La Tradizione Esoterica — G. de Purucker

Capitolo 13

Come l'Homo Nasce e Rinasce

Parte 1

La continuazione delle ripetute esistenze finite della monade che si reincorpora nei vari corpi o rūpa, per usare il termine sanscrito, è l'essenza della dottrina della reincorporazione, che nel caso dell'uomo è chiamata reincarnazione.

Un'anima umana in vite precedenti compì determinati atti, il pensiero ebbe determinati pensieri, determinate emozioni, che influenzarono altre persone come pure l'uomo stesso. Questi vari movimenti della natura umana sono l'azione risultante di forze causali che hanno la loro sede nella natura intermedia, e quindi non solo governano e modellano i pensieri e le azioni dell'uomo come pure le sue emozioni ma, a causa dell'impatto, influenzano potentemente anche gli atomi del corpo fisico in cui l'anima ha vissuto per qualche tempo. Poi, quando la morte è sopraggiunta, c'è una liberazione dal legame fisico, e lo spirito-anima dell'uomo raccoglie in sé questa natura intermedia e ritorna al regno spirituale, destinato a riemergerne in tempo utile per abitare un nuovo corpo fisico. In quel regno spirituale la natura intermedia, rimanendo nel seno della sua monade genitrice o spirito-anima, ha il suo riposo e un'ineffabile beatitudine, perché lo stato del dopo-morte di recupero e assimilazione mentale è anche l'opportunità per una piena fioritura, pur se temporanea, di tutto ciò che l'anima umana ha ritenuto di più caro e di più elevato nella sua ultima vita, ma che non ha avuto possibilità di sperimentare completamente.

Questo stato o condizione del dopo-morte nella teosofia moderna è conosciuto sotto il nome di devachan, un termine tibetano il cui equivalente in Sanscrito è sukhāvatī o "terra felice." Così l'anima o l'ex ego disincarnato si riposa beatamente in quei vari regni del devachan che corrispondono al proprio stato di coscienza, e per il periodo del suo soggiorno vi è un'indicibile felicità. Tutta la sua esperienza in queste regioni di pace spirituale non è contaminata dalla minima suggestione di contrarietà o infelicità. Poi, quando il suo ciclo in questi stati di coscienza perviene alla fine, l'anima, all'inizio lentamente e poi sempre più rapidamente, discende i gradi della serie gerarchica ed infine entra in una nuova incarnazione terrena — psico-magneticamente attirata nella sfera in cui ha vissuto precedentemente. In questo stadio della sua avventura post-mortem, può andare solo dove le sue attrazioni la attirano, perché le operazioni della natura non avvengono alla rinfusa ma hanno luogo soltanto secondo la legge e l'ordine. L'effetto segue immediatamente la causa, e questa catena di causalità dura di eternità in eternità come una concatenazione di eventi interconnessi che si succedono l'un l'altro in un ordine seriale regolare ed ininterrotto.

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L'intero processo è un'interazione sistematica e compensativa di forze, psicologiche ed altrimenti, poiché le forze che predominano in ciascun caso sono quelle che hanno origine nella stessa anima individuale. Sono quindi queste forze ad essere le più familiari con ciò che l'anima segue più facilmente; e, di conseguenza, sono queste le forze che ora agiscono come cause impulsive, che la attirano nuovamente sulla scena delle sue precedenti attività, la nostra terra. Le forze che agiscono così come cause impellenti sono quelle che furono precedentemente piantate come semi nella fabbrica dell'anima quando quest'ultima viveva sulla terra; e il loro entrare in azione alla fine del devachan è come dire che esse si sentono attratte dalla terra dove antecedentemente erano state richiamate ed erano "nate" come semi di cause future.

Come si narra che il figliuol prodigo della parabola del Nuovo Testamento sia ritornato a casa sua, poiché le memorie della sua infanzia lo riportavano indietro per il dominio della loro forte ma sottile influenza sulla mente e sul cuore, così la monade che si reincorpora ritorna alla vita terrena.

Quindi, sulla terra sono riuniti i cuori che precedentemente si sono amati l'un l'altro, e le menti che hanno scelto di incontrarsi ancora in un rapporto simpatetico. Poiché coloro che si sono incontrati una volta si incontreranno di nuovo. Infatti, non possono fare diversamente. L'amore è la cosa più magnetica nell'universo; tutta la sua essenza implica e significa unione e ricongiungimento. L'Eros impersonale dell'universo è l'energia cosmica che sostiene le stelle e i pianeti nei loro corsi, e governa la costruzione e la struttura degli atomi. È onnipervadente e, di conseguenza, onnipotente. È la causa dell'energia che agisce dappertutto in queste miriadi di forme, operativa nella stella e nell'atomo, tenendoli insieme in un abbraccio inevitabile; tuttavia, meraviglioso paradosso, è lo stesso potere che garantisce l'integrità individuale di ogni unità cosmica. È anche la mistica e mirabile simpatia magnetica che riunisce gli esseri umani; gli uomini come fratelli, le donne come sorelle, e in uno dei loro campi umani d'azione, l'uomo con la donna, e la donna con l'uomo, in un'unione genuina.

Dobbiamo comprendere chiaramente che l'amore di cui parliamo qui è l'amore del tutto impersonale della divinità cosmica che, essendo onnipervadente, e poiché la minima particella nell'universo non può essere fuori dalla sua sfera d'influenza, anche nelle sue manifestazioni più materiali, è la forza causale che a volte prende forme incostanti, apparentemente irregolari e riprovevoli. Non è l'essenza cosmica che dobbiamo biasimare, perché la sua azione è invariabilmente impersonale, ma gli esseri umani che, pur possedendo una certa quantità di libera volontà e di scelta, usano male quest'energia cosmica per fini ignobili — e questo cattivo uso della stessa energia cosmica è impersonalmente e quasi automaticamente reattivo nel produrre sofferenza, dolore, e spesso malattia. Ma anche qui, poiché il cuore della natura è compassione infinita, questa sofferenza e dolore sono i mezzi con cui impariamo.

La reincarnazione non separa, al contrario, unisce. Noi guardiamo negli occhi uno sconosciuto, e intuitivamente lo sentiamo come un vecchio amico. Una comprensione istantanea, un improvviso intendimento e una simpatia magnetica, sono lì. Se la reincarnazione non fosse un fatto di natura, gli esseri umani ovviamente non sarebbero riuniti; sebbene nelle vite che si alternano l'un l'altra è del tutto possibile che, per cause karmiche, gli stessi individui non possano riunirsi ad ogni occasione in cui ha luogo la reincorporazione.

Inoltre, c'è un altro insegnamento più esauriente di quello della reincorporazione. Questo insegnamento riguarda la riunione finale di tutte le entità nell'essenza divina, quando il periodo universale di manifestazione o manvantara cosmico avrà completamente concluso il suo corso. Durante questa riunione, ogni entità, pur diventando una con l'essenza divina, conserverà tuttavia il seme della sua individualità monadica, e in aggiunta sentirà un senso cosmico di unione completa con tutte le moltitudini delle altre entità. La nostra mentalità, oscurata dalle nebbie personali e distorta da emozioni e passioni, non può facilmente comprenderlo; ma è il significato essenziale dell'insegnamento così comune, nelle elevate filosofie orientali, di un progresso dell'individuo "assorbito" nel paramātman o Brahman o spirito cosmico. Questo assorbimento — che è solo nel senso della completa auto-identificazione con il sé cosmico, pur trattenendo la sede immortale dell'individualità monadica — è la rigenerazione, o in verità l'espansione della propria autocoscienza, ora diventata divina, nella realizzazione di un'assoluta unione con qualsiasi altra cosa. Questo dura finché dura l'assorbimento, che può durare per eoni di tempo cosmico.

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I pensieri che formuliamo in un'incarnazione ci influenzano potentemente, a causa della reazione karmica, nelle prossime reincorporazioni e anche in tutte le altre successive. È attraverso i pensieri che cresciamo. Formuliamo pensieri e ne siamo influenzati. S'imprimono indelebilmente sulla fabbrica della nostra coscienza. Siamo come una meravigliosa galleria di immagini in tutte le parti della nostra costituzione, visibile ed invisibile — in un certo senso, come un palinsesto, ricevendo un'impressione dopo l'altra, e ciascuna impressione rimane indelebilmente e tuttavia magicamente modificata quando vi sono sovrapposte tutte le successive impressioni.

Tutto il nostro essere costituzionale, sia globalmente che nelle sue parti, è come una pellicola sensibile costantemente rinnovata che riceve continuamente e trattiene impressioni. Ogni cosa che passa davanti alla "pellicola" è istantaneamente stampata su di essa, psico-fotografata, perché ciascuno di noi è una "pellicola" psico-fotografica. È così che i nostri caratteri sono modellati e quindi influenzati dai nostri pensieri ed emozioni, dalle passioni che ci guidano o ci sviano, e anche dalle azioni che producono.

I pensieri sono energie incorporate, energie elementali. Non hanno origine nella mente dell'uomo. Queste entità elementali passano attraverso l'apparato trasmittente dei sensi che è la nostra mente, e così coloriamo i pensieri mentre ci attraversano, dando loro una nuova direzione, un nuovo impulso karmico. Nessun pensiero è stato mai creato in un cervello umano. L'ispirazione del genio, le creazioni più elevate dello spirito umano, vengono a noi semplicemente attraverso menti elevate e grandi, canali in grado di poter trasmettere un flusso così sublime.

Un uomo può diventare degenerato facendo costantemente pensieri infimi e disdicevoli. Al contrario, un uomo può elevarsi verso gli dèi esercitando la sua volontà spirituale e aprendo la sua natura a ricevere solo quei pensieri sublimi che lasciano sulla fabbrica del suo essere impressioni di un tipo, che automaticamente diventano attive come un incessante flusso d'ispirazione; ed egli può sbarrare la strada a pensieri inferiori, in modo che non s'imprimano su di lui permanentemente, in nessuna maniera.

Sulla scala cosmica, la mistica galleria di immagini dell'eternità è la luce astrale, ed è una parte della sua costituzione — di fatto, il novantanove per cento della sua totalità, chiamata l'uovo aurico — che è una perfetta galleria di immagini. Per dirlo in un altro modo: non è solo una stazione ricevente, ma una stazione trasmittente, per "radio-messaggi" di ogni tipo. Qualsiasi cosa accada intorno a noi, quindi, è indelebilmente stampata sull'uovo aurico, se permettiamo alla nostra coscienza di riconoscere e ricevere gli avvenimenti. Con la nostra volontà e il magico processo interiore che ciascuno di noi segue istintivamente, pur non avendone coscienza, possiamo rafforzare la barriera ākāśica che automaticamente impedisce ai cattivi pensieri di entrare, in modo che non lascino su di noi un'impressione durevole; cioè, essi non si stabilizzano nel nostro essere, e di conseguenza il loro effetto sull'ego reincarnante è virtualmente nullo. Ma se permettiamo loro di influenzarci, l'impressione ricevuta rimane. È indelebilmente stampata sulla fabbrica della nostra coscienza, e da quel momento in poi dobbiamo lavorare per modificare o spiritualizzare le impressioni in modo che la riproduzione automatica, quando si ripresenta nella prossima rinascita, non sarà più come una causa riprodotta per compiere il male, e quindi avrà un esiguo potere causale.

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I processi della reincorporazione individuale hanno luogo per via dell'azione, che è sempre in funzione durante il manvantara cosmico di quella legge inerente alla natura comunemente chiamata la legge di causa ed effetto. Questa catena di causalità si estende di manvantara in manvantara, e in verità di eternità in eternità; ma le entità evolventi nel suo ambito si muovono sempre in avanti sotto l'ancora più ampia legge karmica che governa le entità incluse, delle quali le prime sono parti componenti. Così, in questa raffigurazione, abbiamo "ruote nelle ruote," la più grande che include la minore, mentre seguono rigorosamente il proprio destino karmico, essendo al tempo stesso sotto il dominio ancora più imperioso del karma maggiore della ruota più grande della vita.

Tutta l'attività karmica ha luogo secondo la legge dei cicli, un'operazione fondamentale della natura, che è essa stessa una fase del karma cosmico. In verità, l'attività ciclica o ripetitiva nella natura, che si manifesta ovunque, non è che una delle modalità con cui il karma cosmico elabora i suoi misteriosi scopi. La natura si ripete costantemente ed incessantemente, per cui il grande si specchia nel piccolo e il piccolo non è che un riflesso del grande; e di conseguenza qualsiasi cosa che sia nel grande, è, in miniatura, nel piccolo.

Ora, perché la natura è dappertutto ed è continuamente ripetitiva nelle sue operazioni e nella sua struttura? La risposta si trova nel fatto che tutte le operazioni della natura devono seguire i solchi dell'azione precedentemente compiuta, il che equivale a dire i sentieri della forza o energia, linee di minima resistenza. Vediamo questa manifestazione della periodicità universale che opera intorno a noi ovunque: giorno e notte, estate ed inverno, l'efflusso primaverile, il riflusso autunnale, sono esempi familiari e pertinenti. Tutti i piani del nostro sistema solare seguono generalmente lo stesso percorso orbitale; la crescita prosegue secondo le leggi cicliche o periodiche; la malattia segue ugualmente le leggi cicliche. Il periodo delle macchie solari è ancora un altro esempio della periodicità ciclica. Infatti, la periodicità prevale dappertutto attraverso Madre Natura, non solo sul nostro piano, ma anche nei piani invisibili.

È per questo che la morte e la nascita degli esseri umani sono ugualmente cicliche o periodiche. Noi non siamo eccezioni alle modalità cosmiche della natura. Come potrebbe essere? Non siamo differenti dall'universo, perché siamo sue parti inseparabili ed integranti. Non siamo né fuori né separati da esso, né potremmo mai esserlo. L'uomo non può liberarsi dell'universo, nessuna cosa lo può. Qualunque cosa egli faccia, lo fa per necessità ma non per il Fato, perché è lui il creatore del suo destino, che, proprio perché durante tutto il tempo è necessariamente emanato di continuo in seno all'universo, quindi è continuamente governato dalle leggi inerenti della periodicità che vi dominano. L'attività periodica o ciclica la possiamo veramente chiamare un'abitudine della natura, e proprio così sono le abitudini acquisite, per ripetitività, finché, in ultimo, l'entità segue automaticamente l'abitudine: per il tempo che dura è la "legge" che controlla le sue azioni. Nascita e morte, dunque, sono effettivamente abitudini radicate dell'entità reincarnante; e quest'abitudine della reincarnazione continuerà attraverso le ere fino a spezzarsi lentamente con l'accrescere del disgusto verso la vita materiale da parte dell'ego reincarnante, perché l'attrazione verso questo luogo perde la su consistenza. Fa tutto parte dei processi naturali di una crescita evolutiva senza fine, perché la monade reincarnante, durante le sue peregrinazioni, passa attraverso i mondi e le sfere della Vita Cosmica.

A volte le menti degli uomini sono dure ed ostinate contro i loro stessi interessi. Ostacolano e combattono ciò che esse stesse sanno di dover raccogliere un giorno come frutti, ma dopo il raccolto allora semineranno infallibilmente altri semi, e così avviene per l'uomo, che per quanto possa "cadere" in basso, ha altre possibilità di auto-recupero, ad infinitum. Qualcuno pensa che questa dottrina apra la porta a pratiche licenziose o ad opere egoistiche e funeste? Se la pensa così, non ha capito la Legge. I frutti della retribuzione sono sempre amari, perché non c'è scampo dalle conseguenze di un'azione una volta fatta, di un pensiero una volta formulato, di un'emozione una volta liberata; esattamente quello che seminate quello raccoglierete, finchè, attraverso esperienze amare, impariamo la lezione fondamentale della vita, che è portare il sé in una sempre maggiore armonia con il sé cosmico.

Non c'è lezione nella vita così necessaria come questa: che la giustizia retributiva è della vera essenza dell'essere cosmico, ed è questo che conta per il meraviglioso ordine e la simmetria della struttura visibile attraverso la natura universale. Un uomo, anche se potesse riuscire in qualche momento a sfuggire apparentemente alle conseguenze retributive dei suoi misfatti, prima o poi, per l'abitudine automatica della natura, dovrà affrontare faccia a faccia i fantasmi viventi del suo passato che ora lui crede morto, e sarà obbligato, a scapito di se stesso, consciamente o inconsciamente, a fare piena ammenda. Paolo, nell'Epistola ai Galati disse veramente: "Non ingannatevi; Dio non può essere schernito; quel che uno avrà seminato, quello pure mieterà." (vi, 7) Ancora, come dice l'antica scrittura buddhista, il Dhammapada, "come la ruota del carro segue lo zoccolo del bue."

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Nei nostri paesi occidentali durante gli ultimi o tre secoli non vi sono state che due spiegazioni alternative sulla natura, l'origine e il destino dell'uomo: quella teologica e quella scientifica. La teologia cristiana ha sostenuto per secoli che l'uomo ha un'anima "eterna," che tuttavia fu creata suppergiù alla nascita o giù di lì, e che alla morte avrà uno dei due irrevocabili destini: la dannazione eterna nelle fiamme di un inferno senza fine, o un'esistenza eterna in un "cielo" in cui l'anima starà alla destra di Dio Onnipotente, cantando per sempre inni di lode all'Eterno. In nessuno dei due casi è mai stato dimostrato che l'anima umana potesse aver guadagnato un simile destino. Per aver meritato la dannazione eterna in una tortura senza fine, sicuramente l'anima, per qualsiasi provvedimento della giustizia, nella sua vita sulla terra deve aver commesso infiniti peccati, così gravi che l'hanno così profondamente insozzata, e che nemmeno un'eternità di sofferenze può purificare. O, d'altro lato, l'anima umana deve essere stata così supremamente e divinamente forte e buona fin dalla sua "creazione," che un'eternità di supposta felicità sarebbe una ricompensa appena sufficiente per tale ineffabile virtù!

La spiegazione alternativa che l'uomo è soltanto un corpo fisico, e che quando questo corpo muore tutto è finito, sembra arbitraria quanto lo è quella teologica. Sia come sia, perlomeno è preferibile l'idea dell'annichilimento, se confrontata con quel cielo poco entusiasmante della vecchia teologia o il suo inferno totalmente repulsivo. Ricolleghiamoci ad un'esclamazione attribuita a Voltaire: "Même le néant ne laisse pas d'avoir du bon!" — "Anche l'annichilimento ha del buono!" L'idea di quest'assoluto e virtualmente immediato annichilimento di una fonte d'energia cosmica — che è ciò che un uomo effettivamente mostra di essere — non è solo irrazionale ma, quello che è peggio, è del tutto antifilosofica. Si arriva alla conclusione che le due spiegazioni della natura costituente dell'uomo e del suo destino, finora offerte nei paesi occidentali, manchino deplorevolmente d'incontrare le condizioni del caso da un lato e, dall'altro, di soddisfare l'intelletto.

Le forze e le materie di cui è composta l'intera costituzione umana sono le forze e le materie della natura universale. Supporre che queste forze e materie possano violare le loro caratteristiche essenziali, e che l'uomo sia guidato ad andare in un inferno eterno o in un cielo eterno per il decreto di qualche ipotetica e dittatoriale entità creatrice — l'uomo limitato e combattente non può aver meritato secondo giustizia nessuno dei due destini, e la monade animante non ha la minima attrazione per entrambi; oppure, supporre che un'entità come l'uomo, che è una porzione inseparabile di Madre Natura, sia cancellato dall'esistenza con un semplice cambiamento di stato e con la dissoluzione della sua parte composita inferiore, il corpo, è un'ipotesi improbabile.

Cosa ne è di quelle forze che erano in azione? Che ne è di quelle che alla morte cominciavano semplicemente ad esaurirsi? È ovvio che in una sola vita nessun uomo elabora tutti i risultati dei pensieri che ha avuto e delle azioni che ha compiuto, del bene e dei danni che ha causato. Dove sono andate queste forze esaurite? Sono annientate? Se è così, cos'è che ha portato a questo annichilimento, e quale prova c'è che questo annichilimento sia avvenuto, al di là delle ipotesi speculative? Dobbiamo semplicemente creare futili atti sul palcoscenico della vita e poi morire nel nulla?

Ciascuno di noi è temporaneamente soppesato sulla bilancia della giustizia naturale, sempre attiva ed infallibile, attraverso le opere insonni delle leggi cosmiche. Non possiamo disturbare l'equilibrio della natura e neppure alterare con la morte i suoi flussi di causa ed effetto, senza che qualcosa ci ritorni indietro. Ogni atto che facciamo, ogni pensiero che formuliamo, influenza il nostro comportamento; così ciascuno deve avere il suo inevitabile effetto, strettamente proporzionale alla forza che l'ha generato. Il punto da mettere in evidenza è: quella forza o energia dov'è che si esprime nei risultati? Solo dopo la morte, o nelle vite future? La risposta è: in entrambe, ma soprattutto nelle vite future sulla terra, perché una forza terrestre non può trovare una sua effettiva manifestazione in sfere che non siano della terra. Una causa deve avere i suoi risultati dove si verifica la sua azione, e non altrove, sebbene sia perfettamente vero che quei pensieri e atti influenzano la fabbrica dell'essere dell'attore in misura tale che anche gli stati post-mortem sono modificati da quello che è stato fatto durante la vita. Ciò avviene perché questi pensieri e atti trasformano profondamente la sostanza della volontà e dell'intelligenza da cui sono originariamente scaturiti — cioè la costituzione dell'uomo. In verità, le energie dentro di noi che si sono manifestate come intimazioni di cose superiori, di operazioni energetiche interiori, sopravvivono e trovano almeno un'espressione parziale nello stato dopo la morte; non possono fare altrimenti, essendo manifestazioni di energia pura che è immortale, e quindi più affine alle sfere spirituali rispetto alla terra, in cui le nostre propensioni inferiori trovano la loro piena espressione.

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Vediamo, allora, che un uomo nasce e rinasce, e molte volte, non per il decreto di qualcuno al di fuori di se stesso, né attraverso qualche azione semplicemente automatica della sostanza senz'anima, ma solo per le cause messe in moto internamente da lui stesso, cause che, agendo come effetti, lo costringono a ritornare nei campi dove egli ha lavorato in altre vite sulla terra. Nella nostra vita attuale, tutti mettiamo in moto cause nel pensiero e nell'azione, che ci riporteranno su questa terra in un futuro remoto. Allora mieteremo il raccolto dei semi del pensiero, delle emozioni, e delle azioni che in questa vita stiamo impiantando nei campi della nostra costituzione interiore.

Questa è quella catena di necessità, quella rete del destino, che ogni anima forgia, anello per anello, nel passare del tempo, l'infrangibile catena di causa ed effetto — karma. Quando sopraggiunge la morte, i semi di quelle cause da noi seminate quando vivevamo sulla terra, che ancora non si sono manifestate, restano come impulsi latenti, come semi che dormono in attesa di germogliare nell'azione in future vite successive. Essendo semi causali chiamati in esistenza attraverso il corpo fisico e la sua economia inferiore ed interiore, naturalmente non possono manifestarsi in quei regni invisibili in cui la nostra natura psicologica dopo la morte giace addormentata. Ma, e qui è il vero nocciolo della questione: quando l'anima umana nel suo periodo post-mortem di indicibile beatitudine ha terminato il tempo di recupero delle proprie forze, quei semi immediatamente cominciano a sentire la crescente marea di vitalità dell'anima umana che ora si sta risvegliando. Allora quei semi cominciano a germogliare manifestandosi nelle loro tendenze sempre più sviluppate. È questa marea rapidamente crescente di forze o energie inferiori che si risvegliano, scaturite dalla vita passata e finora dormienti sotto forma di seme, che attrae o trascina l'anima verso il basso, in una nuova incarnazione terrena. È automaticamente attirata verso la famiglia sulla terra che, per atmosfera e ambiente, è la più affine alle proprie tendenze ed attributi, e così in questo campo simpatetico l'anima si incarna come un neonato umano. Una volta stabilita la connessione con il germe umano, da quel momento gli elementi inferiori dell'anima che si reincorpora cominciano a formare il suo futuro corpo; e, una volta che il bambino è nato e i giorni dell'infanzia sono passati, diventano visibili i processi della natura superiore allora in via di sviluppo nella natura inferiore incorporata nella struttura fisica. Qualunque uomo, esaminando i processi psicologici dei propri pensieri e sentimenti, realizza che nel trascorrere degli anni vi è una serie progressiva ed incessante di rivelazioni interiori, gli inizi e gli ampliamenti del nuovo intelletto.

Le diverse fasi spirituali, morali, mentali e psichiche, attraversate dall'infanzia all'età adulta sono un'analogia e, in verità, una riproduzione nel piccolo di ciò che avviene nel destino ancora più ampio della monade reincorporante quando peregrina attraverso il tempo e lo spazio, dalla sua prima apparizione come una scintilla divina semicosciente all'inizio del manvantara cosmico, fino alla presente condizione di un essere umano autocosciente. L'entità che si reincorpora entra nell'ambiente fisiologico dal quale è più fortemente attratta, che è solo un altro modo di dire che essa diventa un bambino nella famiglia verso la quale le sue caratteristiche psico-mentali e vitali sono attirate molto potentemente. Questa "ereditarietà" non è vista come una cosa a se stante, perché l'ego reincorporante possiede nella sua costituzione determinate qualità o attributi che lo attraggono verso quella famiglia in cui queste caratteristiche o attributi sono già espressi. Effettivamente, quindi, "l'ereditarietà," lontana dall'essere un agente causale, è semplicemente la continuazione di certi tipi o caratteri, non trasmessi "dal genitore al bambino," ma continuati dal genitore al bambino, e questa continuazione è davvero effettiva perché ha le stesse caratteristiche e tipi inerenti, o appartenenti agli ego che si reincorporano nascendo come bambini.

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A volte incontriamo persone che dicono: "Mio Dio! Devo vivere un'altra vita uguale a questa nella quale ora mi trovo? Che il cielo non voglia! Non sono stato io a mettermi qui, e il cielo sa che non voglio ritornare ad un'altra vita simile a questa!" Bene, chi ci ha messi qui? Qualcun altro? Dio, forse? Allora Dio è il responsabile, e non c'è più nessun bisogno di lottare contro la vita per la quale proviamo avversione. Secondo questa teoria il nostro supposto Creatore ci ha fatti quali noi siamo; ed essendo infinitamente saggio, egli sa veramente cosa dovremmo fare in ogni dettaglio, e tuttavia ci ha creati per cosa — la dannazione o il cielo? — nessuno dei quali potevamo noi stessi aver meritato, perché fummo creati per uno o per l'altro nella divina onniscienza e senza la minima scelta da parte nostra!

D'altro lato, l'insegnamento teosofico è che ogni uomo riceve, al dovuto momento attraverso tutta la durata, proprio quello che ha costruito per se stesso. Una volta imparata questa sublime verità, egli rivolgerà il viso verso il sole che sorge, nel senso che la responsabilità morale si sarà radicata in lui, e guiderà e controllerà tutte le sue azioni future.

Poiché una sola vita non è abbastanza lunga da permettere che tutti i poteri e le facoltà dell'anima sboccino, è inevitabile che l'uomo ritorni sulla terra per poter sviluppare le sue inesauste aspirazioni, o dominare tutte le tendenze immanifestate della propria debolezza. Alla nascita, l'entità reincarnante vitalizza o "adombra" un corpo maschile o femminile, in entrambi i casi a motivo di esperienze psico-mentali ed emotive nelle ultime nascite precedenti sulla terra.

Il sesso negli esseri umani è un evento evolutivo transitorio nel destino dell'ego che si reincorpora; l'umanità primitiva era asessuata, e l'umanità di un futuro remoto su questa terra diventerà nuovamente asessuata, dopo aver attraversato gli stati intermedi. Quindi, il sesso non è un qualcosa da ricercare nelle radici della costituzione umana, ma è un effetto di antichi depositi del pensiero, di tendenze emotive e psico-mentali in precedenti vite sulla terra, in modo che queste tendenze diventino, per il tempo che è, influenze relativamente vigorose che guidano l'ego che si reincorpora a scegliere, abbastanza automaticamente, la sua prossima reincorporazione sulla terra come ragazzo o come ragazza. Le sue cause originarie non sono radicate più profondamente della parte inferiore dell'ego o anima umana, e non lo sono affatto in uno dei principi più nobili ed elevati della costituzione umana.

Di solito, l'uno o l'altro sesso continua, come una scelta quasi automatica e relativamente inconsapevole dell'ego reincarnante, attraverso qualche reincarnazione, e poi ha luogo l'incarnazione in un corpo di sesso opposto per un certo numero di volte. Perché e come avviene questo? La causa prevalente del cambiamento di sesso è una forte attrazione verso il sesso opposto durante le poche — o, in casi rari, può essere un numero abbastanza grande — vite precedenti sulla terra. Quest'attrazione, che è la causa strumentale delle tendenze e delle inclinazioni di cui abbiamo parlato, nascendo dal pensiero e dall'energia emotiva, femminilizza gli atomi di vita o li mascolinizza, a seconda del caso; e la conseguenza naturale è l'incarnazione in un corpo del genere al quale porta tale attrazione.

Il campo del sesso entra in gioco per l'appropriato contributo del flusso continuo che viene dall'alto, ma solo quando la natura inferiore passionale è dominata, che la voce della divinità interiore può essere udita, e i suoi comandi e decreti seguiti. Ed è così che gli uomini più virili e le donne più femminili non sono quelli la cui attenzione e le cui emozioni sono fascinosamente catturate dal campo del sesso, ma sono quelli che possono elevarsi al di sopra di questi campi della coscienza umana nell'etere della natura superiore.

Un forte affetto e una forte antipatia sono forze psico-magnetiche in grado di dominare potentemente l'uomo o la donna in cui persistono, sia per il suo benessere che per la sua rovina in futuro. Era un uomo saggio quello che disse che l'amore e l'antipatia sono fondamentalmente la stessa cosa, ma polarizzati per seguire direzioni differenti. L'antipatia o l'odio non sono sempre ripugnanti o repellenti nel loro tipo d'azione e dei conseguenti risultati, ma sembrano avere un potere misterioso ed attraente come l'amore. L'analogia dell'elettricità o magnetismo con i suoi due poli chiarisce il soggetto.

Di conseguenza, dove sia l'amore che l'odio persistono oltre il divario della morte, come avviene virtualmente in ogni caso, le cause karmiche messe in moto riuniscono coloro che originariamente sperimentarono questi sentimenti contrastanti, e allora essi si incontrano ancora in altre vite. Se l'uno o l'altro di questi sentimenti è stato molto forte, l'incarnazione di entrambi gli individui nella stessa famiglia può avere luogo prontamente. Casi di fratelli e sorelle, e anche di genitori e figli, che si ritrovano "inspiegabilmente" antipatici l'uno all'altro, sono abbastanza comuni e riconosciuti universalmente. Tutto l'essere dell'uomo è avviluppato nella natura che lo circonda, e non può più sfuggire al destino che egli stesso ha forgiato attraverso molte vite antecedenti, più di quanto i pianeti del sistema solare possano sfuggire al controllo serrato del loro sole centrale.

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Altre persone dicono: "Non mi piace l'idea della reincarnazione. Non mi sembra molto vera, perché io non ricordo le mie vite passate." Ma perché qualcuno dovrebbe ricordare le sue vite passate? Potremmo ben chiedere: "Ricordate addirittura in questa vita quando siete diventati coscienti per la prima volta? Ricordate cosa vi è accaduto questa mattina da poter focalizzare tutti i dettagli e nel loro ordine appropriato? Ricordate cosa vi è accaduto in un dato giorno del mese un anno fa?"

Se l'argomento del "non ricordare" vale poco o niente quando è usato contro la realtà della reincarnazione, allora la stessa regola vale qui. Aggiungiamoci il fatto che in ogni nuovo corpo vi è un nuovo cervello fisico che è lo strumento della memoria fisica, ed è evidente che non è un motivo da sostenere contro la precedente esistenza il fatto che il cervello non ricorda le cose che accaddero prima che esso esistesse, per la semplice ragione che il cervello non era lì a ricordare ciò che avveniva. Nondimeno, la memoria è inerente alla struttura interiore e alla fabbrica dell'ego che si reincorpora — ed è possibile, anche se estremamente difficile, rimuovere dagli strati della coscienza non solo eventi passati nel loro aspetto generale ma anche nei loro minimi dettagli. Questo, fortunatamente per l'immensa massa degli esseri umani, è qualcosa che essi non possono fare; se potessimo gettare uno sguardo nelle nostre vite passate e vedere gli orrori, le agonie del cuore e della mente, e così via, eviteremmo questa rivelazione come se fosse una visione dell'inferno, pur volendo sicuramente ritrovare azioni nobili e audaci, esempi di abnegazione, e tutto ciò che ha reso belle quelle vite del passato. Nessuno, sapendo realmente che cosa significhi guardare nelle proprie passate incarnazioni, desidererebbe mai farlo, ma benedirebbe la sua stella natale per il fatto che prima della nascita ha attraversato il Fiume Lete del beato oblio, e che non è più perseguitato dai deliranti fantasmi delle memorie del passato. C'è poco da dubitare che le rivelazioni lo condurrebbero al manicomio. Alla domanda fatta da A. P. Sinnett: "Potete ricordare le vite anteriori di persone ora viventi, e identificarle?" il Maestro K. H. risponde: "Sfortunatamente, alcuni di noi possono. Io, da parte mia, non amo farlo." (Le Lettere dei Mahatma I, Lettera 23 A)

Consideriamo la mente di un bambino come si sviluppa attraverso l'infanzia, la gioventù e l'età adulta. Ad ogni fase acquisisce nuovi poteri e facoltà, e assume nuove prospettive; ricorda e subito dimentica un vasto numero di cose che non hanno lasciato alcuna impressione importante sulla mente. Tuttavia, da qualche parte nella costituzione interna dell'uomo qualsiasi cosa è stata indelebilmente registrata, anche nei dettagli più minuti.

Una prova impressionante che l'individualità persiste, si presenta in quei casi di amnesia psicologica, in cui un uomo soffre all'improvviso della perdita totale della memoria personale e, in verità, della sua vera identità. Poi, dopo un lasso di tempo, può darsi che la memoria ritorni improvvisamente nell'uomo sofferente, così come l'aveva lasciato. Secondo la teoria "Non ricordo le mie vite passate," un simile uomo non ha avuto la sua vita antecedente; non è mai stato il suo sé antecedente — semplicemente perché ha del tutto dimenticato quegli eventi a causa della sua strana malattia.

Infatti, non ricordiamo, ma in generale, più che nei dettagli. Ricordiamo cose che si sono fortemente impresse nel nostro carattere e che l'hanno modellato; cose che si sono talmente radicate nella fisionomia della memoria, della mente e dell'anima, che sono rimaste con noi come fatti indelebili ed operativi, come funzioni della coscienza. Anche il nostro amore per la verità è la reminiscenza o la memoria della conoscenza ottenuta in vite anteriori.

Tennyson, in gioventù, scrisse un sonetto, che per qualche ragione sconosciuta, di solito è stato omesso dalle recenti edizioni delle sue opere.

Come quando pensiamo e meditiamo ad occhi chiusi,
e affondiamo in una vita antecedente, o sembriamo
scivolare all'indietro in qualche confuso sogno
verso stati di mistica similitudine;
se qualcuno parla o tossisce o muove la sua sedia,
sempre di più cresce la meraviglia,
per cui diciamo: "Tutto questo è già accaduto prima,
tutto questo è già stato, non so quando o dove."
Così, amico, appena ho visto il tuo volto,
i nostri pensieri si sono risposti reciprocamente, così veri — 
come specchi opposti che si riflettono l'uno nell'altro — 
anche se non sapevo in quale tempo o luogo,
convinto di essermi già incontrato con te,
e che ciascuno era vissuto nel cuore e nelle parole dell'altro.
— Early Sonnets, I

Si, questa è una cosa che noi ci portiamo indietro coscientemente — l'amore, il riconoscimento delle simpatie spirituali, e quella che è la loro radice, il Carattere.

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Parte 2

Cos'è il Carattere — quel totale complessivo di un'anima? Non è semplicemente i pensieri che aveva, le emozioni sotto le quali agiva, e la sorgente di tutte le azioni che fece — il carattere è più di tutto questo. È il flusso interiore di una vita spirituale, un centro o forza, da cui emanano i motivi originali che scaturiscono in azione, intelligenza, e impulsi morali. Quindi, il carattere di un'entità è quel sé dell'entità, duale nella manifestazione ma unitario in essenza; il flusso essenziale della coscienza, e la fabbrica composita del pensiero, dell'emotività, e del conseguente impulso nato dall'impatto delle forze del centro essenziale sull'universo circostante in cui vive, si muove, ed ha il suo essere.

Usando il termine carattere nel senso più limitato, per significare il colore dell'individualità che la manifestazione evoca dal sé essenziale, e che quindi rende un'entità "caratterialmente" diversa da qualche altra entità, risulta evidente che il "carattere" così definito è psicologicamente localizzato nei prodotti evoluti dell'esperienza che formano la rete e la trama della monade in manifestazione, e quindi è formato dalle conseguenze aggregate del karma di vite passate. Ogni albero, pianta, bestia, in verità ogni atomo o molecola, ha il proprio carattere, precisamente come un uomo ha il suo carattere che lo distingue da tutti gli altri uomini. In tutti questi casi, il carattere è il karma del passato dell'entità, così come un uomo è veramente il proprio karma.

Platone attribuiva tutta la conoscenza, la saggezza e il sapere innato, alla reminescenza, al ricordo dei pensieri che avevamo e delle cose sia materiali che ideali che noi creammo come una parte della nostra anima in altre vite. Queste memorie le portiamo con noi da vite precedenti, e costituiscono il nostro carattere, perché il carattere di un uomo è la sorgente di tutte le sue capacità, genio, attitudini ed istinti, attrazioni e repulsioni.

Da dove vennero tutti questi elementi del nostro carattere? Certamente non capitarono per caso, perché viviamo in un mondo di ordine, di stretta attività causale, per cui le conseguenze seguono alle precedenti cause originarie. È il lavoro di questa catena di causalità che determina la costruzione del carattere o, più precisamente, l'evoluzione o emanazione delle forze o impulsi più segreti del proprio spirito-anima, che cercano continuamente nuovi sbocchi per ulteriori espansioni nei campi sempre rinnovati della vita. Ciascuno di noi segue quella particolare linea di vita che è resa necessaria dalle influenze dirigenti della serie di tutte le qualità e tendenze raccolte nelle sue precedenti incarnazioni e che oggi sono concentrate insieme formando il suo carattere attuale, intorno al sé monadico che è il cuore del proprio essere.

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La natura è fondamentalmente benevola, perché il suo cuore è compassione assoluta. L'intero impulso della vita è uno stimolo costante al miglioramento, e così la natura ci fornisce, attraverso ripetute incarnazioni, innumerevoli possibilità di imparare meglio dai nostri errori e di perfezionare i nostri caratteri. In nessun modo i poveri, o quelli che soffrono, sono necessariamente i più sfortunati nel lungo cammino. Un bambino nato con un patrimonio straordinario di capacità nel suo spirito-anima, e possedendo quindi un carattere spronato da nobili aspirazioni, ha qualcosa di cui un bambino baciato dalla fortuna non sa niente. Il primo ha un qualcosa di inesplicabile valore su cui fare affidamento, a dispetto di qualsiasi difficoltà e dolore che possano piombargli addosso, e questo qualcosa — è egli stesso! Possiede ineffabili tesori che sono pronti ad essere usati nell'essenza della propria anima, ai quali può attingere quasi a sua volontà. D'altra parte, quella che è comunemente chiamata una vita fortunata dal punto di vista della prosperità materiale può non essere una buona cosa per un'anima debole, in vista della serie quasi infinita di opportunità che la tentazione offre alla sua discesa nei livelli inferiori del sentiero della vita. In qualche vita futura, la catena della causalità porterà quell'anima debole là dove le sue attrazioni potrebbero trascinarla.

La natura non fa alcun errore radicale. La reincarnazione è solo il risultato di un equilibrio delle forze nella costituzione degli esseri umani. La ragione per cui una causa messa in azione in una vita potrebbe non manifestarsi in quella stessa vita, e forse nemmeno nella successiva, è semplicemente che non s'era aperta alcuna opportunità, per cui quelle cause possono rimanere latenti nel carattere dell'uomo per una, due, o anche una dozzina di vite, prima di trovare il proprio campo di manifestazione.

Il carattere, nella sua essenza, è il Sé, o forse, definito più accuratamente, è il rivestimento di cui il Sé si copre, composto parzialmente dall'essenza del Sé e in parte dai rivestimenti dell'esperienza e della conoscenza immagazzinate in vite antecedenti. Il carattere, nella sua manifestazione nella vita terrena è, almeno in parte, ciò che si è evoluto dal Sé e, in parte, il tesoro della conoscenza e dell'esperienza. La crescita in espansione è lo scaturire nella manifestazione attiva dei poteri e degli attributi dello spirito, e questa manifestazione diventa stabile e resa permanente a causa della costruzione o composizione dei veicoli interni ed invisibili nella costituzione umana, che nel loro aggregato sono la natura fisiologica o psico-mentale dell'uomo. Questa natura o carattere si esprime attraverso il cervello fisico, e il cervello fisico reagisce automaticamente ed istintivamente ai poteri, agli impulsi provenienti dall'invisibile natura psicologica che affluisce dall'interno nella sua auto-espressione.

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Per comprendere più chiaramente come l'uomo nasce e rinasce, dovremmo avere qualche conoscenza riguardo a ciò che ritorna nella vita fisica su questa terra. La "scintilla" o centro della divinità non s'incarna senza le guaine intermedie della coscienza. Questo è impossibile, perché una simile soluzione di continuità fra lo spirituale e la grossolanità della carne e del sangue sarebbe un divario troppo grande; si richiedono fattori intermedi e trasmittenti per "far scendere verso il basso" l'enorme fuoco dello spirito, in modo che raggiunga il cervello e il corpo fisico per mezzo del suo raggio emanato. Inoltre, la scintilla divina non ha bisogno di quest'esperienza fisica, poiché essa si eleva verso l'alto, al di sopra di queste umili condizioni che aveva già evoluto attraverso remoti eoni passati di cicli evolutivi nella materia, per diventare una monade manifestata. La scintilla divina rimane per sempre nella propria sfera di assoluta coscienza e beatitudine, di ineffabile luce e potere. Tuttavia è il nostro nucleo essenziale, la nostra radice divina, nel senso che ogni uomo, nel suo intimo, è illuminato da una simile monade individuale.

Né è il corpo fisico che si reincarna, perché questo corpo non è che lo strumento attraverso il quale l'entità reincarnante si esprime su questo piano fisico; ed inoltre, alla fine di ciascuna vita il corpo si dissolve nelle sue parti componenti. È l'ego reincarnante che si reincorpora per mezzo del suo raggio proiettato, e quindi tiene insieme il suo veicolo fisico, il corpo. Nondimeno, in un senso si può dire che il corpo fisico di una vita terrena si reincorpora non nel corpo fisico ma come il corpo fisico della prossima vita. Ciò avviene per via degli atomi di vita peregrinanti che, alla dissoluzione del corpo quando muore, diventano liberi e proseguono il loro viaggio attraverso gli elementi e i regni della natura. Sono di nuovo radunati per formare il corpo della successiva vita terrena a causa della forte attrazione psico-magnetica esercitata su di loro dall'ego reincorporante "che discende."

Tra la monade divino-spirituale e il corpo fisico ci sono vari piani intermedi della costituzione umana, e ciascuno ha le proprie facoltà e poteri caratterizzanti. Ognuno di questi piani intermedi è il campo della manifestazione di uno dei centri di coscienza dell'uomo o principi monadici. Per essere precisi, è una certa parte di questa natura intermedia o psicologica che si reincarna vita dopo vita, poiché è la sorgente da dove "l'entità personale" scaturisce in una funzionalità autocosciente, e riprende ancora una volta i fili del suo destino su questa terra.

Quanto tempo passa prima che l'entità reincarnante ritorni a questa terra? Dipende da un numero di fattori. In Occultismo esiste una regola che si basa sulle operazioni della natura: un essere umano normalmente non si reincarna se non sono trascorsi cento volte il numero degli anni della vita trascorsa sulla terra. Considerando quindi che la media della vita umana nell'epoca attuale dura solo quindici anni,[1] vediamo che il periodo medio di tempo tra la morte e la nuova nascita sulla terra è di millecinquecento anni, sebbene non vi sia alcuna certezza che questo calcolo sia del tutto esatto. A volte la lunghezza comune della vita umana può essere di venti o di quarant'anni, e quindi in alcuni casi questo periodo post-mortem varia grandemente, anche in maniera più ampliata.

Il fatto è che la lunghezza del tempo passato in devachan è governato dall'intensità della spiritualità inerente all'uomo quando viveva sulla terra, piuttosto che da qualche regola semplicemente statistica di calcolo.

Potrebbe sembrare strano che debba esserci una così grande differenza tra la quantità di tempo trascorso da un uomo nella vita terrena e il periodo di tempo molto più lungo che egli passa nei mondi invisibili nell'intervallo delle vite terrene, specialmente se teniamo in mente che i periodi del manvantara e del pralaya sono definiti più o meno uguali; tuttavia l'analogia è perfetta. Quando parliamo di manvantara e pralaya parliamo di cose visibili ed invisibili; ma se consideriamo un uomo come una manifestazione, dobbiamo ricordare lo strano paradosso che egli, come anima evolvente, è più altamente evoluto di quanto lo sia la terra su cui vive. Quindi, anche se nella sua sfera di coscienza, più ristretta di quanto sia lo spirito della terra, un uomo ha sogni di bellezza, speranze accarezzate attraverso anni ed anni di vita terrena, e sublimi intuizioni spirituali, che nessuna vita terrena è abbastanza lunga da esaurire. Di conseguenza, con queste aspirazioni spirituali e questi desideri intellettuali che riempiono il suo essere, egli ha bisogno di un tempo più lungo di recupero e di attività spirituale e mentale senza limiti, che possa dare loro una possibilità di realizzarsi. Per quanto illusorie possano essere in se stesse, queste aspirazioni sono molto reali ed intensamente "sentite" dall'ego nella cui coscienza hanno luogo questi sogni.

Questo è il devachan: un periodo di fioritura spirituale ed altamente intellettuale di energie represse, che producono il loro effetto sulla fabbrica del carattere dell'entità sognante che le sperimenta e che quindi le assimila. Ed è per questo che nel devachan il carattere è più fortemente forgiato o modificato tramite queste espansioni spirituali ed intellettuali della coscienza, più che nella vita terrena, che è un mondo di cause mentre il devachan è un mondo di effetti.

In un sistema solare, nel suo manvantara e pralaya, il giorno cosmico equivale alla notte cosmica, perché qui abbiamo a che fare con cose fisiche in cui i piatti della bilancia sono equilibrati. Quest'affermazione non va assolutamente fraintesa come se volesse trasmettere l'idea che il sistema solare non abbia porzioni spirituali o invisibili. Quella a cui si allude è la distinzione tra il giorno cosmico e la notte cosmica da un lato, e i periodi di vita dell'intera costituzione umana dall'altro, con la sua natura spirituale ed intellettuale immensamente più evoluta del corpo fisico dell'uomo.

Il nostro "giorno" umano, la nostra vita terrena, è di solito così pieno di aneliti spirituali ed aspirazioni intellettuali di bellezza e saggezza, che nessun periodo di vita sulla terra è abbastanza lungo da portare a compimento; ma poiché sono forze intensamente spirituali ed intellettuali che cercano di manifestarsi nelle loro funzioni ed azioni, e che di solito sono ostacolate, nel devachan abbiamo uno sbocco alla loro manifestazione. Ma se consideriamo che la continuità della coscienza è sempre ininterrotta perché l'uomo è un flusso della coscienza, e che la coscienza oggettiva per noi si verifica ad intervalli periodici quando ritorniamo sulla terra, allora è chiaro che queste aspirazioni, per quanto possano essere state realizzate nel devachan, ritornano con noi ogni volta con una possibilità in più di esprimersi. Se teniamo presente come queste reincorporazioni dell'ego continueranno per tutto il tempo che dura la nostra catena planetaria nell'attuale manvantara, comprendiamo più chiaramente che ritorneremo alla terra centinaia e centinaia di volte, e che ad ogni ritorno, se il nostro karma lo permette, saremo sempre più idonei a trasformare queste aspirazioni e questi desideri spirituali ed intellettuali in parti più interiori della fabbrica del nostro carattere, che così si perfezionano rapidamente e si nobilitano nel trascorrere degli eoni.

In verità, i nostri sogni più sublimi non si avverano mai, perché nel processo di realizzazione si espandono continuamente ed evolvono ancora in qualcosa di più grande e di più elevato. Molto spesso questo fatto è illustrato dal caso del bambino che cresce, che quando diventa ragazzo non desidera più le cose dell'infanzia, e quando è uomo mette da parte le cose della gioventù.

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Come regola, più in alto un uomo sta sulla scala evolutiva, più lungo è il devachan; mentre più grossolanamente materiale è l'essere umano, più breve è il suo devachan. Così succede che gli esseri umani di mentalità grossolana si reincarnano molto presto, relativamente parlando, mentre gli esseri umani spiritualmente dotati restano molto più a lungo nei mondi invisibili. Perché? Perché le loro anime provengono da lì, e il loro più ampio risveglio spirituale fa in modo che sentano più fortemente la propria affinità con quei mondi, mentre la sfera grossolanamente materiale è, in un certo senso, un paese estraneo alle loro anime. Proprio come un uomo in una qualsiasi incarnazione sulla terra vive una vita più o meno prevalentemente diretta e controllata dal karma di quell'uomo, fissando così un termine a quella vita nei limiti ragionevoli delle variazioni, così il periodo devacianico è accorciato o allungato dal karma della vita terrena appena conclusa. Se l'individuo è stato di carattere spirituale, e le cui aspirazioni ideali, mentre era sulla terra, non hanno ricevuto più di tanto perché l'ultima incarnazione non offriva un'esauriente opportunità di esprimerle, allora la probabilità è che l'interludio devacianico sia lungo.

Se invece l'uomo, durante l'ultima incarnazione, ha vissuto una vita intensamente avviluppata nelle cose di questa sfera materiale, se l'ingordigia, le sensazioni e le brame diventano una malattia dell'anima, allora l'attrazione di questa sfera materiale su quell'entità devacianica sarà forte, e quindi, appena la piccola porzione di speranze spirituali irrealizzate sono state soddisfatte, quando la loro energia si è esaurita nel devachan, allora prevarrà la forte attrazione verso la terra. In questi casi il periodo devacianico è molto breve.

La maggior parte di noi ha un periodo di esistenza devacianica di media lunghezza. Un uomo ordinariamente buono che ha vissuto fino alla vecchiaia — diciamo ottantacinque anni — rimarrà nei regni invisibili della vita, secondo la regola, all'incirca ottantacinque volte cento — ottomilacinquecento anni. Un uomo che muore all'età di quarant'anni può passare più o meno quattromila anni nei regni invisibili prima di ritornare alla terra. Tuttavia questa regola non dovrebbe essere applicata in maniera troppo rigida e ferrea. I casi variano enormemente se prendiamo in considerazione gli individui con un karma in ogni caso intricato, per cui, se la regola vale quando è applicata ad una media statistica, varierà invece quasi certamente riguardo agli individui. Ad esempio, un uomo come Platone (senza entrare nei particolari per non creare complicazioni) potrebbe passare molte migliaia di anni nel devachan.

Vi sono anche gli uomini santi, e oltre a questi, anche uomini di statura spirituale ancora più elevata ed evolutiva — i grandi esseri e i buddha e i cristi. Questi ultimi sono così altamente evoluti da non aver bisogno del periodo post-mortem di recupero per assimilare le esperienze dell'ultima vita passata. Quindi, è quel destino post-mortem delle ultime due classi ad essere diverso da quello della massa dell'umanità. Di regola, essi ritornano subito sulla terra, e lo fanno solo di propria volontà, motivati da un desiderio sacro di aiutare il progresso evolutivo dei loro simili. Quando analizziamo rigorosamente lo stato devacianico, dobbiamo riconoscere che, per quanto bello e spirituale possa essere, è tuttavia uno stato di isolamento spirituale per il tempo in cui dura, e quindi è, almeno essenzialmente, uno stato egoistico. Ma per la maggior parte degli esseri umani il devachan è un interludio spirituale necessario, precisamente perché è un periodo di recupero e pace indisturbata in cui avviene una ricostruzione della sostanza interna della costituzione attraverso l'assimilazione delle esperienze della vita appena conclusa. Tuttavia, è essenzialmente un'esistenza egoistica in quanto è totalmente isolata dalla vita e dall'esistenza degli altri esseri. Per centinaia, forse per migliaia di anni le entità devacianiche sono immerse in sogni rosei di ineffabile felicità e pace, e il mondo lasciato indietro potrebbe andare in rovina per tutti quelli che queste entità conobbero o amarono. Se lo sapessero e si preoccupassero, questo apporterebbe un'indicibile angoscia e sofferenza nella loro condizione, che è, de facto, un'assoluta impossibilità, perché allora non sarebbe più il devachan.

Ora, questo non è lo stato mentale o spirituale dei Buddha di Compassione, il cui intero essere è dedicato al servizio puro ed altruistico a vantaggio del progresso di tutti gli altri esseri, a prescindere dal tipo, dal grado evolutivo o dalla posizione spirituale e morale. Così è l'amore impersonale per tutte le cose sia grandi sia piccole, che ci libererà anche dai gloriosi sogni del devachan; ed è proprio questo spirito di voler aiutare tutti, senza discriminazione e tuttavia completamente in accordo con la legge e l'armonia cosmica, che è proprio il cuore dello spirito che governa i Buddha di Compassione.

Arriverà il tempo, in un remoto futuro quando gli esseri umani avranno talmente sviluppato i poteri e le facoltà spirituali che ora giacciono latenti, che tutti gli uomini saranno diventati esemplari dello spirito che governa la gerarchia dei Buddha di Compassione. È verso questo compimento dell'evoluzione che l'umanità sta rapidamente marciando, anche se del tutto inconsciamente, ma coscientemente per quanto riguarda i mahātma e i loro chela. Nella Grande Fratellanza, com'è esemplificato nelle vite e nell'insegnamento dei suoi membri, è lo stesso spirito vivente e operativo a guidare la Gerarchia di Compassione, perché rappresenta su questa terra quella Gerarchia. Quindi, l'allenamento dei chela dei mahātma è deliberatamente perseguito per stimolare, nei limiti del possibile della legge karmica, le facoltà spirituali ed intellettuali dei chela o discepoli, affinché possano dirigere più rapidamente la razza evoluta rispetto alla media dell'umanità.

Uno dei metodi di questo allenamento è un tentativo di riuscire ad abbreviare il devachan in modo che, al di là di tutti i fattori, il chela possa usufruire di più tempo in un'attività cosciente di sforzi e benefici, che è impossibile quando l'ego reincorporante è immerso nei sogni del devachan.

Così, per un certo numero di vite, il chela, sotto la guida del suo insegnante, fa qualsiasi cosa in suo potere per abbreviare il periodo devacianico, seguendo metodi che comprendono, tra le altre cose, un'intensa concentrazione spirituale e mentale per mettere in pratica un amore impersonale per tutto ciò che vive, incluso un desiderio ugualmente intenso di aiutare qualsiasi essere umano a diventare spiritualmente ed intellettualmente più grande. Questo tentativo o sforzo cambia dunque il locus della coscienza del chela: dal posto ordinario che occupa, fino ad una parte più spirituale e quindi più impersonale del suo essere interiore. Questa rimozione verso piani superiori della coscienza del discepolo taglia alla radice le cause che portano il devachan, creando la necessità di un devachan più breve. L'idea è che il discepolo sta trasferendo le sue facoltà autocoscientemente attive in una parte di se stesso che non ne ha più bisogno e non richiede un periodo devacianico di recupero.

È l'insegnamento dell'antica saggezza e della sua diffusione nel mondo che dovrebbe essere il centro del pensiero di chi vi aspira, perché quest'aspirazione apporta all'azione spirituale le più elevate energie del pensiero che, nella loro attività, vanno oltre la morte del corpo. Essendo radicate nei regni spirituali, pur avendo il loro campo d'azione sulla terra, di conseguenza sono costantemente all'opera per trovare anche durante la vita terrena una localizzazione del centro autocosciente nei regni spirituali, e così elevano nuovamente il praticante di questo solo e vero yoga spirituale molto al di sopra del richiamo e della necessità degli interludi devacianici post-mortem.

L'uomo che brama la pace per se stesso, che anela ad ottenere la conoscenza per se stesso, o che forse vive in un mondo religioso o musicale o filosofo o poetico, o scientifico, o un simile mondo tutto suo, senza il desiderio predominante di aiutare gli altri — è l'uomo il cui devachan sarà il più lungo, il più definito nelle sue caratteristiche, e di conseguenza il più intenso. Perché? Perché è la concentrazione del sé — il sé umano — su queste cose per la gratificazione e la delizia individuale, che porta alla realizzazione devacianica di ciò che fu desiderato ardentemente sulla terra e per cui nessuna singola vita terrena è in qualche modo sufficientemente lunga da ottenere un'adeguata realizzazione. Sono proprio questi desideri ostacolati di realizzare la bellezza, il pensiero elevato e i godimenti spirituali, per l'individuo, che producono il devachan dopo la morte.

Così, quando il chela è in allenamento sotto un'appropriata istruzione, e non è più concentrato sul sé individuale, allora si eleva al di sopra del piano in cui ha luogo il devachan nelle sue migliaia di stati di coscienza. Quindi il discepolo comincia ad abbreviare il devachan, e alla fine passa oltre il bisogno di sperimentarlo.

Comunque, questo rivolgersi dell'individuo in allenamento verso la vita impersonale ed altruistica non coinvolge in nessun momento l'abbandono degli obblighi umani già assunti o intrapresi in qualche momento. Anzi, è esattamente il contrario. Nessun uomo può essere un vero discepolo o chela dei maestri se volontariamente, o sconsideratamente, ripudia gli obblighi e i doveri non ancora adempiuti. Un'azione del genere sarebbe proprio l'opposto di ciò che il chela sta cercando di seguire, perché non sarebbe che un tipo nuovo di concentrazione, e in questo caso un vero egoismo, dei suoi desideri e della sua attenzione su se stesso e andando direttamente all'opposto di una vita impersonale ed altruista, che implica l'oblio dei propri desideri personali di cui egli è diventato l'impegno opposto.

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Una domanda fatta in relazione alla reincorporazione: gli animali si reincarnano? La risposta è si. Gli animali si reincarnano o reincorporano proprio come fanno tutte le entità "animate," perché un animale è un raggio proveniente da una monade che si reincorpora, proprio come lo è un essere umano. Ma vi sono alcune differenze importanti: quello umano è un ego più o meno altamente individualizzato e risvegliato, mentre nel caso delle bestie il risveglio dell'egoità, o il funzionamento della coscienza mānasica, si trova solo nei suoi principi elementali. Gli esseri umani si reincarnano più o meno come ego individualizzati, ciascuno possedendo quindi il potere della volontà, il discernimento intellettuale, il giudizio, e l'istinto morale, che dirigono le sue scelte al bene o al male, tutte facoltà che, in verità, esistono nelle bestie, ma sono latenti. Anche la vegetazione si reincorpora, come fanno gli atomi nella loro sfera peculiare. Ma in nessuno dei regni al di sotto di quello umano vi sono casi individuali di reincorporazione di ego-anime più o meno sviluppati come nel caso degli esseri umani individuali.

L'animale si reincarna come un raggio monadico fittamente racchiuso in una guaina ma poco luminoso, che manca delle facoltà o attributi definiti di un essere umano, perché l'evoluzione ancora non ha portato queste facoltà in auto-manifestazione. In verità, possiamo dire che la bestia è un neonato umano non ancora sviluppato.

L'uomo è un centro di forza non solo di carattere spirituale, intellettuale e psichico, ma un centro focale da cui vengono in manifestazione le qualità vitali, astrali e psichiche, della costituzione umana. L'uomo, in questo modo, incide il proprio destino, e si avviluppa nei grovigli della rete del suo essere, realizzando non solo il lungo pellegrinaggio di eoni che egli compie attraverso le sfere, ma produce anche i veicoli in cui dimora in queste varie sfere o mondi.

Il nucleo della questione è che l'uomo riceve esattamente ciò che egli stesso desidera. Nel tempo può elevarsi alla divinità, che nel lungo corso dell'evoluzione alla fine ottiene; ma, pur lavorando per il completamento dell'evoluzione umana, può ugualmente calarsi in tutte le varie profondità di esistenze ignobili. Questo concetto era alla base dle vecchio proverbio: "Come pensa nel suo cuore, così egli è." È la direzione in cui sono collocati i pensieri e i desideri di un uomo che determina non solo il suo destino, ma il sentiero che egli percorrerà, le trappole in cui s'imbatterà, o la felicità che creerà per sé viaggiando attraverso le ere.

Nessuno ha espresso questo pensiero chiave dell'insegnamento esoterico meglio di quanto abbia fatto Yāska, un antico scrittore hindu, nel suo Nirukta X, 17, 6:

Yadyad rūpam kāmayate devatā, tattad devatā bhavati.

Tradotto, significa: "Qualsiasi corpo (o forma) anela ad un essere divino, perché lo stesso (corpo o forma) diventa l'essere divino."

L'ego reincorporante, nelle sue peregrinazioni attraverso tutti i mondi e sfere, non può stare separato dall'universo, e quindi entra semplicemente di corpo in corpo; ma a causa del suo karma passato, che è la somma totale di se stesso, diventa gli esseri e le cose che ha desiderato ardentemente. I suoi intensi desideri lo costringono non solo a prendere per sé corpi esattamente corrispondenti in attributi e qualità ai propri bisogni impellenti, ma si unisce così strettamente ad essi da diventare gli stessi corpi — semplicemente perché li ha desiderati ardentemente e si è reso simile a loro.

Questa grande verità della natura mostra perché i semi karmici latenti di impulsi, qualità e attributi, venendo da manvantara passati, costringono la monade peregrina ad intraprendere il suo viaggio di lunghi eoni nei mondi della forma e della materia, identificandosi quindi con loro per intere epoche, finché i propri desideri ed aneliti innati ed inerenti per le cose superiori la attraggono di nuovo verso le sfere superiori e i mondi dello spirito. Qui è la chiave della ragione per cui la monade "cade" nella materia, e più tardi risorge da essa, diventando nel tempo una divinità pienamente autocosciente, e anche di come e perché l'ego reincorporante è attratto verso i cieli o verso gli inferi.

La reincorporazione è la dottrina delle opportunità che si ripetono per tutti, che ricorrono continuamente in ordine ciclico, vita dopo vita, dando all'ego reincarnante reiterate opportunità di evolvere i poteri e gli attributi della monade spirituale interiore. È così che i grandi esseri diventano quelli che sono.

L'anima umana, l'ego reincorporante, non può sfuggire alle attrazioni del proprio agire antecedente; ha intessuto intorno a sé, con le sue azioni, con i suoi pensieri e con le sue vibranti emozioni, la rete del destino in cui è imbrigliata. Tutte queste sono ciò che la riportano alla vita fisica.

Lo spirito di un uomo, sia che dimori temporaneamente oltre Sirio o la stella polare, oltre gli estremi confini dello spazio, non può limitare l'azione delle forze universali che lo richiameranno al luogo della precedente attrazione, e quei semi germoglieranno — se non in questa vita, allora in qualche vita o vite successive, quando le barriere cadranno di fronte alla pressione degli impulsi interni karmici a manifestarsi esternamente. Questi semi troveranno la loro fioritura in lui, il loro originatore e "creatore."

La vita, in verità, è quel tranquillo, piccolo sentiero, come le Upanishad hindu lo chiamano, che lo porta nel Cuore dell'Universo; e questo mistico viaggio realizza il compimento della grande missione di tutte le anime umane.


Capitolo 14

La "Vita" nella Realtá e nella Teoria

Parte 1

Il diciannovesimo secolo, pur non dimenticato ma assolutamente non rimpianto, ha lasciato alla sua progenie, il ventesimo secolo, un'eredità per la quale il mondo sta ancora soffrendo, ma la sua diabolica dominazione spirituale, intellettuale e morale, ha lasciato segni che chiedono ancora un'assoluzione. È stato un secolo difficile e amaro, in cui qualsiasi dignitoso istinto dell'anima umana doveva pagare un pesante pedaggio.

Probabilmente non c'è nella storia conosciuta nessun singolo secolo che sia stato così segnato dalle memorie dei fallimenti morali, e così oscurato da un quasi incontrollato egoismo e corsa al potere. Fu un'epoca molto egoista di soddisfacimenti personali e di compiaciuti contenuti, in cui tanti uomini immaginavano di aver raggiunto l'acme di tutta la conoscenza possibile nei campi della religione, filosofia e scienza; e tutto questo fu largamente provocato dalla sottomissione della spiritualità e degli istinti morali ad una lotta per il benessere materiale, di pari passo con gli egoismi nazionali e politici, che risultarono nelle feroci battaglie di nazione contro nazione, culminando nella conflagrazione psichica mondiale del 1914.

Inoltre, era uno strano secolo, pieno di stridenti contrasti e di impossibili contraddizioni che marciavano insieme spalla a spalla, facendosi largo a sgomitate attraverso la vita umana. Era un'epoca in cui l'uomo comune, in una parte del suo cervello, accettava certi credi religiosi travisati, e in un'altra, faceva posto a teorie scientifiche che non erano provate così come non lo erano le idee religiose, ma che erano del tutto incompatibili e quindi inconciliabili. La natura dell'uomo era spaccata, divisa contro se stessa, da queste confuse contraddizioni percepite, che la maggior parte della gente francamente si rifiutava di affrontare.

L'insegnamento dell'amore fraterno era sulla bocca di tutti; ma la messa in pratica, negli affari internazionali come pure nelle relazioni nazionali, sociali e politiche, urtava violentemente contro la nobile dottrina. In verità, è stato un secolo in cui il culto della violenza, per quanto camuffato, s'intravedeva in ogni terra; e sebbene l'uomo dicesse costantemente: "Il Diritto è una Forza," quasi sempre la pratica era "La Forza è un Diritto." Tuttavia, qualsiasi individuo pensante può vedere che la grazia salvifica nelle relazioni tra uomo e uomo, e nazione e nazione, è l'inflessibile volontà di applicare benevolmente la giustizia a tutti, non badando al proprio interesse personale.

Probabilmente non esiste una descrizione più chiara dei fatti, se non quella che possiamo trovare studiando Le Lettere dei Mahatma ad A. P. Sinnett. Qui due dei grandi istruttori dell'umanità fecero tutto il possibile per impiantare almeno una manciata di semi spirituali nelle menti di due uomini del diciannovesimo secolo, A. P. Sinnett e A. O. Hume. Sinnett era forse leggermente superiore in fatto di discernimento mentale, mentre Hume era forse superiore nelle capacità intellettuali. Due uomini tipici del diciannovesimo secolo, con tutti i difetti combinati alle relativamente scarse virtù della loro epoca, erano in corrispondenza con due mahātma, e niente potrebbe essere più interessante che notare la paziente affabilità degli insegnanti nel controbattere la prosopopea assolutamente inconscia, e tuttavia incredibile, e il compiaciuto egoismo dei loro due "chela laici." L'attitudine di Sinnett e Hume era una quasi continua insistenza che l'antica saggezza dovesse essere trasmessa secondo la struttura del pensiero e della prospettiva che, nel loro egoismo, ritenevano i canali attraverso i quali doveva diffondersi il messaggio all'umanità. Insistevano che il tempo avrebbe tratto giovamento dal meccanismo dei "fenomeni," in quanto pensavano che mediante il meccanismo delle meraviglie materiali il mondo si sarebbe necessariamente convertito a credere nella saggezza esoterica. Quando gli insegnanti puntualizzarono che questa era la maniera peggiore per costruire il fondamento della filosofia spirituale ed intellettuale, per i due "chela laici" era impossibile comprendere che i fenomeni richiamano inevitabilmente altri fenomeni. Inoltre, quando i māhatma dichiararono categoricamente che era meglio che le dottrine della saggezza arcaica rimanessero sconosciute per sempre a tutto il mondo piuttosto che essere fondate su queste sabbie mobili, i due "discepoli" mostrarono chiaramente che, dal loro punto di vista, la morale e l'etica non erano che convenzioni della società umana e non avevano alcuna base reale nella legge naturale. Di conseguenza, sentivano che le condizioni inserite nella scelta del sublime messaggio dei maestri erano superflue ed arbitrarie.

Le questioni connesse alla vita e alla morte erano particolarmente interessanti sia per Sinnett che per Hume ma, essendo uomini del diciannovesimo secolo, è probabile che per loro la vita e la morte erano in netto contrasto invece di essere due facce della stessa medaglia: un passaggio della monade umana evolvente e peregrinante nella sfera della terra, e poi nuovamente fuori da essa. In altre parole, la morte non è che uno dei nodi della vita; e il vero e proprio contrasto con la morte non è la "vita" ma la nascita.

Le prospettive umane stanno cambiando enormemente. L'abbandono delle vecchie inibizioni scientifiche e dei punti di vista pregiudizievoli che avevano raggiunto il massimo vertice negli ultimi anni del diciannovesimo secolo, ha aperto alla moderna ricerca scientifica tanti nuovi campi del pensiero e dell'investigazione finora inesplorati, per cui oggi prevale una psicologia completamente nuova.

La scienza si sta rapidamente preparando ad accettare almeno alcuni degli insegnamenti fondamentali della saggezza arcaica. La principale tra le idee o concezioni di non pochi scienziati è che l'essenza dell'Essere è la stoffa della mente, come qualcuno la chiama, o coscienza cosmica come la chiama la Tradizione Esoterica. In verità, questo è un enorme superamento del materialismo che negava tutto e che era quasi universalmente accettato alla chiusura del diciannovesimo secolo. Parlare del "matematico cosmico" o dell' "artista cosmico," pur essendo un linguaggio eccessivamente imperfetto, è tuttavia un grande passo in avanti.

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"Vita" e "morte" sono due processi o "eventi," o meglio, due fasi d'esperienza della sostanza della forza monadica. Per quanto riguarda l'universo manifestato, vita e morte sono due aspetti dell'identico operato della forza cosmica, che in tutti i periodi della manifestazione universale assume questa forma duale. Ma dietro a questi due processi c'è l'impulso intelligente, la forza cosciente dell'energia dirigente, che fa in modo che gli esseri e le cose seguano un sentiero di sviluppo già latente nel germe o seme — cosmico o individuale — e che attraverso la crescita evolutiva sviluppa i fattori intrinsechi dell'individualità che all'inizio giace dormente nel cuore del seme dell'entità futura.

Cos'è questa forza dirigente, questo impulso intelligente e vitale nel germe? Ciascuno di questi germi o semi è uno dell'infinto numero degli atomi monadizzati della Vita cosmica. Se consideriamo l'entità individuale, che sia un uomo, una bestia, una pianta o un atomo minerale, allora diventa necessaria la specializzazione, e vediamo che questa forza dirigente o stimolo interiore è la manifestazione verso l'esterno o l'espressione del fluire dell'energia vitale che nasce nella monade ed è emanata da essa, perché la monade è il centro spirituale o nucleo di qualsiasi entità. Questo centro spirituale è di per sé un'entità in cui sono inerenti, attraverso il tempo infinito e quindi attraverso lo scorrere dello sviluppo evolutivo, le sue caratteristiche o individualità. In breve, è questo il significato generale della dottrina di svabhāva.

Perché la quercia è sempre il genitore di una ghianda? Perché un seme di mela produce invariabilmente un albero di melo. Tali questioni non sono semplicemente banali ripetizioni di un fatto che tutti conoscono; sono domande che non sono mai state spiegate dalla scienza occidentale. La dottrina di svabhāva, della monade spirituale-vitale caratterizzante, risponde a queste domande affermando che la ghianda o qualsiasi altro germe individuale produce invariabilmente il proprio tipo, a causa dell'individualità caratterizzate che vi dimora, la caratteristica monadica o raggio nel cuore del germe della quercia o del seme dell'albero di melo. Se le cose crescessero alla rinfusa, se non vi fosse la catena della causalità individualizzata che produce infallibilmente dei risultati secondo "l'individualità" di cause precedenti, se nell'universo non vi fosse alcuna legge di individualità riproduttiva, allora perché un seme di mela non dovrebbe produrre una pianta di banane, o una pesca produrre piantine di fragola? Oppure, perché non potremmo scoprire minuscoli neonati umani nel cuore di una rosa?

Al di là del fatto che qui si cela uno dei processi segreti della reincorporazione o reincarnazione, si spiega anche la continuità del tipo e delle differenti specie o classi che compongono i numerosi regni della natura. Inoltre, in questo stesso fatto è intimamente connesso quello che è sempre stato un grosso problema per la scienza della biologia, cioè l'origine della variazione delle specie. Tutte queste origini, con le loro variazioni nello spazio e nel tempo, nascono dal fatto che le emanazioni fluiscono nel mondo fisico dalle monadi spirituali che abitano i vari regni, essendo ciascuno di questi flussi stampato con il proprio tipo caratterizzante o svabhāva.

Ovviamente, è questa la causa della continuazione dei tipi attraverso le ere, soggetta, naturalmente, alle modificazioni provocate dall'espansione evolutiva delle caratteristiche interiori e finora dormenti. È precisamente quest'espansione emanativa che determina le cosiddette origini e "variazioni" delle creature viventi.

Inoltre, ogni monade è un centro "creativo" o meglio emanativo o un centro focale eternamente attivo durante un manvantara, cosicché dal suo cuore scaturisce, almeno all'inizio del periodo della manifestazione cosmica, un flusso senza fine di caratteristiche in germe, ciascuna essendo il punto di partenza o "l'origine" di qualche nuova variazione che, se vivesse e prevalesse contro i vari fattori antagonisti nell'ambiente, si stabilizzerebbe come una "nuova" varietà o specie o qualche gruppo più globale.

C'è un punto importante da ricordare in questo contesto: proprio perché il manvantara del globo sulla nostra terra ha già oltrepassato il punto di discesa e sta iniziando la sua ascesa, lo sbalorditivo numero di nuove varietà e tipi che hanno caratterizzato l'intero corso dell'arco discendente, da questo momento in poi diventerà costantemente sempre più esiguo. L'intero corso dell'azione delle onde di vita sull'arco superiore, o arco ascendente, si avvia all'integrazione, portando così, nel corso delle ere, ad una costante diminuzione di tipi o famiglie, mentre sull'arco discendente lo sforzo complessivo della natura era la differenziazione o l'attività diffusiva, cioè il manifestarsi di un gran numero di variazioni specifiche del tipo fondamentale generalizzato che, essendo monadico, dura perpetuamente.

Come abbiamo detto, è l'individualità monadica, la caratteristica individualizzata, inerente al seme dell'entità futura, che essa stessa vitalizza, a fornire non solo la direttiva, ma a governare la natura di ogni tipo, razziale ed altrimenti, dell'entità che sarà successivamente. Questo stimolo vitale ed intelligente è l'aggregato delle forze di parecchi tipi differenti, dormenti nel raggio monadico che s'irradia dalla stessa monade, che in Sanscrito è chiamata jīva. L'individualità caratteriale inerente all'energia vitale del raggio monadico marca per sempre l'operato di questo raggio in tutte le sue funzioni, ed esprime quindi nel tempo e nello spazio ciò che all'inizio è coinvolto con la monade. Questo è il vero significato dell'evoluzione, un processo dell'auto-manifestazione dell'essere peregrinante nei mondi e nelle sfere della materia, un processo che ha luogo nella "morte" come pure nella "vita." Ciascuna monade individuale, per mezzo della sua forza proiettata o raggio monadico, espande per emanazione quella particolare caratteristica di vita che, in coincidenza con la sua apparizione, imprime il segno della propria natura sulla sostanza evolvente o corpo in cui può dimorare per qualche tempo, producendo così la vasta ed enorme varietà di razze e famiglie, generi e specie, ed anche le variazioni nei regni che ci circondano.

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Sebbene questo raggio monadico sia definito come un individuo, effettivamente è una guaina o un fascio di forze spirituali aggregate in un'unità. La costituzione umana è un composto, un flusso di coscienza che scaturisce dal centro immortale o monade spirituale, che è contemporaneamente la radice perenne dell'essere umano e il suo sé essenziale. La monade, che è quindi il cuore supremo o più intimo di qualsiasi entità in manifestazione, è l'individuo fondamentale dal quale la coscienza e l'ipseità emanano in un flusso che attraversa tutti i diversi gradi o livelli della costituzione dell'entità, la cui espressione è quindi il raggio monadico.

Il simbolo familiare a molti e usato da più di un'antica scuola è un pilastro di luce che raffigura la costituzione umana vista come un insieme unitario. Questo pilastro di luce, quando viene in manifestazione esterna dal cuore della monade è di una radiosità supernaturale nelle sue parti superiori; ma quando passa più profondamente nella materia, la sua luminosità diminuisce progressivamente fino a raggiungere la sfera fisica dove funziona invisibilmente nel circondare ciò che è "oscuro come la notte," cioè la triade fisica-vitale-astrale della costituzione umana. Attraverso l'intera estensione di questo pilastro di luce si dipana il flusso dell'ipseità essenziale o coscienza monadica, un flusso che è il raggio monadico circondato dal pilastro di luce — la costituzione umana composita, interiore ed invisibile.

Quando il raggio monadico s'irradia verso il basso attraverso questo pilastro di luce, crea per se stesso, in luoghi appropriati, dei nodi o punti focali di coscienza attiva, che sono di per sé monadi minori, o ego-anime della costituzione umana. In ordine discendente sono: l'anima divina; l'anima spirituale; l'anima mānasica o umana, l'anima kāma-mānasica o animale, e l'anima vitale-astrale. Attraverso di loro il raggio monadico essenziale si espande, agisce e funziona, identico al sūtrātman della filosofia hindu, un termine sanscrito che significa il "filo del sé," che ha le sue sedi o i rispettivi nodi o punti focali nella totalità aggregata delle differenti guaine sottili o "anime."

Così, quando sopraggiunge la morte per un'entità, diciamo un essere umano, è un processo d'involuzione progressiva, quindi un'inversione esatta del processo evolutivo che aveva avuto luogo in precedenza durante la costruzione della struttura della complessa costituzione, o pilastro di luce. Dapprima è scartato il corpo fisico con la sua concomitante e grossolana vitalità astrale, che naturalmente include il corpo modello o liṅga-śarīra. Dopo un certo periodo di tempo, che in ciascun caso dipende dagli attributi e dalle qualità karmiche dell'uomo la cui vita terrena si è appena conclusa, la coscienza si eleva dai mondi astrali nel prossimo centro monadico o punto focale della coscienza, che a sua volta è finalmente attirata nel seno della monade spirituale; e qui è dove la monade umana o ego umano entra nello stato devacianico.

Quando viene il tempo per la fine del devachan e la monade umana si risveglia dai suoi sogni beati — a causa del risveglio dei semi karmici degli attributi e delle qualità finora latenti nell'ego umano, portati dall'ultima vita terrena — essa segue automaticamente queste attrazioni verso la sfera della terra, discendendo attraverso i regni intermedi che aveva attraversato nel suo viaggio verso l'alto, verso lo stato devacianico. Così discende verso il basso, dalla monade spirituale fino ai regni più materiali, costruendosi a ciascun passo guaine appropriate o corpi sottili in cui poter vivere su questi piani inferiori, riformando così i nodi o punti focali che aveva precedentemente sviluppato in se stessa, fino a raggiungere infine la sfera della terra dove è attratta verso un grembo umano adatto, al quale l'hanno trascinata le sue affinità karmiche.

Dovrebbe risultare evidente che la Filosofia Esoterica non insegna l'esistenza dell'essere umano come un ego immutabile che passa di vita in vita semplicemente per fare esperienza senza doversi modificare. È davvero il contrario: l'ego stesso è un centro focale evolvente di coscienza nel pilastro di luce, e quindi l'ego umano si ritrova in un processo infinito in fase di una continua espansione della coscienza stessa. Di conseguenza, l'ego non è un'entità immutabile che svolazza di nascita in nascita; e per tale motivo la reincarnazione di questo ego umano non deve mai essere considerata come il passaggio di un fantoccio in una serie di vite terrene.

Era questa la ragione per cui Gautama il Buddha affermò enfaticamente che nell'uomo non vi era alcun "ego" o "anima" permanente — immutabile; e il profondo significato di quest'affermazione è sfuggita alla comprensione dei commentatori fin dai tempi del Buddha. Questo è un punto delicato, ed è quindi un qualcosa difficile da afferrare. Considerate il caso di un essere umano che cresce dalla nascita all'età adulta, e poi raggiunge i portali della morte. Ci sono state profonde modificazioni nella coscienza di questo essere umano, ma l'uomo di cinquant'anni è il frutto o il diretto risultato karmico del ragazzo di dieci anni. Il ragazzo e l'uomo sono lo stesso, ma non identici, perché la coscienza è cresciuta, evoluta.

Avviene esattamente la stessa cosa con la reincarnazione. Il "vecchio uomo" è lo stesso del "nuovo uomo" ma non identico, poiché il "nuovo uomo" nella nuova vita terrena ha tutti gli incrementi aggiunti che ha ottenuto nell'intervallo devacianico, e che sono diventati, con il karma totale del "vecchio uomo," quello che noi chiamiamo il "nuovo uomo." Tutta la dottrina è di un'immensa speranza perché mostra che ciascuna nuova nascita è un passo avanti, che comprende un'elaborazione, e quindi un oblio, degli errori e dei peccati passati, e una nuova possibilità che si ripresenta sempre per il futuro. Questo non significa che il "vecchio" sia annientato o spazzato via, perché sarebbe impossibile; il "vecchio" rimane come il frutto, come l'eredità karmica, finché non si sia equilibrato o esausto; ma su questo "vecchio" arriva il continuo influsso dei nuovi incrementi spirituali ed intellettuali, che così modificano radicalmente il carattere, in modo che, man mano che il tempo passa, il vecchio sparisce gradualmente perché si esaurisce, e il nuovo diventa rapidamente migliore.

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La vita non è solo un continuo processo per costruire un corpo fisico che, quando questa costruzione ha raggiunto un certo termine, è seguita da un improvviso collasso e dalla conseguente dissoluzione dovuta al sopraggiungere nella struttura di qualcosa radicalmente diversa dalla vita e chiamata morte. La morte è l'opposto logico ma è un'altra forma di nascita — il passaggio del raggio monadico fuori dalla vita terrena nella sua fase consecutiva e consequenziale chiamata vita astrale.

Tutti i processi della natura che si susseguono in un regolare ordine seriale come un'incessante catena di causalità, sono metodici e continui ed anche compositi. Non potrebbe esserci alcun processo di costruzione senza un equivalente funzionamento di quella che gli uomini chiamano morte — ad ogni istante, ad ogni ora, e sempre simultaneamente. Ma la morte non è che un cambiamento, la fine di un evento nella catena della causalità, ed introduce il successivo consequenziale evento karmico. La nascita nella vita terrena è esattamente l'analogo della morte del corpo fisico, poiché la nascita del corpo fisico è l'evento che introduce la monade peregrinante in quella fase del suo viaggio chiamata vita terrena. Non può esserci nascita che non sia al tempo stesso una morte, cioè la conclusione dell'evento che l'ha preceduta immediatamente, per cui la nascita della monade nella vita terrena è la sua morte nella fase immediatamente precedente della vita astrale.

Questo seme-germe non può crescere se non muore il rivestimento o guscio esteriore affinché il germe possa spuntare. La maestosa quercia, squassata da secolari tempeste, non potrebbe derivare dalla ghianda se la ghianda non rinunciasse alla sua vita per essa. Prendiamo in considerazione il corpo fisico: ad ogni passo incontriamo questi due processi che si accavallano: non una singola cella del corpo rimane quando il corpo è consumato, ma sparisce nella propria progenie, ed è rimpiazzata dalla propria sostanza con una nuova cellula. Le funzioni vitali, in verità, sono anche le funzioni mortali. Ogni istante nella crescita è un istante sempre più vicino alla dissoluzione, ed ogni passo nella crescita, o quella che l'uomo chiama vita, è effettuato dalla morte dell'anello immediatamente precedente nella catena d'esistenza della vita. Non può esserci morte dove non c'è vita, perché la vita e la morte non sono opposti, ma una, un'identità. La mortalità è il frutto della vita, come la vita è figlia della morte, e la morte, cioè il cambiamento, introduce ancora una nuova fase della vita.

È evidente che l'Apostolo Paolo aveva in mente la stessa idea quando scriveva nella supposta Prima Epistola ai Corinti quanto segue:

Tutti i giorni io muoio, o fratelli, per la gloria che è mia in Cristo Gesù nostro Signore.
Ma dirà qualcuno: come resuscitano i morti, e con quale corpo ritorneranno?
Stolto, quello che semini non prende vita se prima non muore
E quello che semini non è il corpo che deve venire, ma un nudo granello di frumento o di altra semenza.
Così pure vi sono dei corpi celesti e corpi terrestri, ma uno è lo splendore dei corpi celesti e l'altro di quelli terrestri.
Si semina un corpo fisico e risorge un corpo spirituale. Vi è un corpo fisico e vi è un corpo spirituale.
— 15: 31, 35-7, 40, 44

In un articolo su "Life" scritto dal dr. Peter Chalmers Mitchell per l'Encyclopaedia Britannica, egli dice:

Finché non sarà acquisita una maggiore conoscenza del protoplasma e in particolare della proteina, non c'è alcun spazio scientifico per suggerire che vi sia un misterioso fattore che differenzia la materia vivente dall'altra materia, e la vita da altre attività.

Il presente scrittore ha una cordiale simpatia per l'estratto dall'articolo del dr. Mitchell, perché l'errore capitale fatto dalla scienza europea fin dai tempi di Newton è stata la supposizione che la vita sia un assoluto, o una cosa in se stessa, che in essenza è quindi non solo distinta dalla materia ma è radicalmente diversa. Questa è un'ipotesi erronea che la Filosofia Esoterica ripudia, perché nel suo insegnamento, quella che la scienza moderna chiama materia, è un'invariabile manifestazione dello jīva cosmico — dello sterminato numero di monadi coscienti che esistono in tutti i vari gradi di sviluppo, che non solo vitalizzano la sfera materiale, ma sono effettivamente la sfera materiale. In altre parole, l'intera gamma dei mondi gerarchici materiali o sfere, inclusa quindi la sfera fisica, è una rete di punti focali interagenti o punti monadici di coscienza, essendo ciascuna monade o jīva un centro focale di quello che la scienza chiama la stoffa della mente. Poiché queste monadi o punti focali o materiali della mente esistono e funzionano in gradi differenti di sviluppo evolutivo e comprendono la totalità di tutto ciò che è, risulta evidente che anche l'atomo chimico, con i suoi infinitesimali epicentri elettronici, è l'espressione nella sfera minerale di un centro monadico. Ecco perché quella "vita" non è un qualcosa di separato e differente dalla materia, che agisce su di essa come un'estranea, ma quella stessa materia, in tutte le sue fasi e gradi, non è che le espressioni interagenti di quegli eserciti di centri monadici — essendo ciascuna di queste monadi una sorgente di forza vitale.

Così la natura, attraverso tutti i suoi regni, è motivata ed attivata dall'interno verso l'esterno; e quindi tutti i veicoli o espressioni di queste entità interne ed invisibili sono quelli che chiamiamo le molteplici differenziazioni delle sfere materiali.

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Parte 2

Con la rinascita del pensiero scientifico al di là delle credulità del Medioevo, era inevitabile che gli uomini cercassero qualche criterio universale che potesse provare le idee e le intuizioni che appaiono in varie epoche. In questa ricerca, le menti indagatrici si rivolgevano alla sola direzione che sembrava fornire le condizioni richieste di universalità — la natura stessa. Ma avvicinandosi alla natura come esse fecero, con i preconcetti inerenti alla loro epoca, cosa potevano aspettarsi di trovare in questo studio preliminare? Non guidate da qualche filosofia di vita che non fosse il pensiero religioso e scolastico del Medioevo — e quindi veramente fuorviate a causa della potente forza psicologica dell'ambiente — le loro menti si avvicinarono inconsapevolmente a un tale studio della natura, già cristallizzata in certi percorsi del pensiero.

Così nacque, tra le altre, la teoria del vitalismo, che sembra sia stata l'idea generale che nei processi fisici e chimici nei corpi dell'animale e della pianta, esistesse qualcosa chiamata vita. Si supponeva che questa vita, apparentemente, fosse una forza attiva che esisteva separata dalla materia, e del tutto diversa da essa; e si supponeva che la morte fosse il ritirarsi di questa misteriosa vita dalla materia o dai corpi fisici. Sembra abbastanza accurata la deduzione che l'idea basilare del vitalismo fosse che la cosiddetta vita era completamente immateriale, e in nessun senso identica alla stessa materia, ma che tuttavia lavorava attraverso la materia fornendole i suoi vari attributi e qualità — al di fuori di questi inerenti attributi o qualità che si supponeva potessero avere gli stessi elementi chimici.

I problemi filosofici e scientifici che sorsero da questa teoria e che da molti erano considerati virtualmente insolubili, fecero allibire e disgustare pensatori con un altro tipo di mentalità. Nel loro rifiuto della teoria vitalistica, essi diventarono quelli che furono chiamati meccanicisti, dicendo che non c'è nessun'altra cosa se non la vita di per sé, che non c'è niente se non forze fisiche e chimiche, e che è l'interagire di queste forze o energie a produrre le varietà di vita animale e vegetale. Ma proprio come il vitalismo aveva avuto i giorni contati, così tutti gli indizi puntano alla conclusione che anche il meccanicismo abbia concluso il suo percorso.

Il dr. George G. Scott, professore associato di biologia al City College di New York, scrisse:

Inseparabilmente connesso alle idee fisiche e chimiche del protoplasma è il funzionamento dello stesso protoplasma. Inseparabilmente connessa alle associazioni di cellule deve esserci un'attività integrativa dell'intera massa come unità. Quest'organizzazione non può essere sezionata, non può essere vista con l'aiuto di un microscopio. Non è materiale nel senso comune del termine. Ciò ha portato allo sviluppo di due idee generali o scuole di pensiero — il Vitalismo e il Meccanicismo. I vitalisti dicono che la vita è qualcosa di più delle forze fisiche e chimiche e che non siamo ancora capaci di stabilire cosa sia la vita. I meccanicisti affermano che le attività della vita sono più o meno solo esternazioni delle leggi fisiche e chimiche conosciute. Il biologo meccanicista asserisce fiduciosamente che i processi della vita sono semplicemente esternazioni dei fenomeni che hanno luogo secondo le leggi conosciute della fisica e della chimica, ma egli è del tutto soggetto alla critica come lo è il vitalista . . . Quando i fenomeni della vita saranno veramente compresi allora può essere che la cosiddetta forza di vita o "spirito vitale" sarà identificato come una forma di energia. — The Science of Biology, pp. 38-39

Quest'ultima dichiarazione mostra chiaramente che il vitalismo, sotto alcuni aspetti, è più vicino alla dottrina esoterica di quanto lo sia il meccanicismo, ma il teosofo ripudia l'idea vitalistica che la "vita" sia un qualcosa di radicalmente diverso dalla sostanza sottostante dalla quale è formata la materia.

Un altro punto di vista di questa controversia è introdotto dal dr. Max Verworn, professore di fisiologia all'Università di Bonn, Germania. Dopo aver descritto l'avanzare in Europa di queste idee del vitalismo, e della natura dell'anima e dello spirito, come erano promulgate nel pensiero europeo dai greci fino alla sua epoca, egli descrive l'ulteriore sviluppo delle idee scientifiche lungo queste linee:

Gradatamente emergeva ancora una volta la tendenza a spiegare i fenomeni vitali con mezzi mistici, che trovano espressione nell'Animismo di Stahl, per citare un esempio; e nella seconda metà del diciottesimo secolo il Vitalismo, nato in Francia, cominciò la sua marcia vittoriosa in tutto il mondo scientifico. Il pensiero fu ancora attratto dall'idea che la causa dei fenomeni vitali fosse un potere mistico (forza ipermeccanica) — quella "forza vitale" non fisica né chimica nella sua natura, che era ritenuta attiva solo negli organismi viventi. Il vitalismo continuò ad essere l'idea predominante in fisiologia all'incirca fino alla metà del diciannovesimo secolo . . . dalla seconda metà del diciannovesimo secolo la dottrina della forza vitale fu definitivamente spodestata per far posto al trionfo del metodo naturale di spiegare i fenomeni vitali . . . Sembrerebbe, ed è vero, come se ai nostri giorni, dopo che è passato un secolo, le tendenze mistiche siano di nuovo disposte a riemergere nella ricerca della vita. Qua e là si sente ancora una volta la parola d'ordine del Vitalismo. — "Phisiology," Encyclopaedia Britannica — 1911)

Questa tendenza a cambiare è in se stessa una cosa eccellente, perché previene la cristallizzazione delle idee scientifiche in puri e semplici dogmatismi scientifici. Ma in tutto questo, come può mostrare qualsiasi raccolta di libri di testo, le idee scientifiche tendono fortemente a diventare dogmatiche, anche se l'esperienza prova che una teoria scientifica è transitoria come lo sono le mode e le teorie in qualsiasi altro campo della vita umana.

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Ogni cosa, dal punto di vista della scienza, sembra essere essenzialmente "energia," e la materia stessa non è che forme o aspetti dell'energia cosmica, che alcuni identificano nella sostanza della mente. In questo, essi si avvicinano il più possibile al concetto teosofico che la materia, in realtà, è una concrezione o cristallizazione di forze o, più precisamente, un'incomprensibilmente grande concrezione di monadi, centri di vita. Come H. P. Blavatsky scrisse anni fa, la materia è radiazione condensata o concretata — o quella che a quei tempi era chiamata "luce." Nel 1888 ciò era considerato universalmente come la dichiarazione di un idealista incostante, e senza alcun fondamento in natura. Tuttavia oggi quest'affermazione dovrebbe essere ritenuta scientificamente ortodossa.

Cos'è la luce? I nostri scienziati ci dicono che la luce è una vibrazione elettro-magnetica e che vi sono molti tipi di "onde" elettro-magnetiche — un termine comune usato per esprimere il metodo di propagazione delle energie elettro-magnetiche attraverso lo spazio. Quando un'energia elettro-magnetica vibra ad una velocità estremamente rapida che ammonta a migliaia di miliardi di frequenze al secondo, combinate con una diminuzione della durata dell'onda individuale, una tale condensazione della forza in movimento o energia deve produrre sull'organo umano dei sensi l'esatta impressione sensoriale di una forma della materia. Quest'illustrazione implica almeno qualche nozione di come la vibrazione di una forza ad una velocità enormemente alta può produrre l'impressione del corpo, una massa materiale.

Cos'è dunque la vita di per sé? Cos'è questa realtà interiore essenziale, fondamentale, dentro e dietro di noi, che produce strutture organiche e i loro rispettivi fenomeni? La vita in sé è forza intelligente sostanziale e spirituale — che si manifesta in miriadi di forme di energia. Collettivamente considerata, è la forza vitale, o forze, intelligente, sempre attiva, e inerentemente vitale. La vita è un fluido etereo, un fluido vitale, quindi è anche sostanza ma sostanza eterea; e la vita, inoltre, è inerentemente attiva su ciascuno dei piani o mondi, visibili ed invisibili, che nel loro aggregato compongono, e di fatto sono, l'universo. In verità, sia la forza che la sostanza sono aspetti fondamentali o essenziali o fasi della sottostante realtà universale, l'eterna vita-sostanza-intelligenza cosmica eterna.

Nascita e morte sono ovviamente l'inizio e la fine di una fase della vita temporanea di qualsiasi entità, mentre la Vita in se stessa, come causa cosmica originante, è l'intelligenza che guida la forza-sostanza causale sottostante alla nascita e alla morte. Comunque, espressioni come "vita" sono astrazioni che, si potrebbe arguire, non sono entità di per sé, ma stanno per aggregati di esseri viventi. Per chiarire: l'umanità in sé non è né un essere né un'entità ma è composta di esseri umani. Ugualmente, non c'è una cosa come la forza o sostanza a sé stante, ma vi sono vaste gerarchie di esseri viventi la cui auto-manifestazione si esprime come forze e sostanze.

La luce, ad esempio, è una forma di radiazione che emana da un corpo radiante che non solo è il suo genitore causale, ma senza questo corpo che esprime la sua forza vitale in radiazione, la luce non esisterebbe. In altre parole, la luce è il fluido vitale di un'entità vivente che scaturisce da essa; se l'entità non esistesse, il fluido vitale non potrebbe sprigionarsi, e la luce non esisterebbe.

È sbagliato supporre che la luce, come radiazione, sia un'entità che "semplicemente esiste" nel cosiddetto spazio vuoto. Prima o poi il fluido vitale chiamato luce e che proviene dal sole, e dopo aver subito quasi innumerevoli modifiche di integrazione e disintegrazione, tornerà al corpo genitoriale che originariamente gli ha dato la nascita.

Possiamo affermare che l'elettricità sia un qualcosa di diverso dall'entità emanata, la sorgente madre che le ha dato la nascita e che, se la sorgente madre non esistesse, il fluido elettrico irradiato potrebbe apparire manifestandosi? L'elettricità è un termine astratto per le varie radiazioni "elettriche" vitali provenienti da sorgenti diverse; infatti, è una delle forme della vitalità cosmica. Quindi è un'entità, poiché ha esistenza come un fluido vitale che dura temporaneamente, che conosciamo come un tipo di radiazione; ma la sua origine è nel segreto del cuore vitale degli esseri viventi di magnitudo cosmica — in altre parole, i vari soli nello spazio. Sebbene questi soli siano collettivamente la fonte principale dell'elettricità cosmica, tuttavia ogni essere delle innumerevoli gerarchie che riempiono e in verità fanno lo spazio, è anche una sorgente di magnitudo minore, che a sua volta emette dalla sua fonte vitale interiore le proprie attività o correnti di flusso elettrico magnetico o radiazione. Dietro queste attività vitali, presiede l'intelligenza cosmica che tutto permea; e nei casi di esseri minori, l'intelligenza di magnitudo minore della quale essi sono gli incorporamenti in evoluzione.

Gli inizi e gli epiloghi si applicano quindi solo ai corpi o veicoli, fisici o eterei a seconda del caso, che custodiscono i raggi monadici o spirituali causali. Questi inizi ed epiloghi sono infatti sogni illusori quando ci rivolgiamo alla scala più grande della vita cosmica, a quel flusso interno e continuo di essenza vitale intelligente che passa ininterrottamente attraverso i portali della nascita, e passa dai portali della morte in un'altra fase di vita su un piano successivo, in un mondo un po' più elevato. Quell'essenza vitale o flusso di vita è una forza vivente ed incessante di origine cosmica, e quindi, proprio perché è dell'essenza dell'universo, è costante fino alla chiusura del manvantara solare. Poi svanisce dai piani della manifestazione inferiore ed è attirata nella monade solare, nello stato che potremmo chiamare il nirvāṇa solare; ma nelle lunghe ere che seguono da quel momento, riapparirà in manifestazione nei vari piani e mondi, quando Brahman espira ancora una volta dalla propria essenza il nuovo universo solare, l'incarnazione dell'universo solare che fu.

Gli inizi e gli epiloghi in realtà sono sogni illusori, perché non assoluti. Possiamo ricercare, sia pure con il pensiero, una fine oltre ciò che è nulla? La natura tende all'irraggiungibile, e così fa l'uomo, un figlio della natura: quando raggiungiamo ciò che pensiamo sia l'ultimo, troviamo che non è altro che una pietra miliare per un qualcosa di ancora più grande ed elevato.

Qualcuno ha detto: "Nel mio cuore c'è un qualcosa di così bello che io non voglio mai perdere"; e così l'essere umano si aggrappa sempre di più a questa meravigliosa bellezza — per se stesso, creando per se stesso un futuro sentiero di dolore e sofferenza. No! Gli esseri non crescono in questo modo. Pur essendo del tutto giusto ricercare la bellezza e anche tendere all'Irraggiungibile, perché questo dà regalità all'anelito divino nei nostri cuori e libera i ceppi della personalità che ci legano al regno della materia, tuttavia il segreto della riuscita è di non incatenare mai la nostra immaginazione al Bello né identificare l'anelito dei nostri cuori con l'Irraggiungibile mediante qualsiasi realizzazione relativa, perché questo significa tessere intorno ai nostri spiriti le reti dell'illusione, intrecciate dai nostri desideri di possedere e diventare. È giusto tendere al Bello e all'Irraggiungibile, ma solo se realizziamo che è fatto senza alcun senso di profitto personale, perché questa è una limitazione, significa costruire una prigione intorno alle nostre anime. Qui sta il motivo per cui tutti i grandi veggenti hanno insegnato che non dobbiamo costruire muri di prigioni intorno a noi stessi nemmeno con i nostri supremi voli di pensiero e sentimento, poiché questo significa auto-identificarci con i muri della prigione, l'errore fatale di tutte le religioni exoteriche e di tutte le filosofie nate nei pronai del tempio della saggezza divina. Gli esseri crescono maggiormente con il conseguire una maggiore comprensione, con l'espansione, con la rinuncia a ciò che è imperfetto, per un "perfetto" più grande. Mai dire che una cosa è così bella che non esiste un'altra cosa più bella. La natura, nelle sue operazioni, demolisce per creare qualcosa di meglio, anche se a volte in maniera così tortuosa, che la demolizione sembra essere mortale, una fine.

Anche quando ci arrivano i momenti di afflizione e dolore, dovremmo sempre ricordare che dipende da noi vedere in questi momenti nuovi portali che si aprono a qualcosa di meglio, a qualcosa di più elevato. Quando la prima fiamma dell'amore impersonale riscalda il cuore di un uomo, e qualcosa di indicibilmente bello nasce dentro di lui, è del tutto umano attaccarsi a qualcosa di nuovo e bello. Ma dobbiamo accantonarlo, altrimenti l'uomo impedisce a se stesso di ricevere qualcosa di ancora più grande.

Colui che si vincola ad una gioia
La vita alata distrugge;
ma colui che bacia la gioia quando vola via
vive nel sorgere del sole dell'Eternità.
— William Blake, Songs of Innocence

A meno che un uomo vigili con cura, anche ciò che ama può imprigionarlo con muri adamantini, per cui non solo egli si deve allenare a cercare continuamente qualcosa di meglio, ma deve deliberatamente spezzare l'illusione della relativa completezza e soddisfazione, sapendo che al di fuori dei muri carcerari dell'individualità ci sono glorie inconcepibili che il suo spirito respira nella propria anima vigile. Non ci lamentiamo del "terribile" fato che ci sovrasta quando il grande liberatore ci dona il meraviglioso riposo che è una caratteristica inerente di certe fasi dell'attività spirituale. Desideriamo continuamente la liberazione; poi, quando arriva, gridiamo contro la sua venuta e per tutto il tempo preferiamo tenerci stretti alla nostra pena e ai baci appassionati del dolore piuttosto che alla pace e alla beatitudine che abbiamo tanto desiderato.

Non può esserci la vita senza la morte. Non può esserci la morte senza la vita. Entrambe sono inscindibili, e l'uomo più saggio che possa mai essere vissuto troverebbe impossibile dire dove finisce la vera vita e dove comincia, oppure dove la morte, il cambiamento, finisce e dove comincia. La decomposizione e la dissoluzione finale del corpo fisico è effettivamente una potente azione di funzioni vitali, ed è altrettanto vita, perché è la crescita del microscopico seme umano fino a diventare un uomo di un metro e ottanta, che significa la morte per l'ego incorporante dall'altro mondo a questo.

Questo processo è un incessante girare della ruota della vita, che passa attraverso molte fasi e quindi porta una varietà di molti cambiamenti dell'ambiente: e sono proprio questi cambiamenti ripetitivi che costituiscono quelle che chiamiamo "vita" e "morte." I termini appropriati sarebbero piuttosto "nascita" e "morte," essendo la nascita la scena che si apre su un nuovo atto, e la morte la scena finale nello stesso atto; nel frattempo il dramma della vita procede nei suoi lenti e maestosi circuiti attraverso tutti i rimanenti atti, sino alla fine del manvantara cosmico, quando lo spirito o monade ritorna a riposare nel seno della divinità solare, dalla quale è stato emanato all'inizio di quel periodo cosmico.

L'errore del vitalismo, a dispetto della sua attraente caratteristica filosofica, sembra poggiare sulla restrizione del termine "vita" o "attività vitale" agli esseri "animati." Ma dal punto di vista dell'antica saggezza, niente è "morto": ogni cosa è vivente, perché la "materia morta" è così pienamente satura di vita o attività vitale come lo sono i cosiddetti esseri animati. Così, se "l'animismo" dei popoli primitivi significa semplicemente che tutte le entità possiedono o sono "anime," ciascuna delle quali del suo tipo evoluto e ciascuna che occupa la propria particolare posizione sulla ruota della vita, allora l'animismo è una delle verità fondamentali della natura.

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Esistono sfere e mondi nell'universo i cui abitanti non muoiono nello stesso modo in cui moriamo noi, ma passano da stati impercettibili in un'espansione più ampia di facoltà e potere, proprio come nella vita umana il neonato passa nell'infanzia e il ragazzo nell'età adulta. Simili individui o abitanti passano facilmente e senza problemi fuori dai regni visibili in quelli invisibili, senza interruzione di coscienza né perdita del veicolo "fisico."

Quest'affermazione potrebbe sembrare non credibile, ma l'esperienza di ciò che avviene anche sulla nostra terra ci mostra l'adombramento di quello a cui stiamo facendo riferimento. Il significato è che, quando si avvicina la fine dell'incorporamento, lo stesso "veicolo fisico," pari passu con l'eterealizzazione dell'intera costituzione dell'essere incorporato, si eterealizza, cioè cresce progressivamente meno materiale o "fisico," per cui effettivamente non vi è in alcun modo "morte" o dissoluzione del rivestimento "fisico," e questo processo è rimpiazzato da una graduale unione con la sostanza e i materiali del mondo superiore della sfera — che potremmo forse paragonare alla vaporizzazione dell'acqua o alla trasformazione del ghiaccio in acqua. Ma queste entità che non subiscono la "morte" come accade agli esseri umani e a tutte le entità incorporate nei mondi manifestati, hanno un termine che equivale a un lasso di tempo umano, dopo il quale possiamo anche dire che esse "muoiono" ed entrano in sfere superiori o mondi superiori a quelli in cui ora si trovano, e in cui la "morte," come noi la intendiamo, non esiste.

In lontani eoni del futuro, i corpi dei futuri uomini, quando sopraggiunge la fine di quella che allora sarà chiamata "vita," spariranno o svaniranno con un'esigua interruzione della coscienza dimorante, e senza mettere da parte il veicolo fisico, per la ragione che quando la morte si avvicina, quel veicolo si svilupperà progressivamente più etereo e tenue, adattandosi così al suo passaggio o unione con i regni interiori.

Prima di questo stato nei lunghi eoni di un futuro remoto, la morte avrà luogo come un "tranquillo cadere nel sonno," e allora il corpo fisico evaporerà piuttosto che decomporsi.

Perché questo metodo di passaggio non accade oggi? Per la ragione che noi viviamo su una sfera grossolanamente densa e pesantemente materiale sul nostro globo inferiore della catena planetaria della terra; e i nostri corpi, figli di questo globo materiale, sono, per necessità, corrispondentemente densi, altrimenti non potrebbero essere qui come entità fisiche che si manifestano attivamente. I nostri attuali corpi non sono adatti ai regni interni della natura, e quindi non possono entrarvi. La natura non ha simili sbalzi da un punto all'altro. Attraverso tutti i suoi mondi e sfere, la natura procede passo per passo in tutti i suoi movimenti, e quindi nello sviluppo evolutivo.

Nell'antica massima greca "Sonno e morte sono fratelli" esiste una buona parte di verità: infatti, non solo sono fratelli, nati dalla stessa matrice della coscienza, ma sono letteralmente uno. La morte è un sonno perfetto, con un "risveglio" nel devachan e un pieno risveglio nella successiva reincarnazione, mentre il sonno è una morte imperfetta, un presagio della natura del futuro, per cui c'insegna il fatto che di notte dormiamo, e quindi di notte moriamo parzialmente. In verità, potremmo andare ancora oltre, e dire che la morte, il sonno, e l'iniziazione, non sono che diverse forme dello stesso processo.

La sola differenza tra la morte e il sonno è di grado. Chiunque si sia soffermato accanto al letto di morte di una persona che sta morendo deve, in quel momento, essere stato impressionato dalla somiglianza tra l'arrivo della morte e l'arrivo del sonno. Esattamente come durante il sonno la mente della coscienza diventa il centro focale delle forme dell'attività mentale chiamate "sogni," che seguono un periodo di completa incoscienza, così la morte è seguita dai "sogni" che sopraggiungono dopo l'immediato ma completo periodo di incoscienza che marca il momento del passaggio.

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L'intero processo della morte è un processo di rottura; ma la vita continua a fluire senza sosta. Non solo il corpo fisico muore, si dissolve nei suoi atomi componenti, ma il fascio di energie, l'accumulo di forze, che è l'uomo, la sua intera costituzione, si disgrega lentamente nelle sue parti inferiori dopo la morte del corpo fisico. È questo fascio di energie che durante la vita terrena ha agito attraverso il corpo, poiché il corpo forniva il campo di manifestazioni più complete di queste energie sulla nostra terra. Ma vi è un nucleo di questo accumulo o fascio, che alla morte ritira il suo raggio vitalizzante, liberandosi quindi dal suo ancoraggio in questa sfera inferiore. Questo nucleo comprende il raggio monadico inspirante e vitalizzante.

Per chiarire quest'idea: allo scopo di rifornirci di potere elettrico, abbiamo bisogno di una centrale elettrica in cui è generata l'elettricità, e da cui è trasmessa nelle zone periferiche e distribuita alle numerose unità di consumo. Premendo un bottone, la corrente che scaturisce lungo il cavo diventa utilizzabile oppure si ferma. Diremmo che è immediatamente disattivata nella centrale elettrica quando la corrente è disinserita nel punto di consumo? O diremmo semplicemente che la corrente cessa di essere erogata?

Così anche la monade, il nostro sé essenziale, potrebbe essere definita come la centrale elettrica della nostra costituzione. La monade è più decisamente non nel corpo, ma lo illumina; e il suo raggio monadico corre attraverso tutte le porzioni intermedie della costituzione fino al corpo, che è così il suo ultimo veicolo o vettore. Finché questa elettricità spirituale è attiva nell'unità finale o inferiore, il processo chiamato "vita" continua; ma l'istante in cui insorge la morte equivale all'istante in cui il raggio monadico è di nuovo attirato verso la monade, veloce come il pensiero, più veloce del fulmine.

La morte è liberazione; l'apertura di una nuova porta nelle invisibili dimore della natura. Il corpo logoro, il cuore esausto, il cervello stanco, ora non funzionano più. Nell'istante della morte la monade divina si ritira dai suoi rispettivi organi d'espressione nel corpo, ed entra nella propria coscienza illimitata, sperimentando la piena realizzazione di tutto lo splendore della vita spirituale e tutta la grandiosità dell'intellezione impersonale; ed ora ciascuna di queste funzioni è senza ostacoli e libera, in piena attività, ciascuna nel suo regno causale. Tutto quello che è al di sotto di essa entra nella condizione devacianica, mentre gli elementi inferiori della costituzione settenaria o decupla dell'uomo già da questo momento si disgregano nei suoi atomi di vita componenti.

La vita, che sia considerata un'entità o un processo, non è una cosa misteriosa: di fatto, è nel mondo la cosa più familiare agli uomini, perché la vita è tutto quello che è, essendo la radice o l'essenza di tutto, senza un inizio immaginabile o una fine concepibile. Cos'è che dà la sua "vita" a qualsiasi entità? È L'elettricità vitale nell'entità stessa; o, rivolgendo la nostra attenzione alle parti più eteree e causali della costituzione dell'entità, la vita di una simile entità la definiremmo l'elettricità spirituale della sua monade, un altro nome per la caratteristica o individualità vitale della monade. La vita, quindi, è in un senso sostanza dello spirito; inoltre, la vita è il vettore della coscienza. La coscienza e la vita insieme danno origine e producono da sé le manifestazioni della forza o energia, che a sua volta deposita i materiali e le sostanze dell'universo. Tutte queste entità o elementi non sono che nomi usati per differenziare tutte le varie forme dell'incessante attività della base primordiale dell'essere cosmico: infinito ed illimitato, il vettore di tutte le parti superiori dell'entità cosmica che sostiene l'espressione cosmica in equilibrio e in perpetua esistenza attraverso la durata senza fine. Ma "l'entità cosmica" è solo un'espressione generalizzata, e non "Dio," com'è comunemente inteso. È piuttosto il vasto oceano cosmico composto da tutte le minute gocce individuali di vita, le innumerevoli vite cosmiche o entità individuali che nella loro incomprensibile totalità fanno, e in verità sono, l'universo. Non va negato che questo aggregato cosmico possa avere un'individualità propria; ma anche se è così, confrontata all'infinitudine illimitata, non è che un granello cosmico perduto nell'oceano dell'infinità, e soltanto una delle altre sterminate moltitudini.


Capitolo 15

La Luce Astrale e gli Atomi di Vita

Parte 1

L'universo è un solo vasto organismo, un'entità organica macrocosmica; ogni cosa nell'universo è interconnessa ed intrecciata ad ogni altra cosa; tutte le cose sono unite da una comune vita cosmica che si esprime nei molteplici ed innumerevoli tipi di forze ed energie cosmiche. A causa di questa costante interazione e reciproco interflusso di forze e sostanze è impossibile, per qualsiasi particolare essere o entità, cioè qualsiasi centro di coscienza, in altre parole per qualsiasi monade, rimanere sempre in un solo posto. Questi individui o monadi, attraverso l'intero corso della manifestazione cosmica, percorrono incessanti peregrinazioni o pellegrinaggi, per cui è impossibile dimorare o stare per sempre in qualche solo posto o località. La stessa vita implica un movimento perenne perché la Vita cosmica è la sorgente di tutta l'energia; e tutti gli esseri e le cose sono inerentemente vivi proprio perché sono tutte parti componenti ed inseparabili dell'organismo universale. Non esiste la morte di per sé, cioè una cessazione assoluta o annichilimento degli esseri che evolvono, ma c'è quella fase della vita che porta alla dissoluzione, alla separazione, delle parti componenti o veicoli.

Ogni cosa, incluso l'uomo, è in uno stato o flusso costante. L'inerzia assoluta è sconosciuta in natura o nella mente umana. Dovunque rivolgiamo lo sguardo, vediamo movimento; vediamo cambiamento, crescita, decadenza — in altre parole, vediamo la vita! Quindi, i corpi di qualsiasi tipo sono costruiti o composti da parti integranti minori o inferiori; e questi corpi minori a loro volta si possono suddividere nei loro rispettivi atomi di vita, i veicoli astrale-vitali attraverso i quali la monade essenziale lavora ed agisce. Tenendo chiaramente presente ciò, è evidente che tutti i corpi o veicoli sono "eventi" invariabilmente temporanei perché strutture composite formate da "atomi," che la maggior parte della gente definisce come entità — cosa che in verità sono, ma entità semplicemente temporanee, perché sono veicoli compositi o apparenze. Ecco perché è perfettamente inutile cercare individui permanenti in questi "eventi" transitori, fluidi e passeggeri. Gli individui permanenti vanno cercati solo nelle monadi stesse — le essenze monadiche che sono omogenee.

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Ogni corpo fisico è composto, in definitiva, da forze, e anche da materia, che per la loro natura sono sempre in movimento. Come può una forza o energia essere priva di movimento? Come può la materia essere perfettamente immobile, composta com'è, in ultima analisi, di atomi ed elettroni? Ogni atomo dei nostri corpi è composto da forze o energie atomiche in movimento continuo e vitale. Quindi, fisicamente parlando, l'uomo è un aggregato di elettroni quasi infiniti che roteano e si muovono con una rapidità vertiginosa.

Quando l'anima umana si ritira al momento della "morte," per il corpo risulta non una perdita di vita, che è un'assurdità, ma la perdita della coesione individualizzata. Lo stesso corpo è vivo come sempre, ma la vita finora individualizzata del corpo adesso diventa vita diffusa senza il controllo dominante di una direttiva interiore centralizzata. Il corpo umano "morto" è, di fatto, pieno di vita diffusa perché ora che quell'influenza dominante si è ritirata, ogni sua parte infinitesimale cerca la propria libertà come individuo, e il risultato è l'anarchia corporea o "morte."

Gli scienziati ancora non sanno se nelle ere passate vi fossero tanti elementi radioattivi sulla terra come ce ne sono oggi, ma la maggior parte sembra ritenere che ve ne fossero. Suggeriscono anche che tutto il resto della materia fisica è radioattivo o che emette radiazioni, ma ad un livello meno pronunciato. Oggi l'universalità della radioattività è precisamente l'insegnamento della teosofia, e si riferisce ai movimenti o operazioni degli atomi di vita. La Tradizione Esoterica ci dice che il nostro pianeta persegue un corso ciclico nella sua evoluzione, dai regni eterei originari fino alla sua fase più grossolana della materia; e che quando questo punto più basso è stato raggiunto, comincia di nuovo l'ascesa dell'arco evolutivo fino a raggiungere, in ultimo, la sua primitiva condizione eterea, ma su un piano più elevato di quello da cui è partito all'inizio. Il nostro pianeta ha già oltrepassato la fase più bassa o più grossolana della materia fisica; e i nostri elementi fisici inferiori o più grossolani sono quindi i primi ad avvertire i risultati dell'ascesa verso l'eterealizzazione, e così questi elementi più pesanti sono attualmente all'inizio del processo della decadenza interna, manifestandosi come radioattività spontanea. Si disgregano in elementi più raffinati o meno pesanti, alcuni più eterei, che danno la nascita ad elementi superiori a loro stessi. Questo processo di radioattività sarà molto più diffuso nella natura fisica di quanto lo sia ora, e le sue manifestazioni aumenteranno in una quantità sempre in espansione man mano che il tempo passa.

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Da quanto detto, si vede che proprio come l'uomo ha il suo corpo fisico, che è il guscio o il velo di tutte le parti interiori ed invisibili, così, su linee esattamente parallele di struttura, il globo fisico grossolano della nostra terra è il guscio o il velo che avvolge e quindi manifesta tutti gli altri suoi sei principi o elementi, da quello superdivino in giù, attraverso tutti gli stadi intermedi della materialità, fino a raggiungere lo stesso globo roccioso.

Proprio come nell'uomo il più vicino principio superiore della sua costituzione è il liṅga-śarīra o corpo modello, così è nel globo terrestre, che ha il suo liṅga-śarīra al quale è comunemente dato il nome tecnico di luce astrale. In ogni caso, il corpo fisico grossolano è il deposito astrale o precipitazione degli elementi più grossolani della porzione vitale interna o corpo modello.

Prima di elaborare ulteriormente, sarebbe utile dare uno schema generale dello scenario microcosmico, o stadio di vita, in cui si trovano le entità "animate" su questo globo. Qui non facciamo riferimento ai sette (o dieci) globi della catena planetaria considerata come un'entità composita, ma solo alla nostra terra, che è uno — il più basso o più fisico — dei globi della catena planetaria. Ognuno di questi globi è un'entità di per sé, divisibile in sette (o dieci o dodici) parti o principi. Il nostro globo terrestre, quindi, è un essere o "animale" settenario, come gli antichi Latini lo avrebbero definito — cioè un "essere vivente" che possiede in sé, sia latenti che manifestati, ogni attributo ed essenza che ha il macrocosmo, il suo genitore.

Ora, vi è un interscambio incessante ed estremamente attivo di forze e sostanze tra il liṅga-śarīra e il corpo fisico, sia della terra che dell'uomo; e questo interscambio prende la forma di indecifrabili eserciti o moltitudini di atomi peregrinanti di vario tipo — che noi possiamo dettagliare come "atomi di vita."

Quello che avviene riguardo alla morte nel caso dell'uomo è identico a ciò che accade alla morte degli atomi di vita del corpo fisico dell'uomo. Ad esempio, questi atomi di vita, diciamo pure gli atomi nel corpo fisico dell'uomo, sono in uno stato continuo di flusso. Naturalmente, il periodo della manifestazione fisica di qualsiasi atomo di vita o atomo nel ciclo peregrinante dentro e fuori il corpo fisico dell'uomo è di una durata estremamente breve — forse un secondo o due; mentre la stessa peregrinazione dell' "atomo di vita umano" dentro e fuori la sfera fisica della terra è di una magnitudo corrispondentemente maggiore, ma la legge è la medesima e i fatti sono identici per entrambi. Quando muore un atomo di vita nel corpo fisico di un uomo, defluisce nel corpo astrale dell'uomo, il liṅga-śarīra, e lì, con uguale rapidità, subisce alcune trasformazioni prima che la monade, cioè i principi superiori degli atomi di vita, ascenda attraverso i principi superiori della costituzione umana, da cui, dopo un periodo di riposo, l'atomo di vita "discende" di nuovo, attraverso i principi della costituzione invisibile dell'uomo, nel liṅga-śarīra, e quindi nel corpo fisico.

Su linee esattamente analoghe, seguendo lo stesso carattere generale del deflusso e dell'afflusso peregrinanti, le monadi umane seguono i loro percorsi. Così, quello che l'atomo di vita è per il corpo fisico dell'uomo da un certo punto di vista, l'atomo di vita umano spirituale o monade umana lo è per il globo terrestre.

In questo processo giace tutto il segreto della "morte," come pure della "vita," e il lettore sarà capace di intuire almeno qualche idea della natura dell'antica iniziazione e degli insegnamenti dei Misteri, perché entrambi furono fondati intorno al pensiero centrale della morte e del viaggio post-mortem della monade umana.

Comunque, vi era inclusa una grande quantità di contenuti collaterali, sia tramite l'istruzione, sia tramite l'esperienza individuale ottenuta dal neofito; non solo lo scopo ma i risultati effettivi degli insegnamenti misterici con le loro concordanti iniziazioni si abbinavano per liberare l'uomo dalla paura della morte e contemporaneamente mostrare come egli fosse interconnesso e coinvolto con tutti i processi della natura. Gli veniva insegnato a percepire la sua unità non soltanto con il sole e le stelle, i pianeti e la luna, ma con la natura della terra, e il posto che l'elettricità e il magnetismo — inclusi tutti i fenomeni metereologici come terremoti, maremoti, ecc. — occupano in questi processi vitali.

Prima di tutto, all'iniziato era insegnato a riconoscere la sua totale unità con l'Anima Mundi, della quale la luce astrale o liṅga-śarīra della terra è il piano più basso, tranne che la terra può essere classificata come qualcosa di inferiore anche alla luce astrale perché è la feccia, le scorie della stessa. Gli veniva quindi insegnato a guardare non solo alla terra stessa ma all'intero universo come viventi dappertutto, eternamente vibranti in un'attività vitale incessante, e sentirsi quindi una loro parte inseparabile.

Egli doveva riconoscere che le sue parti divino-spirituali erano le parti dell'essenza suprema dell'Anima Mundi, così come il suo corpo fisico derivava dagli elementi del globo terrestre su cui, come un completo uomo settenario, passa attraverso la fase temporanea della sua peregrinazione cosmica chiamata vita terrena. Alla fine veniva a conoscere e a percepire che proprio come gli atomi del suo corpo fisico peregrinano dentro e fuori il suo corpo, così lui, come un "atomo di vita" umano o una monade umana, peregrina dentro e fuori le sue vite terrene che si alternano ininterrottamente durante il suo soggiorno in una ronda planetaria su questo globo terrestre. Comprendeva che le altre parti della sua costituzione settenaria, come un composto unitario, ascendevano lentamente negli invisibili mondi superiori, disfacendosi dei vari corpi durante il processo di "ascesa," come la monade gradualmente si liberava dei suoi corpi e quindi sviluppava sempre di più la sua capacità di spiccare il volo verso l'alto.

Gli antichi, in tutte le epoche e paesi — almeno i loro iniziati — conoscevano parecchie cose sulla natura dell'uomo e del suo corpo fisico, del mondo astrale, e degli attributi e poteri dell'Anima Mundi; e quindi custodivano nelle varie letterature cenni illuminanti, anche se spesso erano espressi sotto il velo dell'allegoria e di affermazioni ambigue. L'allegoria era per le masse; gli iniziati e gli adepti conoscevano la verità. Anche i romani, tra gli altri, parlavano dei regni astrali come l'oltretomba o Orco. Inoltre, un attento studio di questi antichi scrittori ci mette in grado di tracciare uno schema abbastanza preciso di come essi conoscessero la costituzione umana che, con appropriati cambiamenti, si può annettere anche alla costituzione del nostro globo terrestre. Il karma della storia si applicava appieno ad ogni divulgazione della Filosofia Esoterica, secondo l'epoca e il popolo per cui questa divulgazione era fatta. Il risultato è che, per cause psicologiche, se non spirituali, la costituzione dell'universo o del globo terrestre, o dello stesso uomo, è sempre stata disposta in un'identità fondamentale, ma con minori differenze di varietà; e queste differenze non sono in alcun modo irrilevanti.

1.        Spiritus   ……………………………….. Ātman
2. e 3. Mens  ………………………………….. Buddhi-manas
3. e 4. Animus    ………………………………. Kāma-manas
5.        Anima  ………………………………… Prāna-manas
6.        Simulacrum o Imago    …………………. Liṅga-śarīra
7.        Corpus ………………………………… Sthūla-śarīra

In modo simile possiamo mettere in colonna frammenti di informazioni prese dagli scrittori greci:

1. Pneuma  …………………………………… Ātman
2. Nous  ……………………………………… Buddhi-manas
3. Phren     …………………………………… Manas Superiore
4. Thumos  …………………………………… Kāma-manas
5. Bios   ……………………………………… Prāna
6. Phantasma o Phasma  ……………………… Liṅga-śarīra
7. Soma ……………………………………… Sthūla-śarīra

Per applicare analogicamente la lista gerarchica menzionata al globo terrestre stesso, tutto quello di cui ha bisogno lo studente è di sostituire i termini come sono dati sotto:

1. Paramātman
2. Alaya-svabhavat o Mahābuddhi cosmico
3. Mahat
4. Gerarchie Mānasaputriche
5. Jīva cosmico
6. Mondo astrale
7. Terra

Il termine Anima Mundi, così spesso usato negli scritti latini, descrive lo sfondo spirituale-intelligente o essenza della natura, e quindi funzionerebbe attraverso i sette elementi della lista, essendo l'intelligenza e la vita cosmica ispirante, come pure la sostanza. Inoltre, i termini animus e anima devono essere intesi come li ha descritti il grammatico latino Nonio Marcello: "animus è la facoltà per la quale noi conosciamo; anima è quella per la quale viviamo." Così animus equivale alla mente o al manas inferiore, mentre anima equivale al potere vitale del prāna.

Rispetto al carattere dell'oltretomba, variamente chiamato dai greci e dai romani: Ade, Orco, o il Regno delle Ombre, è in gran parte descritto come esistente sotto la terra, che, di fatto, è dove si trovano le regioni del kāmaloka, sebbene il kāmaloka si estenda anche verso l'alto nell'atmosfera della terra, e nelle sue parti più elevate raggiunge la luna. L'oltretomba è descritto pure come un luogo tetro e solitario, senza luce solare, lugubre e "paludoso," ma che ha la sua debole luminosità in cui le ombre o umbrae o i "morti" fluttuano e galleggiano senza un motivo apparente; e queste ombre, i kāmarūpa o i gusci scartati da cui le monadi che li animavano si sono allontanate, vengono descritte come esseri esangui e pallidi, che farfugliano nella stessa maniera incerta e in qualche modo senza senso.

Nella Filosofia Esoterica, l'oltretomba, in tutti i suoi diversi livelli, è chiamato un "mondo di effetti," proprio come la nostra vita terrena è in un "mondo di cause." In altre parole, l'oltretomba è una serie transitiva di materie e condizioni intermedie tra la vita terrena e il devachan, che di per sé è anche un "mondo di effetti," ma di tipo completamente diverso.

Gli scrittori romani, prendendo a prestito dagli scrittori greci, parlavano delle parti della costituzione umana che sopravvivono alla dissoluzione del corpo fisico, sotto il termine generale lemures, e dividevano i lemures in due classi: larvae o fantasmi, altrimenti dette umbrae (i kāmarūpa); e la parte superiore della costituzione umana dopo la sua separazione dalle larvae, la chiamavano lares o manes. Quest'affermazione delle due classi delle entità del kāmaloka è fatta sull'autorità di Ovidio, Marziano Capella, e Servio, il commentatore dell'Eneide di Virgilio.

Dobbiamo ricordare che i tempi dell'Impero Romano erano già un'epoca spiritualmente degenerata, e di conseguenza non era facile trovare una conoscenza esatta inerente alle condizioni post-mortem; e quindi le contrarietà di opinioni e di affermazioni sulla natura delle diverse apparizioni delle varie entità legate alla terra erano alquanto numerose come lo erano gli scrittori che trattavano questi soggetti. Tuttavia, in qualcuno rimanevano gli insegnamenti della Tradizione Esoterica, sebbene coloro che avevano questa conoscenza fossero, di conseguenza, sorvegliati in ciò che scrivevano, sia della natura dei mondi interiori, sia del sistema solare o del nostro globo terrestre.

In questo contesto, vi è un interessante distico attribuito ad Ovidio, ogni cui frase, se interpretata correttamente, è esatta.

Terra tegit carnem, tumulum circumvolat umbra,
Orcus habet manes, spiritus astra petit.
La terra ricopre la carne; l'ombra (o fantasma) si aggira intorno alla tomba:
Orco (l'Oltretomba) accoglie i manes; lo spirito lampeggia verso le stelle.

Potremmo aggiungere che le parole qui sono usate precisamente per quelle che per intere epoche si è convenuto chiamare le quattro parti importanti della costituzione umana settenaria: il corpo; l'ombra o kāmarūpa nel mondo astrale, essendo il termine ugualmente applicabile al liṅga-śarīra e alle sue attività per un breve periodo dopo la dissoluzione del corpo fisico; manes, che qui indica l'ego umano destinato a passare attraverso l'Orco, l'oltretomba, prima di ottenere il suo meritato riposo devacianico nel seno della monade o "spirito"; ed infine la monade spirituale, che lampeggia verso le "stelle" — il ché ha un distinto riferimento alle peregrinazioni della monade nel suo lungo pellegrinaggio post-mortem attraverso le sfere.

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Parte 2

Ogni cosa ha il suo termine di vita. Questa realtà di un incessante cambiamento affinché niente resti uguale per due secondi consecutivi di tempo, nemmeno l'equilibrio di cui abbiamo appena parlato, è una delle caratteristiche fondamentali della natura. Niente che sia composito dura per sempre; ogni essere, entità o cosa, che esiste in natura è composito; quindi nessuno di essi può possibilmente continuare immutato nemmeno per un istante. Come potrebbe un qualsiasi essere o cosa durare immutabile quando la sua vera esistenza dipende da un aggregato di altre entità inferiori, ciascuna con il proprio termine di vita, ciascuna che segue, pur collaborando, il proprio sentiero del destino?

Al tempo stesso c'è più vita nell'età adulta che nell'infanzia. Le cose muoiono per un eccesso di vita, non per una sua mancanza, e la ragione è l'enorme attività dell'essenza vitale che è incessantemente in azione sia costruendo che distruggendo, perché, per sua natura, è forza e movimento costante. Un bambino assorbe la vita dall'ambiente del mondo e vive in esso e costruisce se stesso inglobando nel suo corpo gli eserciti di atomi di vita peregrinanti, che fluiscono incessantemente dentro e fuori il suo corpo; e il corpo del bambino si comporta così perché è in uno stato di instabilità; in altre parole, perché è continuamente affamato, o insoddisfatto, e quindi aggiunge senza sosta questi atomi di vita assorbendoli dentro di sé — anche se, con uguale attività, getta via gli atomi di vita esausti. La crescita è cambiamento, e il cambiamento è l'opposto dell'equilibrio o stabilità. Il bambino, infatti, ha fame di vita, è un negativo della vita, per così dire, e quindi assorbe la vita come una spugna. È la "vita" che effettivamente, nel tempo, uccide il corpo fisico, perché ogni minima particella dell'uomo è in continuo movimento. Proprio qui è il segreto per cui un uomo muore: l'usura delle particelle che compongono il suo corpo è continua, e alla fine arriva il momento in cui l'attività raggiunge una magnitudo tale, che gli elementi componenti degli eserciti di molecole ed atomi non possono più conservare l'equilibrio o il bilanciamento. Questo sfocia in una decadenza progressiva, implicando la senescenza e poi la morte.

Ora, il corpo è composto di trilioni di cellule fisiche, ciascuna delle quali è costituita da molecole, che a loro volta sono composte da atomi, ed anche gli atomi sono ugualmente entità composite — costituite da una varietà di particelle elettroniche.

C. B. Bazzoni, professore di fisica sperimentale all'Università di Pennsylvania, in Kernels of the Universe [I Nuclei dell'Universo] scrisse:

Potrebbe aiutarci a definire più chiaramente l'idea dell'immenso numero di molecole in un centimetro cubo di gas [egli sta parlando dell'aria ordinaria] supporre di averle tutte nella taglia di palle da baseball e di farle contare da 6000 persone, in modo che ogni persona, sollevandole una per una, ne prenda una ad ogni secondo; e supponiamo che queste persone non appartengano a qualche associazione e che non abbiano da mangiare o dove dormire, per cui possono continuare per 24 ore al giorno e 365 giorni all'anno, allora realizzeremo finalmente che passeranno all'incirca trecento milioni di anni prima che il lavoro di contare le molecole di un singolo centimetro cubo d'aria possa essere completato. — pp. 29-30

Il numero di molecole, secondo la stima che abbiamo fatto prima, in un centimetro cubo di gas equivale approssimativamente a sessanta quintilioni di molecole! E le molecole sono relativamente corpi immensi se confrontate con gli atomi! Immaginate allora gli sterminati eserciti di particelle elettroniche infinitesimali di vari tipi che un corpo umano contiene! Tuttavia, il corpo umano è veramente piccolo se paragonato alla terra, e la terra è davvero molto piccola se paragonata al nostro sistema solare, che a sua volta è minuscolo se confrontato con la galassia alla quale appartiene. E ciascuna di queste unità infinitesimali o elettroniche custodisce i poteri e gli attributi di un centro di coscienza immortale, una monade!

Quando il corpo umano è giunto alla fine del suo periodo di vita e si disgrega nei suoi elementi costituenti, cosa ne è di questi eserciti di atomi di vita? Non possono stare immoti, congelati o cristallizzati in un'inerzia totale, perché questi stati sono sconosciuti, tranne che in gradi relativi. No, questi atomi di vita sono entità in crescita; la natura non permette alcuna quiete assoluta per nessuna cosa in nessun posto. Tutti gli esseri ed entità e cose sono pieni di vita, pieni di forza o energia, pieni di movimento, che è soltanto un altro modo di descriverli, perché sono tutti composti di forza e materia, di spirito e sostanza — due fasi della Realtà sottostante della quale non vediamo che la māyā superiore ed inferiore, le forme illusorie. Queste apparenze illusorie il Vedānta hindu le ha espresse con il composto sanscrito nāma-rūpa, "la forma del nome," nel senso che le apparenze fenomeniche nascondono i noumeni.

Questi atomi di vita, quindi, quando il corpo decade e li libera sia durante la vita che alla morte — sono attirati per affinità in quelle direzioni verso le quali l'uomo, con la sua supremazia durante la vita, ha imposto loro come una tendenza da seguire. In altre parole, le tendenze, i desideri e gli impulsi dell'uomo che ha usato quel corpo danno a questi atomi di vita le caratteristiche dell'attrazione o repulsione psico-magnetica che personificano. Inoltre, la maggior parte di questi atomi di vita in origine nacquero dalla sua sostanza e dalla sua forza o energia, cioè dalla sua vitalità, e quindi sono effettivamente la sua progenie. Di conseguenza, essendo entità in crescita, sono destinati in futuro a svilupparsi nel corso dell'evoluzione e diventare proprio come è lui, che in passati eoni si trovava egli stesso in quella che che è la loro attuale fase: piccole cose che imparano, dèi in embrione.

Quando arriva l'istante della morte, la corda eterea della vita che collega la costituzione interiore al corpo fisico è spezzata e, come un lampo di luce, tutto il meglio spirituale dell'uomo è attirato nella monade dell'uomo o il sé essenziale, dove ebbe origine e in cui deve necessariamente ritornare. Un lampo elettrico, e il meglio dell'uomo è andato al suo padre nel cielo — "Io e mio Padre siamo uno."

L'istante della vera morte, di fatto, non è l'istante in cui è esalato l'ultimo respiro o quando il cuore batte la sua ultima pulsazione, perché per un certo tempo che varia individualmente il cervello fisico è ancora vivo, ed è riempito da un meraviglioso panorama di qualsiasi cosa l'uomo sia stato durante tutta la sua vita — fin nei minimi dettagli. Tutto passa attraverso il cervello fisico come una concatenazione di immagini e visioni mentali, cominciando dalle prime deboli percezioni dell'infanzia e continuando attraverso tutti gli anni vissuti fino al momento in cui hanno avuto luogo l'ultimo respiro e l'ultimo battito del cuore. Quando la fine di questo panorama è raggiunta, il "meglio" ritorna nel seno della monade, e vi rimane finché si ricongiunge dagli attributi e qualità più umane, che in kāmaloka, nei successivi mesi o pochi anni, devono separarsi dal kāmārupa che, così privato della sua parte superiore, diventa un fantasma o guscio.

Le parti superiori della costituzione così si sono ritirate dal corpo, abbandonandolo alla sua decomposizione e gettandolo via come un rivestimento esteriore. Per quanto riguarda gli atomi di vita, seguono i loro rispettivi sentieri. Gli atomi di vita del corpo fisico vanno nel suolo o nelle piante; altri passano nei vari animali con cui, alla morte dell'uomo, avevano un'affinità psico-magnetica. Di quelli che prendono questo sentiero, alcuni passano solo nei corpi degli animali, altri vanno a formare l'apparato psichico intermedio degli animali. Altri atomi di vita, seguendo lo stesso principio di attrazione, entrano nei corpi degli uomini attraverso cibo e bevande, per osmosi, o anche attraverso l'aria che respiriamo.

Gli atomi di vita delle parti astrali o eteriche dell'uomo che fu, aiutano a costruire, a nutrire i corpi astrali o eterici dei tre regni inferiori, come pure i corpi di altri appartenenti al regno umano. Ancora, gli atomi di vita dell'anima umana o ego sono attirati nell'apparato psico-mentale di altri esseri umani.

L'uomo è un'entità composita; la sua costituzione è fatta da principi o elementi, variamente elencati come sette o dieci, in questo modo: primo, un principio monadico divino, incondizionatamente immortale, con un campo d'azione e una coscienza cosmica; secondo, una monade spirituale, il suo raggio o progenie, di natura e funzione puramente spirituale, ma inferiore alla sua divina genitrice monadica; terzo, una monade spirituale-intellettuale o ego superiore, che è l'ego perdurante che si reincarna, ed è ugualmente un raggio del precedente principio o elemento monadico; quarto, una natura umana o ego personale, che a sua volta è un raggio del precedente; quinto, un corpo modello o corpo astrale, un corpo eterico, il liṅga-śarīra; sesto, un corpo fisico costruito parzialmente intorno a questo corpo astrale o corpo modello; e settimo ed ultimo, l'essenza vitale o vita, che equivale a dire forza o energia. La "vita" che scorre attraverso tutti questi principi o elementi e li unisce, e che è progressivamente meno eterea quando "discende" attraverso le parti inferiori della costituzione, è composta a sua volta, come lo sono tutti gli altri principi, da unità monadiche, corpuscoli vitali, entità di magnitudo infinitesimale che chiamiamo atomi di vita. Proprio come un getto di acqua corrente è formato da molecole, che sono costituite da atomi, che a loro volta sono formati da protoni ed elettroni, così questa corrente di essenza vitale, il flusso di vita che scorre attraverso l'intera costituzione dell'essere umano, è di natura molecolare e corpuscolare, atomica ed elettronica.

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Durante la vita terrena ogni parte della costituzione umana emana da sé, come una sorgente, eserciti di atomi di vita sulla propria sfera o piano: dalla sfera spirituale attraverso tutti i gradi intermedi, fino al corpo fisico. Ma non è tutto. Vi è un costante interscambio o peregrinazione di questi vari atomi di vita attraverso l'intera gamma del suo essere costituito. È meraviglioso! Ad esempio, un atomo di vita che scaturisce dal principio buddhico di un uomo appartiene al piano buddhico; ma quell'atomo di vita, poiché è un'entità evolvente, ha un proprio destino. È una parte della natura come lo siamo noi o come lo è un dio, e una volta che la nostra costituzione gli dà la nascita su un altro piano, in questo esempio sul piano buddhico, comincia una serie di peregrinazioni di piano in piano nella nostra costituzione e fuori da essa, facendo esattamente quello che noi facciamo come individui quando c'incarniamo o disincarniamo. In tale contesto, l'atomo di vita viene dal piano buddhico nel piano mānasico, nel piano kāmico, fino al piano astrale, ed infine nel corpo fisico, e poi, dopo le sue rotazioni, ritorna alla propria costituzione originaria ed ascende attraverso quella costituzione per ricongiungersi al genitore buddhico, per poi passare il suo periodo atomico "eonico" di beatitudine nirvāṇica prima di iniziare un nuovo pellegrinaggio simile, ma non identico, a quello appena concluso.

Gli atomi di vita di tutte le parti della costituzione umana sono sempre in viaggio. Ad esempio, cos'è un pensiero? Un pensiero è un elementale mānasico mandato a peregrinare; e questo elementale, nella propria essenza, è proprio una cosa vivente come lo siamo noi. I pensieri sono cose perché i pensieri sono sostanza o materia. Hanno origine sul piano mānasico, e cominciano da lì le loro peregrinazioni. Vengono a noi come monadi da un altro piano, da altri esseri, passando sul piano fisico attraverso i nostri cervelli; così diamo loro una nuova nascita. Come possiamo essere così egoisti da immaginare per un istante che i pensieri che scaturiscono attraverso i nostri cervelli siano tutti nostri — la progenie energizzante della sostanza fisica delle cellule del cervello!

Ciascuno di noi, ogni dio nello spazio, ogni essere spirituale in qualsiasi posto, ogni atomo di vita, una volta era il pensiero di qualche entità pensante; e proprio come ogni dio era un uomo in precedenti manvantara, e proprio come ogni uomo è stato un atomo di vita in eoni antecedenti, in altre parole, come elementali incorporati — così i nostri pensieri sono ora elementali che passano attraverso quella particolare fase del loro sviluppo evolutivo come pensieri, correndo attraverso la mente di qualche essere pensante; e a tempo debito s'incorporeranno su questo piano in qualche veicolo idoneo alla loro coscienza, per diventare prima o poi un atomo di vita.

Queste differenti classi di atomi di vita appartenenti a tutti i nostri vari involucri della coscienza, con ciascuna classe esistente sul proprio rispettivo piano o mondo, sono tutte parti integranti del nostro flusso di esistenza karmica, figli prānici del Brahman in ciascuno di noi, la cui meta finale per tutti noi è rispettivamente il dio interiore dell'individuo. Dopo la morte essi seguono un identico corso d'azione sui loro piani, e precisamente per le stesse cause naturali che governano le peregrinazioni post-mortem create dalle attrazioni e dalle repulsioni degli atomi di vita del corpo fisico.

Gli atomi di vita eterici o astrali durante la vita sono stati integrati nel corpo o nel veicolo astrale, che durante la vita ha fatto discendere le forze spirituali della monade, affinché queste forze potessero agire sul cervello di materia fisica; queste energie o forze spirituali, senza tali intermediari, sono troppo sottili, troppo eteree, per toccare direttamente il mondo della materia. Il veicolo astrale o liṅga-śarīra non si disintegra immediatamente al momento della morte ma per un certo periodo si aggira intorno al cadavere fisico, nel mondo astrale, essendo questo mondo astrale proprio sulla soglia dell'esistenza fisica.

Tra molti popoli è comune, sia per irresponsabilità che ignoranza, definire il mondo astrale come separato dal mondo fisico da una parete divisoria o da qualche simile elemento separante, che presumibilmente impedisce un libero e facile rapporto tra i mondi astrale e fisico. Niente può essere più lontano dalla verità.

Non vi è assolutamente alcun divisorio o barriera tra il fisico e l'astrale, perché in verità sono mescolati reciprocamente da indistinguibili gradazioni della materia, che si estende da quella più eterea e fisica fino a quella più materiale ed astrale. Vi è, quindi, un costante scambio tra il mondo fisico e quello astrale; e l'unica divisione o barriera che esiste sono quei pochi gradi di sostanze che si mescolano, le quali, lontane dall'essere d'intralcio allo scambio, sono effettivamente i mezzi di comunicazione — un po' come il cavo elettrico è il mezzo per trasmettere la corrente elettrica da un punto all'altro.

Vi sono nella storia umana periodi che si ripresentano con regolare cadenza, quando questi pochi gradi che intercorrono tra l'astrale e il fisico sembrano assottigliarsi; e in questi periodi si verifica un' inevitabile epidemia di avvenimenti psico-astrali. Attualmente siamo proprio in questa fase di manifestazione. Questi periodi apportano invariabilmente pericoli davvero reali sia per la mente umana che per la stabilità emotiva, sebbene abbiano l'aspetto positivo (in realtà, potrebbe anche essere chiamato tale) di richiamare l'interesse dell'uomo a cose al di là del fisico, e di suggerire alle loro menti l'effettiva esistenza di sfere o mondi più eterei che fisici.

Questi mondi più eterei, comunque, non sono in alcun modo più spirituali di quelli fisici, poiché la sfera fisica è un luogo altamente sicuro ed equilibrato se paragonato alle regioni inferiori della luce astrale, ed è proprio con queste regioni del mondo astrale che lo scambio dal piano fisico è più facilmente concretizzabile.

Lo stesso liṅga-śarīra rimane solo per un breve periodo nella sua esangue e fioca esistenza nel mondo astrale dopo la disintegrazione del cadavere fisico, perché è soggetto allo stesso processo di disintegrazione atomica a cui è sottoposto il corpo fisico. Quindi, il tempo della sua esistenza è, relativamente parlando, molto breve, perché dura poco più di quanto duri il corpo fisico quando è lasciato a marcire — diciamo che il liṅga-śarīra può durare all'incirca otto o dieci anni prima di dissolversi nei suoi componenti atomi di vita astrali.

È molto comune confondere il semplice corpo modello astrale o liṅga-śarīra con il kāmarūpa. Il kāmarūpa, durante la vita, è la sede dell'anima umana, ed è esso stesso composto da atomi di vita, ma in gran parte più eterei di quanto lo siano gli atomi di vita del più grossolano liṅga-śarīra. Mentre il liṅga-śarīra dura più a lungo del cadavere fisico, ma per un tempo relativamente più breve, il kāmarūpa, sui suoi piani o gradi del mondo astrale, dura per un periodo più lungo sia del corpo fisico che del liṅga-śarīra — in casi estremi potrebbero essere anni. Dipende tutto da chi e che cosa era l'uomo durante la sua vita terrena. Se l'uomo era di tipo pesantemente materialistico, dominato dagli impulsi delle sue passioni inferiori, con relativamente poche aspirazioni spirituali, allora il kāmarūpa è naturalmente un'entità pesantemente compatta ed astralmente grossolana, e la fine della sua esistenza nel mondo astrale prima della sua disintegrazione è corrispondentemente lunga.

Se, d'altro canto, l'uomo era di tipo altamente spirituale ed intellettuale, padrone dei suoi impulsi inferiori, allora il suo kāmarūpa è corrispondentemente etereo, luminoso, e solo leggermente denso; di conseguenza, la fine della sua esistenza come entità kāmarūpica nel mondo astrale è corrispondentemente breve, perché la disintegrazione risulta abbastanza rapida. Questi sono i due estremi, e tra questi due estremi si collocano tutte le altre classi di esseri umani.

Si conoscono casi in cui il kāmarūpa è durato per secoli — un tempo così lungo, infatti, perché, come entità kāmarūpica, è ancora compatto dopo che la monade è ritornata ad incarnarsi sulla terra, e quindi ossessiona lo sfortunato uomo "nuovo," attaccandosi al suo kāmarūpa nuovamente evoluto, e in molti casi si mescola a questo nuovo kāmarūpa e quindi agisce come un'incessante sorgente di suggerimenti ed impulsi inferiori. Questo è il caso di quello che tecnicamente è chiamato il Guardiamo della Soglia, al quale allude Bulwer-Lytton nel suo romanzo Zanoni.

Non è solo per gli esseri umani che può esistere un simile Guardiano della Soglia, ma succede praticamente nel caso di certi pianeti: la nostra terra è uno di questi pianeti sfortunati, e l'attuale luna è il Guardiano kāmarūpico della Soglia. In verità, vi sono effettivamente dei casi nelle profondità stellari in cui anche i soli hanno i loro ossessivi Guardiani kāmarūpici!

Il kāmarūpa dell'uomo, quindi, non è che l'ombra astrale dell'uomo che fu. Queste entità astrali o ombre legate alla terra sono spesso chiamate "fantasmi" e "spettri," e ciascuna di tali ombre è solo un eidolon — termine greco che significa "immagine," l'immagine astrale dell'uomo che fu.

Qualche volta è stato affermato che il kāmarūpa si forma solo dopo la morte del corpo fisico; ma quest'affermazione, pur essendo in un certo senso vera, è imprecisa, fuorviante e scorretta. Effettivamente il kāmarūpa è costruito, passo per passo, atomo dopo atomo, durante la vita terrena dell'essere della cui costituzione è una parte componente, essendo composto dagli atomi di vita astrali, emotivi, psichici, e mentalmente inferiori, dell'uomo; ma prende l'aspetto o forma finale — cioè diventa una distinta entità astrale — solo dopo la morte dell'uomo.

Poiché ci sono atomi di vita appartenenti a ciascuno dei principi della costituzione dell'uomo, ne consegue che l'uomo, anche nella sua natura intermedia, è un'entità composita; e dopo la morte anche questa natura intermedia, comunemente chiamata anima umana, si disgrega nei suoi componenti atomi di vita dopo un certo lasso di tempo — liberando così il suo nucleo centrale, che è l'ego umano, o la monade umana. Quando questi atomi di vita intermedi a loro volta sono lasciati indietro, appena il raggio monadico, che è il vero Uomo, è attirato superiormente e ancora più strettamente alla sua monade genitrice — in altre parole, nel Sé ultimo del suo essere — questi atomi di vita della natura intermedia dell'uomo sono liberati dal dominio del raggio monadico e formano un esercito di piani interiori. Tutte queste moltitudini di vari tipi di atomi di vita sono attratte verso altri esseri umani, sia che abbiano appena cominciato la vita terrena o che abbiano già una vita sulla terra intensamente personalizzata, proprio come gli atomi di vita del corpo fisico sono attirati da affinità psico-magnetica nelle loro rispettive sfere alle quali appartengono per natura.

Gli involucri rigettati della parte intermedia della costituzione umana sono composti da atomi di vita, e a questi atomi di vita, durante tutta la durata della nostra vita terrena, abbiamo dato la direzione prevalente o l'impulso predominante. É a causa di questo impatto della volontà e dell'intelligenza umana su questi atomi di vita, che diventiamo karmicamente responsabili di questi stessi atomi di vita secondo quello abbiamo impresso su di loro; e in una certa misura siamo anche responsabili degli effetti psichici, astrali e fisici, che essi possono produrre su altri esseri umani verso i quali questi atomi di vita migrano. Vi è uno scambio reciproco costante ed ininterrotto di atomi di vita fra tutti gli esseri umani. È questo il motivo per cui questi atomi di vita sono stampati con impressioni infinite dovute ad un numero enorme di impulsi o impatti che essi hanno sperimentato, e quindi, nella misura in cui abbiamo apposto i nostri sigilli individuali o personali su di essi, ne siamo strettamente responsabili. Un domani questi atomi di vita ritorneranno a noi. Nei limiti di quanto possano individualmente contenere, portano il marchio della nostra vitalità, ed è quest'affinità vitale con noi che causa il loro ritorno.

Naturalmente, questi impatti individuali su qualsiasi atomo di vita sono infinitesimalmente esigui, ma poiché questi atomi di vita sono straordinariamente numerosi, la loro influenza aggregata non solo può essere impellente ma a volte coercitiva. Senza nemmeno sforzare l'immaginazione possiamo vedere proprio qui che il nostro passato ritorna a noi anche attraverso gli atomi di vita, e che solo su questo fatto poggia il fondamento sostanziale della morale, del pensare elevato, e del dovere di imprimere agli atomi della nostra intera costituzione impulsi che scaturiscano dalle nostre parti superiori. Allora questi atomi di vita ritornano a noi come angeli, ciascuno che incarna un impulso al bene — e anche alla salute fisica.

Quando la monade ascende attraverso le sfere nel suo meraviglioso viaggio post-mortem, ad ogni passo o fase rigetta gli atomi di vita appartenenti alla rispettiva parte della costituzione che ha origine in questa fase. Ad ogni passo verso l'alto, la monade si lascia dietro quei gruppi di atomi di vita che sono troppo materiali per accompagnarla nei regni più eterei, finché, quando la monade ha raggiunto la fine del suo viaggio, è, come disse Paolo, rivestita di un "corpo spirituale" — il corpo idoneo ai suoi attributi spirituali.

In verità, questo è il destino finale della monade liberata, che così diventa un jīvanmukta — una divinità pienamente cosciente, perfetta per il resto dell'attuale periodo di vita mondiale o manvantara cosmico. Ma per quanto concerne i periodi più limitati di intervallo tra una vita e l'altra dell'ego reincorporante nel viaggio verso l'alto della monade dopo la morte, questo ego reincarnante scivola gradualmente nella condizione devacianica. Nel devachan, nei casi dell'essere umano ordinario, l'ego reincorporante risposa nel seno della monade e così, nella beatitudine devacianica, passa lunghi secoli prima che cominci il suo viaggio di ritorno per un nuovo incorporamento terreno — e questo periodo devacianico dipende in ogni caso dalle energie prodotte nella vita passata, che ora trovano la loro sfera appropriata di attività nella "terra dei sogni" spirituale ed intellettuale del devachan.

Quando i secoli del tempo che gira portano alla fine del sogno devacianico, le attrazioni cominciano ad entrare in attività trascinando l'ego verso l'incarnazione terrena; a poco a poco, le fasi del viaggio di ritorno si succedono esattamente nell'ordine inverso ai passi con cui la monade era "ascesa." L'ego reincorporante discende attraverso le sfere in ordine inverso, non tralasciando alcun gradino di questa mistica scala della vita; e riprende ciascuno di questi passi della "discesa" per attrazione psico-magnetica, e reincorpora in sé quanti più atomi di vita è possibile per attirare i loro eserciti che erano stati lasciati nelle rispettive fasi o piani del viaggio verso l'alto. Così li ricostruisce nel suo nuovo corpo o veicolo, invisibile e visibile, interiore ed esteriore.

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Molti uomini durante l'era cristiana hanno riflettuto sul dogma cristiano della "resurrezione dei corpi" — a volte espresso molto grossolanamente ed imprecisamente come la "resurrezione dei morti." Con la rinascita dei poteri dell'intelletto umano il vero significato di quest'insegnamento teologico ed ecclesiastico è stato formulato in varie epoche, quando gli uomini hanno cominciato a porsi la questione, e in tale contesto cominciarono realmente a pensare. Dietro a quest'idea della "resurrezione dei corpi" vi è effettivamente una meravigliosa verità della natura, che possiamo esporre in due modi.

Primo, un caso speciale che implica un mistero — un insegnamento degli antichi Misteri: quando un uomo ha raggiunto lo stadio finale dell'iniziazione, si dice che è "si è innalzato" alla padronanza dello stesso corpo fisico.

Secondo, un caso generale è il radunarsi degli atomi di vita. Questi atomi di vita sono la progenie dell'uomo insita in questo corpo durante la sua vita sulla terra, sebbene non derivino dall'esterno ma emanati dall'interno dell'uomo stesso. È bene puntualizzare che non tutti gli atomi di vita che compongono il corpo di un uomo sono la sua progenie — emanazioni o peregrinazioni della propria essenza di vita. A causa delle incessanti e vagabonde peregrinazioni degli atomi di vita tra uomo e uomo, ad ogni istante di tempo c'è in qualsiasi corpo umano un certo numero di questi atomi di vita che sono "ospiti," per così dire, in quel corpo fisico, verso il quale sono attratti per affinità, e che ugualmente lo lasciano per un'altra prevalente e più forte affinità che li trascina in un corpo che li attira psico-magneticamente.

La maggior parte, comunque, degli atomi di vita che costruiscono la costituzione dell'uomo sono i suoi figli; quindi, sono psico-magneticamente attratti di nuovo verso l'ego reincorporante nel suo viaggio di ritorno alla nuova vita terrena, e l'ego reincorporante non può evitare di ricevere nuovamente in sé questi atomi di vita, più di quanto possa evitare di essere se stesso. Sono attratti nuovamente da quest'ego perché antecedentemente scaturirono proprio da lui. Inoltre, questi atomi di vita, durante la durata del devachan dell'ego reincorporante, hanno avuto le loro mirabili avventure nelle diverse sfere e piani dei sette globi della catena planetaria. Così, quando l'individuo che discende o si reincorpora raggiunge i gradi del nostro piano fisico, e il corpo alla fine nasce, da quel momento in poi la sua crescita è assicurata dalle attrazioni e repulsioni magnetiche dei suoi precedenti atomi di vita che avevano costruito il corpo fisico dell'ego reincorporante sulla terra nell'ultima vita. Avviene così che il corpo della precedente vita terrena è risorto — si è elevato. Quando per l'uomo sopraggiunge ancora una volta il momento di rinascere nella vita fisica, è la graduale condensazione o materializzazione dei veicoli interiori o elementi che, dal mondo monadico o spirituale fino a quello fisico, formano le sette porzioni della costituzione del nuovo uomo sulla terra.

Quello che colpisce in questa meravigliosa realtà della natura è l'inerente giustizia perfetta; non c'è nessuna opportunità di funzionamento o di una collocazione fortuita degli atomi nel processo d'incarnazione, perché ad ogni passo di questa procedura l'uomo deve affrontare ciò che fece precedentemente, e deve necessariamente riprenderli in se stesso. Ma non va dimenticato che, sebbene nel suo nuovo corpo terreno egli sia sostanzialmente lo stesso uomo fisico che era alla fine della sua ultima vita, dire tuttavia che è identico all' "uomo" dell'ultima vita terrena non è né preciso né filosoficamente vero; mentre il "nuovo uomo" è una riproduzione di quello "vecchio," ed è, nondimeno, un'entità personale che si distingue come un "nuovo uomo," a causa delle "nuove" acquisizioni della facoltà e del potere interiore che ha guadagnato come frutto di tutte le esperienze dell'ultima vita e che ha assimilato nel carattere durante l'intervallo devacianico. Così, l'uomo può essere definito lo "stesso" uomo perché nei suoi veicoli è formato dagli stessi identici elementi, ma è un "nuovo uomo" a motivo della crescita o espansione attraverso lo sviluppo evolutivo che ha avuto luogo dall'ultima vita.

Il fatto che dopo la morte a volte il corpo fisico sia distrutto dalla cremazione non ha effetto sugli atomi di vita. Il fuoco libera gli atomi chimici, distrugge le molecole composite degli atomi ma gli atomi stessi non sono toccati dal fuoco. Il fuoco è un fenomeno elettrico, la sua influenza è normalmente distruttiva, ma è anche il grande creatore costruttivo dell'universo, e questo è il motivo per cui alcuni popoli antichi lo veneravano. Il fuoco è, di fatto, una manifestazione dei piani inferiori dell'elettricità prānica.

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Gli atomi di vita sono le anime degli atomi chimici. Oggi i teosofi usano la parola atomo nel suo significato etimologico greco, che vuol dire "indivisibile," la monade o l'individuo — che è strettamente un'unità che non può essere divisa. Era in questo senso che il termine veniva usato dai fondatori originari della scuola atomistica greca, che intendevano esattamente ciò che la scuola Pitagorica voleva dire quando parlava della monade come di un centro della coscienza; quello che potremmo denominare il vero atomo spirituale, ultimo e indivisibile solo nel senso che, quando qualcuno degli involucri psicologici che avvolgono qualsiasi centro della coscienza o monade è tolto, viene rivelato un involucro più perfetto del centro della coscienza; e questo processo di scarto può procedere ad infinitum, e tuttavia non raggiunge mai l'inizio assoluto definitivo — perché dove potremmo mai trovare una fine o un inizio concepibile di un centro della coscienza? Il punto è che questi involucri sono veramente fasi della coscienza, e quindi, non importa quanto numerosi possano essere, la coscienza in sé è sempre lì.

Gli antichi hindu chiamavano gli atomi di vita con il nome paramāṇu, un composto che significa l'anu finale o 'primordiale," e anu implica un "infinitesimale," per cui il suo uso, applicato allo spirito, potrebbe facilmente significare una monade. Tuttavia, il termine migliore per la monade è jīva; e per il centro della stessa coscienza, situato nel cuore della monade, il termine descrittivo più appropriato sarebbe jīvātman o Sé monadico. In alcune Upanishad si menziona il Brahman situato nel cuore dell'atomo — il Brahman che è il più piccolo in assoluto e tuttavia il più grande in assoluto, che nel suo vasto raggio abbraccia veramente l'universo.

Va notato, comunque, che questi infinitesimali primari o paramāṇu non sono semplici punti di "materia morta," un concetto che non rende del tutto l'idea principale, ma questi infinitesimali sono centri o punti di coscienza pura e genuina — "atomi della coscienza." Quindi, il Brahman cosmico nella filosofia hindu è definito come anīyāṃsam anīyasāṃm — "il più minuto in assoluto," "l'atomico degli atomici," o la sostanza essenziale o punto di coscienza che, proprio perché è coscienza essenziale, permea tutto, non solo perché è il cuore di ogni atomo nell'universo ma perché riempie l'universo stesso.

Questo è perfettamente descritto dal termine jīvātman, perché nel cuore di ogni entità c'è una scintilla divina, il dio interiore da cui è avvolta in rivestimenti di fasi crescenti di opacità, essendo queste le varie "guaine" della coscienza. Le più elevate di queste guaine o veli sono traslucide o trasparenti al passaggio della luce che scaturisce da questa monade spirituale interiore o sole; e quelle esterne o più opache sono progressivamente sempre meno eteree, fino a raggiungere il corpo fisico.

L'astronomo e matematico inglese Sir James Jeans scrive nel suo The Mysterious Universe:

Non importa quanto ci allontaniamo da una particella elettrificata, perché non possiamo uscire fuori dal raggio delle sue attrazioni e repulsioni. Questo dimostra che un elettrone deve, almeno in un certo senso, occupare tutto lo spazio.

Risulta evidente che Jeans attribuisce a un moderno elettrone scientifico qualcuno degli attributi caratteristici dell'anu hindu. Quello che la monade è per l'atomo di vita, il paramāṇu lo è per l'anu.

Così il dio interiore dell'uomo potrebbe essere chiamato un "atomo spirituale," un paramāṇu, una monade, un qualcosa di veramente indivisibile, che dura attraverso tutto il manvantara cosmico; in verità non dura per sempre nei suoi veli avvolgenti, ma in quell'ineffabile mistero del suo sé essenziale. Quando l'anima umana, mediante il processo con cui emana da se stessa le sue possibilità monadiche, manifesta l'illuminazione interiore a un grado maggiore o minore, allora possiamo chiamare quest'anima umana "l'atomo umano," o la monade umana o ego, che è il centro autocosciente dell'essere umano ordinario.

L'uomo, l'Uomo essenziale, in ultima analisi può quindi essere considerato come una forza autocosciente o un flusso di energia della coscienza, e nella sua forma monadica più elevata quell'energia della coscienza è omogenea, perché è un'unità, un individuo. È questa monade che passa di vita individualizzata in vita individualizzata, di sfera in sfera, evolvendo costantemente i suoi inerenti attributi e facoltà; e in questo modo segue il sentiero dell'incessante evoluzione cosmica. Il suo acquisire esperienze in una singola vita è una frazione insignificante di tutto quello che il cosmo le riserva sotto forma di lezioni da imparare e di crescita da raggiungere!

I nostri scienziati vedono nel mondo fisico un dramma infinito di flusso e deflusso, di cambio ed interscambio, di una costante peregrinazione di particelle fisiche su un'ampia gamma dell'universo. Ci parlano delle peregrinazioni degli atomi e dei loro costituenti elettronici che ci provengono dal sole e senza dubbio da altri pianeti.

Lungo i sentieri dell'universo c'è veramente una circolazione costante degli atomi di vita che s'incorporano negli atomi chimici — veicoli temporanei che sono presi e lasciati cadere in una serie infinitamente ripetitiva di incorporamenti perché questi atomi di vita circolano qua e là: in questo modo fanno parte di un movimento costante avanti e indietro dal seno del Padre Sole e nuovamente attraverso tutto il suo regno di atomi, creando le strade principali o sentieri che sono percorsi ed usati da tutti gli esseri ed entità di grado evolutivo superiore. È il "Ciclo di Necessità" degli antichi filosofi greci. Nessun uomo, in verità nessuna entità, può vivere solo in se stesso. Siamo tutti membri di una sola corporazione le cui dimensioni sono, in tutta verità, lo spazio illimitato, e i cui individui sono monadi eternamente in peregrinazione.


[1] Questa cifra di 15 anni è apparsa per la prima volta nella letteratura teosofica nel 1883 [in Esoteric Buddhism di A. P. Sinnett] quando, a causa della mortalità infantile, guerre, malattie, carestie, il tempo di vita media era calcolato di soli quindici anni. — Nota di W. T. S. Thackara.



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