Da Sunrise magazine, ottobre/novembre 1994; copyright © 1994 Theosophical University Press. Traduzione italiana di Nicola Fiore © 2016. Quest'edizione può essere scaricata gratuitamente per uso personale. Tranne che per qualche breve estratto, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o trasmessa per uso commerciale o per altro uso senza chiedere il permesso alla Theosophical University Press.
Esplorate il Fiume dell'Anima,
da dove e in quale ordine
voi siete venuti:
affinché, sebbene siate diventati
schiavi del corpo,
possiate elevarvi all'Ordine
da cui discendete,
partecipando alle opere
della sacra ragione (logos).
— The Chaldean Oracles, 172
I fiumi appaiono frequentemente nelle tradizioni sacre del mondo come simboli dell'influenza divina e dell'interdipendenza della vita. Evocano un'immagine di energie spirituali e intellettuali attraverso i molteplici piani della vita cosmica e individuale — legandoci intimamente alla nostra sorgente spirituale, nutrendoci e sostenendoci, e scaturendo per connetterci con tutte le cose. Possiamo ricordare, ad esempio, la descrizione del Gange che discende dal cielo, circondando la città d'oro di Brahmā sulla cima del Meru, la montagna centrale della terra, dividendosi poi in quattro fiumi che fluiscono nei quattro punti della bussola. Incorporata in queste immagini — che geometricamente descrivono una piramide — vi è una serie di idee che suggeriscono un continuo flusso di vita, saggezza e guida dalla nostra patria originaria ad ogni angolo del mondo.[1]
Come gli antichi egiziani che compresero il dono del Celeste Nilo come pure della sua controparte terrestre, possiamo arricchirci esplorando questi antichi corsi d'acqua, in modo che la prossima volta che vediamo un battesimo cristiano, o milioni di hindu che si radunano sulle rive del Gange, il significato di questi riti e celebrazioni sarà chiaro, perché serve come un sorso d'acqua rinfrescante dal profondo Pozzo della Memoria in noi. I fiumi sacri non sono soltanto ricordi mitici della verità perduta, rappresentano il flusso onnipresente di chi e cosa siamo essenzialmente: non un essere statico, ma un flusso dinamico sempre in divenire della radiosità divina.
Tornando alla sorgente dei fiumi all'inizio del tempo, spesso gli antichi filosofi descrivevano un seme o un uovo contenente la potenza del nostro universo, in gestazione nella matrice dello spazio infinito e della durata. Seguendo l'analogia della natura, che è ciclica e si auto-riproduce dappertutto, questo seme possiamo considerarlo come il frutto dei suoi antenati, gli universi precedenti pieni di vita, intelligenza e coscienza. È naturale, allora, visualizzare questo seme infinitesimale che prorompe al momento appropriato in un fiume torrenziale di coscienza-energia-sostanza, inondando lo spazio con "acque" radianti — il caos primordiale — da cui nascono galassie, sistemi stellari, e sviluppano pianeti come la nostra Madre Terra. Su scala microscopica, anche i nostri corpi fisici i cui atomi roteano nel cuore di un sole — sono una fabbrica incessante di energie abbaglianti e brillanti, che fluiscono in corsi d'acqua modellati nella mente collettiva dei nostri creatori.
Questi pensieri li possiamo distinguere nel nostro più antico mito scritto — e non era forse ciò che avevano in mente gli antichi poeti sumeri e babilonesi nel raccontare di Gilgamesh, la cui ricerca dell'immortalità e del significato della vita lo portarono dal Progenitore dell'umanità, Utanapisthim ("Colui che ha trovato la vita"), che dimorava "oltre il mare" con gli dèi, nel Giardino del Sole alla Foce dei Fiumi? Forse essi avevano anche un'intuizione naturale della forza della vita che si riversava periodicamente scaturendo dal sole e oltre nel nostro mondo. È un tema che si rispecchia nella storia di un altro ben noto giardino qui sulla terra: "Vi era un fiume che scorreva dall'Eden per irrigare il giardino, e quando lasciava il giardino si divideva in quattro ruscelli . . ." (Genesi 2: 10)
Quando i fiumi discendono dalle loro sorgenti incontaminate, dalla pioggia e dalla neve, raccolgono i sedimenti e altre qualità della regione attraverso la quale passano, come pure gli inquinamenti più grossolani con cui noi umani contribuiamo a infangare questi corsi d'acqua datori di vita, sia fisici che mentali. Quasi certamente Omero e Platone avevano in mente quest'ultimo aspetto nel descrivere la discesa dei fiumi nei mondi infernali. Nella cosmogonia greca il titano Oceano, primogenito del Cielo e della Terra, è descritto come il padre di tutti i fiumi ed è egli stesso un fiume celeste le cui acque circondano la Terra. Tra le sue figlie, a volte numerate a migliaia, ci sono i quattro fiumi principali dell'inferno, e anche Lete, il Fiume della Dimenticanza e dell'Oblio. Infine, questi si uniscono per scorrere a sud, dipanandosi intorno al lago d'Acherusio, per poi scaricare, alla fine, i loro residui contenuti nel Tartaro. Qui, nell'inferno, essi funzionano come un purgativo, mondando le anime umane dalle qualità egoistiche mentali ed emotive che sono "letali" o altrimenti dannose per il loro progresso evolutivo. (Fedone 114)
I miti suggeriscono che il fiume sacro è un aspetto dell'ecosistema spirituale-mentale-fisico dell'universo, e la sua discesa attraverso i tre mondi del cielo, della terra e dell'inferno, trova forse piena espressione nella mitologia del Gange, o Gaṅgā, il più sacro dei fiumi dell'India. Personificato come una dea, Madre Gange è le acque materne che danno la vita, l'energia femminile intelligente dell'universo, e la moglie/consorte del grande dio asceta Śiva, il distruttore della forma, il rigeneratore della vita, e patrono degli allievi mistici. Nella sua origine celeste, è Ākāśagaṅgā — ākāśa significa brillante o luminoso, e significa lo spirito-sostanza del cosmo, la riserva dell'Essere e degli esseri. Ugualmente, è la Via Lattea "che fluisce lentamente e dolcemente," sorgendo dal dito del piede di Vishnu quando egli perforò la volta del cielo sollevando il suo piede sinistro. Da Vishnu, il conservatore dell'universo, Gaṅgā scorre continuamente nella testa di Dhruva, la stella polare, che sostiene il suo giorno e la sua notte.
Il mito centrale della sua triplice discesa (avatāra) dal cielo è raccontato in molti testi, in particolare i Purāṇa e le epopee. Mosso dalla penitenza del regale saggio Bhagīratha, un discendente di Re Sagara ("Oceano"), Gaṅgā decise di scendere sulla terra per purificare le ceneri dei 60.000 figli di Sagara. Gaṅgā allora spazzò via i tre grandi torrenti che avrebbero inondato la terra se Śiva non avesse catturato le acque sulla sua fronte e ostacolato la loro caduta. Avendo ancora acquisito i favori di Bhagīrata, Gaṅgā lo seguì fino al mare e poi nelle regioni infernali per compiere la sua missione, purificando i figli di Sagara e quindi rendendoli capaci di ottenere il paradiso.
La discesa di Gaṅgā sulla terra in tre torrenti e le sue divisioni alla cima del Meru in quattro fiumi è correlata al mito dei sette Gange che oggi gli hindu identificano con i sette fiumi dell'India. Questi possono anche essere interpretati come rappresentanti dei sette piani dell'universo: sette gradi o qualità di coscienza-sostanza che hanno origine da una singola sorgente superceleste, che li attraversa scorrendo e che comprende quindi la totalità del nostro cosmo.[2] O ancora, a livello umano, indicano i tre aspetti della coscienza — spirito, intuizione, e intelletto — e i quattro principi di sostanza-energia che compongono i nostri veicoli fisici.
Secondo le credenze hindu, il Gange purifica tutto quello che tocca, e il suo percorso rappresenta in India un pellegrinaggio di fede. Lungo il cammino ci sono i tīrtha, i guadi o "attraversamenti," dove gli hindu vengono a bagnarsi, rinnovandosi simbolicamente nelle sue acque salvifiche; alcuni passano i loro ultimi giorni sulle sue rive, dove muoiono e "attraversano" il fiume della nascita e della morte fino all'oceano della vita immortale.
Sottostante a questi riti e simboli c'è una saggezza universale sia ispiratrice che pratica. Le sue idee centrali sono espresse con un'inusuale chiarezza nella teosofia dei Mandeani, originariamente ebrei ortodossi, un tempo chiamati i Cristiani di Giovanni perché riconoscevano Giovanni il Battista come uno di loro. Per secoli hanno vissuto nelle paludi dell'Eufrate nell'Iraq meridionale (fino alla diaspora che derivò dalle politiche di Saddam Hussein), proseguendo nella loro tradizione di una saggezza segreta salvifica. Sono chiamati anche Nasoreani, che posseggono cioè la "vera gnosi o illuminamento," e dai musulmani arabi Sabeani, "coloro che si sommergono" o "si immergono," a causa della loro pratica del battesimo e del rituale purificatore.
La cosmologia Mandeana si riferisce al principio supremo come alla Grande Vita, la sorgente originante, come pure la forza creativa e sostenitrice di qualsiasi cosa nell'universo. La Grande Vita è descritta come "aliena," nel senso di remota, incomprensibile e ineffabile. A causa del suo mistero e della sua astrazione, i Mandeani parlano di essa con il plurale impersonale — non come Egli o anche Esso, ma come "Essi."
Il simbolo della Grande Vita è "l'acqua vivente" che i Mandeani chiamano yardna (Giordano), e uno dei loro riti centrali è l'immersione nell'acqua corrente, cioè i fiumi naturali o i canali costruiti dall'uomo. Usare acqua chiusa o tranquilla per questo scopo non è permesso, perché queste acque sono considerate stagnanti o morte. Comunque, i Mandeani insistono che la parola yardna significa solo un fiume di acque correnti — sia in senso celeste che fisico — e che non ha alcun riferimento diretto al Giordano in Palestina. I Mandeani fanno derivare tutti i fiumi e le acque da un prototipo celeste: un fiume bianco e puro chiamato "l'Eufrate o Luce Radiosa."
"Awaz Boats," Eufrate, Iraq meridionale, di Abid Bharani.
La prima emanazione della Grande Vita è il potere duale vivificante della Radiosità (lett.="Radiosità che erompe") e la Prima Mente. Una pergamena Mandeana l'esprime così: "La Radiosità è il Padre, e la Luce è la Madre." La loro forza creativa che s'unisce è affidata al loro "figlio," Yawar (etimologicamente connesso a Yahweh/Jehovah), sovrano dei mondi celesti e la personificazione della Luce "risvegliante," attiva, in manifestazione — una reminiscenza dell'atto d'apertura del Genesi: Lo Spirito di Dio [rūaḥ elohīm] si librava sopra la superficie delle acque. Ed Elohim [un plurale maschile-femminile, cioè un androgino "Essi"] disse: 'Sia la luce!' . . . " I libri Mandeani vanno avanti per spiegare che il fiume della vita e della luce scorre da un singolo punto nascosto nell'astratto mistero della Grande Vita. Certi inni parlano di Radiosità che infiamma questa "matrice" o "centro formativo," provocandone il dissolvimento e la conseguenziale venuta in esistenza di una dimora o santuario. Così "fu stabilita la Casa della Vita" — l'universo.[3]
Con questo retroterra, possiamo meglio comprendere il significato dei battesimi rituali dei Mandeani. Per loro, il battesimo quotidiano è l'espressione fisica ed esterna di quello che accade nelle loro vite mentali e spirituali. Immergendosi nella corrente perpetuamente in attività del Giordano celeste, partecipano alle attività creative della Grande Vita. Le immersioni rituali sono chiamate masbuta, che deriva dalla radice sba, che significa "tuffarsi in un bagno colorante." Una persona va nel fiume nero e, metaforicamente, ne emerge bianco; entra nell'yardna inquinato e ne vien fuori purificata.
Ugualmente, in una delle sue sette "fatiche" spirituali, l'eroe greco Ercole ripulì le stalle di Augia in un solo giorno deviando i fiumi Alfeo e Peneo attraverso un recinto di bestiame accatastato con lo sterco di 10.000 animali. La metafora indica il flusso divino del pensiero che purifica, spiritualizza e protegge.
Ampliando quest'idea, la parola buddhista per il neofito che ha determinato di risvegliare la sua natura Buddhica — cioè, diventare illuminato — è srotāpatti: "uno che è entrato nella corrente" che porta all'oceano nirvanico. La Voce del Silenzio aggiunge che questa è una corrente nirvanica — suggerendo che il nirvana è sia "qui" che "lì." I punti d'incrocio — una reminiscenza dei punti di guado sul Gange sono — le virtù trascendentali o pāramitā, un termine che significa "attraversare" ("fino all'altra sponda"). Queste virtù rafforzanti cominciano con la carità e la compassione, la cui pratica risoluta risveglia la saggezza — la saggezza sacra che comprende il significato della vita ed esiste solo nel proposito divino.
Gli antichi compresero che i fiumi della vita non erano semplicemente un affare di flusso o discesa. Tutti i fiumi e gli esseri individualizzati che li comprendono devono alla fine ritornare alla loro sorgente. Nell'ecosistema della terra la maggior parte dei fiumi si scaricano negli oceani e nei laghi, le cui acque sono sollevate dal calore solare nell'atmosfera, dove le nuvole contribuiscono a spargere di nuovo umidità sulla terra, completando il ciclo della sussistenza della vita. Nell'ecosistema universale il processo che restituisce le acque alla loro sorgente è chiamato sacrificio[4] — il " rendere sacri" i nostri pensieri e le nostre azioni in modo che ciò che scaturisce attraverso di noi, e da noi, aiuterà della vita a elevarsi.
Considerando i fiumi delle vite minori che scorrono quotidianamente attraverso il corpo fisico — nel cibo, nelle bevande, e nell'aria che cambiamo — non è difficile visualizzare le vite emotive, mentali, spirituali, e divine, che fluiscono attraverso di noi, in noi, contribuendo tutte a renderci gli individui unici e molteplici che siamo. Tuttavia, quest'unicità come umani auto-coscienti è largamente determinata dalla nostra libera scelta riguardo a ciò che entra nel giardino del nostro essere e come noi ce ne prendiamo cura. Quindi, ci è insegnato a sorvegliare i nostri pensieri, a cercare la verità, ad amare e servire gli altri, e permettere alle correnti superiori della vita di portare il loro prezioso favore: il dono che nutre le piante d'oro nell'uomo — l'Albero della Vita e l'Albero della Conoscenza.
Esplorando i fiumi sacri, come l'oracolo suggerisce, possiamo pervenire alla conoscenza di noi stesi. Scritte sulle lamine d'oro scoperte a Petelia, Italia (quarto secolo a. C.)[5] si trovavano istruzioni per il neofito Orfico, guidandolo attraverso i cancelli della morte e della rinascita:
Troverai sulla sinistra della Casa dell'Ade una Fonte, e al suo lato un cipresso bianco. Non avvicinarti a questa Fonte. Ma ne troverai un'altra presso il Lago della Memoria, da cui scaturisce un'acqua fredda, e davanti ad essa vi sono dei Guardiani. Dì: "Io sono il figlio della Terra e del Cielo Stellato; ma la mia stirpe è (solo) del Cielo. Questo voi lo sapete. E io sono arso per la sete e muoio. Datemi subito da bere la fredda acqua del Lago della Memoria." Ed essi stessi ti daranno da bere l'acqua della Sacra Fonte, e da quel momento tu avrai il dominio sugli altri Eroi . . .
[1] Vedi "La Nostra Casa Spirituale (Our Spiritual Home)," Sunrise, aprile/maggio 1990.
[2] H. P. Blavatsky, La Dottrina Segreta 2: 605.
[3] E. S. Drower, The Mandaeans of Iraq and Iran, E. J. Brill, Leiden, 1962, pp. xxi, xxiv-xxv, 99 e seg; e The Secret Adam: A Study of Nasoraean Gnosis, Oxford University Press, Oxford, 1960, cap. 1.
[4] Comentando la Bhagavad-Gītā 3:14 — "la pioggia nasce dal sacrificio" — sia Śaṅkara che Rāmānuja citano le Leggi di Manu (3-76): "l'offerta debitamente gettata nel fuoco raggiunge il sole. Dal sole nasce la pioggia, dalla pioggia il cibo, dal [cibo vivente] le creature."
[5] Jane Harrison, Prolegomena to the Study of Greek Religion, Cambridge University Press, 1922, pp. 573, 659-60.
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