenza cognitiva dell'ordinaria entità umana non percepisce né sente in alcun modo cosa stia succedendo intorno a lei. Quindi, non può esservi alcun apporto del frutto delle esperienze su altri globi della catena. La monade umana nel suo insieme è effettivamente incosciente delle fugaci incarnazioni di una porzione della sua coscienza sui globi attraversati. È quasi un fatto automatico per quanto riguarda la monade; e quando parlo della monade umana, mi riferisco alla parte inferiore dell'ego reincarnante.

Da questa regola di esperienze incoscienti sugli altri globi dovremmo escludere gli esseri della sesta ronda e anche, in un grado dipendente dai rispettivi individui, coloro che sono sulla loro scia per diventare esseri della quinta e della sesta ronda. Quest'eccezione si applica ugualmente a quelli che sono riusciti a passare la porta dell'iniziazione; perché, se un individuo può farlo, sarà un jīvanmukta vivente, sia pure per il tempo in cui esiste come uomo. Durante il corso di queste iniziazioni, il sé interiore dell'iniziando non solo spicca il volo verso gli altri globi della nostra catena planetaria, dove farà esperienze di prima mano vivendo lì per il tempo necessario e diventando realmente parte di questi globi, ma andrà anche verso gli altri pianeti e verso il sole lungo il sentiero magnetico dell'universo.

Nello studiare questi insegnamenti dovremmo sforzarci costantemente di mantenere fluidi i processi del nostro pensiero e della nostra coscienza, evitando così il rischio della cristallizzazione mentale, della pericolosa auto-soddisfazione di credere che non ci sia più 'molto da imparare.' Questo sentimento nasce nella mente-cervello astrale-materiale, che ama intensamente i fatti incasellati — anche se è davvero necessario avere le proprie idee in ordine. Lo sforzo di tenere fluida la mente, pur mettendoci a disagio, colloca però la mente-cervello nella propria sede e la rende un servitore flessibile invece che un rigido aguzzino.


NIRVANA

Nessuna Entità, sia angelica che umana, può raggiungere la condizione del Nirvana, o la purezza assoluta, se non attraverso eoni di sofferenza e di conoscenza del male e del bene, o altrimenti quest'ultimo rimane incomprensibile. — La Dottrina Segreta, II, 81 ed. or.; p. 55 online.

Vi sono determinate analogie tra il nirvana e il devachan: entrambi sono stati della coscienza che li sperimenta, e nessuno dei due è una località o uno spazio. Se guardiamo alle molteplici condizioni in cui le coscienze possono finalmente trovarsi come una sorta di serie gerarchiche, allora possiamo dire che le parti superiori del devachan si fondono nei gradi inferiori del nirvana. La differenza principale tra di loro potrebbe essere definita in poche parole: il devachan è più o meno un'illusione, mentre il nirvana, essendo più vicino alla realtà cosmica della vita, è relativamente Reale, e quindi, in modo proprio non veritiero, una serie mayavica di condizioni. Quando una monade si è liberata dei suoi involucri della coscienza, diventa monadicamente cosciente, cioè pienamente autocosciente con la sua coscienza innata o intrinseca, e allora, poiché la sua essenza è un'entità divina e spirituale, è in un nirvana. Tutti i veli o rivestimenti che l'avvolgono sono spazzati via o scartati, lasciando il fuoco spirituale essenziale senza veli e libero — un jīvanmukta, una monade liberata.

Ora, soltanto le monadi altamente evolute sono jīvanmukta, cioè divinità in piena regola; e qualsiasi monade che non abbia raggiunto questo stato di moksha o mukti è più o meno rivestita degli involucri del pensiero e dei sentimenti prodotti dalla sostanza del suo uovo aurico. Come esseri umani, noi siamo avvolti dal velo del nostro egoismo umano; in altre parole, noi non siamo ancora jīvanmukta, poiché ancora non viviamo nella sublime coscienza della nostra essenza monadica, e quindi possiamo avere soltanto fugaci intuizioni del nirvana. Le uniche eccezioni sono quei grandi esseri umani come i buddha o i bodhisattva, che finora sono talmente avanzati lungo il sentiero evolutivo, che a volte possono elevarsi nelle parti puramente spirituali della loro costituzione e in esse — almeno temporaneamente — godere uno o un altro dei gradi nirvanici dell'essere autocosciente.

Vi sono diversi gradi di nirvana; uno è così elevato da fondersi impercettibilmente nella condizione della gerarchia cosmica del nostro universo, mentre gli stati inferiori del nirvana sono abbastanza frequentemente raggiunti da quegli uomini molto inclini al misticismo, che si sono sottoposti all'allenamento spirituale.[12] Di solito non possono rimanere a lungo nello stato nirvanico. Tuttavia, questa capacità mostra un alto grado di avanzamento evolutivo, perché anche gli stati inferiori del nirvana sono estremamente elevati. Entrare nel nirvana significa abbandonare tutti gli interessi nel mondo degli uomini e passare dall'esistenza umana a quella divina.

Noi umani abbiamo i nostri beati momenti del post-mortem in uno o un altro dei gradi della scala devacianica; tuttavia, per quanto superiore possa essere la coscienza devacianica rispetto a quella di un individuo incarnato, è pur sempre uno stato māyāvico, perché la coscienza devacianica non è essenzialmente monadica. In verità, la pesante māyā del nostro semplice stato umano di coscienza esiste ancora quando moriamo ed entriamo nel devachan; ma anche mentre siamo incarnati, il nostro ātma-buddhi e le parti mānasiche superiori sono in nirvana, se consideriamo la coscienza di cui godono queste parti della nostra costituzione sui loro rispettivi piani. Perciò, anche un uomo incarnato di carattere superiore può, almeno temporaneamente, entrare nel nirvana elevando e trasferendo la sua coscienza percettiva nelle parti Buddhiche e Cristiche del suo essere. Se ricordiamo che l'universo è divisibile in una serie praticamente infinita di gerarchie che sono connesse ed interagenti dal piano divino giù fino a quello fisico, vediamo che le entità, che appartengono ai sistemi di gran lunga superiori ai nostri e quindi vivono in essi, avranno i devachan e i nirvana incomparabilmente superiori ai nostri sistemi devacianici e nirvanici. Quello che per noi è il nirvana dovrebbe essere, per gli esseri che vivono su una scala superiore, semplicemente una sorta di devachan. Così la scala dei valori sale progressivamente lungo il maggiore schema gerarchico dell'universo, per cui, quando avremo abbandonato, nel corso delle ere macrocosmiche, la nostra gerarchia per entrare in una gerarchia superiore, allora avremo i devachan e i nirvana incomparabilmente più gloriosi di quanto lo siano ora.

Nondimeno, per noi esseri umani, e per altri come noi che dimorano nel nostro sistema gerarchico dell'universo, il nirvana che sta davanti a noi è, in verità, la Realtà, sia per noi che per loro. Questo succede perché, quando avremo raggiunto questo nirvana, allora avremo raggiunto il vertice del nostro sistema gerarchico e vivremo nelle sue estensioni ātma-buddhiche della coscienza.

È un insegnamento fondamentale nel Buddhismo Mahāyāna[13] che la realizzazione del nirvana[14] non si può mai ottenere mediante il semplice intelletto come tale, perché l'intelletto dell'uomo seziona ed analizza le cose, e stabilisce qualcosa che non può afferrare; allora vede che è un "qualcosa" che viene in esistenza e poi svanisce. Ma il nirvana non può essere concepito come se avesse una forma tangibile; esso non viene in esistenza né cessa di esistere. Per ottenere il nirvana — che è, secondo la fraseologia Mahāyāna, uno stato di vuoto (Śūnyatā) inerente proprio alla natura delle cose, e anche uno stato di auto-realizzazione raggiunta attraverso l'esercizio della saggezza suprema — deve aver luogo una 'repulsione' nei recessi più profondi della coscienza, nel manas superiore, esso stesso uno scrigno in cui sono immagazzinate le registrazioni ākaśiche di tutte le esperienze intellettuali e spirituali dell'uomo.

Il Mahāyanista considera le nozioni dell'essere e del non essere come uno dei maggiori impedimenti alla realizzazione del nirvana, e sottolinea il fatto che, quando il nirvana è stato ottenuto, e la 'repulsione' ha avuto luogo, la condizione allora raggiunta è completamente priva di tutti i predicati, di tutti i pari degli opposti. Fintanto che il dualismo è rispettato, fintanto che il nirvana è intellettualmente considerato essenzialmente come l'opposto di samsāra (il ciclo delle nascite e delle morti) o come l'annichilimento del mondo dei sensi, non c'è vero nirvana. Quest'ultimo è al di là di ogni relatività, unificando in se stesso i concetti dell'essere e del non essere, trascendendoli entrambi.

Il nirvana dell'uomo ha la sua diretta applicazione analogica a quello di una catena planetaria quando, alla fine del suo manvantara, va nel pralaya, al di fuori dell'esistenza manifestata, che significa semplicemente che i suoi principi-elementi — o quelli di ciascuno dei suoi globi — entrano nell'appropriata condizione nirvanica. Così alla morte degli esseri umani, le parti mānasiche entrano negli stati māyāvici del devachan, mentre le parti ancora più elevate della costituzione umana sono dello stesso tipo che evolve ed agisce sui propri piani; comunque, nelle loro parti superiori della coscienza, per così dire, sono nel loro nirvana — avendo l'esperienza cosciente nella Realtà svelata della gerarchia alla quale appartiene ogni monade del genere.

Così la parte umana o mānasica è nel suo devachan; l'ego spirituale prosegue le sue peregrinazioni sulla ronda esterna attraverso le catene sacre; ma la parte più elevata o essenza monadica della monade spirituale è, come sempre, nel nirvana. Anche un uomo incarnato sulla terra ha le sue parti superiori della propria costituzione, l'essenza ātmica del suo essere, in uno stato nirvanico. Quindi, la nostra coscienza durante l'incarnazione sulla terra, per quanto reale possa sembrarci, è effettivamente illusoria se paragonata alla coscienza svelata ed intensamente attiva del nirvana.


IL SONNO E LA MORTE SONO FRATELLI

. . . Se ammettiamo l'esistenza in noi di un Ego superiore o permanente, il quale Ego non deve essere confuso con quello che noi chiamiamo il "Sé Superiore," saremo in grado di comprendere che quelli che prendiamo spesso per sogni, e che riceviamo generalmente come delle futili immagini, sono in realtà delle pagine sparse, strappate alla vita e all'esperienza dell'uomo interiore e il cui ricordo confuso, al momento del risveglio, è più o meno deformato dalla nostra memoria fisica. Questa capta macchinalmente un piccolo numero di impressioni lasciate dai pensieri, i fatti osservati e le azioni compiute dall'uomo interiore durante le sue ore di completa libertà, perché il nostro Ego vive la propria vita separata all'interno della sua prigione di argilla tutte le volte che è liberato dalle pastoie della materia, cioè durante il sonno dell'uomo fisico. È questo Ego che è l'attore, l'uomo reale, il vero sé umano. Ma l'uomo fisico non può né sentire né essere cosciente durante i sogni, poiché la personalità, l'uomo esteriore, con il suo cervello e il suo apparato del pensiero, sono paralizzati più o meno completamente. — Transactions of the Blavatsky Lodge, p. 50; Dissertazioni sulla Dottrina Segreta alla Blavatsky Lodge, p. 77 online

Il sonno e la morte sono fratelli, secondo l'antico proverbio greco. Comunque, non sono soltanto fratelli, nati con la stessa struttura di coscienza umana, ma sono effettivamente identici, una cosa sola. La morte è un sonno perfetto, con i suoi risvegli temporanei di un certo tipo, come ad esempio in devachan, ed un pieno risveglio umano nella reincarnazione successiva. Il sonno è una realizzazione imperfetta della morte, il presagio della natura della morte futura. Di notte noi dormiamo, e quindi in parte siamo morti. Anzi, potremmo andare ancora oltre e dire che il sonno e la morte, e tutti i vari processi e stadi dell'iniziazione, non sono che fasi o meccanismi della coscienza, forme diverse della stessa cosa fondamentale. Il sonno è in larga misura un funzionamento automatico della coscienza umana; la morte è uguale, ma di un grado immensamente più grande, ed è una necessità della coscienza per poter ottenere la parte psicologica della costituzione, un riposo ed un'assimilazione dell'esperienza.

L'iniziazione è un tipo di 'morte' temporanea di tutto l'uomo inferiore, un 'sonno' della natura psicologica inferiore, ed un risveglio magico verso un'intensa consapevolezza della parte psicologica superiore, sulla quale poi si irradia la luce interiore della coscienza monadica dell'uomo. Ed è per questo che l'iniziazione comprende sia il sonno che la morte, ed usa le stesse funzioni della coscienza per liberare 'l'uomo interiore' verso la meravigliosa esperienza sui piani interiori, causata dall'iniziazione.

Chiunque si sia soffermato vicino al letto di qualcuno che stava morendo deve essere stato fortemente impressionato dalla straordinaria somiglianza tra l'arrivo della morte e l'andare a dormire. L'unica distinzione tra morte e sonno è di grado. Precisamente come nella morte, la coscienza, durante il sonno, diventa, in seguito ad un breve periodo di completa incoscienza, la sede o il centro attivo delle forme dell'attività mentale interiore, che noi chiamiamo sogni.

Durante il sonno, la parte psicologica o personale dell'uomo non si manifesta attraverso il cervello fisico; in realtà, è quest'assenza, questa separazione temporanea della natura intermedia ad essere la causa del sonno. Il corpo dorme perché l'uomo personale non è più lì. Quando di notte andiamo a dormire, dormiamo in uno stato di completa incoscienza solo perché, durante il giorno, non abbiamo ancora imparato a diventare autocoscienti nelle nostre parti più elevate.

Come regola, il corpo fisico, durante il sonno, è protetto da un velo ākāśico — una condensazione della sostanza dello stesso uovo aurico, naturalmente emesso dal corpo quando scivola nel riposo — che di solito impedisce qualche danno. Questo è ben esemplificato nel caso dei sonnambuli. Vi sono ugualmente altri fattori che contribuiscono, uno dei quali possiamo vederlo nel fatto interessante che gli esseri più animati non toccano, con l'intenzione di fargli male, un corpo che è in riposo. E anche la natura 'inanimata' è così costruita, che sembra esservi in essa una risposta di pace e di quiete. Ne sono coinvolti anche altri fattori, ma quello principale è il velo o muro di ākāśa che circonda il corpo che, comunque, è effettivo in proporzione alla purezza di vita.

Il filo basilare della vita e della coscienza vibra persino nel cervello fisico di un uomo che dorme, creando sogni, alcuni che lo rallegrano e altri che lo inquietano e lo turbano. Il filo della radiosità rimane intatto, in modo che l'ego, che si è lasciato alle spalle la mente inferiore e il corpo, e che si libra negli spazi, possa ritornare lungo questo filo luminoso che unisce la monade al cervello astrale-vitale del corpo che dorme. Quando un uomo muore, è esattamente come cadere in un sonno molto profondo, assoluto, in una dolce incoscienza, tranne che il filo vitale si è spezzato, e quindi, istantaneamente, come l'echeggiare di una dolce nota d'oro, l'anima è libera.

Ciò che accade ad un uomo durante il sonno è una prefigurazione di ciò che gli accadrà alla morte. L'ego personale va nell'oblio e la sua coscienza è attirata nella parte spirituale dove può riposare ed avere la sua pace provvisoria. Durante il sonno, alcune parti della costituzione interiore dell'uomo si librano negli spazi del sistema solare. Il passaggio è naturalmente molto breve, a volte come un lampo che balena, in cui abbiamo dormito solo per pochi momenti. Ma il tempo, per la coscienza pura, non esiste; il tempo appartiene all'esistenza materiale. Alcuni uomini vanno verso la luna, alcuni al loro pianeta genitore, altri al sole. E un'altra parte della costituzione lampeggia avanti e indietro alla sua stella madre. Altri uomini visitano il mondo elementale, vanno al centro del nostro globo, ad esempio.

Durante il sonno e dopo la morte, ogni uomo va in quei luoghi che egli stesso si è meritato con i suoi pensieri ed aspirazioni, o con la loro mancanza; in altre parole, è tutta una questione di vibrazione sincrona: un uomo va verso il suo habitat naturale, elevato o inferiore. La causa di queste peregrinazioni è insita fondamentalmente nelle attrazioni psico-magnetiche verso queste differenti località del sistema solare, che sono 'stazioni' lungo i tortuosi percorsi dei tragitti nel cosmo; e poiché la coscienza è assuefatta a questi percorsi attraverso lunghi periodi di abitudini, ciascuna di queste varie parti della costituzione umana segue la sua particolare direzione in questi tragitti.

Non vi è solo una stretta analogia, ma un'identità — sia di processo che di fatto — tra i sogni durante il sonno e quelli dello stato dopo la morte. I sogni dipendono da due fattori principali: (a) il meccanismo della coscienza psichica, e (b) i due tipi di forze che interferiscono su questo meccanismo, che controllano la direzione e dirigono le azioni della coscienza psichica del sognatore. Di queste forze, il primo tipo è l'influenza solare, lunare e planetaria, sotto cui è nato un individuo; e il secondo tipo è la reazione automatica agli avvenimenti e alle esperienze che hanno avuto luogo durante lo stato di veglia.

Le influenze astrologiche sotto le quali un individuo nasce sono l'azione congiunta di tutti i poteri solari, lunari e planetari nel sistema solare; ma in ogni caso certi poteri sono dominanti, a causa del loro swabhava (un termine sanscrito che significa "auto-essere" o "auto-divenire," cioè il carattere essenziale dell'individualità) — in quanto questo swabhāva si unisce allo swabhāva personale dell'uomo a causa dell'identità di origine; ed è quest'identità d'origine o di poteri che costringe queste forze o influenze ad agire con molto vigore su di lui. Quindi, mentre tutti gli esseri umani, sia uomini che donne, hanno dei sogni che sono più o meno simili, ciascuno ha i propri sogni di tipo caratteristicamente individuale.

Per esporre il soggetto con altre parole, ogni uomo è più particolarmente la progenie di una delle dodici forze logoiche del sistema solare, o sotto la sua influenza. Ora, poiché ogni logos solare trova il proprio speciale centro d'azione in uno dei dodici pianeti sacri, vediamo come le influenze sia planetarie che solari entrano in gioco nella coscienza psichica dell'uomo addormentato. Ancora, poiché gli esseri umani hanno un 'corpo lunare,' cioè uno 'strato lunare' nel loro uovo aurico, ugualmente la luna influenza la mente del dormiente; in verità, nella maggior parte dei casi le influenze lunari sono di gran lunga le più potenti sull'uomo che dorme.

Quando ad H.P.B. fu chiesto cosa fossero i sogni, rispose che dipendeva dal significato legato al termine:

Voi potete "sognare" o, come si dice, avere delle visioni oniriche, svegli o addormentati. Se, per il potere della volontà, la Luce Astrale viene concentrata in una coppa o in un recipiente di metallo, e fissandovi lo sguardo su un punto con una ferma volontà di vedere, ne risulta una visione o un "sogno" da sveglio, se la persona è anche solo un poco sensitiva. Le immagini riflesse nella Luce Astrale sono meglio percepite con gli occhi chiusi, e nel sonno lo sono ancora più distintamente. A partire da uno stato lucido, la visione diventa traslucida. Dalla coscienza organica normale, essa si eleva ad uno stato trascendentale di coscienza. . . .
Ci sono molti tipi di sogni, come tutti sappiamo. Se si mette da parte il "sogno della digestione", ci sono i sogni del cervello e i sogni della memoria, le visioni meccaniche ed altre coscienti. I sogni di avvertimento e di premonizione esigono la cooperazione dell'Ego interiore. Spesso anche essi sono dovuti alla cooperazione cosciente o incosciente di due persone viventi, o dei loro due Ego. . . .
[Ciò che sogna è] generalmente il cervello fisico dell'ego (o del sé) personale, la sede della memoria che emette bagliori e proietta scintille come le braci morenti di un fuoco. La memoria del dormiente è paragonabile ad un'arpa eolica a sette corde; e il suo stato mentale può essere paragonato ad un vento che passa sulle corde.[15]

La natura dei sogni umani è determinata quasi del tutto — ma in nessun modo completamente — dalla nostra vita da svegli. Il bambino, ad esempio, non ha sogni positivi di alcun tipo; le sue esperienze sono ancora troppo insignificanti — rudimentali e confuse. La sua mente, e anche il suo cervello, non si sono ancora formati pienamente; tuttavia egli avrà occasionalmente dei sogni paurosi, ma questi sono di solito causati da reazioni psichiche automatiche nel cervello dormiente del bambino a qualche turbamento che ha sperimentato da sveglio.

La maggior parte dei nostri sogni non sono né molto piacevoli né molto paurosi, ma spesso sono mescolati — indefiniti e confusi. La ragione è ovvia, perché i sogni altro non sono che i riflessi delle nostre ore da svegli. A volte la nostra mente è incline alle cose dello spirito e in direzione della bellezza e dell'armonia, mentre altre volte apre la strada a pensieri di carattere completamente opposto, che di notte (o dopo la morte, in kāma loka) ritornano nei nostri sogni.

Ė il pensiero a creare tutti i sogni. Nell'uomo cattivo, nell'uomo che è talmente egoista, e la cui immaginazione e sentimenti sono così meschini e limitati, un impulso positivo, se mai entra nella sua coscienza, provoca un'immancabile reazione: quando egli sogna, il che avviene di frequente, è in un inferno emotivo e mentale. I suoi pensieri gli tormentano il cervello come fantasmi vendicatori, ed affliggono la sua coscienza che sta sognando. Al contrario, l'uomo che aspira ad aiutare i suoi simili, che è impersonale, di pensieri elevati, raramente fa brutti sogni; anche se sogna poco, gli stessi dèi potrebbero invidiare i suoi sogni.

Quanto detto si applica ugualmente non solo ai sogni del devacianī ma anche a quelli del kāma-rūpa nel kāma-loka. La causa è la stessa: i depositi mentali o gli impulsi del pensiero che sorgono durante la vita di un uomo, e quindi influenzano la sua struttura mentale, cominciano ad agire automaticamente sulla sua coscienza. Così, il pensiero e il sentimento non solo formano il carattere nel corso delle ere che evolvono, ma portano anche felicità e pace o gli incubi del kāma-loka.

I sogni di qualsiasi tipo appartengono al lato terreno del carattere di un uomo, e ritornano nella mente sotto forma di azioni figurative; quindi sono 'effetti' e non 'cause;' ed è questo il motivo per cui il devachan è chiamato la sfera degli effetti, e la nostra esistenza terrena la sfera delle cause.[16]

Ciò non significa che la vita sulla terra sia l'unica sfera delle cause; l'affermazione si riferisce solo agli esseri umani incarnati, e agli effetti prodotti dopo la morte dai loro pensieri, sentimenti ed azioni, durante tutto il periodo in cui sono incarnati. Così, un uomo, né in devachan e nemmeno quando di notte sogna, dà origine a qualche corso positivo o inventivo d'azione, sebbene sia occasionalmente vero che i sogni dell'uomo, per reazione sulla mente, possono consciamente o inconsciamente influenzare alquanto i pensieri dell'uomo allo stato di veglia.

Vi è comunque un certo pericolo nel dare troppa importanza all'argomento dei sogni e alla loro interpretazione. Occasionalmente i sogni sono profetici, ma in larga misura diventano 'veri' perché sono i presagi dei meccanismi automatici della coscienza, cioè di quello che la coscienza stessa, a causa delle sue inclinazioni e tendenze, farà avverare in futuro. Quindi, si potrebbe molto plausibilmente arguire che, se un individuo che osserva un uomo che sogna fosse quasi onnisciente, potrebbe discernere in tutti i sogni dell'uomo quello che sarà il suo futuro. Ma, ovviamente, sono molto pochi questi indovini perfetti o interpreti dei sogni!

In devachan non ci sono veri sogni profetici, come si potrebbero verificare durante il sonno, in quanto nascono dalla conoscenza memorizzata dell'ego reincarnante, che tenta di imprimere il cervello dormente con una "emanazione" di previsione profetica. Ciò accade in occasioni molto rare, ma dovremmo esaminare questi sogni con circospezione e non guardarli meccanicamente come guide per il futuro. In generale, è meglio ignorare i propri sogni, perché sono veramente poche le persone sufficientemente risvegliate a livello interiore da riconoscere se un sogno è a carattere profetico oppure una comune reazione psichica della mente-cervello, di solito stravagante e confusa.[17]

Se un uomo può — e vuole — studiare la propria coscienza durante il giorno, come pure le reazioni sulla sua mente percettiva ai vari impatti degli avvenimenti quotidiani, egli avrà la chiave maestra per conoscere con esattezza ciò che gli accadrà, come un centro di coscienza, sia durante il sonno che dopo la morte. Se desidera sapere come si sentirà o cosa percepirà al momento della morte, dovrà afferrare la propria coscienza con la sua volontà e studiare gli effettivi processi del suo addormentarsi — se può! Nessun uomo, comunque, sa l'istante preciso in cui cade nel sonno. Per un momento gli sembra di stare a pensare, e più intensamente pensa, più il sonno si allontana — ed egli è fuori, addormentato! Immediatamente sopravviene l'incoscienza al punto critico, e allora può o non può essere raggiunto dai sogni.

La morte è identica a questo processo di addormentarsi. Non ha importanza come moriamo: se per l'età, malattia, o violentemente. L'attimo della morte porta sempre, per un momento, l'ineffabile pace di un'incoscienza perfetta, che è come scivolare in un inizio, un anticipo, per così dire, della beatitudine devacianica, proprio come un osservatore attento scoprirà la sua esperienza quando cade nel sonno.

Infine, mi azzardo a richiamare ancora una volta l'attenzione al punto in cui la mente comincerà a funzionare automaticamente lungo le linee precise del pensiero che abbiamo avuto sia nel sonno che nella morte. Ecco l'estrema importanza di avere la mente in ordine e piena di pace quando andiamo a dormire — o prima di morire: evitare di avere qualsiasi pensiero di antipatia, odio o male. Come il grande Pitagora insegnò nei versi a lui attribuiti dal suo discepolo Lisia, che formano una parte dei cosiddetti Versi Aurei di Pitagora:[18]

Non far entrare il sonno nei tuoi occhi che si chiudono,
se prima non hai fatto un esame critico di tutte le azioni quotidiane.
In cosa ho sbagliato? Che cosa ho fatto? Quale dovere non ho compiuto?

ATTRAVERSO I PORTALI DELLA MORTE

Ogni monade nei vasti campi del tempo discende attraverso tutti i regni sul lato passivo della natura, accumulando esperienza in ognuno di essi; fermandosi nel regno minerale, da lì risale lungo l'arco ascendente verso la sorgente dalla quale venne in origine. Su quest'arco ascendente evolve sempre più estesamente gli attributi e le qualità autocoscienti che, da una monade originariamente incosciente, fanno di essa un dio monadico autocosciente quando raggiunge la sua meta finale.

In relazione all'esistenza del dopo morte delle dieci principali classi monadiche o onde di vita, il seguente diagramma mostra il sentiero che esse devono percorrere durante le loro ronde dei globi di una catena planetaria.

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Vediamo che i tre regni superiori, o le tre classi dei dhyan chohan, sono le origini e la meta delle altre sette. Il diagramma mostra ugualmente una discesa sul lato sinistro, un bilanciamento nella parte inferiore del regno minerale, e un susseguente elevarsi attraverso i tre regni superiori, che mandano ancora le loro monadi peregrinanti verso l'alto, nei regni dei dhyan chohan.[19] Ora, non solo gli animali, ma le piante, i minerali, come pure i tre regni elementali, sono formati interamente da queste rispettive classi di monadi in diversi gradi di sviluppo. Tutte queste monadi sono esseri evolventi, sia come classi che come individui, espandendosi dai poteri dormenti all'interno, le capacità, gli attributi, le funzioni, e i conseguenti organi che esprimono queste qualità durante l'esistenza incarnata. La differenza tra una bestia ed un uomo, o un uomo e una pianta, non sta nell'origine o nel destino, ma soltanto nella crescita o espansione evolutiva.

L'evoluzione, com'è vista con più enfasi nella filosofia esoterica non significa l'ipotesi di Darwin (né qualche sua forma modificata), vale a dire il lento accumulo meccanico attraverso le ere di piccoli incrementi di qualche tipo. È proprio il contrario: il lento dispiegarsi dall'interno in fasi progressive del flusso sempre più esteso di un potere interno e di una sostanza interna.

Ad esempio, la monade di un animale, durante il suo soggiorno nel regno animale, si esprime come tale solo perché gli scarti di questa monade particolare hanno raggiunto quella fase; e la monade di un uomo si esprime nel regno umano perché espandendosi dall'interno la monade ha raggiunto l'egoità autocosciente. Il corpo di una bestia non evolve in un corpo umano. Quando le monadi che ora si manifestano nel regno animale hanno avuto la loro completa esperienza lì, i loro corpi, che si raffinavano e progredivano piuttosto lentamente in varie specializzazioni evolutive, semplicemente moriranno o saranno scartati, e le monadi così liberate dal 'Cerchio di Necessità' della bestia, da allora in poi cercheranno corpi umani. Questi corpi saranno del grado veramente più basso perché esse non hanno ancora abbastanza sviluppato dall'interno i poteri e le caratteristiche le rendono capaci di funzionare in veicoli più appropriatamente umani.

Ciò che si reincarna negli animali è un raggio della monade spirituale che si esprime nei regni della materia come la monade animale. Poiché gli animali non hanno la mente risvegliata, nessun potere mānasaputrico di pensiero astratto, come ce l'abbiamo noi, non hanno ancora evoluto alcun ego che permetterebbe loro di avere un devachan. Per questo motivo, le bestie, come pure le piante, i minerali e i tre regni elementali, si reincarnano piuttosto immediatamente dopo la morte dei loro corpi fisici.

Nelle bestie, questa reincarnazione ha luogo dopo un periodo di tempo che varia da pochi giorni a forse un anno, perché vi sono enormi differenze tra gli animali, come ad esempio tra il fedele cane e il lombrico. Più basso è lo sviluppo, più immediata è la reincarnazione. Quando gli animali muoiono, non hanno alcuna coscienza post-mortem, di nessun tipo, tranne forse quella di un cane o di un cavallo o di un gatto, che sono stati in intima compagnia con qualche essere umano, per cui possono avere una breve e confusa coscienza astrale dopo che lo shock della morte è terminato; ma anche allora la reincarnazione ha luogo molto presto.

Le piante hanno ancora meno coscienza degli animali; e, di conseguenza, quando una pianta muore, ha il suo 'astrale' liberato, per così dire, per pochi momenti o giorni, nel kāma-loka, e allora la monade si reincarna alla prima opportunità possibile. In questo contesto, il cambio delle stagioni che porta il tempo della semina, poi mesi di riposo seguiti dallo sboccio primaverile ed estivo dei semi in gemme e fiori, devono rientrare nel progetto. In certi casi le monadi della pianta restano in un'inattività cristallizzata, come ghiaccioli, finché ritorna la stagione della crescita per il loro tipo.

Poiché i minerali hanno ancor meno 'coscienza' delle piante — in quanto le piante hanno, in verità, un incerto senso di sensibilità nella coscienza — la morte e la reincarnazione di una monade minerale sono, per noi umani con le nostre nozioni dei periodi di tempo, praticamente simultanee. Infatti, quelle che chiamiamo combinazioni chimiche sono quasi invariabilmente gli esempi delle monadi minerali 'che muoiono' e 'si reincarnano.' Esattamente si può dire la stessa cosa delle entità più piccole nel regno minerale, come gli atomi e gli elettroni.

Inutile dire che le entità al di sotto del regno umano non hanno alcun devachan e non viaggiano attraverso i regni interiori — se non lampi inconsci qua e là — perché sono così strettamente legate ai mondi della materia, che non possono lasciarli abbastanza a lungo per realizzare le mistiche e meravigliose peregrinazioni che hanno le monadi spirituali. Infatti, il devachan appartiene esclusivamente al regno umano, perché solo gli ego umani hanno evoluto, dalla monade che è in loro, il sufficiente fuoco spirituale e la facoltà altamente intellettuale per fare dello stato devacianico una parte del Ciclo di Necessità. Naturalmente, le monadi individuali nei regni superiori a quello umano sono andate oltre la necessità di 'sognare' del devachan, e i loro periodi di riposo sono una fase, o varie fasi, del nirvana.

Ora, ogni monade umana ha la propria individualità che è il suo swabhāva essenziale, in modo che non solo i dhyan chohan manifestano l'individualità (in gradi più estesi rispetto agli uomini) ma ugualmente ciascuno degli animali, piante, minerali ed elementali, ha il suo swabhāva. Quindi, nessun animale è identico a qualche altro animale, nessuna pianta a qualche altra pianta, nessuna monade minerale a qualche altra monade minerale, e nessun elementale a qualche altro elementale. È l'intrinseca meraviglia dell'individualità caratterizzata che distingue non solo regno da regno, ma anche monade da monade.

Negli scritti teosofici a volte si parla di anime di gruppo, riferendosi alle monadi dei regni al di sotto di quello umano. Questo è un termine grafico se è usato con attenzione, e se comprendiamo esattamente il suo significato, queste monadi possiedono scarsamente un potere mānasico evoluto, cioè l'individualità, che, pur essendo in verità individui monadici, tuttavia sono più strettamente affini ai piselli in un baccello. A causa della mancanza di un ego evoluto, sono incomparabilmente più unite l'un l'altra rispetto agli esseri umani, e quindi si raggruppano come gocce d'acqua nell'oceano.

Ancora, e questa è una ragione anche più profonda, la classe o gerarchia swabhāva di ognuno di questi regni inferiori lavora dentro e attraverso i suoi rispettivi individui in modo ancora più ampio e in un senso più unitario rispetto al Guardiano Silenzioso della gerarchia umana. Proprio qui c'è un paradosso alquanto interessante: i regni superiori a quello umano sono più fedeli allo swabhāva assoluto dei loro rispettivi Guardiani Silenziosi o anime-regali più di quanto lo siano nel regno umano; in questo contesto i regni sull'arco ascendente ricordano molto curiosamente i regni sull'arco discendente. D'altra parte, vi è questa differenza: gli individui dei regni dell'arco ascendente diventano, ad ogni importante periodo di tempo, ego divini o spirituali più pienamente autocoscienti, e così la loro sottomissione alla propria gerarchia è felicemente una sola volontà, mentre gli individui dei regni dell'arco discendente sono ciecamente ed inconsciamente sottomessi ai loro rispettivi gerarchi del regno perché non hanno sufficiente egoità da diventare ribelli intellettuali come lo sono spesso gli uomini. Questo dimostra che la monade evolve dall'incoscienza in ciò che spesso è autocoscienza assertiva e, quando ascende lentamente nell'evoluzione, la monade ora diventa uomo, cambia la sua autocoscienza 'ribelle' in una sottomissione dimentica di sé, divina e a livello Buddhico, alla volontà divina del Guardiano Silenzioso della nostra gerarchia.

Dopo la morte di qualsiasi entità sulla terra, le diverse 'vite' o atomi di vita che compongono la sua costituzione, prima o poi sono liberate, e allora sono immediatamente attirate verso il loro primo e più forte centro focale d'attrazione. Nel caso di un uomo, gli atomi di vita del suo corpo, quando esso si decompone, o quando si disperdono se viene cremato, peregrinano, ciascuno istantaneamente verso l'uomo, la pianta o la pietra ai quali si sente attratto psico-magneticamente, ed ha una breve incarnazione in questo punto focale, e quindi segue la prossima attrazione che al momento è dominante; e così via attraverso le ere.

Gli atomi di vita delle altre parti superiori della costituzione umana seguono esattamente gli stessi percorsi, ciascuno sul proprio piano. Ad esempio, gli atomi di vita astrali che fanno parte del linga-śarīra sono attirati verso gli uomini, le bestie o le piante, e così via; gli atomi di vita mānasici sono attratti verso gli uomini viventi e aiutano o nutrono o costruiscono i cosiddetti 'corpi mentali'; gli atomi di vita mānasici di un corpo animale dopo la morte trovano le loro rispettive vie verso i regni della natura dai quali sono fortemente attirati; e così anche per le piante, ecc.

È anche vero che gli atomi di vita che hanno coadiuvato a formare il cervello di un uomo, saranno, dopo la sua morte, probabilmente attirati da qualche altro essere incarnato di tipo superiore, più di quanto, per così dire, farebbero gli atomi di vita che appartenevano a un suo osso. Come dato di fatto, vi è una buona quantità d'insegnamento profondo e altamente occulto connesso con la trasmigrazione degli atomi di vita; ma richiederebbe un massiccio volume anche per darne solo uno schema.

Il mondo spesso bello e affascinante che ci circonda, ma che al tempo stesso ha tanti aspetti così terribili e ripugnanti, è costruito dagli atomi di vita viventi e che hanno vissuto, inclusi naturalmente gli atomi di vita che appartengono, a causa della loro origine, agli esseri incarnati che hanno costituito i vari regni. Così, un particolare atomo di vita potrebbe essere attratto verso un serpente velenoso per lo swabhāva inerente in sé, e anche a causa dello swabhāva 'accidentale' impresso su di sé dall'essere dal quale è migrato più recentemente. Un altro atomo di vita può essere attratto a formare il corpo di qualche amabile fiore, o andare nell'acqua, in una pietra, in un animale o in un uomo.

In una certa misura, le parti istintive ed astrali degli animali sono formate da atomi di vita che sono stati tratti dal regno umano, e questo dimostra come la natura sia meravigliosamente interconnessa in tutte le sue funzioni.[20] L'animale è gradualmente aiutato da queste parti astrali e psichiche e da altri contatti con il regno umano, proprio come noi siamo aiutati dagli atomi di vita o 'vite' che entrano nella nostra costituzione dalle classi dei dhyan chohan.

Potrei aggiungere che l'intreccio degli stampi astrali — le immagini storiche create da lui nella luce astrale, che rimangono fissate per eoni ed eoni — forniscono gli stampi in cui gli esseri evolventi dei regni inferiori entrano al momento giusto dell'evoluzione. Gli animali, ad esempio, si specializzano lentamente nelle formazioni dei loro corpi e tentano di avvicinarsi alla forma umana; sono questi stampi umani astrali che i corpi delle bestie riproducono più o meno perfettamente. Così le forme scimmiesche — certamente non scimmie — che i corpi umani avevano nella terza ronda, e che lasciarono i loro stampi nella luce astrale, saranno usati per riprodurre le forme corporee che le monadi animali evolventi occuperanno nel prossimo manvantara della catena planetaria, al tempo in cui gli attuali animali saranno gli umani embrionali su quella catena. Così ogni regno 'traccia' la strada per chi lo percorre.


IL PROCESSO DI REINCARNAZIONE

Le "anime" del defunto passano attraverso molti altri stadi di esistenza dopo aver lasciato questo corpo della Terra, proprio come fecero in molti stadi anteriori alla loro nascita come uomini e donne qui. La verità esatta su questo mistero è conosciuta solo agli adepti superiori; ma anche il meno progredito dei neofiti potrebbe dire che ciascuno di noi controlla le sue future rinascite, creando ogni successiva nascita migliore o peggiore secondo gli attuali sforzi ed obiettivi. — H.P.B. in The Theosophist, febbraio 1881, p. 103

La continuità, mediante esistenze ripetute, della monade reincarnante in vari veicoli o rūpa, è l'essenza della dottrina della rinascita. Prima che venga il momento dell'effettiva reincarnazione fisica su questo globo terrestre, le energie psico-spirituali che avevano attratto l'ego al seno della monade spirituale durante il suo post-mortem, le peregrinazioni raggiungono un punto in cui si esauriscono relativamente; in coincidenza, le nuove attrazioni verso le sfere inferiori cominciano ad entrare in campo, costringendo l'ego a tornare sulla terra. Poiché l'ego reincarnante dirige i suoi raggi 'verso il basso,' irresistibilmente attratto dal risvegliarsi delle memorie di una precedente incarnazione, è gradualmente trascinato psico-magneticamente ai piani in cui aveva vissuto precedentemente, e alla fine entra nella parte più fisica della catena planetaria della terra — effettivamente il mondo atomico del globo D, inclusi i suoi 'eteri' inter-atomici ed intra-atomici. Con la sua graduale discesa dai regni spirituali, le porzioni inferiori del suo uovo aurico cominciano a mescolarsi. Simultaneamente, la coscienza dell'ego comincia a cadere dal sogno nell'incoscienza, e comincia il periodo di gestazione che precede la nascita. Questo è il momento in cui l'uovo aurico, agendo automaticamente ed istintivamente sotto l'impulso guida del karma che si risveglia, forma gradualmente in sé il vago abbozzo della forma astrale, e quest'ultima lentamente è trasportata alla famiglia o alla donna verso la quale l'attrazione psico-magnetica è più forte.

In questo contesto, sarà utile il seguente passaggio di H.P.B.:

Ora, il Linga Sarira rimane con il Corpo Fisico e si dissolve con esso. Allora deve essere creata un'entità astrale, fornita di un nuovo Linga Sarira, che diventa il portatore di tutti i Tanha passati e del Karma futuro. Come avviene ciò? Lo spettro medianico, "l'angelo dipartito," si dissolve e svanisce a sua volta[21] come entità o immagine completa della personalità che fu, e lascia nel mondo degli effetti, il Kâma Lôka, solo il ricordo dei suoi misfatti e dei suoi pensieri e atti peccaminosi, che nella fraseologia degli occultisti sono detti Elementali umani o tanhici. Entrando nella composizione della Forma Astrale del nuovo corpo, nel quale l'Ego, dopo l'abbandono dello stato Dêvaciânico, deve entrare secondo il decreto karmico, gli Elementali formano questa nuova entità astrale che nasce entro l'Involucro Aurico, e della quale è spesso detto: Il cattivo Karma, con il suo esercito di Skandha, attende alla soglia del Dêvachân. Poiché, non appena lo stato Dêvaciânico di ricompensa è terminato, l'Ego è indissolubilmente unito (o piuttosto aggiogato) alla nuova Forma Astrale. Entrambi sono karmicamente sospinti verso la famiglia o la donna da cui deve nascere il bambino animale scelto dal Karma come veicolo dell'Ego che si è appena destato dallo stato Dêvaciânico. Quindi, la nuova Forma Astrale, composta in parte della pura Essenza Âkâsica dell'Uovo Aurico e in parte degli elementi terrestri dei peccati e dei misfatti punibili dell'ultima personalità, è immessa nella donna. Una volta lì, la Natura modella il feto di carne intorno all'Astrale, valendosi dei materiali che si sviluppano dal seme maschile nell'utero femminile. Così dall'essenza di un seme in decomposizione cresce il frutto, o l'eidolon, del seme morto, il frutto fisico producendone a sua volta dentro di sé un altro, e altri semi per le piante future. — E.S. Instructions (III) ed. or; La Dottrina Segreta, vol. III, pp. 333-34 online

Gli elementali tanhici posso essere altrimenti descritti come i depositi del pensiero emotivo e mentale, come fece Patañjali; e rimangono dopo la seconda morte — e prima che l'ego entri nel devachan — impressi sui vari tipi di atomi di vita che avevano funzionato su tutti i piani inferiori della costituzione umana. Alcuni di questi elementali tanhici peregrinano, e alla fine sono psico-magneticamente attratti nuovamente verso l'ego reincarnante durante il suo processo di produrre una nuova forma astrale che precede la rinascita. Altri appartengono all'essenza monadica dell'uovo aurico, e di conseguenza restano lì in una condizione di latenza, per risvegliarsi solo quando il devacianī lascia il devachan. Allora questi elementali tanhici dormenti, combinandosi con gli altri atomi di vita erano stati peregrini, si associano nel costruire la nuova forma astrale di cui parla H.P.B.; e sono in gran parte queste due classi di atomi di vita tanhici o elementali che compongono gli skandha[22] dell'uomo nella sua prossima incarnazione. E questi skandha sono i vari gruppi delle caratteristiche mentali, emotive, psico-vitali e fisiche che, radunati insieme, creano la nuova personalità attraverso cui agisce l'uomo superiore o individualità egoica. Lentamente cominciano a ricombinarsi e cadono nelle loro funzioni e luoghi appropriati durante il periodo di gestazione, continuando questo 'consolidamento' nell'utero, e infine, dopo la nascita, maturando man mano che l'entità si sviluppa in età adulta.[23]

Ora, la formazione dell'uomo astrale ha luogo all'interno dell'uovo aurico dell'ex-devacianī. Dal momento in cui l'ego lascia la condizione devacianica, la forma astrale diventa stabilmente più completa o definita quando l'entità in gestazione si approssima ad entrare nell'utero. Il raggio dell'ego reincarnante entra prima nell'aura e poi nell'utero della futura madre mediante la forma astrale in crescita, e deriva la sua crescita dal più appropriato centro di vita o atomo di vita latente nell'uovo aurico dell'entità che avanza.

Il termine forma astrale descrive non tanto un corpo effettivo (come noi lo pensiamo in questo mondo fisico), poiché esso è un agglomerato etereo di atomi di vita nell'uovo aurico, che dapprima è solo vagamente adombrato; tuttavia prende più o meno un definito contorno umano, e di solito di taglia estremamente piccola. Comunque, non dovremmo concentrare la nostra attenzione tanto sulla taglia e la forma quanto sulle forze ed energie nell'uovo aurico più o meno aggregato in un centro d'attività.

L'entità che così precede la rinascita è attratta dalla famiglia alla quale il karma la sospinge o la incita; e se le appropriate attività fisiologiche hanno luogo al momento giusto, allora avviene il concepimento e procede la crescita dell'embrione.

Quando il raggio dell'ego reincarnante raggiunge questo piano, s'impiglia gradualmente nella sostanza fisica, e da quel momento in poi stabilisce il suo legame con la cellula umana riproduttiva. Quel legame è stretto a causa dell'affinità elettromagnetica, o meglio, psico-magnetica, tra il raggio reincarnante e la cellula germinale vivente. Ogni cellula germinale consiste di forze interiori e sostanze che spaziano dal divino al fisico, e quindi è la 'precipitazione' nel nostro piano di una radianza psico-eterea. In altre parole, è l'incarnazione di un punto-raggio che, avendo origine nei mondi invisibili e contattando la materia fisica per affinità, risveglia un aggregato molecolare di sostanza vivente a diventare una cellula riproduttiva.

Questo aggregato molecolare è il primo o preliminare deposito o apparizione sul piano fisico dell'azione del punto-raggio. Vediamo che le cellule germinali o riproduttive non sono 'create' dal corpo del genitore, ma vi appaiono ed agiscono attraverso di esso mediante forza egoica incarnante o entità 'esterna' — essendo il genitore l'ospite o il trasmettitore. La cellula germinale vitale, sia di un uomo che di una donna, è originariamente parte integrante del corpo modello, che è un corpo elettromagnetico di sostanza astrale appartenente al piano proprio al di sopra di quello fisico; e intorno a questa forma astrale è costruito il corpo fisico, cellula per cellula, osso per osso, e tratto per tratto.

Quando l'atomo di vita come il punto-raggio scelto è rinvigorito dalle energie discendenti del raggio incarnante, entra per attrazione psico-magnetica nel corpo astrale del padre, e al momento debito è depositato nell'organo fisico appropriato come una precipitazione astrale. Diventa così fisicizzato come cellula germinale. Nella madre questo processo di precipitazione astrale è, in linea generale, lo stesso, poiché la precipitazione proviene dall'identico raggio in entrambi i casi; infatti, ogni genitore, sia uomo che donna, contiene nel suo organo appropriato atomi di vita che appartengono all'ego reincarnante e sono stati usati da lui in vite passate.

La madre è il veicolo di quello che potremmo definire il lato vegetativo o passivo del punto-raggio, e il padre è il veicolo del lato positivo o attivo. Il punto-raggio sembra dividersi in due, per riunirsi successivamente mediante la mescolanza tra i lati positivo e negativo dopo la fecondazione della cellula germinale. Qui abbiamo a che fare con le forze astrali sottili che obbediscono alle proprie leggi e che non sono ostacolate nella loro azione dal pesante mondo fisico in cui vivono i nostri corpi.

Per ribadire in un linguaggio alquanto diverso quanto è stato detto: la parte più materiale della nuova forma astrale è attirata prima nell'aura della donna e poi nell'utero dove produce l'ovulo vivente e trova il suo ambiente adatto; contemporaneamente, la parte interiore e più mānasica della forma astrale, che è la parte più eterea del tipo di raggio proveniente dall'ego reincarnante, lampeggia nel genitore maschio e produce nella sua sede appropriata il germe di vita positivo. Il padre sparge il seme, la madre lo riceve e lo porta avanti.

Gli ego umani che attendono di reincarnarsi sono eccessivamente numerosi, cosicché possono esserci miriadi di entità che potrebbero diventare figli di qualche coppia, tuttavia c'è sempre un ego la cui attrazione è più forte per la madre futura in qualsiasi momento fisiologico, ed è questa forma astrale che diventa il figlio. Molti sono i casi in cui la forma astrale, tanto 'entusiasta' in due direzioni, per così dire, trova bloccato il suo avanzamento nella nascita fisica perché l'uomo e la donna sono celibi oppure non vogliono bambini, o per qualche altro motivo.[24] In tali casi, la forma astrale, sotto lo stimolo karmico e la legge naturale, tenta ancora. Se il primo ambiente risultasse un fallimento, l'ego reincarnante può essere attratto da un'altra coppia a causa di rapporti karmici in altre vite.

L'ego reincarnante ha, in un certo senso, davvero poca scelta in materia, se per essa intendiamo una deliberata selezione della futura famiglia. Questa scelta, come la comprendiamo, è quasi inesistente, perché l'ego reincarnante ha appena lasciato il devachan ed è immerso nella relativa incoscienza del periodo di gestazione che precede la rinascita, e quindi non è in condizione di scegliere autocoscientemente. Ė il karma che controlla pienamente queste cose, e il karma, in astratto, è infallibile nella sua azione.

Ogni essere umano è circondato dalla sua atmosfera emotiva e passionale, come pure psico-vitale, che è realmente una porzione degli strati inferiori del suo uovo aurico. Ora, quest'atmosfera è vivente e, vibrando in varie intensità, ha la propria individualità psico-aurica o frequenza vibratoria. Quindi, diventa naturale che il punto-raggio, che possiede ugualmente la sua frequenza, sia attirato più o meno sulla linea dell'attrazione magnetica verso l'atmosfera del genitore o dei genitori la cui frequenza vibratoria è più simpatetica con la sua e con chi le sue affinità karmiche sono più forti. Per completare questo quadro, potrei aggiungere che sia l'odio che un'intensa antipatia psichica — ciascuno dei quali è un tipo d'amore invertito — a volte produce forti attrazioni psico-auriche, spiegando così la patetica situazione di genitore e figlio che si detestano l'un l'altro.

Quando la forma astrale ha un'unione definitiva con l'ovulo umano, comincia a crescere come feto. Le porzioni inferiori o più grossolane della forma astrale diventano il linga-śarīra del bambino, combinandosi con le due classi complessive di elementali tanhici; mentre le sue porzioni più elevate, i veicoli del 'raggio' dell'ego reincarnante (man mano che l'embrione cresce, e in seguito il bambino) diventano le parti intermedie della costituzione umana.

Dobbiamo sempre tenere a mente il ruolo importante giocato dall'uovo aurico dell'ego reincarnante in tutte le varie tappe che precedono la rinascita. La forma astrale comincia la sua prima crescita nell'uovo aurico reincarnante, ha la gestazione dentro di esso e continua ad essere 'nutrita' dalla sua essenza durante tutti i processi prenatali, e nel tempo determina le fasi della nascita, dell'infanzia, dell'adolescenza e dell'età adulta; infatti, l'uovo aurico è realmente il vero uomo manifestato, considerato come i prāna vitali-aurici che scaturiscono dai vari punti focali della monade reincarnante.

Quando il punto-raggio dell'ego reincarnante, esso stesso un raggio della monade spirituale, raggiunge la sua sfera intermedia, non discende più oltre la materia. Ma il suo raggio psico-magnetico, avendo affinità più potenti con i mondi materiali, discende ancora oltre, risvegliando all'attività gli atomi di vita in ciascuno dei piani tra quello dell'ego reincarnante e la materia astrale-fisica della nostra terra.

Proprio qui vediamo che la 'vita' o le caratteristiche di ogni parte della costituzione umana composita rimane sul proprio piano, ma espelle il suo eccesso di vita da se stessa nel piano inferiore successivo, finché il piano fisico è finalmente raggiunto, dove il tipo di raggio, unendosi agli atomi di vita di questo piano, costruisce, cioè forma, la cellula germinale fisica. Sarebbe del tutto sbagliato supporre che lo stesso ego reincarnante è nella cellula germinale o su un piano leggermente meno fisico del nostro. Il processo è un'esatta analogia di ciò che accade nella costruzione dei globi di una catena planetaria, dove il passaggio dell'eccesso di vita ha luogo lungo ed intorno ai campi di sostanza, dal piano cosmico ad un altro piano cosmico.


RONDE INTERNE ED ESTERNE

Sono le Sette Zone dell'ascensione post mortem negli scritti Ermetici, in ognuna delle quali il "mortale" lascia una delle sue Anime (o Principi); finchè, giunto al piano che sovrasta tutte le Zone, vi rimane in qualità di grande Serpente Senza-Forma della saggezza assoluta, o della Divinità stessa. — La Dottrina Segreta, I, 41 ed. or.; p. 523 online

Poiché l'universo è un'entità organica, ogni parte corrisponde spiritualmente, intellettualmente, magneticamente e fisicamente, ad ogni altra parte, la 'pelle' esterna della natura che percepiamo è solamente il rivestimento di vasti mondi e sfere interiori. Quindi, l'intero sistema solare è, in verità, un plenum o pleroma, come insegnavano gli antichi Gnostici. In altre parole, il sistema solare è 'solido,' nel senso che è completamente riempito da sostanze e forze in molti gradi e fasi di attività, che interagiscono e s'intersecano componendo così un'entità vivente — un immenso corpo cosmico attraverso il quale agiscono la vita e la vitalità della divinità cosmica dirigente o gerarchia, autocosciente, parzialmente autocosciente, e semplicemente cosciente.

Questo plenum cosmico o pleroma è effettivamente l'uovo aurico dell'universo, ogni cosa che l'universo è e contiene, e tutte le essenze sostanziali, sono i vari e diversi strati dell'uovo aurico del cosmo. Abbiamo una precisa analogia nell'uovo aurico dell'uomo, che è il vero individuo quando si manifesta durante il manvantara. Allorché il manvantara di un universo o l'incarnazione di un uomo vengono alla loro fine, allora ha luogo il disfacimento delle porzioni inferiori della costituzione dell'uovo aurico, gli atomi di vita si sfaldano, e i principi superiori si radunano insieme, mentre, in coincidenza, l'uovo aurico si ripiega verso l'interno circondando l'individualità spirituale come un involucro.

Ciò spiega perché le forme esterne di un universo — gli strati inferiori dell'uovo aurico — svaniscono dalla manifestazione, e quella che una volta era la collocazione di un universo allora si riempie del cosiddetto etere stellare. L'uovo aurico, avvolgendo tutti i principi superiori del passato universo, si libra nel suo percorso attraverso gli spazi, seguendo le circolazioni galattiche, mentre questi principi superiori vanno nel loro nirvana.

Lo stesso processo su scala minore ha luogo quando muore un uomo. Mentre è vero che ognuno dei principi umani è, in definitiva, derivato, come un centro focale, da una delle catene planetarie del sistema solare, questi raggi provenienti dai diversi rettori planetari, che insieme compongono la costituzione di un uomo, non devono essere guardati come esistenti fuori dal suo uovo aurico, ma piuttosto come aggregati dentro di esso. Ad esempio, sarebbe del tutto sbagliato supporre che il suo buddhi sia localizzato sul pianeta Mercurio, il suo manas superiore su Venere, e il suo kāma su Marte, ecc. Il punto è che, sebbene questi rettori o sorveglianti planetari siano i supervisori spiritualmente e psico-magneticamente simpatetici o i protettori dei principi dell'uomo, nondimeno questi principi fanno parte della sua costituzione, e nel loro aggregato diffondono vari flussi delle essenze vitali che effettivamente fanno e sono l'uovo aurico stesso.

Ė attraverso il pleroma, sia nella nostra catena planetaria o nell'intero sistema solare, che la monade spirituale dell'uomo, durante le peregrinazioni dopo la morte, segue le circolazioni del cosmo. Queste circolazioni non sono semplici metafore poetiche; sono davvero reali nell'economia interna in azione dei mondi visibili ed invisibili dell'universo, come lo sono i nervi e i vasi sanguigni nel corpo umano. Proprio come questi forniscono i canali per la trasmissione degli impulsi intellettuali, psichici e gli impulsi e le direzioni nervose, come pure del fluido vitale o sangue, così in modo analogo le circolazioni del cosmo — o kosmo — forniscono i sentieri seguiti dai fiumi ascendenti e discendenti di vite, composti come sono del flusso infinito di entità di tutte le classi che peregrinano attraverso tutta la struttura universale.

L'intelaiatura dell'universo è soffusa di compenetrazioni della sua essenza vitale. Poiché l'universo, sia solare che galattico, è un organismo e quindi è vivo in tutte le sue parti, infuso di inerenti vitalità, intelligenza e coscienza, dal suo piano superiore o principio a quello più più basso, ogni cosa dentro di esso essendo così immersa nell'essenza vitale come pure permeata dell'intelligenza cosmica.

Ora, i due principali tipi di circolazioni seguiti dalle varie classi di monadi, sia come onde di vita e come individui, si riferiscono alle ronde interne ed esterne. Le ronde interne sono fatte (a) collettivamente dalle onde di vita che passano da globo a globo intorno ad una catena planetaria; e (b) individualmente, in maniera identica, dall'ego o monade umana dopo la morte del corpo fisico. Parimenti, le ronde esterne sono composte (a) collettivamente, dopo immensi intervalli di tempo, dalle classi monadiche o onde di vita che passano da catena planetaria a catena planetaria, e (b) individualmente, ancora in maniera identica, dalla monade spirituale dell'uomo.

Vediamo quindi che le ronde interne ed esterne sono analogicamente uguali, tuttavia differiscono in quello che la monade di un uomo, nel suo viaggio post-mortem mentre segue necessariamente le stesse peregrinazioni che la monade persegue durante il corso delle ronde esterne, fa in periodi di tempo incomparabilmente più piccoli, e semplicemente si ferma temporaneamente nelle varie 'stazioni' planetarie.

Ricapitolando: le ronde esterne hanno a che fare con il passaggio della monade spirituale oltre il sistema solare, da catena planetaria a catena planetaria, e questo per sette volte, essendo queste sette catene planetarie i sette pianeti sacri degli antichi; e le ronde interne si riferiscono al lungo soggiorno manvantarico di una monade in una qualsiasi di queste catene planetarie, al quale la monade si sottopone nel suo viaggio lungo eoni sui sette (o dodici) globi di quella catena.

Queste particolari monadi della costituzione umana che sono particolarmente coinvolte in una o l'altra di queste ronde sono le seguenti: l'uomo terrestre, cioè la monade umano-animale; la monade umana di per se, il centro focale di tutti gli attributi genuinamente umani; la monade spirituale, la sorgente di tutte le qualità veramente spirituali o d'impronta buddhica nell'uomo; e la monade divina o il dio interiore che è l'ātman nel suo velo buddhico. Dopo la morte ciascuna di queste diverse parti si eleva alla sfera alla quale è attratta; in altre parole, ciascuna si eleva più in alto che può. La monade divina, avendo un campo oltre l'intera galassia, il nostro universo-patria, lampeggia da stella a stella e da sistema solare a sistema solare. Poiché la monade spirituale non è abbastanza forte da farlo, spazia oltre il sistema solare da pianeta a pianeta e al cuore del Padre Sole; mentre la monade umana, o l'ego reincarnante, spazia oltre tutti i dodici globi della nostra catena planetaria.

Ora, quando l'uomo terrestre muore, la monade umano-animale, allora e lì, s'immerge nell'incoscienza totale, essendo quasi immediatamente inglobata nella monade umana per se; la monade umana, a sua volta, dopo aver subito la seconda morte in kāma-loka, è inglobata nella monade spirituale e lì ha il suo lungo sogno devacianico; la massima potenza in cui entra il devachan in periodi diversi dipende dal karma dell'individuo. Il semplice ego terrestre, che sei tu, che sono io, non può ascendere più in alto del suo piccolo devachan, cioè, non può andare più lontano del suo habitat d'origine che è la terra; oltre questa, l'ego umano perde coscienza ed è trascinato nell'ego reincarnante quando quest'ultimo va nella sua ronda dei globi.

Dovremmo ricordare che quella che adesso è la nostra monade genitrice fu, in remoti manvantara, un essere umano, un figlio della sua genitrice naturale, e che la nostra attuale monade spirituale era un ego reincarnante, dormente nel seno della sua allora genitrice durante i lunghi intervalli tra vite su sfere materiali. Similmente, quando il nostro attuale ego reincarnante avrà sufficientemente evoluto da se stesso i propri poteri ed energie spirituali, per essere a sua volta in grado di diventare un'essenza monadica, anche lui seguirà le ronde esterne come attualmente fa la sua monade genitrice. Non vi è interruzione in questa catena gerarchica.

Ed è per questo che noi, figli di questa terra, abbiamo davanti il sublime destino di diventare dèi, e di avere l'intera galassia come il nostro campo di coscienza. Quando ciò avviene, ciascuno di noi sarà un sole in quella galassia.

La monade spirituale — convogliando in sé la monade umana, che a sua volta ha la monade umano-animale dentro di sé, secondo la maniera in cui i depositi del pensiero o semi tanhici produrranno il futuro uomo nella sua prossima vita sulla terra — s'innalza più o meno rapidamente attraverso i globi della nostra catena planetaria fino a raggiungere il globo più elevato della stessa, e allora è pronta ad estendere le sue ali. Abbandonando il globo più in alto, comincia le sue peregrinazioni che includono soggiorni temporanei in ognuno dei sette pianeti sacri, in un regolare ordine seriale, secondo i sentieri predeterminati che aderiscono intimamente alle linee di forza cosmica — le circolazioni del cosmo. Va notato, comunque, che l'ordine comunemente dato dagli antichi, vale a dire Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio, Luna, non è quello seguito dalla monade peregrina.

Lo scopo per cui la monade, dopo la morte, passa attraverso le varie catene planetarie, è di permetterle di liberarsi, su ciascuna catena, dell'involucro o rivestimento che 'appartiene' all'essenza vitale di quella catena planetaria. In tal modo, la monade si spoglia, uno dopo l'altro, dei sette strati con cui si era avvolta durante il suo precedente ritorno alla reincarnazione sulla terra, ed è quindi pronta ad entrare nella sua originaria patria spirituale. Quando il viaggio di ritorno verso la nostra catena terrestre comincia, la monade passa attraverso tutte queste stesse catene planetarie, ma in ordine inverso, e su ciascun pianeta si riveste nuovamente degli atomi di vita che avevano formato i rivestimenti precedentemente gettati via.

In poche parole, in questo viaggio di 'ascesa' verso la libertà spirituale, si spoglia; e nella sua 'discesa' o viaggio di ritorno raccoglie nuovamente i suoi precedenti atomi di vita, e così è pronta e capace di elaborare le conseguenze karmiche che furono tenute in sospeso quando la morte sopraggiunse per l'uomo nella sua ultima vita terrestre.


PEREGRINAZIONI INTERPLANETARIE

Gli Gnostici insegnarono l'origine planetaria della Monade (Anima) e delle sue facoltà. Durante la sua discesa verso la Terra e il suo ritorno da essa, ogni anima nata nella "Luce Infinita" da cui è emanata, doveva passare attraverso le sette regioni o vie planetarie sia all'andata che al ritorno. — La Dottrina Segreta, I, 577 ed. or.; p. 742 online.

Nelle antiche religioni e filosofie fu proclamata una grande quantità di verità occulta sotto la dicitura dei sette pianeti sacri; tuttavia, insegnamenti simili furono frequentemente divulgati sotto la frase collaterale dei sette cieli. Questi due aspetti della dottrina sottostante, pur essendo strettamente paralleli, non erano affatto identici, perché i sette pianeti sacri appartenevano al destino post-mortem delle monadi peregrine, mentre i sette cieli si riferivano al periodo di riposo in devachan delle sette classi principali di monadi.

I cieli sacri, spesso enumerati come dieci ed anche undici, quando l'insegnamento riguardava gli uomini del globo D, indicavano realmente i globi superiori della nostra catena planetaria. L'idea era che dopo la morte l'uomo ascendesse attraverso un certo numero di questi cieli e discendesse attraverso altri, per incarnarsi nuovamente sulla terra. Comunque, poiché ciascuno dei globi della nostra catena è sotto la sorveglianza diretta o governo dei sette rettori planetari, vediamo come l'insegnamento relativo ai pianeti sacri sia strettamente collegato a quello dei sette cieli; e proprio qui vi è un cenno molto palese che riguarda le ronde esterne, la peregrinazione della monade spirituale dopo la morte attraverso le sette catene planetarie sacre. Qualsiasi monade non è sulla propria catena durante i suoi viaggi, perché può seguire solo certi canali d'intercomunicazione karmicamente vitali esistenti tra i corpi celesti del sistema solare.

Poiché l'esercito degli atomi di vita nella costituzione umana non solo appartengono al sistema solare e compongono così la sua forma manifestata, ma sono anche, ognuno, pellegrini o entità che apprendono, per cui le moltitudini di monadi nel sistema solare gli appartengono e sono parte di esso, e tuttavia sono al tempo stesso suoi pellegrini individuali. In verità, proprio come le diverse classi di atomi di vita nell'essere umano sono radunate in masse da un'attrazione psico-magnetica per formare questo o quell'organo, sia nella sua costituzione interna che nel suo corpo fisico, così le varie classi di monadi sono attratte l'una con l'altra per formare le catene planetarie che, in senso molto occulto, sono gli 'organi' del sistema solare — essendo tutti questi organi compresi nella sfera che circonda e delimita l'uovo aurico del sole.

Inoltre, tutti i piani o sfere del sistema solare, e i loro variamente relativi sottopiani e sottomondi, sono interconnessi da innumerevoli punti di comunicazione, centri attraverso i quali le forze e le sostanze di un piano o sfera passano nel prossimo piano successivo. Questi sono i centri-laya. Ogni globo celeste — e in verità ogni atomo — è, nel suo nucleo centrale o essenza, un tale centro-laya o punto di intercomunione individuale, che è il sentiero individuale di comunicazione dell'entità con il prossimo piano o mondo interno inferiore.

Attraverso questi centri-laya, che siano di un globo solare o planetario, di un essere umano, o di un atomo, la materia più bassa o più densa di un particolare piano o mondo può passare in basso nel successivo piano inferiore, e manifestarsi come forze più eteree — forze che equivalgono alla materia altamente eterea. O, prendendo come esempio il nostro piano, la nostra forza o sostanza più eterea può passare verso l'alto attraverso questi centri-laya nel successivo piano superiore, dove diventa una con la sostanza molto più densa di quel piano cosmico.

Riflettendoci, vediamo che queste circolazioni possono essere immaginate in due modi: primo, quelle che si effettuano tra piano e piano, o mondo e mondo, che potremmo definire 'verso l'alto' e 'verso il basso'; e, secondo, quelle linee d'intercomunicazione esistenti su un qualsiasi piano, e che agiscono dentro e attraverso di esso, che potremmo immaginare come 'circolazioni' 'orizzontali.'

Così il passaggio da piano a piano o da mondo a mondo è completato, non dopo la morte, ma anche durante la vita incarnata. La monade, raggiungendo il successivo pianeta dopo aver lasciato la nostra catena terrestre, emana da se stessa, durante il suo passaggio attraverso questa catena planetaria, un raggio o radianza egoica, che è "un'anima" psico-mentale di esistenza temporanea che s'incarna lì in un veicolo di tipo spirituale, etereo, astrale o fisico, secondo il globo della catena in cui è entrata. In realtà, questo raggio è un'effusione dell'uovo aurico della monade peregrina, attirata al seno della monade per attrazione psico-magnetica della catena nella quale entra brevemente; ed è questo efflusso o radianza, che è un corpo del proprio tipo, che la rende capace di rivestirsi di atomi di vita appropriati, forniti dalla catena, realizzando così una breve incarnazione.

Questo raggio, che in un certo senso è originario della catena planetaria su cui si manifesta, passa attraverso i suoi vari periodi ciclici d'attività monadica fino a raggiungere la fine del suo termine di vita su quella catena. Allora, proprio come era precedentemente accaduto sulla terra, è attratto a sua volta verso il seno della monade, dove, eventualmente, riposa nel suo devachan. E i principi superiori che pendono dalla monade fondamentale sono nuovamente liberati da questa catena per procedere ancora verso un'altra catena planetaria, alla quale sono attirati per attrazioni karmiche psico-magnetiche delle proprie sostanze quando essi seguono i sentieri cosmici tracciati per loro nelle circolazioni del cosmo.

Queste entrate nelle varie catene dopo che la monade lascia la nostra catena terrestre sono, tranne pochissime eccezioni, di durata estremamente breve, perché durante l'attuale manvantara solare minore la monade ha il suo principale destino karmico sulla nostra catena planetaria. Quando questo destino si è per il momento concluso, la monade procederà verso la prossima catena planetaria alla quale sarà legata, mediante il karma, per un altro manvantara solare minore.

In questo modo, la monade agisce attraverso e su ciascuna delle sette catene planetarie sacre: attraversa ognuna di essa in ordine seriale fino a raggiungere la catena solare in cui fa la sua ronda attraverso i globi solari. Quando la monade spirituale arriva alla fine delle sue peregrinazioni, comincia il viaggio di ritorno, attirata nella linea psico-magnetica di attrazione che la spinge indietro lungo le circolazioni del cosmo fino alla catena planetaria della terra, attraverso ognuna delle sette catene planetarie sacre, ma in ordine inverso rispetto a quello in cui era ascesa. Quando finalmente entra nella nostra catena planetaria, comincia la sua discesa attraverso i globi A, B, e C, fino a raggiungere ancora una volta il nostro globo D. Da questo momento la monade umana, chiamata altrimenti l'ego reincarnante, avendo quasi terminato il suo devachan, ora si prepara alla sua nuova incarnazione.

L'ego reincarnante evoluto in questa catena planetaria è originario di questa catena, perché è il veicolo appropriato attraverso il quale la monade spirituale può esprimersi in questa particolare varietà di materie ed energie del cosmo. Quando la nostra catena terrestre avrà finito il suo corso manvantarico, e la sua famiglia di monadi spirituali andrà nella prossima catena planetaria, l'ego reincarnante originario di quella catena successiva allora diventerà dominante nella sua influenza sulla monade spirituale, mentre l'ego reincarnante originario della nostra attuale catena si ritirerà nel suo manvantara nirvanico.

Questi processi spirituali e psichici sono equilibrati così meravigliosamente dalle leggi della natura, e così lavorano tutti insieme naturalmente, che quasi invariabilmente, quando l'ego reincarnante sta per finire il suo sonno devacianico, la monade spirituale ha raggiunto quella parte delle sue peregrinazioni che la porta al globo più elevato della catena terrestre. Di conseguenza, un ego che ha il suo periodo di riposo devacianico, lungo o breve che sia, non ha difficoltà alcuna nel seguire le sue attrazioni di risveglio verso la terra, perché la monade spirituale è più o meno fortemente influenzata dalla condizione o qualità spirituale dell'ego reincarnante che si è riposato nel suo seno. Avviene così che le peregrinazioni della monade spirituale sulla ronda esterna sono in larga misura controllate per quel che riguarda la durata del suo pellegrinaggio.[25]

Finora abbiamo descritto la ronda esterna per quanto riguarda una monade spirituale individuale. Lo stesso esatto pellegrinaggio è fatto dalle onde di vita o classi monadiche quando la chiusura della nostra catena planetaria le libera dalla loro ronda esterna. Per quanto riguarda le ronde interne, anche queste, come abbiamo detto, sono fatte non solo di diverse onde di vita provenienti da globo a globo della nostra catena planetaria, ma ugualmente dalle monadi individuali dopo che il corpo fisico muore.

Abbiamo affermato che il campo della monade umano-animale è il nostro globo terrestre, e che la monade umana o ego reincarnante è limitata alla nostra catena planetaria per quanto riguarda le portate dell'esperienza; e, inoltre, che i campi d'azione della monade spirituale sono il nostro sistema solare, in particolare i sette pianeti sacri e la nostra terra, come pure quattro altre catene planetarie 'segrete,' mentre i campi della monade divina sono la galassia o il nostro universo-patria. Da ciò dovrebbe risultare chiaro che la monade umano-animale è 'liberata' dal nostro globo quando muore il corpo; e che la nostra monade spirituale è 'liberata' dalla nostra catena planetaria — quando ha raggiunto e lasciato il globo superiore della nostra catena planetaria e si prepara a librarsi verso la prossima catena.

Nessuna monade o centro di coscienza, proprio perché è una forza o energia di essenza spirituale, ha mai riposo durante il lungo periodo del manvantara cosmico. Il ritiro di un raggio della monade dall'incarnazione fisica non influenza del tutto quella monade. Significa semplicemente che il raggio è inglobato nella sostanza o essere della monade, e vi rimane nel suo devachan o nirvana, a seconda dei casi.

La monade è un essere spirituale vivente, sempre in movimento secondo il proprio tipo e classe; e questo movimento non solo è continuo ma, quando risaliamo sufficientemente a ritroso, essa è proprio della stessa sostanza dell'intelligenza cosmica. Per tutta la vita di un uomo, come pure durante la sua esperienza dopo la morte, la monade è sempre pienamente autocosciente nel suo regno elevato. Quando comincia l'esistenza post-mortem dell'individuo, la monade passa da una sfera all'altra del nostro sistema solare, 'e le ronde passano' sulle sue incessanti peregrinazioni durante il mahāmanvantara solare. Passa attraverso queste sfere non solo perché è originaria di tutte loro e ne è quindi attratta per le sue attrazioni ed impulsi spirituali e psico-magnetici, ma anche perché essa stessa vuole spiritualmente fare così; perché la volontà libera è un qualcosa di simile a dio ed è un attributo innato ed inseparabile della monade.

Un importante punto qui è che, dopo la morte dell'uomo, la monade spirituale fa le sue ronde esterne attraverso il sistema solare, e dentro di esso, esattamente nello stesso modo in cui un atomo di vita — anche se naturalmente sul suo piano d'azione molto inferiore — fa le sue 'ronde' e peregrinazioni dentro e attraverso i vari strati dell'uovo aurico dell'uomo mentre egli è vivo.[26] Ancora una volta vediamo le azioni analogiche reali e meravigliose di tutte le parti della natura: ciò che accade nelle sfere macrocosmiche o piani è copiato nei mondi microcosmici.


IL VIAGGIO DI RITORNO DELL'EGO REINCARNANTE

Dagli Dèi agli uomini, dai Mondi agli Atomi, da una stella alla luce di una candela, dal Sole al calore vitale dell'essere organico più minuscolo — il mondo della Forma e dell'Esistenza è un'immensa catena, i cui anelli sono tutti collegati l'uno all'altro. La legge di Analogia è la chiave principale del problema del mondo, e questi anelli vanno studiati coordinatamente nelle loro reciproche relazioni occulte. — La Dottrina Segreta, I, 604 ed. or.; p. 779 online

I viaggi della monade spirituale attraverso le sfere del sistema solare sono dovuti a parecchi motivi, di cui uno dei più importanti è espresso nell'antico proverbio "il simile attira il simile." Ė per questo che le sfere superiori attraggono la parte più alta della natura dell'uomo, che sente ugualmente il bisogno interiore corrispondente verso di esse. Così la monade sale progressivamente più in alto, essendovi ad ogni passo verso l'alto un'attrazione sempre più forte per mondi o sfere ancora più spirituali, più simili alla coscienza. Durante questi viaggi la monade attraversa ciascuno di tali mondi, e vi sosta. Nessun potere esterno spinge o costringe la monade a questo percorso evolutivo; sono soltanto le sue innate attrazioni che, attivandosi dopo la morte, sono evocate dalla fabbrica della propria essenza dall'attività spirituale ed intellettuale dell'uomo durante la vita terrestre.

Quando le attrazioni e le irresistibili aspirazioni interne che precedentemente avevano causato l'ascesa della monade attraverso le sfere hanno esaurito per il momento le loro energie, la monade retrocede e ritorna sui suoi passi. I semi latenti del pensiero e del sentimento che l'immaginazione, gli aneliti spirituali e le aspirazioni altamente intellettuali hanno immagazzinato nella monade durante le vite precedenti, a causa della loro origine nelle sfere materiali, cominciano ora a spingere la monade verso il basso, finché l'ego reincarnante trova la sua opportunità di proiettare il suo raggio incarnante, o ego umano, nel karmicamente appropriato germe del seme.

Ogni piano cosmico o mondo, come pure ogni pianeta, fornisce i suoi veicoli adatti all'auto-manifestazione degli eserciti di monadi entitative che viaggiano verso l'alto o verso il basso lungo le circolazioni del cosmo; e di conseguenza nessuno di tali veicoli o corpi può lasciare la sfera o il pianeta al quale appartiene. La morte significa gettare via i corpi, e la nascita significa riassumerli. Tutti questi veicoli sono costruiti da atomi di vita, la maggior parte dei quali, per qualsiasi individuo, sono la sua progenie psico-spirituale, per cui la monade si avvolge nelle proprie emanazioni che formano i suoi rivestimenti o trasmettitori con lo scopo di auto-manifestarsi.

Qui vediamo ancora che, mentre l'uovo aurico è in un certo senso l'uomo stesso, è anche gli effluvi combinati provenienti da tutte le diverse monadi che la costituzione umana, o quella di qualche altro essere vivente, contiene. In altre parole, tutti gli atomi di vita su ogni piano della costituzione umana vanno a costruire l'uovo aurico, e circolano dentro e attraverso di esso incessantemente, lasciandolo in diversi momenti per le loro peregrinazioni individuali ma alla fine tornando ad esso. Non va dimenticato, comunque, che anche l'uovo aurico è costantemente l'esercito per altre armate minori di atomi di vita peregrinanti, che entrano ed escono come ospiti — sono atomi di vita che vengono dalla natura circostante, e più in particolare, da altre entità, che possono essere superiori o inferiori all'uomo, come le bestie, le piante, i minerali, o gli elementali.

Così vi è una continua circolazione delle essenze vitali dentro e attraverso la nostra costituzione, che fornisce il campo karmico d'azione in cui le cause vengono instaurate e messe in funzione 'dall'esterno.' Ed è così anche nell'intercomunicazione ed interflusso di vitalità mantenuta tra sistema solare e sistema solare, e tra galassia e galassia — in quanto i diversi sistemi solari intercomunicano non solo elettricamente e magneticamente, ma anche psichicamente, intellettualmente e spiritualmente, mediante i fiumi di atomi di vita che scorrono passando dentro e fuori i loro vari uovi aurici.

Tutte le moltitudini di atomi di vita originari sui diversi piani della costituzione umana sono karmicamente e per sempre intimamente legati alla monade spirituale, la loro genitrice originaria. Quando alla fine del suo lungo pellegrinaggio la monade attrae di nuovo a sé questi stessi atomi di vita che aveva precedentemente gettati via, e con il loro aiuto forma per se stessa nuovi rivestimenti, per cui potremmo piuttosto dire che l'ego reincarnante 'fa risorgere' i vecchi corpi — intellettuali, psichici, astrali e fisici — che aveva avuto nella sua ultima vita terrestre. Questa è la base esoterica dell'insegnamento della Chiesa Cristiana riguardo la "resurrezione dei corpi."[27]

Infine, sulla sua ronda interplanetaria, la monade raggiunge "l'atmosfera' spirituale-magnetica della nostra catena terrestre. A questo punto l'ego umano, che fino a quel momento dormiva nel seno della monade spirituale, comincia a sentire, in risposta alle influenze dell'atmosfera psico-magnetica della nostra catena, un risorgente agitarsi — dapprima estremamente debole e diffuso — di antiche memorie, passate attrazioni e istinti, dovuti al risveglio degli elementali tanhici di tipo più spirituale che erano rimasti latenti durante il devachan. Inconsciamente spinto da queste antiche memorie che risorgono storicamente nella sua coscienza, l'ego cerca di riprendere i contatti delle sue sfere precedenti, ed è attratto da questa catena un po' come l'uomo che vive a lungo in un paese straniero desidera ritornare in patria, e sente il suo cuore battere con una pulsazione più forte quando rivede i vecchi luoghi a lui familiari.

Memorie vaghe e fluttuanti di scene di precedenti vite sulla terra attirano l'ego reincarnante che già le aveva sperimentate, e cominciano a sfilare panoramicamente attraverso i suoi campi di coscienza, e lo spingono progressivamente in basso verso le sfere che una volta egli aveva abitato. Questi impulsi crescono sempre più forti mentre la monade 'va verso il basso' finché alla fine è pronta e preparata alla sua nuova rinascita sul nostro globo terrestre.

Poiché il ritorno dell'ego umano reincarnante verso l'incarnazione ha luogo attraverso i vari piani della nostra catena planetaria, ciascun piano sempre più materiale, vi è una 'discesa' naturale o un continuo rivestimento dell'ego umano che s'incarna attraverso i globi dell'arco discendente. Su ciascuno di questi globi vi è un soggiorno transitorio allo scopo di ricongiungere gli atomi di vita appropriati che erano stati gettati via dalla monade durante i suoi primi passaggi attraverso i piani dei globi. Questi atomi di vita, a loro volta, avevano continuamente peregrinato in questi periodi intermedi.

Gli atomi di vita che l'ego umano reintegra nella sua costituzione durante queste fasi del suo ritorno verso la terra sono effettivamente in attesa sui globi dell'arco discendente, perché questi atomi di vita appartengono ai piani attraversati dall'ego nella sua discesa e sono anche i piani su cui l'ego li aveva lasciati cadere nella sua precedente ascesa. Ė in questa maniera che l'uomo che sta per ritornare nella nascita fisica si ricostruisce una costituzione di sette principi-elementi che sono veramente identici a quelli della sua precedente vita sulla terra. Ė questo a fare in modo che l'ego reincarnante diventi sotto tutti gli aspetti praticamente lo stesso uomo che era prima, ma migliorato, raffinato, a causa delle esperienze di assimilazione a cui si è sottoposto nei globi superiori; e, ultimo ma non meno importante, a causa della sua elaborazione spirituale delle esperienze della precedente vita terrena. Ancora, l'ego si prepara a mietere il raccolto che egli stesso ha seminato, attratto dalle interazioni psico-magnetiche tra i campi di vita e il carattere umano della monade.

Forse l'aspetto più importante di questo insegnamento è quello che potremmo chiamare l'attività progenitrice o creativa della monade fondamentale o spirituale nell'effondere da stessa, man mano che le ere scorrono, le sue moltitudini di centri di coscienza — che per loro è l'inizio — nel manvantara cosmico in cui appaiono — del lungo, lungo pellegrinaggio evolutivo che le adatta allo spazio e al tempo per passare dalla primitiva fase di scintilla divina incosciente alla coscienza pienamente sviluppata degli dèi.

Infatti, è così che le galassie negli abissi dello spazio infinito originariamente vennero in esistenza, perché ognuna di queste monadi-figlie è destinata ad evolvere in un universo, che non è altro che una pietra miliare cosmica, per così dire, nelle sue peregrinazioni lungo l'eternità. Prima una scintilla divina incosciente, poi, dopo molti giri attraverso tutti i regni della natura, le sue facoltà e poteri interiori si manifestano nella fase umana, la scintilla diventa un uomo, e in seguito una divinità; e un sole glorioso, accompagnato dalla sua famiglia di pianeti, le sue monadi a rimorchio che ora sono parzialmente cresciute; poi una galassia; e in seguito un ammasso di galassie — e dove possiamo mettere un termine limitativo alla crescita infinita della monade fondamentale? Non vi è mai una fine, e in verità non ci fu mai un inizio.

Ricordiamo sempre che l'uomo è essenzialmente uno con l'universo, il cui destino è il suo destino, che egli è ritenuto rigorosamente responsabile di tutto quello che è e di tutto quello che fa; che la sua volontà è suprema su tutte le energie dell'universo fisico, e che egli influenza il proprio sentiero nel futuro. Quando l'uomo realizza tutto questo, lo conosce veramente, allora, in verità, comincerà a pensare e ad agire come un dio, perché starà usando i poteri divini racchiusi in sé.

La principale mancanza nel mondo di oggi è un senso di virtù morali. Gli uomini sono eticamente e spiritualmente ignoranti; hanno perduto la conoscenza della visione interiore. L'antico libro degli ebrei diceva: "Dove non c'è alcuna visione, le persone muoiono." L'uomo che ha la musica nell'anima percepisce che essa riflette la sinfonia cosmica, il legame simmetrico ed armonioso che esiste dappertutto, e che quindi egli è moralmente responsabile che quest'armonia non può essere infranta. La via alla pace, la via alla conoscenza, alla saggezza, e all'armonia, sta nel seguire le leggi universali. Allora diventiamo maestri di vita. Questo è il sentiero.

L'anima-spirito dell'uomo, il cuore del suo cuore, è essenzialmente uno con l'Infinito. Essendo co-estensivo con lo Spazio illimitato, nato dalla sua essenza, vita della sua vita, coscienza della sua coscienza, è senza tempo e senza morte, poiché né il tempo né la morte hanno influenza sull'Infinito.


[1] I diversi gradi di coscienza della "regione benedetta" del devachan sono variamente descritti nelle scuole filosofiche orientali, particolarmente negli scritti buddhisti, con il termine sukhāvati, che significa 'condizione felice.' Sebbene le descrizioni exoteriche siano retoriche e piuttosto immaginarie, puntano al nucleo centrale della verità esoterica, che il devachan è giustamente divisibile in molti diversi stati della coscienza.

In questo contesto, si rimanda il lettore alle Lettere dei Mahatma (pp. 99-100 ed. or.; p. 82 online):

Il Deva-Chan, o terra di “Sukhavati,” è allegoricamente descritta dallo stesso nostro Signore Buddha. Ciò che egli disse si può trovare nello Shan-Mun-yt-Tung. Dice il Tathâgata:
"Migliaia e migliaia di sistemi di mondi oltre a questo (il nostro) vi è una regione di Beatitudine chiamata Sukhavati.. . . Questa regione è circondata da sette file di steccati, sette file d'immense cortine, sette file di alberi ondeggianti; questa santa dimora di Arhat è governata dai Tathâgata (i Dhyan Chohan) ed è proprietà dei Bodhisatwa. Essa ha sette laghi preziosi, nel mezzo dei quali scorrono acque cristalline dalle "sette ed una" proprietà, o qualità che le distinguono (i sette principi che emanano dall'Uno). Questo, o Sariputra, è il "Deva Chan". Il suo fiore divino Udumbara mette le radici all'ombra di ogni terra, e fiorisce per tutti coloro che lo raggiungono. Coloro i quali nascono in questa regione benedetta sono veramente felici, in quel ciclo non c'è più dolore né disperazione per loro.. . . Miriadi di Spiriti (Lha) vi ricorrono per riposare, e poi ritornano alle loro regioni [Coloro che non hanno completato i loro giri terrestri. — K. H.]. O Sariputra, molti di coloro che nascono in quella terra di gioia sono Avaivartya [Letteralmente, coloro che non ritorneranno mai — gli uomini della settima ronda, ecc. — K. H.] . . . "

[2] Il kāma-loka è, infatti, una serie di sotto-loka, e fa parte del kāma-dhātu. I tre dhātu nella scala ascendente, il kāma-dhātu, il rūpa-dhātu, e l'arūpa-dhātu, sono realmente un modo buddhista di chiamare la serie dei mondi e delle sfere, visibili ed invisibili, che nelle filosofie brahmaniche sono denominati loka. Comunque, il devachan, essendo assolutamente una serie di stati di coscienza, non è in alcun senso un loka o dhātu, o una serie di sfere o mondi effettivi. Se non vi fossero entità o esseri nella condizione devacianica della coscienza, ovviamente non vi sarebbe alcun devachan.

[3] In senso alquanto generale, si può dire che l'ego devacianico 'evolve;' pur essendo in uno stato di riposo assoluto, e, di conseguenza, vi è un incessante movimento delle particelle del veicolo ākāśico che avvolge — il velo o rivestimento devacianico — realmente quelle parti dell'uovo aurico dell'ego reincarnante che trovano la loro funzione appropriata nel rivestire in questo modo l'ego devacianico che sogna.

[4] Per quanto riguarda la durata comune della vita "che si dice sia di quindici anni," questa cifra non fu stabilita da G. de Purucker, ma era una stimata media mondiale ai tempi di G. de Purucker e prima, e naturalmente includeva la mortalità infantile, le morti premature dovute a malattia, fame, guerre, omicidi, suicidi, ecc, per non parlare della mancanza dell'alimentazione moderna, servizi igienico-sanitari, e medicine. Non conosciamo la fonte di questa stima, ma non sembra irragionevole, considerati i fattori. Se omettiamo i fattori che contribuiscono alla morte prematura, la comune aspettativa della vita sarebbe sicuramente molto più alta — molto simile ai 70 anni biblici. — nota dell'Editore.

[5] Alcuni esseri umani hanno stabilito un legame così esiguo con la natura spirituale, che quando sopraggiunge la morte non hanno niente che sia stato costruito nella vita appena passata per portare in esistenza lo stato devacianico. Come risultato, essi cadono in uno stato di assoluta incoscienza, nel quale restano fino alla prossima reincarnazione che arriva molto presto.

Sono stati riportati parecchi esempi di reincarnazioni alquanto immediate, che, se veri, rappresenterebbero quei casi rari e straordinari di esseri apparentemente normali che, per un motivo karmico, si reincarnano probabilmente entro un anno o due dopo la morte. Paragonati alla grande moltitudine di individui comuni che sono sottoposti sia al kāma-loka che al devachan tra un'incarnazione ed un'altra, sono davvero pochi di numero. Essi non sono affatto cattivi o malvagi, ma sono quelli che potremmo chiamare spiritualmente passivi o neutri e, poiché durante l'esistenza non si sono ancora risvegliati a quella vita caratteristicamente spirituale che crea l'esperienza devacianica, passano un breve periodo nel kāma-loka e poi si reincarnano.

[6] È stato chiesto se un maestro spirituale che è in devachan possa entrare direttamente in un corpo adulto, o se debba prima nascere nel modo normale, e solo allora fare questo trasferimento. Quando un Messaggero entra in devachan, di solito è un'esperienza molto breve per un tale Servitore della Legge, ed egli deve abbandonare quello stato di riposo per poter riprendere il suo lavoro sulla terra. In pratica, un Messaggero non lascia mai il devachan per incarnarsi immediatamente in un corpo adulto.

Inoltre, è del tutto possibile per uno entrare in devachan e non attraversare tuttavia la valle della morte come un comune essere umano. Il corpo fisico se n'è andato, è vero, ma vi è un modo con cui alcuni chela elevati sono aiutati ad ottenere il loro riposo devacianico e tuttavia conservare la forma dell'individualità e della personalità che fu, per entrare in corpi adulti viventi. Vi sono anche casi in cui non è sperimentato né il nirvana né lo stato devacianico, ma solo un periodo molto breve di incoscienza vuota; e ciò è fatto per mettere il Messaggero in grado di recuperarsi prima di riprendere i suoi doveri.

[7] Da un articolo non firmato su The Theosophist, luglio 1844, p. 242:

Ora, quelli che hanno studiato l'insegnamento occulto riguardante il Devachan e i nostri stati successivi, ricorderanno che tra due incarnazioni vi è un cosiddetto periodo di esistenza soggettiva. Più grande è il numero di questi periodi devacianici, più grande è il numero di anni oltre cui si estende quest'evoluzione. Lo scopo principale dell'occultista è quindi di controllarsi come pure di essere capace di controllare i suoi stati futuri, e quindi abbreviare la durata dei suoi stati devacianici tra le sue due incarnazioni. Nel suo progresso viene il momento in cui, tra una morte fisica e la successiva reincarnazione, non vi è alcun Devachan, ma un tipo di sonno spirituale, poiché lo shock del dopo-morte lo ha, per così dire, stordito in uno stato d'incoscienza dal quale gradualmente ne esce per ritrovarsi rinato e continuare il suo proposito. Il periodo di questo sonno può variare dai venticinque ai duecento anni, dipende dal grado del suo avanzamento. Ma si può dire che anche questo periodo sia una perdita di tempo, e quindi tutti gli sforzi mirano ad abbreviarne la durata, fino ad arrivare a un punto in cui il passaggio da uno stato di esistenza ad un altro è quasi impercettibile. Questa è, per così dire, la sua ultima incarnazione, perché lo shock della morte non lo stordisce più.

[8] Come anima evolvente, l'uomo è più progredito rispetto alla terra su cui vive, e quindi, più dello spirito della terra, egli ha sogni di bellezza, aneliti di altruismo, meravigliose intuizioni di grandezze spirituali ed intellettuali che nessuna vita umana è abbastanza lunga da esaudire. Di conseguenza, egli richiede un periodo proporzionalmente più lungo di riposo per assorbirli ed assimilarli, mentre un globo non è così evoluto quanto lo è la sua monade, ma è alquanto equilibrato nella linea fra i mondi superiori ed inferiori della materia, creando la stessa effettiva lunghezza della durata della sua incarnazione e disincarnazione. O quando parliamo di manvantara e pralaya, abbiamo in mente i periodi di vita delle cose visibili e fisiche in cui le bilance sono in equilibrio; nel nostro sistema solare, ad esempio, nel suo manvantara e pralaya, il giorno è uguale alla notte.

[9] Il termine gestazione è usato nei moderni scritti teosofici per indicare un periodo di preparazione durante il quale l'entità è sottoposta a una serie di modificazioni per entrare nella prossima condizione karmica — sia in un altro mondo o sfera, sia in un cambiamento di coscienza, o in entrambi. Così, la gestazione può significare sia il rigetto da parte dell'entità disincarnata dei rivestimenti e degli atomi di vita di tipo più grossolano che l'hanno trattenuta nelle sfere materiali, essendo questo processo un elevarsi dai regni della materia ai regni spirituali; o può significare il processo inverso: cambiamenti di modalità di coscienza e l'assunzione di rivestimenti di tipo più grossolano che la preparano a diventare un'entità incarnata nelle sfere materiali. Per l'entità umana disincarnata vi sono due principali periodi di gestazione: a) di preparazione alla sua entrata nel devachan, cioè prima della seconda morte; e b) dopo aver lasciato il devachan, per prepararsi alla sua nuova vita come ego incarnato sulla terra.

[10] La nostra gerarchia umana trova i suoi cieli e i suoi inferni nei globi della catena terrestre. I soli veri inferni sono i globi materiali di una catena, sia che essa si trovi su piani cosmici elevati o inferiori. Ad esempio, la nostra terra sarebbe un 'inferno' per le famiglie di monadi che passano attraverso le loro fasi d'esperienza nei globi superiori della nostra catena.

[11] Vi sono incarnazioni di molti tipi. 'Incarnazione' non significa sempre un involucro di carne umana; sono anche ignee, aeree, acquose, eteree, come pure involucri spirituali; e il termine di tali incarnazioni può essere breve o molto lungo, secondo il karma dell'individuo.

[12] Per allenare la coscienza ad entrare nello stato nirvanico è anomalo nel periodo attuale. Infatti, la coscienza ottenuta mediante un intenso allenamento spirituale, dopo il quale si diventa un nirvanī, va ben oltre quella della settima razza-radice sul globo D in questa quarta ronda. Effettivamente, la coscienza di un nirvanī è simile alla coscienza che sarà la caratteristica dell'ultima parte della sesta ronda.

[13] Secondo il Lankāvatāra Sutra, uno dei principali testi Mahāyāna, il nirvana è definito come "la visione svelata dell'essenza della Realtà com'è," parafrasando alquanto l'originale sanscrito, nirvānam iti yathābhūtārthasthāna-darśanam. L'erroneo malinteso degli orientalisti, nel senso che nirvana significhi annichilimento, non sarebbe sorto affatto se avessero considerato con mente aperta i seguenti passaggi:

"Inoltre, o Mahāmati, coloro che, temendo le sofferenze che nascono dalla discriminazione della nascita e della morte, cercano il Nirvana, non sanno che la nascita e la morte, e il Nirvana, non devono essere separati l'uno dall'altro; e vedendo che tutte le cose soggette alla discriminazione non hanno realtà, immaginano che il Nirvana consista nell'annichilimento futuro dei sensi e dei loro campi. Non sono consapevoli, o Mahāmati, del fatto che il Nirvana è l'Ālayavijñāna, dove ha luogo una repulsione mediante l'auto-realizzazione. Quindi, o Mahāmati, gli stupidi parlano della trinità dei veicoli e non dello stato della sola Mente, in cui non vi sono immagini. Ne consegue, o Mahāmati, che quelli che non comprendono gli insegnamenti dei Tathagata del passato, del presente e del futuro, riguardanti il mondo esterno, che è della Mente stessa, si aggrappano alla nozione che vi sia un mondo fuori da quello che è visto della Mente stessa e, o Mahāmati, e si aggirano lungo la ruota della nascita e della morte." — Cap. II, xviii, p. 55 (traduzione di D. T. Suzuki)
"Quando la propria natura e l'energia dell'abitudine di tutti i Vijnāna, inclusi Ālaya, Manas, e Manovijñāna, dai quali nasce l'energia dell'abitudine di speculazioni sbagliate — quando tutti questi passano attraverso la repulsione, Io e i Buddha dichiariamo che vi è il Nirvana, e la modalità e la natura propria di questo Nirvana è il vuoto, che è la condizione della realtà.
Inoltre, o Mahāmati, è il regno dell'autorealizzazione ottenuta dalla nobile saggezza, che è libera dalla discriminazione dell'eternità e dell'annichilimento, esistenza e non-esistenza. Come mai non è eternità? Poiché ha rigettato la discriminazione e la generalità, non è eternità. Come mai non è annichilimento? Perché tutti gli uomini saggi del passato, del presente e del futuro, hanno raggiunto la realizzazione. Quindi, non è annichilimento." — Cap. II, xxxviii, pp. 86-7 (op. cit.)

[14] Il termine nirvana (nibbana in Pali) lo ritroviamo molto frequentemente nelle scritture del Buddhismo Hīnayāna, ma meno spesso nelle scuole Mahāyāna, dove l'idea delle condizioni nirvaniche o stati è di solito espressa da termini affini come prajñā, sambodhi, dharmakāya, tathātā, pratyātmajñāna, ed altri, avendo tutti il loro significato specifico.

[15] Transactions of the Blavatsky Lodge, pp. 58-59 ed. or.; Dissertazioni sulla Dottrina Segreta, pp. 83-84 online.

[16] The Mahatma Letters, pp. 47-48.

[17] Molti sogni, inoltre, pur non essendo realmente profetici, tuttavia possono rivelare a chi li esamina almeno qualcosa dei propri processi mentali e vitali, e possibilmente quale sia il suo carattere. Molto spesso, il corpo, o le passioni e i sentimenti, reagiscono al momento sul cervello dormente producendovi delle scene, e chi sa come interpretare questi sogni con un'accurata autoanalisi, senza morbosità, può ricavarne utili consigli e ammonimenti: che la sua vita e le sue emozioni non sono proprio quelle che dovrebbero essere. Ma, come già detto, è più saggio dimenticare i sogni di tutti i tipi, a meno che non siano di un'intensità talmente vivida da rimanere impressi al nostro risveglio, per cui abbiamo la sensazione di averli tenuti meglio a mente.

[18] Si rimanda il lettore a "Examinations of the Golden Verses" di Fabre d'Olivet. [Vedi la versione inglese di Nayàn Redfield's (1917) dei Versi Aurei di Pitagora, tradotti in francese da Fabre d'Olivet.] Distinto linguista e filosofo francese, d'Olivet afferma:

Gli antichi avevano l'abitudine di paragonare all'oro tutto quello che ritenevano senza difetti e preminentemente bello: così, per l'Età D'oro intendevano l'età delle virtù e della felicità; e per Versi Aurei i versi in cui era nascosta la dottrina più pura. Attribuivano fermamente questi Versi a Pitagora, non che credessero che questo filosofo li avesse composto egli stesso, ma perché sapevano che il suo discepolo, alla cui opera appartenevano, avesse rivelato la stessa dottrina del suo maestro e li aveva basati su delle massime uscite dal suo labbro. Questo discepolo, lodevole per il suo sapere e soprattutto per la sua devozione ai precetti di Pitagora, si chiamava Lisia. Dopo la morte di Pitagora, mentre i suoi nemici, momentaneamente trionfatori, avevano iniziato quella terribile persecuzione che costò la vita a un così gran numero di Pitagorici, schiacciati sotto le macerie della loro scuola bruciata, o a morire di fame nel tempio delle Muse, Lisia scampò felicemente a questo disastro, si ritirò in Grecia dove, volendo diffondere la setta dei Pitagorici, ai cui principi si erano attaccate le calunnie, sentì la necessità di elaborare una sorta di formulario che avrebbe contenuto la base della morale e delle principali regole di condotta date da quell'esimio uomo.. . . Questi versi. . . contengono i sentimenti di Pitagora ed è tutto quello che ci rimane, realmente autentico, inerente a uno dei più grandi uomini dell'antichità.
Ierocle, che li ha trasmessi a noi con un lungo e magistrale Commentario, ci assicura che essi non contengono, come si potrebbe credere, il sentimento di uno in particolare, ma la dottrina di tutte le corporazioni sacre dei Pitagorici e la voce di tutte le assemblee. Egli aggiunge che esisteva una legge che prescriveva che ciascuno, ogni mattino al risveglio ed ogni sera prima di ritirarsi, doveva leggere questi versi come gli oracoli della Scuola Pitagorica. Vediamo, in realtà, da molti passaggi di Cicerone, Orazio, Seneca, ed altri scrittori degni di fede, che questa legge era vigorosamente messa in atto al loro tempo. Sappiamo dalla testimonianza di Galeno nel suo trattato La Comprensione e la Cura delle Malattie dell'Anima, che egli stesso leggeva ogni giorno, mattina e sera, i Versi di Pitagora, e che, dopo averli letti, li recitava a memoria. . . .
Se il suo [di Lisia] nome non è stato collegato a quest'opera, è perché all'epoca, quando la scrisse, esisteva ancora l'antica abitudine di considerare le cose e non gli individui: era la dottrina di Pitagora che veniva presa in considerazione, e non il talento di Lisia, che l'aveva fatta conoscere. I discepoli di un grande uomo non avevano altro nome che questo. Tutte le loro opere furono attribuite a lui. Questa è un'affermazione sufficientemente importante da fare e che spiega come Vyasa in India, Hermes in Egitto, Orfeo in Grecia, siano stati i supposti autori di una molteplicità di libri che le vite di molti uomini non sarebbero neanche sufficienti a leggerli.

Il testo greco del verso citato è come segue:

Μήδ' ὕπνον μαλακoῖσιν ἐπ' ὄμμασι προσδέξασθαι,
Πρὶν τῶν ἡμρνῶν ἔργων τρὶς ἕκαστον ἐπελθεῖν.
Πῆ παρέβην; τί δ' ἔρεξα; τί μοι θέον οὐκ ἐτελέσθη;

[19] Tutte le varie classi o regni mostrati in questo diagramma sono chiamati da H.P.B. "famiglie" o a volte "umanità" — intendendo che non sono tutti ego umani o regni umani, ma delle umanità nel senso che in futuro le entità nei regni al di sotto dell'uomo diventeranno umane; o, visto da un altro punto di vista, questi esseri ora superiori al nostro regno furono umani in qualche passato manvantara cosmico.

[20] Gli elementari degli esseri umani che sono molto degenerati dalla regola umana sono sul sentiero discendente, abbastanza frequentemente — prima di essere catturati nella corrente di un flusso che li trascina alla Fossa — sono così avidi e affamati di vita fisica, che questi squallidi esseri astrali sono attratti dagli uteri delle femmine animali e alla fine diventano bestie corrispondentemente all'innata abiezione degli stessi elementari. In verità, alcuni elementari nella luce astrale sono talmente disintegrati che non possono neanche entrare negli uteri animali, ma si attaccano a individui malvagi del mondo vegetale.

[21] Questo si realizza in più o meno tempo, secondo il grado in cui la Personalità (ora composta delle sue scorie) era spirituale o materiale. Se ha prevalso la spiritualità, allora la Larva, o fantasma, si dissolverà molto presto; ma se la Personalità era molto materialista, il Kāma Rūpa può durare secoli e — e in alcuni casi molto eccezionali — anche sopravvivere con l'aiuto di qualcuno degli Skandha sparsi, che nel tempo si trasformano in Elementali. Vedi La Chiave della Teosofia (pp. 141 e seg. ed. or.) — opera in cui era impossibile andare nei dettagli, ma dove gli Skandha sono definiti come i germi degli effetti karmici. — H.P.B.

[22] Un termine sanscrito che significa fasci o aggregati.

[23] Nel Buddhismo exoterico gli skandha (letteralmente, 'fasci' o 'aggregati') sono cinque di numero: forma (rūpa), sensazione o percezione sensoriale (vedanā), intellettività autocosciente (sañjñā), tendenze mentali (samkāra), e coscienza (vijñāna). Il primo skandha rappresenta il mondo materiale della matericità delle cose, mentre i rimanenti quattro appartengono alla monade astrale e alla mente. Il secondo è pertinente alla percezione degli oggetti del senso; il terzo a ciò che è elaborato dalla mente; il quarto si riferisce a quello che potrebbe essere definito come il principio formativo della mente, creando modelli mentali vitalizzati dalle proprie energie; e il quinto rappresenta la mentazione egoica. L'analisi filosofica buddhista ha immesso queste varie caratteristiche e attributi nelle cinque categorie appena enumerate.

Così gli skandha sono i vari gruppi di attributi personali o caratteristiche che rendono una personalità umana diversa da un'altra; ed è attraverso questi gruppi di caratteristiche o attributi psicologici e psico-emotivi sul piano astrale, che agisce l'uomo superiore, l' ego, cioè l'individualità egoica.

[24] Potrei aggiungere che, una volta che il concepimento ha avuto luogo e l'embrione comincia a crescere, qualsiasi tentativo di fermarne lo sviluppo o di distruggerlo è chiaramente un omicidio. Nell'insegnamento della filosofia esoterica è considerato solo un po' meno negativo dell'omicidio di un umano adulto — un po' meno perché questa distruzione o aborto ha luogo prima che l'autocoscienza della vittima abbia avuto una possibilità di venire alla luce.

[25] Vedi The Esoteric Tradition, cap. xxx [2nd ed.; cap. 18 in 3rd & rev. ed.], dove il soggetto è trattato molto dettagliatamente.

[26] Vedi "Transmigrations of the Life Atoms," di H.P.B. in The Theosophist, agosto 1883.

[27] Se dovessimo comunque dire che un nuovo uomo è identico all'uomo dell'ultima vita, evidenzieremmo l'antica eresia che vi è 'un'anima' umana immutabile che rimane la stessa nei secoli dei secoli. Ma l'anima è incessantemente in un processo di cambiamento; ed è ovvio che un essere che cambia continuamente attraverso tutta l'eternità non può rimanere identico nemmeno per un istante. Altrimenti, il bambino sarebbe identico al futuro uomo che sarà.

Ogni incarnazione produce dai depositi karmici un nuovo uomo che è composto di ciò che deriva dall'ultima incarnazione più i nuovi incrementi della facoltà e dell'attributo messi in funzione dalla sua assimilazione devacianica delle esperienze dell'ultima vita della monade. Il carattere del nuovo uomo contiene anche qualità, per quanto imperfettamente sviluppate possano essere, che non erano completamente attivate nelle vite precedenti; e tuttavia questo nuovo uomo deve addossarsi la responsabilità karmica dell'uomo precedente.

Fu propria su questa dottrina di un cambiamento costante e di un centro focale di coscienza evolvente che Gautama il Buddha basò il suo rifiuto della teoria di "un'anima" immutabile che rimane più o meno per sempre lo stesso ego.



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